Riconosciuta all’attore la qualità d'erede, a lui dovranno essere restituite tutte le cose ereditarie: i beni con i loro incrementi, i frutti, il prezzo di quelli alienati. Ma questo principio subisce due eccezioni: l'una per l'usucapione che il possessore delle cose ereditarie (singolarmente e non nel loro complesso considerate) o di alcuni beni abbia compiuto in suo favore; l'altra - esplicitamente regolata dal codice - in dipendenza della buona o mala fede del possessore.
Al possessore che sia chiamato a restituire le cose ereditarie, spetta, tanto se versa in buona fede quanto se è in mala fede, il
diritto ad essere rimborsato delle spese necessarie integralmente e di quelle utili nella somma minore tra lo speso ed il migliorato (art.
1150 c.c.); solo nel primo caso, a garanzia di tale diritto può ritenere le cose, purché i miglioramenti siano stati fatti, sussistano realmente, vengano domandati nel giudizio di petizione ed una prova della loro sussistenza sia stata comunque fornita; delle spese voluttuarie non spetta alcun rimborso ma può venir esercitato lo
ius tollendi sempre che non ne sia danneggiata la cosa.
Chi va ritenuto
possessore di buona fede? L'attuale codice, al terzo comma dell’articolo in esame, ha precisato che possessore di buona fede è colui che ha acquistato il possesso di beni ereditari ritenendosi erede per errore, escludendo però i casi di colpa grave.
L'articolo in esame pone l'ipotesi che il possessore abbia, in buona fede,
alienato una cosa dell'eredità: in tal caso egli è tenuto a restituirne all’erede il prezzo o il corrispettivo ma, se questi sono ancora dovuti, l'erede subentra nel diritto di conseguirli. La legge parla di alienazione e di prezzo, ma è ovvio che il principio dell’art. 535 non deve essere limitato solo all’ipotesi della vendita, poiché va esteso ad ogni alienazione onerosa; inoltre, per invocare, ai fini della responsabilità, lo stesso art. 535, è necessario che l’alienazione sia stata fatta in buona fede: è necessario, cioè, che la buona fede sussista ancora nel momento in cui si compie l'alienazione e
non basta la buona fede iniziale.
Ma se il possessore non conserva più il prezzo delle cose alienate, se, cioè, lo ha consumato, oppure se, invece che a titolo oneroso, ha alienato beni a titolo gratuito, quali saranno i limiti della sua responsabilità? Il codice non ipotizza siffatti casi, i quali, perciò, devono essere considerati e decisi alla stregua dei
principi generali in materia di possesso di buona fede.
Non così il diritto romano, che aveva disciplinato l’istituto della
petitio ed anche i suoi effetti: per l’ipotesi in esame il senato-consulto Giovenziano aveva ritenuto requisito per la restituzione da parte del possessore di buona fede l’estremo dell’arricchimento; costui, cioè, era obbligato a restituire all’erede vero le cose alienate a titolo gratuito o il prezzo di quelle alienate a titolo oneroso, consumato, solo se ed in quantum
locupletior factus esset. Per il nostro diritto si deve ritenere che, verificandosi le ipotesi in esame, il possessore di buona fede nulla sia tenuto a restituire all'erede vero, poiché
re sua abuli putavit: siffatto principiò è confermato dall’art.
2037 c.c. ove si stabilisce - in tema di restituzione dell’indebito, ma la regola può essere applicata con efficacia più generale - che chi ha indebitamente ricevuto una cosa deve restituirla in natura se sussiste, mentre qualora non esista più o sia deteriorata, se egli l'ha ricevuta in mala fede (sapendo, cioè, che non gli era dovuta) deve restituirne il valore, quantunque sia deteriorata o distrutta per caso fortuito; se, invece, l'ha ricevuta in buona fede, non è tenuto a restituirla che sino alla concorrenza di ciò che è stato rivolto a suo profitto.
Discende dagli stessi principi generali in materia di possesso di buona fede che il possessore non è tenuto a rispondere, verso l’erede vero, del perimento delle cose ereditarie.
Gli effetti sin qui considerati nei riguardi del possessore di buona fede non si verificano tutti per il
possessore di mala fede. Questi deve restituire i frutti senza distinguere tra i
percepti, gli
extantes ed i
percipiendi (cioè quelli che non ha raccolto ma che avrebbe potuto raccogliere se avesse usato la dovuta diligenza); risponde dei deterioramenti verificatisi per caso fortuito a meno che non provi che la cosa sarebbe perita egualmente presso l’erede; ed infine, se ha alienato beni dell’eredità, è tenuto non solo a restituire il prezzo ricevuto, ma a rimborsare l’erede del valore della cosa, che può coincidere con quello, ma può essere anche superiore.