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Articolo 33 Legge 104

(L. 5 febbraio 1992, n. 104)

[Aggiornato al 30/06/2024]

Agevolazioni

Dispositivo dell'art. 33 Legge 104

1. [La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell'articolo 4, comma 1, hanno diritto al prolungamento fino a tre anni del periodo di astensione facoltativa dal lavoro di cui all'articolo 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati.](1)

2. La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con disabilità in situazione di gravità accertata ai sensi dell'articolo 4, comma 1, possono chiedere ai rispettivi datori di lavoro di usufruire, in alternativa al prolungamento fino a 3 anni del congedo parentale di cui all'articolo 33 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, di due ore di permesso giornaliero retribuito fino al compimento del terzo anno di vita del bambino(4).

3. Il lavoratore dipendente, pubblico o privato, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa, per assistere una persona con disabilità in situazione di gravità, che non sia ricoverata a tempo pieno, rispetto alla quale il lavoratore sia coniuge, parte di un'unione civile ai sensi dell'articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, convivente di fatto ai sensi dell'articolo 1, comma 36, della medesima legge, parente o affine entro il secondo grado. In caso di mancanza o decesso dei genitori o del coniuge o della parte di un'unione civile o del convivente di fatto, ovvero qualora gli stessi siano affetti da patologie invalidanti o abbiano compiuto i sessantacinque anni di età, il diritto è riconosciuto a parenti o affini entro il terzo grado della persona con disabilità in situazione di gravità. Fermo restando il limite complessivo di tre giorni, per l'assistenza allo stesso individuo con disabilità in situazione di gravità, il diritto può essere riconosciuto, su richiesta, a più soggetti tra quelli sopra elencati, che possono fruirne in via alternativa tra loro. Il lavoratore ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone con disabilità in situazione di gravità, a condizione che si tratti del coniuge o della parte di un'unione civile di cui all'articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, o del convivente di fatto ai sensi dell'articolo 1, comma 36, della medesima legge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con disabilità in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti(2)(3)(4).

3-bis. Il lavoratore che usufruisce dei permessi di cui al comma 3 per assistere persona in situazione di handicap grave, residente in comune situato a distanza stradale superiore a 150 chilometri rispetto a quello di residenza del lavoratore, attesta con titolo di viaggio, o altra documentazione idonea, il raggiungimento del luogo di residenza dell'assistito.

4. Ai permessi di cui ai commi 2 e 3, che si cumulano con quelli previsti agli articoli 32 e 47 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, si applicano le disposizioni di cui agli articoli 43, 44 e 56 del citato decreto legislativo n. 151 del 2001(4).

5. Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.

6. La persona handicappata maggiorenne in situazione di gravità può usufruire alternativamente dei permessi di cui ai commi 2 e 3, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferita in altra sede, senza il suo consenso.

6-bis. I lavoratori che usufruiscono dei permessi di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo hanno diritto di priorità nell'accesso al lavoro agile ai sensi dell'articolo 18, comma 3-bis, della legge 22 maggio 2017, n. 81 o ad altre forme di lavoro flessibile. Restano ferme le eventuali previsioni più favorevoli previste dalla contrattazione collettiva nel settore pubblico e privato(5).

7. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3, 4 e 5 si applicano anche agli affidatari di persone handicappate in situazione di gravità.

7-bis. Ferma restando la verifica dei presupposti per l'accertamento della responsabilità disciplinare, il lavoratore di cui al comma 3 decade dai diritti di cui al presente articolo, qualora il datore di lavoro o l'INPS accerti l'insussistenza o il venir meno delle condizioni richieste per la legittima fruizione dei medesimi diritti. Dall'attuazione delle disposizioni di cui al presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

7-ter. Il rifiuto, l'opposizione o l'ostacolo all'esercizio dei diritti di cui al presente articolo, ove rilevati nei due anni antecedenti alla richiesta della certificazione della parità di genere di cui all'articolo 46 bis del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o di analoghe certificazioni previste dalle regioni e dalle province autonome nei rispettivi ordinamenti, impediscono al datore di lavoro il conseguimento delle stesse certificazioni(5).

Note

(1) Comma abrogato dal D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151.
(2) La Corte Costituzionale, con sentenza 5 luglio-23 settembre 2016, n. 213, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale "dell'art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), come modificato dall'art. 24, comma 1, lettera a), della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro) nella parte in cui non include il convivente - nei sensi di cui in motivazione - tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito per l'assistenza alla persona con handicap in situazione di gravità, in alternativa al coniuge, parente o affine entro il secondo grado."
(3) Il D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dal D.L. 19 maggio 2020, n. 34, ha disposto (con l'art. 24, comma 1) che "Il numero di giorni di permesso retribuito coperto da contribuzione figurativa di cui all'articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, è incrementato di ulteriori complessive dodici giornate usufruibili nei mesi di marzo e aprile 2020 e di ulteriori complessive dodici giornate usufruibili nei mesi di maggio e giugno 2020".
(4) Comma modificato dal D. Lgs. 30 giugno 2022, n. 105.
(5) Comma introdotto dal D. Lgs. 30 giugno 2022, n. 105.

Massime relative all'art. 33 Legge 104

Cass. civ. n. 47/2024

In tema di diritto del lavoratore che assiste un familiare portatore di handicap a scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio del familiare e a non essere trasferito ad altra sede senza il proprio consenso, ai sensi dell'art. 33, comma 5, della l. n. 104 del 1992, è posto a carico del datore di lavoro l'onere di provare la sussistenza di ragioni organizzative, tecniche e produttive che impediscono l'accoglimento delle richieste del lavoratore, spettando al giudice procedere al necessario bilanciamento, imposto dal quadro normativo nazionale e sovranazionale, tra gli interessi e i diritti del medesimo e del datore di lavoro, ciascuno meritevole di tutela, valorizzando le esigenze di assistenza e di cura del familiare disabile ogni volta che le ragioni tecniche, organizzative e produttive prospettate non risultino effettive e comunque insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte.

Cass. civ. n. 35105/2022

Nelle operazioni di trasferimento del personale scolastico che coinvolgano una pluralità di dipendenti fra i quali anche i soggetti titolari del diritto di precedenza di cui all'art. 33L. 05/02/1992, n. 104, Art. 33 - (Agevolazioni), comma 5, della l. n. 104 del 1992, l'Amministrazione - nel rispetto dei principi costituzionali di imparzialità, buon andamento e trasparenza, nonché dei canoni generali di correttezza e buona fede - è tenuta ad adottare criteri predeterminati e trasparenti, che ben possono essere oggetto di contrattazione collettiva, al fine di bilanciare gli interessi, tutti egualmente meritevoli di tutela, degli aspiranti alla mobilità.

Cass. civ. n. 22885/2021

In tema di pubblico impiego contrattualizzato, si deve negare che il diritto al trasferimento riconosciuto dall'art. 33, quinto comma, della l. n. 104 del 1992, possa assumere a suo esclusivo presupposto la vacanza del posto a cui il lavoratore richiedente, familiare dell'handicappato, aspira, poiché tale condizione esprime una mera potenzialità, che assurge ad attualità soltanto con la decisione organizzativa dell'amministrazione di coprire talune vacanze; sicché, ai fini del riconoscimento del suddetto diritto - il quale non si configura come assoluto ed illimitato, in quanto l'inciso "ove possibile" contenuto nel citato articolo postula un adeguato bilanciamento degli interessi in conflitto -, non basta la mera scopertura di organico, profilandosi invece necessario che i posti, oltre che vacanti, siano anche resi "disponibili" dall'amministrazione stessa, le cui determinazioni devono sempre rispettare i principi costituzionali d'imparzialità e di buon andamento, tenuto conto di finalità ed esigenze commisurate anche all'interesse alla corretta gestione della finanza pubblica.

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Consulenze legali
relative all'articolo 33 Legge 104

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

M. A. chiede
lunedì 28/10/2024
“Gentilissimi Buongiorno,

Chiedo spiegazioni riguardo ai permessi della legge 104 che spettano ai famigliari oppure a famigliari fino al 3°di parentela.
A mia figlia sono stati negati in quanto figlia del mio primo matrimonio ed è stato riferito che lei non ha nessun grado di parentela con il mio attuale marito che siamo sposati dal 2001.
Trovo aberrante il fatto, in quanto io ho bisogno e mia/nostra figlia non possa aiutarmi solo perché figlia di altro letto.
Si può cambiare questa legge? Cosa posso fare? Mi viene concesso un diritto poi non ne posso usufruire perché ne ho bisogno.. Potete aiutarmi?
Grazie mille.
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 02/11/2024
La legittimazione alla fruizione dei permessi per assistere una persona in situazione di handicap grave, ex art 33, Legge 104/1992, spetta al coniuge ed ai parenti e affini, entro il secondo grado.

In base a quanto previsto ex art. 78 del c.c. il vincolo familiare che intercorre tra un coniuge e i parenti dell’altro coniuge si definisce affinità, affinità che può essere di gradi diversi; Tra sua figlia e suo marito esiste un’affinità di primo grado.

Le consiglio quindi di presentare contro il provvedimento dell’Inps un ricorso (prima stragiudiziale e in caso negativo anche giudiziale) volto a dimostrare il diritto di sua figlia a beneficiare dei permessi necessari ad assistere il patrigno.

Se poi sua figlia convive stabilmente con voi, tenga anche presente che l’articolo 1, commi 36 e 37, della Legge 76 del 2016, ha introdotto e regolamentato il concetto di convivenza di fatto, aprendo la strada a diverse interpretazioni.




Anonimo chiede
sabato 07/09/2024
“Sono dipendente pubblico e beneficio della legge 104 articolo 3 comma 3 per mio figlio maggiorenne , non deambulante , convivente. Ulilizzo in luogo dei 3 giorni mensili di astensione dal lavoro le 18 ore mensili distribuite durante il mese. Da luglio anche mio suocero gode della legge 104 perché non vedente. Posso godere di altri 18 giorni di astensione dal lavoro posto che la moglie ha 80 anni ed effetta da gravi patologie, accertate , i figli per lavoro non possono dedicarsi a lui. Inoltre abitando a 200 m l’uno dall’altro posso godere anche del congedo straordinario dei due anni? Grazie”
Consulenza legale i 16/09/2024
Ai sensi dell’art. 33, comma 3, Legge 104/1192, “Il lavoratore ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone con disabilità in situazione di gravità, a condizione che si tratti del coniuge o della parte di un'unione civile di cui all'articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, o del convivente di fatto ai sensi dell'articolo 1, comma 36, della medesima legge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con disabilità in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti”.

Ai sensi dell’art. 42, comma 5, D. Lgs. 151/2001, “Il coniuge convivente di soggetto con disabilità in situazione di gravità, accertata ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ha diritto a fruire del congedo di cui all'articolo 4, comma 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53, entro trenta giorni dalla richiesta. Al coniuge convivente sono equiparati, ai fini della presente disposizione, la parte di un'unione civile di cui all'articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, e il convivente di fatto di cui all'articolo 1, comma 36, della medesima legge. In caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente o della parte di un'unione civile o del convivente di fatto, hanno diritto a fruire del congedo il padre o la madre anche adottivi; in caso di decesso, mancanza o in presenza di patologie invalidanti del padre e della madre, anche adottivi, ha diritto a fruire del congedo uno dei figli conviventi; in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti dei figli conviventi, ha diritto a fruire del congedo uno dei fratelli o delle sorelle conviventi; in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi, ha diritto a fruire del congedo il parente o l'affine entro il terzo grado convivente. Il diritto al congedo di cui al presente comma spetta anche nel caso in cui la convivenza sia stata instaurata successivamente alla richiesta di congedo”.

È, quindi, possibile fare richiesta per congedo Legge 104 per il suocero, ma solo se sono mancanti o impossibilitati tutti gli altri parenti che hanno priorità di fruizione dell’agevolazione.
La Legge 104/1992, infatti, stabilisce che abbiano priorità nella richiesta:
  • i genitori della persona con disabilità grave, anche adottivi o affidatari;
  • il coniuge, parte dell’unione civile, convivente di fatto, parenti e affini entro il 3° grado di familiari disabili in situazione di gravità.
Il diritto può essere esteso ai parenti e affini di terzo grado soltanto qualora i genitori o il coniuge o la parte dell’unione civile o il convivente di fatto della persona con disabilità grave abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.

Il requisito della convivenza è obbligatorio per tutti coloro che richiedono il congedo straordinario per assistere un familiare disabile grave, tranne che per i genitori che devono assistere i propri figli.

Per tutti gli altri beneficiari, è necessario che, al momento della richiesta per il congedo straordinario, sia soddisfatto il requisito di convivenza con il familiare disabile grave da assistere.
Per soddisfare il requisito della convivenza, caregiver e disabile devono risiedere nello stesso stabile e avere anche il medesimo numero civico.

Pertanto, pur essendo possibile per il genero richiedere il congedo straordinario per accudire il suocero, non sarà possibile usufruirne mantenendo la residenza nell’attuale abitazione, pur abitando molto vicino al suocero. Sarà, invece, necessario spostare, anche temporaneamente, la residenza.



A. D. C. chiede
domenica 28/07/2024
“Salve, ho un invalidità del 75 percento, percepisco una somma ogni mese, ovviamente non lavoro, se mia moglie dovrebbe essere assunta, quanto é il limite di reddito per non perdere l’assegno?
Oppure se dovrei essere assunto io, quanto é il limite di reddito? Grazie.”
Consulenza legale i 14/08/2024
L’importo dell’assegno mensile per gli invalidi civili parziali dovrebbe essere di € 333,33, che spettano se non si supera un reddito personale per il 2024 di € 5.725,46.

Ai fini del calcolo del reddito si tiene conto anche:
- dei redditi assoggettabili a IRPEF (reddito di lavoro dipendente);
- redditi assoggettabili a tassazione separata (tfr e indennità di mancato preavviso)
- i redditi tassati alla fonte;
- i redditi esenti da tassazione ordinaria IRPEF, come la stessa pensione di invalidità.

La valutazione della soglia di reddito limite per il diritto alla pensione di invalidità viene effettuata solo nei confronti della persona disabile che presenta domanda per la prestazione assistenziale.

Lo ha confermato anche l’ordinanza della Cassazione n. 21763/2020, la quale, confermando la propria precedente giurisprudenza, ha affermato il principio secondo il quale “occorre fare riferimento al reddito personale dell’assistito con esclusione del reddito percepito da altri componenti del nucleo familiare di cui il predetto fa parte”.

G. P. chiede
mercoledì 17/07/2024
“Si chiede di sapere se una Pubblica Amministrazione (comune) può discostarsi dall'applicare un parere espresso dall'ARAN nel caso di specie l'Amministrazione non consente il frazionamento dei permessi orari ex lege 104/92 come da parere CFL213 dell'ARAN.”
Consulenza legale i 24/07/2024
I pareri dell’Aran anche se autorevoli non sono vincolanti e non sono fonti normative.

Sul punto si veda anche Sentenza Corte dei Conti sez. giur. Lombardia 31 gennaio 2019 n.10 che si è discostata proprio da un parere dell’Aran.

Anche la Cassazione ha più volte chiarito (cfr. ex pluribus Cass., sez.lav., 11 marzo 2015, n. 4878) che il parere reso dall’ARAN “al pari delle informazioni o osservazioni rese dalle associazioni sindacali ex art. 425 c.p.c. (cfr. Cass., 15 marzo 2010, n. 6204; Cass., 4 marzo 2002, n. 3081; Cass., 29 luglio 1994, n. 7103) deve ritenersi inidoneo, in considerazione del suo carattere unilaterale, ad identificare la comune intenzione delle parti stipulanti il contratto collettivo, rilevante ai sensi dell'art. 1362 c.c., potendo al più assurgere alla funzione di fornire chiarimenti ed elementi di valutazione riguardo agli elementi di prova già disponibili, rientrando nella generica nozione di materiale istruttorio liberamente e discrezionalmente valutabile dal giudice (cfr. Cass., 19 giugno 2004, n. 11464)”.

La stessa Aran con RAL725_Orientamenti Applicativi, nel rispondere al quesito “Che valore hanno le risposte fornite dall’ARAN ai quesiti formulati dalle Amministrazioni?” si è così espressa:

Le risposte che la nostra Agenzia fornisce in relazione ai quesiti formulati dagli enti devono essere ricondotte nell’ambito della “attività di assistenza delle pubbliche amministrazioni per la uniforme applicazione dei contratti collettivi”, espressamente prevista dall’art. 46, comma 1, del D. Lgs. n. 165/2001. Le stesse risposte, pertanto, assumono il contenuto di un orientamento di parte datoriale, e quindi non hanno carattere vincolante e non rivestono neanche la caratteristica della “interpretazione autentica” per la quale, invece, è prescritto uno specifico procedimento negoziale. Gli enti, quindi, hanno piena disponibilità sulla valutazione delle singole questioni, e sulla indicazione delle soluzioni coerenti con le clausole contrattuali nel rispetto dei principi fondamentali di correttezza e buona fede”.

Pertanto, il Comune può discostarsi dal parere dell’Aran. Questo non rende automaticamente lecito l’operato del Comune. Sarà necessario rivolgersi ai sindacati per sollecitare un procedimento di interpretazione autentica nel caso in cui si tratti di un problema ermeneutico oppure al giudice del lavoro per far valere i propri diritti.


V. G. chiede
venerdì 21/06/2024
“Siamo un gruppo di dipendenti di un ente locale sia full time che part time (verticale), secondo quanto a nostra conoscenza, un dipendente (avendone i requisiti) nel corso dello stesso mese può usufruire, anche in maniera frazionata, del congedo straordinario, ai sensi dell'art. 42 comma 5 del d.lgs. n. 151/2001 e dei 3 giorni di permesso di cui alla legge n.104/92.
Es. un dipendente dal 1 gennaio al 28 usufruisce del congedo straordinario, ai sensi dell'art. 42 comma 5 del d.lgs. n. 151/2001, e dal 29 al gennaio al 31 dei 3 giorni di cui alla L. n.104/92.
Con riferimento alle sentenze n.22095 del 29/09/2017 e n.4069 del 20/02/2018 ed all'orientamento ARAN cfc34, il dirigente ritiene che “nel caso di fruizione in modo frazionato del congedo straordinario, ex art. 42 comma 5 del d.lgs. n.151/2001, che determini un part time verticale con una prestazione lavorativa superiore al 50% rispetto all'ordinario orario lavorativo in regime di full time non avrà un riproporzionamento dei 3 giorni di permesso ex art. 33 della L. n.104/92. Viceversa, ovviamente, si procederà al riproporzionamento nel caso di part time verticale, scaturente dalla richiesta di congedo straordinario in modo frazionato, ai sensi dell'art. 42 comma 5 del d.lgs. n. 151/2001, che comporti una prestazione lavorativa mensile inferiore al 50% rispetto all'orario ordinario lavorativo in regime di full time”.
In sintesi, per il dirigente la fruizione del congedo straordinario in modo frazionato, ai sensi dell'art. 42 comma 5 del d.lgs. n. 151/2001, (es. 22 gg. in un mese) determina un part time verticale, (anche se il dipendente è Full time) con conseguente riproporzionamento dei 3 giorni di permesso della l.104/92 che si voglio godere nello stesso mese.
Abbiamo fatto degli approfondimenti ma non troviamo norme e/o circolari che avvalorino questa tesi, anzi al contrario.
Il dirigente è super convinto.
Ci sono i presupposti per un contenzioso da presentare al Giudice del Lavoro?
Ed, inoltre, può essere presentato unico ricorso cumulativo avvalendosi della cosiddetta “class action”, oppure deve essere proposto per singolo dipendente?
Infine la richiesta del congedo ai sensi dell'art. 42 comma 5 del d.lgs. n. 151/2001 può essere negato per esigenze di servizio?”
Consulenza legale i 01/07/2024
Secondo l'orientamento ARAN cfc34 e le sentenze della Cassazione (n. 22095 del 29/09/2017 e n. 4069 del 20/02/2018), il riproporzionamento dei 3 giorni di permesso ex art. 33 della L. 104/92 è applicabile solo in caso di un part-time verticale con una prestazione lavorativa inferiore al 50% rispetto all'orario full-time.

A parere di chi scrive, non si può condividere l’opinione del dirigente.

Non si rinvengono riferimenti normativi o giurisprudenziali secondo i quali, in caso di congedo straordinario frazionato comportante una riduzione dell'orario lavorativo superiore al 50%, si debba procedere al riproporzionamento.

Anzi, la Circolare n. 1 del 2012 del Dipartimento della Funzione Pubblica chiarisce che “nel caso di fruizione cumulata nello stesso mese del congedo (ovvero di ferie, aspettative o altre tipologie di permesso) e dei citati permessi di cui all'art. 33, comma 3, da parte del dipendente a tempo pieno, questi ultimi spettano sempre nella misura intera stabilita dalla legge (3 giorni) e non è previsto un riproporzionamento”.

Pertanto, nel caso di specie potrebbero esserci i presupposti per un ricorso al giudice del lavoro.

Per quanto riguarda la Class Action, trattasi di uno strumento originariamente regolato dall’art. 140-bis del Codice del Consumo.

A seguito delle modifiche introdotte dalla Legge n. 31/2019, l'istituto della class action è stato trasferito dal Codice del Consumo al Codice di Procedura Civile, con l'introduzione di un apposito Titolo (VIII-bis) alla fine del Libro IV, dedicato ai procedimenti collettivi.

La riforma ha esteso il campo di applicazione della class action, rendendola un rimedio di carattere generale e non più limitato ai consumatori. Ora, l'azione di classe può essere utilizzata per tutelare una più ampia gamma di diritti, specialmente quelli che potrebbero non essere adeguatamente difesi tramite azioni individuali. L'azione di classe può essere promossa non solo dai consumatori, ma anche da qualsiasi componente della classe o da associazioni e organizzazioni i cui obiettivi statutari comprendano la tutela dei diritti individuali omogenei.
La riforma prevede che l'azione di classe possa essere esercitata per l’accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni.

Non sono ammissibili le azioni di mero accertamento o quelle che non abbiano per oggetto una somma di denaro, come risarcimenti in forma specifica o obblighi di fare o non fare. L'azione di classe deve quindi riguardare diritti omogenei e avere come obiettivo una condanna risarcitoria.

Considerando che nel caso di specie si tratterebbe di chiedere al datore di lavoro la concessione dei permessi e che la vertenza, seppur riguardante un gruppo di lavori, non riguarda una vera e propria “classe”, sembra opportuno utilizzare altri mezzi offerti dall’ordinamento.

Infatti, l’articolo 103 del Codice di Procedura Civile prevede già la possibilità di azioni collettive coordinate:
"Più parti possono agire o essere convenute nello stesso processo, quando, tra le cause che si propongono, esiste una connessione per l’oggetto o per il titolo dal quale dipendono, oppure quando la decisione dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni."

Il congedo straordinario ai sensi dell'art. 42 comma 5 del D.Lgs. 151/2001 non può essere negato per esigenze di servizio. Infatti, tale congedo è un diritto soggettivo per il dipendente che ne ha i requisiti, quindi il datore di lavoro non può rifiutare la concessione del congedo per ragioni organizzative o di servizio.

Il datore di lavoro può negare i permessi solo se non ricorrono tutti i requisiti previsti dalla normativa. Il datore deve verificare l’adeguatezza della documentazione e la ricorrenza dei presupposti per la concessione e, se tutto è regolare, deve concedere i permessi lavorativi previsti. Se tutti i requisiti richiesti sono soddisfatti, il beneficio dei permessi non è soggetto ad autorizzazione perché è un diritto soggettivo del disabile o del familiare che lo assiste.

Nel comparto pubblico, il Parere del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 13/2008 e la Circolare n. 13/2010 prevedono la programmazione dei permessi con congruo anticipo per consentire la migliore organizzazione dell’attività amministrativa. Anche il Ministero del Lavoro, nell’interpello n. 31 del 6/07/2010, ha chiarito che è possibile richiedere una programmazione dei permessi settimanale o mensile, purché:
  • Il lavoratore possa individuare preventivamente le giornate di assenza.
  • La programmazione non comprometta il diritto del disabile a un’effettiva assistenza.
  • La programmazione segua criteri condivisi con i lavoratori o le loro rappresentanze.
  • La programmazione garantisca il mantenimento della capacità produttiva dell’impresa senza compromettere il buon andamento.
Se il dipendente comunica con congruo anticipo, il dirigente non può negare la fruizione del permesso né entrare nel merito delle motivazioni. In caso di necessità urgente di variazione della giornata di fruizione, il dirigente deve accettare la variazione, poiché il diritto del disabile o del familiare prevale su qualunque esigenza lavorativa.

Il dipendente non è tenuto a presentare documentazione per giustificare la fruizione dei singoli permessi. Il diniego alla fruizione del permesso mensile può configurare “danno esistenziale” e il reato di abuso di ufficio. Se la mancata assistenza provoca danni fisici alla persona disabile, può configurarsi anche il “danno biologico”, risarcibile in sede giudiziaria.


R. S. chiede
martedì 28/05/2024
“buongiorno sono un dipendente di una SRL privata settore sanitario con genitore con 104 chiedevo - dato che mi sono negati sempre pur essendo unico dipendente ad aver diritto ad usufruire dei permessi ex articolo 33 legge 104 - se avessi diritto a cambi turno ed avere un giorno con turno mattutino dato che faccio sempre i pomeriggi . azienda mi ha anche minacciato di mandarmi via se uso la 104 come devo comportarmi”
Consulenza legale i 08/06/2024
Il lavoratore dipendente titolare di Legge 104 non può rifiutare l’organizzazione del lavoro su turni, perché tra i suoi diritti questa facoltà non è enunciata. Potrebbe invece rifiutare un eventuale spostamento al turno notturno, visto che i lavoratori titolari di Legge 104 possono essere esentati da questi orari.

L’art. 53, comma 3, del D.Lgs.n.151/2001, prevede che non sono obbligati a prestare lavoro notturno la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un familiare disabile, ai sensi della legge n. 104/1992.

Il datore di lavoro non può opporsi alla concessione dei permessi ex art. 33 Legge 104, a patto che il lavoratore abbia presentato richiesta secondo le modalità previste.

Il datore di lavoro può al limite chiedere al dipendente di godere dei permessi nei giorni che non contrastano con le esigenze produttive e organizzative dell’azienda.

L’azienda può richiedere una programmazione delle giornate o delle ore di assenza nonché un congruo preavviso nella comunicazione dei giorni o delle ore in cui il dipendente che li richiede non sarà presente al lavoro.

Tuttavia, in presenza di un’esigenza imprescindibile del disabile, il datore di lavoro non potrà opporsi alla concessione del permesso.

Il consiglio è quello di rivolgere una formale richiesta di usufruire dei permessi al datore di lavoro. È necessario attenersi alle modalità di richiesta prescritte dalla propria azienda.

All’ennesimo rifiuto e specialmente in caso di minaccia di licenziamento sarebbe opportuno rivolgersi ai sindacati e fare una segnalazione all’ispettorato territoriale del lavoro.

Ancora, possibile rivolgersi ad un legale che prenderà contatto con il datore di lavoro per sollecitare la concessione dei permessi.

In caso di esito negativo non resta che ricorrere all’autorità giudiziaria

B. I. chiede
giovedì 16/05/2024
“Buon giorno sono un dipendente del ministero della giustizia sono un ispettore della Polizia Penitenziaria , in famiglia disgraziatamente abbiamo due persone con L 104 art 33 comma 3 , sto usufruendo del periodo di astenzione dei due anni articolo 42 del decreto legislativo n. 151/2001 le ferie di questi periodi le maturo normalmente e mi spettano o li perdo come mi è stato detto in ufficio ? Volevo poi porre un altro quesito fino ad oggi riuscivo a gestire i miei familiari senza creare problemi in ufficio e senza usufruire dei periodi di assenza da un anno circa mi hanno trasferito da reggio calabria a milano nonostante la mia sede dove svolgevo servizio UDEPE sia carente del posto di ispettore che svolgevo ho fatto richiesta di essere trasferito o distaccato allo stesso ufficio e mi hanno risposto picche vedendomi costretto a prendere i periodi di astenzione posso fare riferimento ad altre norme per risolvere il problema grazie”
Consulenza legale i 30/05/2024
Ai sensi del comma 5-quinquies dell’art. 42, D. Lgs. 151/2001, il periodo di congedo non rileva ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto.
Pertanto, è corretto quanto riferito dall’ufficio: le ferie non verranno maturate.

Per quanto riguarda il trasferimento, l’art. 33, comma 5, della L. 104/1992 prevede che: “Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”.

La norma, però, non conferisce in capo al lavoratore un diritto soggettivo pieno ed assoluto al quale corrisponde un obbligo datoriale, ma subordina l’esercizio dello stesso ai soli casi in cui ciò sia effettivamente possibile.
La giurisprudenza ha, infatti, interpretato l’inciso “ove possibile” come un limite derivante dal necessario e corretto bilanciamento dei contrapposti interessi costituzionalmente rilevanti, ovvero da un lato la solidarietà, il diritto alla salute e all’assistenza e dall’altro quello della libera iniziativa ed organizzazione imprenditoriale ex art. 41 Cost.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che: “Il diritto del genitore o del familiare lavoratore, che assiste con continuità un portatore di handicap, di scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il proprio consenso, disciplinato dall’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, non si configura come assoluto ed illimitato, giacché esso – come dimostrato anche dalla presenza dell’inciso “ove possibile” – può essere fatto valere allorquando, alla stregua di un equo bilanciamento tra tutti gli implicati interessi costituzionalmente rilevanti, il suo esercizio non finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive od organizzative del datore di lavoro” (Sent. 27/03/2008, n. 7945).

Il Tribunale di Roma, con una sentenza abbastanza recente, ha stabilito che: “Il diritto attribuito al lavoratore (cfr., art. 33, comma 5, della legge n. 104/1992) che assiste con continuità un familiare affetto da grave disabilità, di scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere, non è incondizionato, com’è reso evidente dall’inciso “ove possibile” contenuto nella citata norma, richiedendosi un equo bilanciamento con altri diritti ed interessi del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 41 Cost. incontrando le esigenze assistenziali il limite di esigenze tecniche, organizzative e produttive, allegate e comprovate da parte datoriale, non solo effettive ma anche non suscettibili di essere diversamente soddisfatte. In particolare, tali esigenze assistenziali non potranno prevalere allorché l’esercizio del diritto di scelta venga a ledere in maniera consistente le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro, in quanto ciò può tradursi in un danno per la collettività” (Sent. 16/02/2022).

Tuttavia, Con l’ordinanza n. 20523 del 27.06.2022, la Cassazione ha affermato che ai fini del diritto al trasferimento del pubblico dipendente - ai sensi dell’art. 33, comma 5, L. 104/1992 - la vacanza del posto è condizione necessaria ma non sufficiente, posto che l'Amministrazione resta libera di decidere se coprire detta vacanza ovvero privilegiare altre soluzioni.

La Cassazione ha rilevato che il diritto di scelta della sede più vicina al domicilio della persona invalida da assistere non è un diritto soggettivo assoluto e illimitato, ma è assoggettato al potere organizzativo dell'Amministrazione che, in base alle proprie esigenze organizzative, può rendere la posizione disponibile tramite un provvedimento di copertura del posto vacante.

La Cassazione ha affermato che “in caso di trasferimento a domanda, l'esigenza familiare è di regola recessiva rispetto a quella di servizio (v. in tal senso v. anche Cass. 14 maggio 2018, n. 11651), essendo, ad esempio, necessario, per scongiurare un danno per la collettività, garantire la copertura e la continuita' del servizio stesso, oltre che la stessa funzionalità della sede a quo, piuttosto che valutare l'impatto sulla sede ad quem; il presupposto della "vacanza" (peculiarità delle organizzazioni pubbliche, in quanto riflesso delle cd. piante organiche) esprime, dunque, una mera potenzialità, che assurge ad attualità soltanto con la decisione organizzativa della P.A. che deve esprimere l'interesse concreto e attuale di procedere alla copertura del posto, rendendo per tal via disponibile la vacanza, pena la compressione delle esigenze organizzative della P.A. (v. sempre Cass. n. 11651/2018, cit.; Cass. 13 agosto 2021, n. 22885); in conclusione, la vacanza del posto è condizione necessaria ma non sufficiente: l'Amministrazione resta libera, infatti, di decidere se coprire una data vacanza ovvero privilegiare altre soluzioni e le sue determinazioni devono sempre rispettare i principi costituzionali d'imparzialità e di buon andamento, dovendo rispondere a finalità ed esigenze che prescindono dall'interesse dell'aspirante e che, invece, vanno commisurate anche all'interesse alla corretta gestione della finanza pubblica”.

Nel caso di specie, da un lato il datore di lavoro avrebbe dovuto avere il consenso del lavoratore prima del trasferimento a Milano o, diversamente, dimostrare le superiori esigenze organizzative che rendevano comunque necessario il trasferimento. Quindi, sarebbe stato possibile impugnare il trasferimento (con esito incerto, potendo comunque l'Amministrazione, addurre esigenze organizzative superiori), ma i termini risultano ormai scaduti.

Per quanto riguarda il diritto di scegliere la sede di lavoro più vicina ed agevole per le proprie necessità di assistenza al parente disabile, esso deve sì passare attraverso la necessaria e comprovata sussistenza di un posto vacante nella sede prescelta, ma può comunque essere subordinato alle esigenze dell’Amministrazione. Pertanto, un eventuale ricorso potrebbe essere comunque respinto, nonostante il posto sia vacante nella sede di destinazione.


C. N. chiede
giovedì 28/03/2024
“Gentile staff
Sono un dirigente medico I livello a tempo indeterminato in servizio da più di venti anni presso il SSN (CCNL Dirigenza Area Sanità). Da circa 15 anni usufruisco dei benefici della legge 104/92 a favore di un mio familiare con disabilità, tra cui i tre giorni mensili di permesso art 33, comma 3 104/92. Dal mese prossimo il mio reparto si verrà a trovare in situazione di carenza di organico di una unità per sopperire la quale il Dirigente ha inoltrato richiesta di 150 ore di lavoro straordinario mensile in convenzione interna in attesa della copertura del posto carente (non semplice straordinario come previsto dal CCNL ma una forma più remunerata). Tale quota è a disposizione dei restanti medici in organico (sette, di cui 5 turnisti) ed, eventualmente, anche di medici di altri reparti o altri ospedali Ciò comporta la possibilità (per non scrivere “necessità”) di usufruire mensilmente di una certa quota di lavoro straordinario. In passato mi sono sempre opposto perché ritengo un paradosso usufruire di tre giorni di permesso fissi al mese e, contemporaneamente, lavorare in modo continuativo (tutti i mesi) anche in regime di lavoro straordinario. Potrebbe configurarsi una truffa ai danni dello stato con rischio di procedimento presso la Corte dei Conti. Sarebbe più logico che io rinunciassi ai tre giorni di permesso. E’ corretta la mia interpretazione? Ci sono eventualmente delle basi giuridiche da documentare e mostrare a corredo per oppormi nuovamente? Nel caso cambia qualcosa se si tratta di turni occasionali non continuativi (tutti i mesi ma solo alcuni mesi non continuativi dell’anno, x es durante il periodo estivo)?”
Consulenza legale i 07/04/2024
Come rilevato anche dall’Aran con l’orientamento applicativo RAL_1594, da un punto di vista generale non risultano disposizioni legislative o contrattuali, che in modo specifico ostino a richiedere prestazioni di lavoro straordinario ad un dipendente che usufruisca dei permessi previsti dalla legge n. 104 del 1992.

Su un diverso piano si pone, invece, la valutazione del datore di lavoro pubblico circa la sussistenza di una effettiva ed inderogabile necessità di richiedere prestazioni di lavoro straordinario a personale che, per esigenze proprie o di assistenza a propri familiari, si avvale nella stessa giornata dei sopradetti permessi della legge n.104 del 1992 e che, quindi, indirettamente rende una prestazione lavorativa ordinaria ridotta, soprattutto nei casi in cui le ore di permesso siano fruite dal personale interessato alla fine dell’orario di lavoro.

Nel caso di fruizione dei tre giorni di permesso, di cui all’art. 33 della legge n.104/1992, sarebbe certo contraddittorio che il lavoratore, in un determinato giorno della settimana, si assenta dal lavoro, fruendo del permesso giornaliero della legge n.104/1992, e, dall’altro, il medesimo lavoratore è chiamato a rendere prestazioni di lavoro straordinario nella stessa giornata.
Essendo il rapporto di lavoro sospeso in quel giorno, il dipendente è esonerato dal suo obbligo di rendere la prestazione lavorativa per tutta la durata del periodo di sospensione e, quindi, per tutto il giorno.

Pertanto, se il lavoratore non rende la sua prestazione ordinariamente prevista, neppure può essere richiesto di prestazioni di lavoro straordinario.

Si deve sempre escludere che il lavoratore possa effettuare prestazioni di lavoro straordinario lo stesso giorno in cui ha preso un permesso 104 (sia ad ore che per la giornata intera).
Negli altri giorni, invece, lo straordinario è sempre possibile per i lavoratori che hanno diritto alla 104 per finalità di assistenza.

Il lavoratore disabile può svolgere lo straordinario solo se tale prolungamento dell’orario di lavoro non è incompatibile con il suo stato di salute. È, dunque, corretto coinvolgere in questa valutazione il medico competente che dovrà verificare se lo svolgimento di lavoro straordinario da parte del disabile è possibile alla luce della sua condizione di salute.

Tuttavia, nel caso di specie, si usufruisce dei permessi ex legge 104 per assistere un'altra persona. Pertanto, non si dovrà procedere neppure a tale valutazione.

Anonimo chiede
mercoledì 14/02/2024
“Buongiorno.
Avendo 2 disabili a casa, già usufruisco di permessi per mia zia, potrei usufruire dei permessi anche per mio padre essendo anche lui invalido?
Abitiamo nella stessa casa e sono l'unica che può assisterli
Grazie

Consulenza legale i 22/02/2024
La questione è disciplinata dall’articolo 6 del Decreto 119/2011 che ha aggiunto uno specifico periodo al comma 3 dell’articolo 33 della Legge 104/1992.
Il periodo recita testualmente: “Il dipendente ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone in situazione di handicap grave, a condizione che si tratti del coniuge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.”

Si possono, quindi, cumulare i permessi solo se i familiari da assistere sono parenti o affini di primo grado (incluso il coniuge).
A determinate condizioni stringenti i permessi possono riguardare parenti o affini di secondo grado ma in questo caso è rilevante l’età del genitore o del coniuge del familiare da assistere, o una loro patologia invalidante, oppure che gli stessi non ci siano.
Non è mai ammessa la cumulabilità nel caso in cui anche uno dei familiari da assistere sia un parente o un affine di terzo grado, nemmeno nel caso in cui il coniuge o il genitore siano deceduti o mancanti o invalidi o ultra65enni.
Pertanto, nel caso di specie, trattandosi del genitore e della zia (parente di terzo grado), non è possibile cumulare i permessi.


F. V. chiede
martedì 26/09/2023
“Buonasera,

sono un Dirigente Scolastico campano immesso in ruolo a settembre 2020 in Toscana.
Ho presentato a giugno, dopo il triennio previsto per la permanenza, domanda di trasferimento con 104 art. 3 comma 1 di mio padre, senza ottenerlo.
Ho da poco ricevuto mio verbale di 104 personale, art. 3 comma 1, con invalidità superiore ai 2/3 (67%).
Mia mamma è invalida ed in attesa di L. 104 (presumibilmente c 3).
Quale è la procedura per chiedere l'avvicinamento in Campania?

Cordiali Saluti”
Consulenza legale i 03/10/2023
La legge 104/1992 all’art. 33, comma 5 prevede il diritto all’avvicinamento al luogo di residenza per il familiare del disabile. In particolare dispone che “Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede".

Peraltro, con l’ordinanza n. 6150 del marzo 2019, la Cassazione ha precisato che il diritto del dipendente di scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere, in quanto in stato di handicap grave ai sensi della L. 104/1992, sussiste non solo nel momento iniziale di instaurazione del rapporto, ma anche in ipotesi di successiva domanda di trasferimento, come nel caso di specie.

Per ottenere la concessione del beneficio, il richiedente deve dimostrare rigorosamente la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi richiesti da individuarsi:
  • nel riconoscimento della A.S.L. dell’handicap in situazioni di gravità del familiare del ricorrente è necessario essere in possesso del certificato di handicap con connotazione di gravità (articolo 3, comma 3 della Legge 104/1992);
  • nell’insussistenza del ricovero a tempo pieno del portatore di handicap presso strutture ospedaliere o simili;
  • nella inesistenza di altri parenti o affini che abbiano usufruito della medesima normativa o che siano comunque in grado di sopperire alle esigenze del portatore di handicap.
Per quanto riguarda il grado di invalidità del familiare, la legge prescrive che lo stesso abbia connotazione di gravità ai sensi dell’art. 3, comma 3 della legge 104/1992. Pertanto, nel caso di specie non sarà possibile richiedere l’avvicinamento a causa della propria invalidità (art. 3, comma 1), ma sarà necessario farlo per l’assistenza del padre e/o della madre invalidi con connotazione di gravità (art. 3, comma 3).

Giova ricordare che, nonostante l’art. 24 della legge 183/2010 abbia eliminato i requisiti della “continuità” e dell’“esclusività” dell’assistenza prima richiesti, secondo l’interpretazione giurisprudenziale consolidata il Giudice è comunque tenuto, anche a seguito della novella legislativa, a valutare con rigore lo specifico caso sottoposto alla sua analisi e ad accertare l’eventuale presenza di altre persone in grado di prestare assistenza, onde salvaguardare due esigenze:
- quella di valutare che il trasferimento sia possibile in relazione alle esigenze organizzative ed operative del datore di lavoro e che dette esigenze non risultino ingiustificatamente pregiudicate in un’ottica di equo bilanciamento degli interessi e della posizione delle parti;
- quella di impedire un uso strumentale e opportunistico della normativa, cosicché il trasferimento possa essere disposto solo laddove sia effettivamente necessario ai fini dell’assistenza del familiare disabile (Cfr. Cons. Stato, sez. III, ordinanza 27 ottobre 2012, n. 4300; T.A.R. Piemonte, Sez. I., 20 marzo 2013, n. 332; T.A.R. Valle d'Aosta, 13 febbraio 2013, n. 7; Consiglio di Stato, 8 aprile 2014, n. 1677; T.A.R. Campania, 24 luglio 2014, n. 4189).

Ed infatti, secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, quando risulta che la persona portatrice di handicap abbia altri familiari in loco, il datore di lavoro può legittimamente respingere l’istanza di trasferimento (Cfr. Cons. Stato, parere n. 3297 del 21 novembre 2013).

In un caso si è, ad esempio, ritenuto che il fatto che la madre dell’istante, affetta da handicap grave, risulti assistita da altri familiari, costituisce circostanza assai rilevante e che deve essere massimamente considerata nella complessiva ponderazione degli interessi contrapposti da comporre (Cfr. Cons. Stato 6 agosto 2014, n. 4200).

È importante sottolineare che la richiesta di trasferimento in base alla normativa suindicata non configura un diritto incondizionato del richiedente: la P.A. può legittimamente respingere l’istanza di trasferimento di un proprio dipendente, presentata ai sensi dell’art. 33, quando le condizioni personali e familiari dello stesso recedono di fronte all’interesse pubblico alla tutela del buon funzionamento degli uffici e del prestigio dell’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. III, 7 marzo 2014, nr. 1073).

Il c.d. "diritto al trasferimento" è quindi rimesso ad una valutazione relativamente discrezionale dell’Amministrazione ed è soggetto ad una duplice condizione: che nella sede di destinazione vi sia un posto vacante e disponibile e che vi sia l’assenso delle Amministrazioni di provenienza e di destinazione; ne discende che, quand’anche il requisito della vacanza e della disponibilità risulti soddisfatto, il beneficio può essere negato in considerazione delle esigenze di servizio della struttura di provenienza o di destinazione (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. III, 8 aprile 2014, nr. 1677; Cass. 5 settembre 2011, n. 18223; Cass. 27 maggio 2003, n. 8436; Cons Stato16 settembre 2013, n. 4569.).

L’art. 33, comma 5, l. n. 104 del 1992, deve essere interpretato sempre in termini costituzionalmente orientati, alla luce dell’art. 3 Cost., comma 2, dell’art. 26 della Carta di Nizza e della Convenzione delle Nazioni del 13.12.2006 sui diritti dei disabili, ratificata con l. n. 18 del 2009, in funzione della tutela della persona disabile.

Queste posizioni giuridiche soggettive di rilievo costituzionale possono essere contemperate esclusivamente con altri valori ed interessi di medesimo rilievo. In altre parole il lavoratore che assiste con continuità un portatore di handicap ha diritto di scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, a meno che, alla stregua di un equo bilanciamento tra tutti gli implicati interessi costituzionalmente rilevanti, il suo esercizio non finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive od organizzative del datore di lavoro e per tradursi – soprattutto nei casi in cui si sia in presenza di rapporto di lavoro pubblico – in un danno per l’interesse della collettiva; ma solo ove tali esigenze siano adeguatamente provate dal datore di lavoro, e non eccepite solo genericamente.

Fatti tale premesse, è possibile presentare un’istanza di trasferimento a cui andrà allegata tutta la documentazione che attesti i presupposti per ottenere il beneficio.

L’amministrazione, al fine di rigettare la richiesta di trasferimento, dovrebbe dimostrare l'assenza di posti vacanti in dotazione organica ovvero l'assenza di specifiche esigenze di assistenza effettive, urgenti e comunque insuscettibili di essere in altro modo soddisfatte da parte del lavoratore del disabile assistito. In caso di mancata risposta ovvero di diniego privo di idonea e dettagliata motivazione, si può procedere con ricorso al tribunale del lavoro.


P. C. chiede
lunedì 10/04/2023
“Si chiede cortesemente Vostro parere in merito alla seguente questione :
Sono un dipendente della funzione pubblica enti locali nel corso degli ultimi mesi ho fruito dei permessi a ore (18) della L.104/92 con handicap in situazione di gravità quindi se l'orario di lavoro 8.00 - 14.00 con flessibilità 7.45 - 8.30 e con ulteriore estensione di trenta minuti in entrata e uscita ( 9.00 - 15.00 ) già autorizzata, la richiesta di permesso in entrata di un'ora L.104/92 va fatta nell'orario di lavoro 8.00 - 14.00 (avviso comunicato dal Dirigente uff.personale) rinunciando al diritto di flessibilità previsto nell'articolo 36 del contratto di lavoro o fruendo della flessibilità (dalle 9.00 alle 10.00)?' Un'altra ipotesi entrando al lavoro fuori dalla fascia di flessibilità si perde il diritto di usufruirne?”
Consulenza legale i 22/04/2023
L’orario di lavoro è funzionale all’orario di servizio e di apertura al pubblico degli uffici. In applicazione dell’art. 36 CCNL Funzioni Locali, è consentita di norma una fascia di flessibilità oraria in entrata ed in uscita, ma solo secondo le indicazioni individuate nei regolamenti di ciascun ente.
Non è, quindi, possibile usufruire della flessibilità al di fuori degli orari stabiliti dal regolamento.
Pertanto, entrando al lavoro al di fuori della fascia di flessibilità non è possibile usufruirne.
L’art. 4 dell’art. 36 CCNL Funzioni locali prevede, inoltre, che “In relazione a particolari situazioni personali, sociali o familiari, sono favoriti nell'utilizzo dell'orario flessibile, anche con forme di flessibilità ulteriori rispetto al regime orario adottato dall’ufficio di appartenenza, compatibilmente con le esigenze di servizio e su loro richiesta, i dipendenti che:
- beneficino delle tutele connesse alla maternità o paternità di cui al D.Lgs. n. 151/2001;
- assistano familiari o siano portatori di handicap ai sensi della L. n. 104/1992;
- siano inseriti in progetti terapeutici di recupero di cui all’art. 44;
- si trovino in situazione di necessità connesse alla frequenza dei propri figli di asili nido, scuole materne e scuole primarie;
- siano impegnati in attività di volontariato in base alle disposizioni di legge vigenti.”
Nel caso di specie, in base alla norma citata, è già stata autorizzata un’ulteriore estensione della fascia di flessibilità.
A parere di chi scrive, la richiesta di permesso ex legge 104 va fatta all’interno dell’orario di lavoro, senza considerare la fascia di flessibilità.
Infatti, la flessibilità è concessa in un determinato orario in considerazione di quelle che sono le esigenze di servizio dell’ente. Non può, quindi, essere estesa ad altre fasce orarie.
Al limite, un’ulteriore estensione della fascia di flessibilità andrebbe autorizzata ai sensi del comma 4 dell’art. 36 del CCNL e potrebbe essere rifiutata in considerazione delle esigenze di servizio.

T. C. chiede
giovedì 26/01/2023 - Puglia
“Sono una docente fuori ruolo in servizio in segreteria con un orario settimanale di 36 ore spalmato su 5 giorni: 7,12.
Riconosciuta persona "in situazione di gravità" disabile con 100% art 33 comma 3 chiede: posso usufruire di due ore di 104 per ogni giorno lavorativo in alternativa ai 3 giorni e alla frazionabilità di questi?
attendo vs risposta, grazie”
Consulenza legale i 02/02/2023
È la stessa Legge 104/92 che, al comma 6° dell'articolo 33, nel richiamare i commi 2 e 3 dello stesso articolo, dispone che le persone maggiorenni portatrici di handicap, in situazioni di gravità, possono usufruire di due ore di permessi giornalieri (comma 2) e tre giorni di permessi mensili (comma 3).

Quini, è possibile, in alternativa ai tre giorni mensili, usufruire delle due ore di permesso giornaliero.

Relativamente al numero delle ore giornaliere fruibili dal lavoratore bisogna riferirsi a quanto disposto dagli istituti previdenziali che hanno, nel tempo, regolamentato la fruizione delle due ore di permesso giornaliero e nel corso degli anni hanno emanato numerose circolari si fa riferimento, in particolare alla informativa INPDAP, 9 dicembre 2002, n. 33 relativa ai permessi per il lavoratore con disabilità, nella quale si legge che: "il numero di ore spettanti, è da rapportare alla durata dell'orario giornaliero di lavoro, nel senso che il permesso è pari a due ore per un orario corrispondente o superiore alle 6 ore, mentre è pari a 1 ora in caso contrario".

Pertanto, indipendentemente dal tipo di contratto, pieno o parziale, è a questo dato che si deve far riferimento per il calcolo delle ore di permesso spettanti. I contratti di lavoro possono infatti prevedere orari di lavoro differenti per il tempo pieno.

Le ore di permesso giornaliere non devono essere rapportate al contratto lavorativo o alle ore mensili o settimanali ma alle effettive ore lavorate giornalmente.

Nel caso di specie, le ore lavorate giornalmente dovrebbero essere più di 6 e quindi non dovrebbero esserci problemi a usufruire delle 2 ore di permesso in alternativa ai tre giorni.

A. S. chiede
lunedì 09/01/2023 - Sicilia
“Buongiorno, sono un dipendente di una università assunto a giugno 2022 e ho superato il periodo di prova. Per esigenze familiari, ho mio padre con disabilità grave e sono il suo accompagnatore secondo la legge 104, vorrei chiedere un avvicinamento al luogo di residenza ove egli continua a vivere.
La mia sede di lavoro è in Toscana e mio padre abita in Sicilia.
E' possibile poterlo chiedere prima del vincolo dei cinque anni secondo la legge 104? Qual è la procedura da attuare?

L'ente di destinazione deve essere necessariamente un'università o può essere anche un altro tipo di ente?
Vorrei anche chiedere cosa potrei fare in caso di diniego.”
Consulenza legale i 15/01/2023
L’art. 35 comma 5bis, D. Lgs. 165/2001 prevede che “i vincitori dei concorsi devono permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni. La presente disposizione costituisce norma non derogabile dai contratti collettivi”.

La legge 104/1992 - che all’art. 33, comma 5 prevede il diritto all’avvicinamento al luogo di residenza per il familiare del disabile - è una norma speciale. Pertanto, essa è idonea a derogare al limite dei 5 anni di permanenza nella prima sede di assegnazione.

In particolare, l’art. 33, comma 3, l. 104/92 dispone che: "A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa …".
Il successivo comma 5, dispone che "Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede".

Peraltro, con l’ordinanza n. 6150 del marzo 2019, la Cassazione ha precisato che il diritto del dipendente di scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere, in quanto in stato di handicap grave ai sensi della L. 104/1992, sussiste non solo nel momento iniziale di instaurazione del rapporto, ma anche in ipotesi di successiva domanda di trasferimento, come nel caso di specie.

Per ottenere la concessione del beneficio, il richiedente deve dimostrare rigorosamente la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi richiesti da individuarsi:
- nel riconoscimento della A.S.L. dell’handicap in situazioni di gravità del familiare del ricorrente è necessario essere in possesso del certificato di handicap con connotazione di gravità (articolo 3, comma 3 della Legge 104/1992);
- nell’insussistenza del ricovero a tempo pieno del portatore di handicap presso strutture ospedaliere o simili;
- nella inesistenza di altri parenti o affini che abbiano usufruito della medesima normativa o che siano comunque in grado di sopperire alle esigenze del portatore di handicap.

Per quanto riguarda il grado di invalidità del familiare, la legge prescrive che lo stesso abbia connotazione di gravità ai sensi dell’art. 3, comma 3 della legge 104/1992.

Giova ricordare che, nonostante l’art. 24 della legge 183/2010 abbia eliminato i requisiti della “continuità” e dell’“esclusività” dell’assistenza prima richiesti, secondo l’interpretazione giurisprudenziale consolidata il Giudice è comunque tenuto, anche a seguito della novella legislativa, a valutare con rigore lo specifico caso sottoposto alla sua analisi e ad accertare l’eventuale presenza di altre persone in grado di prestare assistenza, onde salvaguardare due esigenze:
- quella di valutare che il trasferimento sia possibile in relazione alle esigenze organizzative ed operative del datore di lavoro e che dette esigenze non risultino ingiustificatamente pregiudicate in un’ottica di equo bilanciamento degli interessi e della posizione delle parti;
- quella di impedire un uso strumentale e opportunistico della normativa, cosicché il trasferimento possa essere disposto solo laddove sia effettivamente necessario ai fini dell’assistenza del familiare disabile (Cfr. Cons. Stato, sez. III, ordinanza 27 ottobre 2012, n. 4300; T.A.R. Piemonte, Sez. I., 20 marzo 2013, n. 332; T.A.R. Valle d'Aosta, 13 febbraio 2013, n. 7; Consiglio di Stato, 8 aprile 2014, n. 1677; T.A.R. Campania, 24 luglio 2014, n. 4189).

Ed infatti, secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, quando risulta che la persona portatrice di handicap abbia altri familiari in loco, il datore di lavoro può legittimamente respingere l’istanza di trasferimento (Cfr. Cons. Stato, parere n. 3297 del 21 novembre 2013).

In un caso si è, ad esempio, ritenuto che il fatto che la madre dell’istante, affetta da handicap grave, risulti assistita da altri familiari, costituisce circostanza assai rilevante e che deve essere massimamente considerata nella complessiva ponderazione degli interessi contrapposti da comporre (Cfr. Cons. Stato 6 agosto 2014, n. 4200).

È importante sottolineare che la richiesta di trasferimento in base alla normativa suindicata non configura un diritto incondizionato del richiedente: la P.A. può legittimamente respingere l’istanza di trasferimento di un proprio dipendente, presentata ai sensi dell’art. 33, quando le condizioni personali e familiari dello stesso recedono di fronte all’interesse pubblico alla tutela del buon funzionamento degli uffici e del prestigio dell’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. III, 7 marzo 2014, nr. 1073).

Il c.d. "diritto al trasferimento" è quindi rimesso ad una valutazione relativamente discrezionale dell’Amministrazione ed è soggetto ad una duplice condizione: che nella sede di destinazione vi sia un posto vacante e disponibile e che vi sia l’assenso delle Amministrazioni di provenienza e di destinazione; ne discende che, quand’anche il requisito della vacanza e della disponibilità risulti soddisfatto, il beneficio può essere negato in considerazione delle esigenze di servizio della struttura di provenienza o di destinazione (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. III, 8 aprile 2014, nr. 1677; Cass. 5 settembre 2011, n. 18223; Cass. 27 maggio 2003, n. 8436; Cons Stato16 settembre 2013, n. 4569.).

L’art. 33, comma 5, l. n. 104 del 1992, deve essere interpretato sempre in termini costituzionalmente orientati, alla luce dell’art. 3 Cost., comma 2, dell’art. 26 della Carta di Nizza e della Convenzione delle Nazioni del 13.12.2006 sui diritti dei disabili, ratificata con l. n. 18 del 2009, in funzione della tutela della persona disabile.

Queste posizioni giuridiche soggettive di rilievo costituzionale possono essere contemperate esclusivamente con altri valori ed interessi di medesimo rilievo. In altre parole il lavoratore che assiste con continuità un portatore di handicap ha diritto di scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, a meno che, alla stregua di un equo bilanciamento tra tutti gli implicati interessi costituzionalmente rilevanti, il suo esercizio non finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive od organizzative del datore di lavoro e per tradursi – soprattutto nei casi in cui si sia in presenza di rapporto di lavoro pubblico – in un danno per l’interesse della collettiva; ma solo ove tali esigenze siano adeguatamente provate dal datore di lavoro, e non eccepite solo genericamente.

Fatti tale premesse, è possibile presentare un’istanza di trasferimento a cui andrà allegata tutta la documentazione che attesti i presupposti per ottenere il beneficio. Tale richiesta dovrà essere presentata innazitutto all’Università presso cui si presta servizio e, una volta ottenuto il nulla osta, all’ente presso cui si è individuato un posto vacante, che può essere anche diverso dall'Università.

Eventualmente, il trasferimento potrebbe essere attuato anche con la modalità di scambio di dipendenti. Esso può avvenire solo tra dipendenti appartenenti alla stessa categoria o categoria equiparabile.

L’Università o altro ente, al fine di rigettare la richiesta di trasferimento, dovrebbe dimostrare l'assenza di posti vacanti in dotazione organica ovvero l'assenza di specifiche esigenze di assistenza effettive, urgenti e comunque insuscettibili di essere in altro modo soddisfatte da parte del lavoratore del disabile assistito. In caso di mancata risposta ovvero di diniego privo di idonea e dettagliata motivazione, si può procedere con ricorso al tribunale del lavoro.


Anonimo chiede
domenica 30/01/2022 - Puglia
“Mio figlio nato il 01/96 all'età di 15 anni con verbale del 30/05/2011 viene riconosciuto portatore di handicap in situazione di gravità art. 33 senza revisione e indennità di frequenza la quale alla scadenza del 18 anno maggiore età viene riconosciuto 80 percento.
Mi chiedo la 104 è sempre valida?
Avrei dovuto a suo tempo fare qualcosa? Sono dipendente P.A. ho utilizzato fino ad ora i 3 giorni mensili e alcuni giorni dei 2 anni di astensione senza mai avere problemi.
Dopo 18 anni non ho presentato la richiesta degli assegni familiari, il mio sindacalista mi diceva che non spettano perché non ha il 100 percento di invalidità. Mi aspettavano? E adesso con l'assegno unico? Il sindacato mi dice che presentando il verbale di 104 l'Inps mi può rispondere che il verbale è vecchio e disporre una revisione?
In futuro mi conviene fare aggravamento di invalidità?
Anticipatamente ringrazio”
Consulenza legale i 09/02/2022
Le visite di revisione sono finalizzate ad accertare la permanenza dei requisiti sanitari per continuare a fruire dei benefici concessi.
I procedimenti di revisione possono essere disposti quando la persona riconosciuta invalida sia in età evolutiva o quando vi sia una diagnosi provvisoria, cioè quando la commissione medica abbia ritenuto che la patologia o menomazione riscontrata in sede di accertamento sanitario sia suscettibile di modificazione nel tempo (fatte salve le patologie progressive); in questi casi viene indicata la data di scadenza sul verbale.

Con D.M. 2 agosto 2007, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero della Salute hanno individuato le patologie e le menomazioni escluse dagli accertamenti di controllo e revisione da parte della commissione medica Inps.
Le persone a cui viene accertata una di queste patologie non dovranno essere convocate per le visite Inps di revisione. Una volta riconosciuta la relativa percentuale di invalidità, questa resterà loro in modo permanente.
Se ciò non accade e si viene convocati comunque per la revisione i soggetti che rientrano nell’elenco approvato dal Ministero possono opporsi, appellandosi al decreto, producendo eventuale documentazione sanitaria utile.
Pertanto, nel caso di specie, se sul verbale non è stata indicata alcuna revisione, quest’ultima non potrà essere richiesta dall’INPS.

Quanto agli assegni familiari, essi spettavano ai lavoratori con figli ed equiparati maggiorenni con inabilità assoluta e permanente a proficuo lavoro. Pertanto, è corretto quanto riferito circa la non spettanza nel caso di specie.

La riforma dei sostegni alla famiglia contenuta nel D.Lgs n. 230/2021 prevede per ciascun figlio con disabilità una maggiorazione (in misura non inferiore al 30% e non superiore al 50%) dell’assegno unico rispetto agli importi riconosciuti ai figli minorenni e maggiorenni sino a 21 anni, graduata secondo le classificazioni della condizione di disabilità (media, grave o non autosufficiente). Inoltre, introduce un assegno mensile per i figli maggiorenni (senza maggiorazione) da corrispondere anche dopo il compimento del ventunesimo anno di età a condizione che il figlio risulti ancora a carico fiscalmente.

Si ricorda che, in base all'articolo 12, comma 2, del Tuir, sono fiscalmente a carico i figli che abbiano un reddito non superiore a 4.000 euro, ovvero a 2.840,51 euro nel caso di figli di età superiore a ventiquattro anni (per il computo di tali limiti si considera il reddito al lordo degli oneri deducibili).

Se, come nel caso di specie, il figlio ha un’età pari o superiore a 21 anni (e fiscalmente a carico) l’assegno unico spetta nella misura compresa tra 85 euro mensili (con ISEE pari o inferiore a 15.000 euro) e 25 euro mensili (con ISEE pari o superiori a 40.000 euro). Il valore è proporzionato ai livelli dell’ISEE e non gode di ulteriori maggiorazioni.

Per i figli maggiorenni non c’è alcuna distinzione di grado di disabilità, pertanto, a questi fini la richiesta di aggravamento della disabilità sarebbe inutile.

Stefano L. chiede
martedì 23/03/2021 - Lombardia
“IL DATORE DI LAVORO PUBBLICO (AZIENDA OSPEDALIERA), NEGA LA FRAZIONABILITA' AD ORE DEI PERMESSI PER ASSISTENZA E CURA - EX ART. 33, COMMA 3, DI UN PARENTE DISABILE. IL DIFENSORE REGIONALE DELLA LOMBARDIA E' INTERVENUTO PER SOSTENERE LA CAUSA DEL LAVORATORE, MA L'AZIENDA E' IRREMOVIBILE. CHE AZIONE SI PUO' INTRAPRENDERE CONTRO QUESTO ABUSO ?
E' POSSIBILE UNA DENUNCIA PENALE ?
GRAZIE.

Consulenza legale i 30/03/2021
L’art. 33, comma 6, della l. n. 104 del 1992 prevede che i portatori di handicap grave possono fruire alternativamente dei permessi di cui al comma 2 o di quelli di cui al comma 3 del medesimo articolo. Il comma 2 dell’articolo prevede per questi soggetti la possibilità di fruire di permessi orari giornalieri per due ore al giorno senza indicazione di un contingente massimo. Il comma 3 stabilisce invece la possibilità di fruire di permessi giornalieri per tre giorni al mese. Le due modalità di fruizione sono alternative (comma 6 dell’art. 33) e pertanto, in base alla norma, non possono essere fruiti cumulativamente i permessi giornalieri e i permessi orari di cui ai commi 2 e 3 nel corso dello stesso mese.

Tali permessi sono istituiti dalla legge, con previsione generale per il settore pubblico e per quello privato.

I tre giorni di permesso legge 104/92, fruibili sia dal lavoratore disabile per se stesso, che dal familiare che presta assistenza, possono essere fruiti anche in modo frazionato. La frazionabilità, però, non è prevista per Legge e quindi non è valevole per tutti i lavoratori.

Per quanto riguarda il pubblico impiego, si rimanda alle previsioni dei contratti collettivi di categoria che, qualora la contemplino, devono anche regolamentarla.

Alcuni contratti collettivi del settore pubblico (ad es. comparto ministeri, CCNL del 16 maggio 2001, art. 9; comparto regioni ee.ll., CCNL 6 luglio 1995, art. 19; comparto agenzie fiscali, CCNL 28 maggio 2004, art. 46; comparto Presidenza Consiglio ministri, CCNL 17 maggio 2004, art. 44) prevedono la possibilità di fruire in maniera frazionata ad ore le tre giornate intere di permesso (di cui al comma 3 dell’art. 33), fissando allo scopo un contingente massimo (18 ore). In tali casi è data facoltà al dipendente di scegliere se fruire di una o più giornate intere di permesso oppure di frazionarle a seconda delle esigenze.

Considerato che i tre giorni di permesso sono accordati direttamente dalla legge senza indicazione di un monte ore massimo fruibile, la limitazione a 18 ore contenuta nei CCNL vale solo nel caso di fruizione frazionata. Naturalmente, la modalità di fruizione dei permessi mensili deve essere programmata in anticipo al fine di consentire al servizio del personale il calcolo dei giorni o delle ore spettanti e accordabili.

Queste previsioni non incidono sulla possibilità alternativa per il dipendente di fruire delle due ore di permesso al giorno, che, come detto, sono accordate direttamente dalla legge e quindi restano salve.

In definitiva, se i CCNL di comparto prevedono la possibilità di frazionamento ad ore dei permessi di cui all’art. 33, comma 3, fissando il tetto delle 18 ore, i portatori di handicap grave nel corso del mese possono fruire alternativamente di: - due ore di permesso al giorno per ciascun giorno lavorativo del mese (comma 2 dell’art. 33); - tre giorni interi di permesso a prescindere dall’orario della giornata (comma 3 dell’art. 33) ovvero 18 ore mensili, da ripartire nelle giornate lavorative secondo le esigenze, cioè con articolazione anche diversa rispetto a quella delle due ore giornaliere (secondo le previsioni dei CCNL che stabiliscono la frazionabilità ad ore dei permessi di tre giorni).

Nel caso di specie, purtroppo, in base all’art. 38 del CCNL del Comparto sanità i tre giorni di permesso mensile retribuito non sono frazionabili ad ore.

Tale interpretazione è stata confermata anche da un orientamento applicativo dell’ARAN del 27 novembre 2018.

Considerato quanto sopra, un’eventuale causa andrebbe radicata avanti al giudice del lavoro. Tuttavia, come visto, avrebbe scarse possibilità di successo.

Per quanto riguarda la possibilità di un’azione penale, fermo restando le considerazioni di cui sopra circa le minime possibilità di successo, si potrebbe al più configurare un abuso d’ufficio (Cass. Pen. Sez. VI, N° 36957/05).


Luigi S. chiede
domenica 22/11/2020 - Lombardia
“Buonasera, ho chiesto e ottenuto dal mio datore di lavoro, un anno fa, di usufruire dei permessi ex legge 104/92, art 33, in quanto mia mamma soffre di una grave disabilità. Preciso che abito a 20 km da lei e ad assisterla per i suoi bisogni materiali c'è una badante, a tempo pieno e che riposa da lei la notte.
Posto che il mio datore non mi ha mai fatto problemi a concedermi i permessi, quando io li ho richiesti, nel silenzio della legge che, giustamente non può disciplinare tutti i casi pratici, la domanda che vi vorrei sottoporre è la seguente:
Posso usufruire dei permessi solo per fare riposare la badante, quindi poche ore al giorno, durante lo stacco del fine settimana e comunque quando questa è assente o, seguendo una concezione di assistenza un po' più ampia, posso usufruirne anche in altri momenti, come ad esempio per accompagnarla ad una visita medica o per prenotare una visita medica? Oppure, posso usare i permessi per eseguire commissioni che la riguardano, quale farle la spesa, andare in posta o comunque tutte quelle commissioni inerenti la cura dei suoi interessi e della sua persona?
Vi ringrazio, buona serata.”
Consulenza legale i 26/11/2020
I permessi ex Legge 104/1992 sono concessi per tutte le finalità legate alla cura ed all’assistenza del familiare disabile.

Pertanto, è legittimo usufruire dei permessi ex legge 104 per accompagnare il familiare ad una visita e/o per prenotare una visita medica. Allo stesso modo è lecito usufruire dei predetti permessi per recarsi a fare la spesa per il familiare disabile.

Il Ministero del Lavoro, nell’Interpello n. 30/2010 ha affermato che “l’assistenza si può sostanziare in attività collaterali ed ausiliarie rispetto al concreto svolgimento dell’attività lavorativa da parte del disabile, quali l’accompagnamento da e verso il luogo di lavoro, ovvero attività di assistenza che non necessariamente richiede la presenza del disabile, ma che risulta di supporto per il medesimo (ad esempio prenotazione e ritiro di esami clinici)”.

Per quanto riguarda la spesa, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 23891/2018, ha respinto il ricorso di un azienda che si era opposta ad una sentenza sia di primo grado che d’appello. L’azienda aveva licenziato il lavoratore, che durante le ore di permesso della Legge 104 era andato a fare la spesa per la madre e per la sorella, entrambe disabili, ed altre commissioni, ma i primi gradi di giudizio si erano opposti al licenziamento. Il tribunale ha ritenuto non ammissibile il ricorso perché l’attività svolta era nell’interesse del disabile e non richiedeva la presenza fisica accanto al parente assistito.

La Corte ha però voluto sottolineare che “il comportamento del lavoratore subordinato che si avvalga dei permessi di cui all’art. 33, L. n. 104 del 1992 non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività, integra l’ipotesi di abuso di diritto, giacché tale condotta si palesa nei confronti del datore di lavoro come lesiva della buona fede, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendete ed integra, nei confronti dell’Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale”.

Pertanto, si potrà fare la spesa durante le ore di permesso ex legge 104, ma solo se si tratta della spesa dell’assistita.


Nicola C. chiede
mercoledì 03/06/2020 - Calabria
“Salve,
Mia madre ha ottenuto il riconoscimento dell’art. 33 della L. 104/92, ed io risulto il parente piu’ prossimo che se ne prende cura .
Ho dunque chiesto ed ottenuto, da impiegato statale, di poter usufruire dei permessi mensili per assistenza al congiunto.
L’amministrazione ove lavoro, per concedermi i benefici dei permessi mensili e del congedo straordinario previsti dalla L. 104, mi ha richiesto una dichiarazione attestante che “mia madre non era ricoverata a tempo pieno in struttura pubblica o privata”.
Cosi’ ho fatto dato che mia madre stava a a casa con l’aiuto di una badante.
Con il Coronavirus però, ho dovuto spostare mia madre in una struttura che, da regolamento proprio, risulta casa di riposo, pur dotata di un medico che una volta a settimana visita gli anziani e che consente di fornire loro tramite personale infermieristico specializzato qualche modesta assistenza sanitaria (infermeria, fisioterapia, somministrazioni colliri, e farmaci di poca valenza).
Dovendo rifare la dichiarazione che “mia madre non e’ attualmente ricoverata a tempo pieno in struttura pubblica o privata”, prima di inoltrarla, ho preso visione di alcune circolari INPS e di una sentenza della Cassazione ove risulta che i permessi del lavoratore dipendente che assiste il congiunto sono negati se la struttura ove l’anziano viene ricoverato e’ una struttura che offre “prestazioni sanitarie in via continuativa” .

Si chiede di sapere :
1) Come si configura per giurisprudenza e per norma, la fattispecie delle “prestazioni sanitarie in via continuativa” ? si tratta di prestazioni che possono essere svolte solo presso le Residenze Sanitarie Assistite (R.S.A.) a cio’ abilitate per definizione e per norma, o la semplice somministrazione di farmaci di lieve entita’ in semplice casa di riposo configura la prestazione sanitaria che toglie il diritto al godimento dei permessi /congedo?
2) Questa nuova posizione di mia madre incide anche sul diritto, garantito dalla L. 104/92, godibile dal lavoratore dipendente ad essere avvicinato il piu’ possibile nella sede di lavoro piu’ vicina alla residenza del congiunto assistito ? o tale diritto e’ indipendente dalla situazione di ricovero o meno di mia madre; risultando del tutto indipendente ed autonomo dalla questione dei permessi/congedo straordinario?
3) Se la limitazione al beneficio dei permessi/congedo derivante dalla fattispecie della “prestazione sanitaria in via continuativa” e’ superabile con la prevista possibilita’ di esibire una documentata relazione sanitaria valutata e rilasciata da parte dei sanitari dell’ipotetica R.S.A. ed attestante “un particolare bisogno di assistenza” al congiunto motivato da specifiche condizioni di salute (circolare n. 155 del 3 dicembre 2010, p.3).”

Grazie”
Consulenza legale i 15/06/2020
L’art. 33, legge 104/92, consente alle persone affette da disabilità grave, a determinate condizioni, di assentarsi dal lavoro fruendo permessi di lavoro retribuiti e di usufruire di ulteriori agevolazioni. Per estensione possono usufruire dei permessi anche i lavoratori che assistono un familiare disabile, come ad esempio un genitore anziano non autosufficiente.
I lavoratori che devono accudire un familiare non autosufficiente, entro il terzo grado di parentela, hanno diritto a tre giorni di permesso lavorativo retribuito al mese, che possono essere usati anche frazionati in ore, purché non si superi il triplo delle ore lavorative giornaliere.

Il presupposto per la concessione dei benefici è che la persona in situazione di disabilità grave non sia ricoverata a tempo pieno.
Per ricovero a tempo pieno si intende quello, per le intere ventiquattro ore, presso strutture ospedaliere o simili, pubbliche o private, che assicurano assistenza sanitaria continuativa.
Le ipotesi che fanno eccezione a tale presupposto sono:
  • interruzione del ricovero a tempo pieno per necessità del disabile in situazione di gravità di recarsi al di fuori della struttura che lo ospita per effettuare visite e terapie appositamente certificate (ipotesi prevista dal messaggio n.14480 del 28 maggio 2010);
  • ricovero a tempo pieno di un disabile in situazione di gravità in stato vegetativo persistente e/o con prognosi infausta a breve termine;
  • ricovero a tempo pieno di un minore con disabilità in situazione di gravità per il quale risulti documentato dai sanitari della struttura ospedaliera il bisogno di assistenza da parte di un genitore o di un familiare, ipotesi già prevista per i bambini fino a tre anni di età (circolare n. 90 del 23 maggio 2007, p. 7).
Con riferimento all’ultimo punto, l’INPS, con la circolare citata, ha specificato, sulla scorta della giurisprudenza della Cassazione, che faccia eccezione solo il caso rappresentato dal ricovero a tempo pieno, finalizzato ad un intervento chirurgico oppure a scopo riabilitativo, di un bambino di età inferiore ai tre anni con disabilità in situazione di gravità, per il quale risulti documentato dai sanitari della struttura ospedaliera il bisogno di assistenza da parte di un genitore o di un familiare (parente o affine entro il 3° grado) nonché, su valutazione del dirigente responsabile del Centro medico legale della Sede INPS, quello della persona con disabilità in situazione di gravità in coma vigile e/o in situazione terminale, contesti questi assimilabili al piccolo minore.
Pertanto, nel caso di specie, la limitazione al beneficio dei permessi derivante dalla fattispecie della “prestazione sanitaria in via continuativa” sarà superabile solo in caso di persona con disabilità in situazione di gravità in coma vigile e/o in situazione terminale, su valutazione del dirigente responsabile del Centro medico legale della Sede INPS.

Per quanto riguarda la definizione di assistenza sanitaria continuativa, in assenza di una disposizione normativa ad hoc, sarà necessario analizzare lo scopo della norma e la giurisprudenza formatasi sull’argomento.
La ratio legis dell'istituto in esame consiste nel favorire l'assistenza alla persona affetta da handicap grave in ambito familiare rendendo incompatibile con la fruizione del diritto all'assistenza da parte dell'handicappato solo una situazione nella quale il livello di assistenza sia garantito in un ambiente ospedaliero o del tutto similare. Solo strutture di tal genere, infatti, possono farsi integralmente carico sul piano terapeutico ed assistenziale delle esigenze del disabile, con ciò rendendo non indispensabile l'intervento, a detti fini, dei familiari. L'interesse primario cui è preposta la norma in questione è, infatti, quello di "assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell'assistenza del disabile che si realizzino in ambito familiare, indipendentemente dall'età e dalla condizione di figlio dell'assistito" (v. Coste cost. sentenze n. 19/2009 e n. 158/2007). Tanto più che i soggetti tutelati sono portatori di handicap in situazione di gravità, affetti cioè da una compromissione delle capacità fisiche, psichiche e sensoriali tale da "rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione", secondo quanto letteralmente previsto dall'art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992.
Se, invece, la struttura presso la quale è ricoverato il disabile non sia in grado di assicurare prestazioni sanitarie che possono essere rese esclusivamente al di fuori di essa, si interrompe la condizione del ricovero a tempo pieno in coerenza con la ratio dell'istituto dei permessi che è quella di consentire l'assistenza della persona invalida che non sia altrimenti garantita o per i periodi in cui questa non lo sia. Solo tale esigenza giustifica il sacrificio imposto al datore di lavoro, in adempimento ad obblighi ispirati al dovere costituzionale di solidarietà.
Sulla base della motivazione di cui sopra, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21416/2019, ha affermato che “il lavoratore può usufruire dei permessi per prestare assistenza al familiare ricoverato presso strutture residenziali di tipo sociale, quali case-famiglia, comunità-alloggio o case di riposo perché queste non forniscono assistenza sanitaria continuativa mentre non può usufruire dei permessi in caso di ricovero del familiare da assistere presso strutture ospedaliere o comunque strutture pubbliche o private che assicurano assistenza sanitaria continuativa”. Tale interpretazione è stata fatta propria da diverse sentenze anche penali in materia di falso riguardante l’attestazione dell’attestazione del mancato ricovero ex art. 33 della l. n. 104/1992 (v. Cass. 21 febbraio 2013, n. 8435; Tribunale di Torino, decreto 23/8/2017).
Ciò detto, per evitare eventuali contestazioni da parte del datore di lavoro circa una falsa dichiarazione con riferimento alla compilazione da parte del dipendente della dichiarazione avente ad oggetto i requisiti per fruire dei benefici ex art. 33, si consiglia di specificare il ricovero della madre presso una casa di riposo, che non è in grado di garantire un'assistenza sanitaria continuativa al portatore di handicap grave.

L’art. 33, comma 5, L. 104/1992, prevede che il lavoratore dipendente che assiste il disabile in condizione di gravità ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.
Tale norma richiama esplicitamente il comma 3, nel quale è specificato il requisito dell’assenza del ricovero presso una struttura che offra assistenza sanitaria in via continuativa, necessario per la fruizione dei permessi giornalieri.
Pertanto, anche per fruire di questo ulteriore beneficio sarà necessario possedere i medesimi requisiti previsti per la fruizione dei permessi.


A. S. chiede
sabato 22/06/2024
“Volevo chiedere una cosa in merito al diritto di poter fare la cargiver del mio ex marito perché in quanto divorziati, ma ancora conviventi, il patronato a cui mi sono rivolta per fare la 104 del mio ex marito mi ha detto che non posso avere nessun tipo di congedo straordinario, ne i tre giorni di permesso al mese per poterlo portare a fare visite. Premetto che sono l'unica persona che posso dargli assistenza e mi mancano ancora tre anni per andare in pensione, chiedo se possibile un chiarimento in merito a ciò che vi ho scritto. Attendo una vs. risposta e porgo cordiali saluti.”
Consulenza legale i 26/06/2024
Con il divorzio e quindi la fine definitiva del vincolo matrimoniale, non solo il coniuge, ma anche gli affini perdono il diritto ai permessi di cui all’art. 33, comma 3, Legge 104/1992 e al congedo straordinario di cui all’art. 42, comma 5, D. Lgs. 151/2001. I permessi rimangono validi solo per i parenti della persona con disabilità grave.

Tuttavia, sia ai sensi dell’art. 33, comma 3, cit., sia ai sensi dell’art. 42, comma 5, cit., al coniuge convivente è equiparato il convivente di fatto di cui all’art. 1, comma 36, della legge 20 maggio 2016, n. 76. È stata, quindi, aperta la possibilità di fruire dei permessi e del congedo straordinario ex legge 104 anche ai conviventi di fatto.

Pertanto, due coniugi divorziati che continuino a convivere potrebbero, in linea teorica, ottenere i permessi e il congedo legge 104.

La legge stabilisce chiaramente quali requisiti sono necessari per essere considerati conviventi di fatto:
  1. essere maggiorenni;
  2. convivere stabilmente con iscrizione anagrafica comune;
  3. avere un legame affettivo stabile;
  4. prestarsi reciproca assistenza sia materiale che morale;
  5. non essere coniugati né uniti civilmente tra di loro o con altre persone;
  6. Non essere parenti né affini o adottati tra di loro.
Soddisfatti tali requisiti, sempre in linea teorica, due ex coniugi che convivono potrebbero fruire del congedo legge 104.

Tuttavia, non vi è ancora un’interpretazione sul punto da parte dell’INPS e, quindi, non si può avere la certezza di ottenere il beneficio.

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