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Articolo 43 Legge fallimentare

(R.D. 16 marzo 1942, n. 267)

[Aggiornato al 01/01/2023]

Rapporti processuali

Dispositivo dell'art. 43 Legge fallimentare

Nelle controversie (1), anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore (2) [42].

Il fallito può intervenire nel giudizio solo per le questioni dalle quali può dipendere un'imputazione di bancarotta (3) a suo carico [216, 217, 217 bis, 223, 224] se l'intervento è previsto dalla legge.

L'apertura del fallimento determina l'interruzione del processo (4).

Le controversie in cui è parte un fallimento sono trattate con priorità. Il capo dell’ufficio trasmette annualmente al presidente della corte di appello i dati relativi al numero di procedimenti in cui è parte un fallimento e alla loro durata, nonché le disposizioni adottate per la finalità di cui al periodo precedente. Il presidente della corte di appello ne dà atto nella relazione sull’amministrazione della giustizia.

Note

(1) Si tratta delle controversie:
- relative alla custodia e all'amministrazione dei beni del fallito;
- riguardanti l'acquisizione dei beni sopravvenuti nel patrimonio fallimentare;
- concernenti rapporti preesistenti del fallito con altri soggetti (es. una causa di risarcimento danni).
(2) Il curatore assume, quindi, la legittimazione processuale attiva e passiva, in conseguenza diretta del fatto che egli diviene l'amministratore del patrimonio del fallito.
(3) La norma parla solo di bancarotta, così escludendo gli altri reati che possono essere commessi dal fallito.
(4) Comma aggiunto dal d.lgs. 5/2006.
L'interruzione del processo è stata prevista come automatica, per evitare le lungaggini della dichiarazione in udienza o della notifica ex art. 300 del c.p.c.: in tal modo risulta impossibile che il processo arrivi a sentenza e si formi un titolo a favore o contro un soggetto che di fatto non esiste più.

Ratio Legis

La norma stabilisce che al curatore spetti la legittimazione processuale in relazione ai rapporti patrimoniali del fallito.

Massime relative all'art. 43 Legge fallimentare

Cass. civ. n. 11854/2015

La pubblica funzione svolta dal curatore fallimentare nell'ambito dell'amministrazione della giustizia esclude che possa configurarsi un contrasto di interessi tra lo stesso ed il fallito, sicchè quest'ultimo, una volta tornato "in bonis", potrà solo sostituirsi al primo nel giudizio da lui intrapreso, nel punto e nello stato in cui esso si trova, accettandolo come tale e senza poter invalidare quanto sia stato legittimamente compiuto dal curatore medesimo allorquando questi lo rappresentava.

Cass. civ. n. 2608/2014

La perdita della capacità processuale del fallito nel periodo compreso tra la dichiarazione di fallimento e la chiusura della procedura non è assoluta, ma relativa, con la conseguenza che il creditore può convenire in giudizio il fallito personalmente, per chiedere nei suoi confronti la condanna al pagamento di un credito estraneo alla procedura fallimentare, da far valere subordinatamente al ritorno «in bonis» del convenuto.

Cass. civ. n. 4448/2012

In tema di cosiddetta eccezionale legittimazione processuale suppletiva del fallito relativamente a rapporti patrimoniali compresi nel fallimento per il caso di disinteresse od inerzia degli organi fallimentari, la negativa valutazione di questi ultimi circa la convenienza della controversia è sufficiente ad escludere detta legittimazione, allorquando venga espressa con riguardo ad una controversia della quale il fallimento sia stato parte, poiché, in tal caso, è inconcepibile una sovrapposizione di ruoli fra fallimento e fallito, mentre non lo è allorquando si tratti di una controversia alla quale il fallimento sia rimasto del tutto estraneo, ed in particolare quando alla negativa valutazione si accompagni l'espresso riconoscimento della facoltà del fallito di provvedere in proprio e con suo onere. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha dichiarato infondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dalle fallite in proprio, a tanto facoltizzate dal giudice delegato, avverso sentenza di cui era parte la curatela del fallimento, la quale aveva deciso di non proporre impugnazione e di prestare acquiescenza alla pronuncia).

Cass. civ. n. 22277/2011

L'accertamento fiscale avente ad oggetto obbligazioni tributarie i cui presupposti siano maturati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente ovvero nel periodo d'imposta in cui tale dichiarazione è intervenuta, ove sia stato notificato soltanto al fallito, e non anche al curatore del fallimento, conserva la sua validità, ma è inefficace nell'ambito della procedura fallimentare, né può la mancanza di legittimazione del fallito essere rilevata di ufficio; tale accertamento, tuttavia, conserva la sua validità ed infatti, qualora il fallito, tornato "in bonis", abbia ricevuto la notifica di un avviso di liquidazione dell'imposta, può contestare l'accertamento impugnandolo assieme all'avviso di liquidazione, in ragione del fatto che il primo avviso, non essendo stato notificato al curatore, ossia a colui che era dotato della legittimazione ad impugnarlo in pendenza della procedura concorsuale, consente l'azione giudiziale a colui che ha riacquistato la capacità d'impugnarlo.

Cass. civ. n. 5571/2011

La perdita della capacità processuale del fallito, conseguente alla dichiarazione di fallimento, relativamente ai rapporti di pertinenza fallimentare, essendo posta a tutela della massa dei creditori, ha carattere relativo e può essere eccepita dal solo curatore, salvo che la curatela abbia dimostrato il suo interesse per il rapporto dedotto in lite, nel qual caso il difetto di legittimazione processuale del fallito assume carattere assoluto ed è perciò opponibile da chiunque e rilevabile anche d'ufficio. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto ammissibile la proposizione del ricorso per cassazione da parte del fallito avverso sentenza della Commissione tributaria regionale, in un caso in cui la curatela aveva partecipato ai due gradi di giudizio di merito ma non aveva ritenuto di impugnare la decisione emessa dalla Commissione tributaria regionale).

Cass. civ. n. 25616/2010

Il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci - salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi, configurandosi un caso di litisconsorzio necessario originario. Tale regola, applicabile nell'ipotesi di società "in bonis", affievolisce, nell'ipotesi di avviso di accertamento notificato al curatore del fallimento di società di persone, estendendosi la rappresentanza processuale del curatore a tutte le controversie relative ai rapporti compresi nel fallimento, così che, essendo egli libero di agire nell'interesse di ciascun soggetto rappresentato e, dunque, sia della società, che dei suoi soci, l'integrità del contraddittorio viene ad essere garantita dall'unicità del curatore.

Cass. civ. n. 20285/2010

In tema di processo instaurato dal minore legalmente rappresentato dal genitore esercente la potestà parentale, al raggiungimento della maggiore età da parte del rappresentato che venga successivamente dichiarato fallito, con conseguente interruzione del procedimento, l'iniziativa del curatore fallimentare che intenda riassumere il predetto processo non necessità di essere promossa con atto di riassunzione nè nei confronti del genitore (che ha perso la rappresentanza processuale e non è perciò contraddittore necessario), nè nei confronti del fallito (la cui capacità processuale è relativa, in quanto subordinata all'eventuale inerzia del curatore, cui spetta la legittimazione a far valere gli interessi della massa).

Cass. civ. n. 14624/2010

È inammissibile il ricorso per cassazione proposto dal legale rappresentante di una società fallita contro una sentenza pronunciata nei confronti del curatore del fallimento e da costui non impugnata, in quanto il fallito, privato dalla legge della disponibilità dei beni e della capacità di stare in giudizio nelle controversie relative, non può sovrapporre la propria volontà a quella contraria del curatore (nella specie, peraltro, espressamente dispensato dall'impugnazione con decreto del giudice delegato), al quale la legge, invece, espressamente affida, sotto la sorveglianza del giudice delegato e del tribunale fallimentare, la gestione dei rapporti dedotti in giudizio.

Cass. civ. n. 14980/2009

Nel caso in cui un avviso di accertamento relativo ad imposte sui redditi sia notificato ad una società in accomandita semplice che abbia cessato l'attività senza fase di liquidazione, e quindi senza nomina di un liquidatore, la legittimazione all'impugnazione può essere riconosciuta al socio accomandatario, in via eccezionale, anche se quest'ultimo sia stato dichiarato fallito in proprio, dovendo ritenersi - alla luce di un'interpretazione sistematica dell'art. 43 della legge fall. e dell'art. 10 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546, conforme ai principi costituzionali del diritto alla tutela giurisdizionale ed alla difesa - che egli conservi la rappresentanza legale della società, non essendo individuabile in tempo utile alcun soggetto in grado di rappresentarla in giudizio, e non potendo negarsi il suo interesse all'impugnazione, avuto riguardo alla necessaria ricaduta degli esiti dell'accertamento a suo carico ed a carico degli altri soci, ai sensi dell'art. 5 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.

Cass. civ. n. 3020/2008

In tema di azioni proponibili dal curatore fallimentare, la posizione di tale organo, quando eserciti diritti già nel patrimonio del fallito, non equivale a quella di un terzo ma consiste nel subentro nella stessa posizione del fallito; ne consegue l'ammissibilità dell'azione promossa dal curatore, ai sensi dell'art. 1395 c.c., per l'annullamento del contratto concluso in conflitto d'interesse dall'imprenditore in bonis e già eseguito, rientrando essa nella nozione di patrimonio di cui agli artt. 31 e 42 legge fall. che si estende, oltre che ai beni, altresì ai rapporti giuridici ed alle azioni di contenuto patrimoniale.

Cass. civ. n. 12893/2007

La dichiarazione di fallimento non comporta il venir meno dell'impresa, ma solo la perdita della legittimazione sostanziale e processuale da parte del suo titolare, nella cui posizione subentra il curatore fallimentare: pertanto gli atti del procedimento tributario formati in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento del contribuente, ancorché intestati a quest'ultimo, sono opponibili alla curatela, mentre quelli formati in epoca successiva debbono indicare quale destinataria l'impresa assoggettata alla procedura concorsuale, e quale legale rappresentante della stessa il curatore. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, la quale aveva annullato una cartella esattoriale emessa nei confronti di una società dopo la dichiarazione di fallimento della stessa, ed intestata al curatore, al quale era stata notificata).

Cass. civ. n. 27263/2006

Il fallito che abbia impugnato personalmente l'avviso di accertamento tributario a lui direttamente notificato non è legittimato a far valere l'invalidità dell'atto derivante dalla mancata notifica al curatore del fallimento: la perdita della capacità processuale derivante dalla dichiarazione di fallimento non è infatti assoluta, ma relativa alla massa dei creditori, alla quale soltanto — e per essa al curatore — è concesso di eccepirla; il fallito, d'altronde, conservando la titolarità dei rapporti tributari sorti in epoca anteriore all'apertura della procedura concorsuale, ha in linea di principio la facoltà di avvalersi personalmente della tutela giurisdizionale nei confronti degli atti impositivi emessi in riferimento a detti rapporti, onde evitare di trovarsi esposto agli eventuali riflessi negativi della definitività di tali atti.

Cass. civ. n. 18175/2006

Il giuramento suppletorio, così come quello decisorio e l'interrogatorio formale, anche se il curatore fallimentare non si opponga, non possono essere deferiti al fallito che nel giudizio di merito non abbia conservato la veste di parte (nella specie il giudizio era stato interrotto per il sopravvenuto fallimento dell'attore e proseguito dal curatore fallimentare).

Cass. civ. n. 14981/2006

In caso di dichiarazione di fallimento del debitore ingiunto nelle more del giudizio di primo grado di opposizione a decreto ingiuntivo, il giudice d'appello non può dichiarare inammissibile l'appello proposto dal fallito, sul rilievo della inopponibilità al fallimento del provvedimento monitorio, ma deve pronunciare nel merito, qualora l'evento interruttivo non sia stato dichiarato dal curatore — unico soggetto a ciò legittimato — ed il creditore ingiungente, coltivando il giudizio, abbia dimostrato di volersi comunque avvalere della sentenza nei confronti del fallito, una volta tornato in bonis.

Cass. civ. n. 14481/2005

In tema di valore probatorio della quietanza nei confronti della curatela fallimentare, dalla anteriorità, con atto di data certa, della quietanza al fallimento non può ricavarsi anche la certezza della effettività del pagamento quietanzato, giacché solo dalla certezza dell'avvenuto pagamento, mediante strumenti finanziari incontestabili (anche alla luce della legislazione antiriciclaggio, che impone cautele e formalità particolari ove vengano trasferiti valori superiori ad un certo importo), può trarsi la prova del pagamento del prezzo pattuito nell'atto di autonomia privata, idoneo al trasferimento del bene. (Enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale, facendo uso di presunzioni, era pervenuta alla conclusione dell'avvenuta corresponsione al promittente venditore, poi dichiarato fallito, della sola minor somma pagata con assegni, e della simulazione della quietanza di pagamento della maggiore, di cui il promissario acquirente assumeva il pagamento in contanti, ritenendo così raggiunta la prova della simulazione del patto relativo al prezzo di vendita).

Cass. civ. n. 292/2005

In materia fallimentare, la legittimazione processuale del fallito rispetto ai diritti patrimoniali astrattamente suscettibili di entrare a far parte della massa fallimentare sussiste esclusivamente nel caso di inerzia degli organi fallimentari ed ha, quindi, carattere sostitutivo della legittimazione spettante a questi ultimi, sicché il termine breve per l'impugnazione della sentenza pronunciata nei confronti del fallimento decorre in ogni caso dalla notificazione della sentenza al curatore fallimentare, essendo quest'ultimo l'unico soggetto processualmente legittimato a riceverla.

Cass. civ. n. 23435/2004

In riferimento alle controversie relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento (ex art. 43 L.F.), poiché, in ipotesi di sopravvenienza del fallimento della parte all'instaurazione del giudizio anteriormente alla costituzione, l'art. 299 c.p.c. comporta l'interruzione automatica del processo, rilevabile d'ufficio da parte del giudice, si deve ritenere che, allorquando una tale controversia venga instaurata da una parte che sia già stata dichiarata fallita, la perdita della capacità processuale di tale parte sia rilevabile d'ufficio dal giudice e non invece soltanto se venga eccepita dal curatore fallimentare nell'interesse dei creditori, atteso che in tal caso la perdita della capacità si evidenzia in modo ancora più radicale che nel caso di cui all'art. 299 cit. (sulla base di tale principio la Corte Cass. ha corretto, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., la motivazione dell'impugnata sentenza, che, invece, aveva affermato il principio della rilevabilità soltanto ad istanza del curatore).

In tema di cosiddetta eccezionale legittimazione processuale suppletiva del fallito relativamente a rapporti patrimoniali compresi nel fallimento per il caso di disinteresse od inerzia degli organi fallimentari, la negativa valutazione di questi ultimi circa la convenienza della controversia è sufficiente ad escludere detta legittimazione, allorquando venga espressa con riguardo ad una controversia della quale il fallimento sia stato parte, poiché, in tal caso è inconcepibile una sovrapposizione di ruoli fra fallimento e fallito, mentre non lo è, allorquando si tratti di una controversia alla quale il fallimento sia rimasto del tutto estraneo ed in particolare quando alla negativa valutazione si accompagni l'espresso riconoscimento della facoltà del fallito di provvedere in proprio e con suo onere. (Principio affermato dalla Corte Cass. con riferimento ad un caso in cui il fallito aveva rivolto agli organi fallimentari istanza per la riassunzione di una controversia rimasta interrotta per effetto del fallimento e l'istanza, su conforme parere del curatore, era stata rigettata dal giudice delegato in considerazione dell'aleatorietà del giudizio, ma con salvezza della riassunzione in proprio da parte del fallito ed a sue spese).

Cass. civ. n. 12563/2004

In tema di sanzioni amministrative, il fallimento del trasgressore, sopravvenuto alla commissione della violazione amministrativa, non impedisce l'emanazione dell'ordinanza-ingiunzione di pagamento della sanzione pecuniaria, né la notifica del provvedimento al trasgressore medesimo, il quale è legittimato a proporre opposizione nonostante la sua dichiarazione di fallimento, posto che l'art. 43 legge fall. prevede la perdita della sua legittimazione processuale solo per i rapporti compresi nel fallimento, mentre l'ordinanza-ingiunzione è destinata a produrre effetti soltanto al di fuori del fallimento, quando il trasgressore sia tornato in bonis. Il curatore del fallimento, a sua volta, è legittimato ad impugnare in via autonoma l'ordinanza-ingiunzione ove questa sia a lui notificata o quando l'amministrazione intenda far valere il credito che ne deriva direttamente nei confronti della massa, senza assoggettarsi alle ordinarie regole concorsuali di insinuazione al passivo; in tali casi, l'opposizione può essere svolta dal curatore medesimo al solo scopo di sollecitare la pronuncia di inefficacia del provvedimento nei confronti della massa concorsuale, non già per proporre una contestazione del merito della pretesa, non avendo il giudice dell'opposizione titolo per giudicare del merito, riservato al giudice del fallimento, e difettando il curatore di interesse al riguardo.

Cass. civ. n. 9951/2003

L'accertamento fiscale avente ad oggetto obbligazioni tributarie i cui presupposti siano maturati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente, ovvero nel periodo d'imposta in cui tale dichiarazione è intervenuta, ove sia stato notificato soltanto al fallito, e non anche al curatore del fallimento, è inefficace nell'ambito della procedura fallimentare, ma conserva la sua validità e, ove il fallito, tornato in bonis, abbia ricevuto la notifica di un avviso di liquidazione dell'imposta, egli può contestare l'accertamento impugnandolo assieme all'avviso di liquidazione, in ragione del fatto che il primo avviso, non essendo stato notificato al curatore, ossia a colui che era dotato della legittimazione ad impugnarlo in pendenza della procedura concorsuale, consente ora l'azione giudiziale a colui che ha riacquistato la capacità d'impugnarlo.

Cass. civ. n. 6589/2003

È inammissibile il ricorso per cassazione proposto dal legale rappresentante di una società successivamente alla dichiarazione di fallimento di questa, ancorché il fallimento sia revocato nelle more del giudizio di legittimità, perché il vizio della procura rilasciata al difensore non potrebbe essere sanato ex tunc dalla sopravvenuta revoca del fallimento, atteso che, sulla base delle norme degli artt. 125, terzo comma, e 370 c.p.c., deve escludersi la possibilità della sanatoria del vizio che invalida l'instaurazione del rapporto processuale tutte le volte in cui sia richiesta una procura speciale, come avviene per il ricorso per cassazione, per la valida proposizione del quale si richiede, dall'art. 365 c.p.c., che detta procura sia validamente conferita in epoca anteriore alla notificazione del ricorso.

Cass. civ. n. 5323/2003

Nelle società di capitali, che sono titolari di distinta personalità giuridica e di un proprio patrimonio, l'interesse del socio alla conservazione della consistenza economica dell'ente è tutelabile esclusivamente con strumenti interni, rappresentati dalla partecipazione alla vita sociale e dalla possibilità di insorgere contro le deliberazioni o di far valere la responsabilità degli organi sociali, mentre non implica la legittimazione ad assumere iniziative esterne, quali azioni giudiziarie e impugnazioni di atti, il cui esercizio resta riservato alla società. Ne consegue che anche in caso di dichiarazione di fallimento della società esecutata il socio, che agisca - come nel caso - anche in qualità di creditore della società esecutata, non è abilitato ad agire in via surrogatoria per la tutela del patrimonio della medesima, in quanto l'inammissibilità delle azioni esecutive individuali o della loro prosecuzione sui beni del debitore discendente dagli artt. 51 e 52 legge fall. si traduce nell'inammissibilità anche delle azioni ad esse strumentali, quali le azioni cautelari, la cui esperibilità - in applicazione dei principi generali cui il sistema concorsuale proprio della procedura fallimentare è informato dell'universalità oggettiva (secondo cui dalla data del provvedimento di fallimento il debitore è privato della disponibilità di tutto il suo patrimonio, inventariato e preso in consegna dal curatore) e soggettiva (in base al quale il creditore, per soddisfarsi sul patrimonio inventariato del debitore deve sottostare alla disciplina sulla formazione dello stato passivo, essendo i beni del debitore destinati alla soddisfazione delle ragioni creditorie concorrenti), posti rispettivamente dall'art. 42 legge fall. e dagli artt. 51 e 52 legge fall. - resta pertanto riservata al potere decisionale del curatore.

Cass. civ. n. 4547/2003

Nell'ipotesi in cui, nel corso del giudizio di appello, intervenga la dichiarazione di fallimento di una delle parti, senza che tale evento sia stato dichiarato o notificato a norma dell'art. 300 c.p.c., deve ritenersi pienamente valida la notificazione del ricorso per cassazione effettuata al curatore del fallimento, essendo questi, ai sensi dell'art. 43 della legge fall., il naturale destinatario della vocatio in ius per l'impugnazione, non legittimato, perciò, a dolersi della notificazione dell'atto di impugnazione nei suoi confronti o a dedurre, per ciò solo, l'irritualità della notificazione medesima.

Cass. civ. n. 3245/2003

La perdita della capacità processuale del fallito (dalla dichiarazione di fallimento alla chiusura della procedura) non è assoluta, ma relativa, onde è ancora possibile ottenere la condanna del fallito, sempre che, però, essa sia fondata su di un rapporto di cui gli organi fallimentari si siano disinteressati, e purché il creditore procedente si sia mantenuto estraneo alla procedura concorsuale, optando esclusivamente per la tutela post-fallimentare; la temporanea perdita di capacità processuale del fallito è invece incontestabile nell'ipotesi in cui il creditore abbia citato in giudizio sia il fallito che il suo fallimento, atteso, tra l'altro, che il creditore non avrebbe alcun interesse a munirsi di un titolo anche nei confronti del fallito, giacché la chiusura del fallimento non implica la liberazione di quest'ultimo dalle obbligazioni non soddisfatte nel corso della procedura concorsuale, onde, dopo la chiusura del fallimento, i creditori possono sempre agire per ottenere dal fallito tornato in bonis il pagamento dei crediti che, accertati nei confronti del fallimento, non abbiano trovato (completa) soddisfazione nel corso della procedura.

Cass. civ. n. 2965/2003

La perdita della capacità processuale del fallito, a seguito della dichiarazione di fallimento, non è assoluta, ma relativa alla massa dei creditori, alla quale soltanto — e per essa al curatore — è concesso eccepirla, con la conseguenza che, se il curatore rimane inerte ed il fallito agisce per proprio conto, la controparte non è legittimata a proporre l'eccezione, né il giudice può rilevare d'ufficio il difetto di capacità. Tale principio, peraltro, non trova applicazione nel caso in cui il fallito intenda tutelare, personalmente e direttamente, beni o rapporti già acquisiti al fallimento, di cui nel processo in corso gli organi fallimentari abbiano già dimostrato concretamente di volersi interessare, dovendosi in questa ipotesi, rilevare, anche d'ufficio, il difetto di legittimazione processuale del fallito.

La perdita della capacità processuale del fallito, a seguito della dichiarazione di fallimento, non è assoluta, ma relativa alla massa dei creditori, alla quale soltanto — e per essa al curatore — è consentito eccepirla, con la conseguenza che, se il curatore rimane inerte e il fallito agisce per proprio conto, la controparte non è legittimata a proporre l'eccezione, né il giudice può rilevare d'ufficio il difetto di capacità, e il processo continua validamente tra le parti originarie, tra le quali soltanto avrà efficacia la sentenza finale (salva la facoltà del curatore di profittare dell'eventuale risultato utile del giudizio in forza del sistema di cui agli artt. 42 e 44 legge fall.). Pertanto, nel caso di decreto ingiuntivo emesso prima della dichiarazione di fallimento del richiedente e notificato, dal difensore di quest'ultimo, al debitore dopo la dichiarazione di fallimento, il relativo rapporto processuale è validamente instaurato con la predetta notifica e prosegue tra le parti originarie, anche in sede di opposizione, sino a quando il difensore dichiari in giudizio l'evento interruttivo o il curatore si costituisca.

Cass. civ. n. 508/2003

Il curatore del fallimento, nella qualità di organo investito di una pubblica funzione nell'ambito dall'amministrazione della giustizia svolge un'attività distinta da quella del fallito o dei creditori, agendo egli imparzialmente, e non in rappresentanza o in sostituzione di costoro onde far valere, di volta in volta, e sempre nell'interesse della giustizia, le ragioni dell'uno o degli altri, ovvero della massa attiva fallimentare. Ne consegue che, nel giudizio in cui egli eserciti l'azione di simulazione spettante al contraente poi fallito, il curatore stesso cumula la legittimazione già spettante al fallito con quella già spettante ai creditori (agendo, pertanto, come terzo quoad probationis), avendo tale cumulo rilevanza, peraltro, soltanto nei confronti delle altre parti dell'atto impugnato, e non anche nei confronti del fallito, rispetto al quale non è, pertanto, legittimamente configurabile alcun contrasto di interessi.

Cass. civ. n. 6262/2002

La pronuncia di fallimento non produce effetti interruttivi automatici sui processi in corso in cui sia parte il fallito, perchè la perdita della capacità processuale che ne consegue non si sottrae alla regola, dettata a tal fine dall'art. 300 c.p.c., della necessità della dichiarazione in giudizio dell'evento, in difetto della quale il processo prosegue tra le parti originarie, e l'eventuale sentenza resa nei confronti del fallito è soltanto inopponibile alla massa dei creditori, rispetto ai quali il giudizio in tal modo proseguito costituisce res inter alios acta. Tale dichiarazione dell'evento interruttivo ad opera del procuratore della parte costituita, benché strutturata come dichiarazione di scienza, riveste carattere strettamente negoziale, e postula pertanto, quoad effectum, l'esistenza di una rituale volontà del dichiarante di provocare l'interruzione del processo, non ravvisabile nella mera produzione della sentenza di fallimento.

Cass. civ. n. 9142/2000

Il fallito è legittimato ad agire e resistere nelle controversie concernenti la validità del contratto di locazione avente ad oggetto immobile destinato esclusivamente ad abitazione per sé e per la propria famiglia, atteso che, in tal caso, la locazione non integra un diritto patrimoniale compreso nel fallimento del conduttore secondo la previsione dell'art. 43 L. fall., bensì un rapporto di natura strettamente personale ai sensi dell'art. 46 L. fall., in quanto rivolto al soddisfacimento di un'esigenza primaria di vita ed inidoneo ad incidere sugli interessi della massa, perciò indifferente per il curatore.

Cass. civ. n. 2756/1993

Il processo di cassazione, caratterizzato dall'impulso di ufficio, non è soggetto ad interruzione in presenza degli eventi previsti dagli artt. 299 e seguenti c.p.c. — ivi compresa la dichiarazione del fallimento di una delle parti — poiché tali norme si riferiscono esclusivamente al giudizio di merito e non sono suscettibili di applicazione analogica in quello di legittimità, neanche quando, dopo la proposizione del ricorso, si rendano necessari atti o iniziative della parte o del difensore, poiché, anche in questi casi, la mancata previsione dell'interruzione non implica lesione del diritto di difesa o menomazione del contraddittorio, restando a carico dell'interessato di attivarsi per ovviare ad evenienze conosciute o comunque conoscibili.

Cass. civ. n. 11168/1992

Ove successivamente alla sentenza di cassazione con rinvio sopravvenga, con la dichiarazione di fallimento, la perdita della capacità a stare in giudizio della parte costituita, la notifica dell'atto di riassunzione del giudizio deve essere eseguita in base alla nuova situazione determinatasi, sicché la mancata notifica dell'atto stesso al curatore del fallimento nel termine di cui all'art. 392 c.p.c. determina l'estinzione del processo.

Cass. civ. n. 2532/1987

Qualora un istituto di credito fondiario od agrario, esercitando la facoltà conferitagli dall'art. 42 del R.D. 16 luglio 1905 n. 646, promuova esecuzione individuale nei confronti del debitore, nonostante l'apertura a suo carico di procedura fallimentare, la legittimazione passiva rispetto a tale esecuzione, e, conseguentemente, la legittimazione a ricevere gli atti ad essa relativi, incluso il precetto ed il pignoramento, nonché a proporre le opposizioni di cui agli artt. 615 e 617 c.p.c., spetta esclusivamente al debitore medesimo, non al curatore, considerato che i collegamenti fra le due procedure, comportanti, fra l'altro, la possibilità del curatore di intervenire nella esecuzione individuale e l'obbligo dell'istituto di insinuarsi al passivo fallimentare secondo le regole del concorso dei creditori, non incidono sull'autonomia delle procedure stesse ai fini della suddetta legittimazione.

Cass. civ. n. 3115/1982

Il diritto al risarcimento dei danni subiti dal fallito che (fuori dell'ipotesi dell'azione di responsabilità processuale aggravata prevista dall'art. 21 legge fallimentare contro il creditore istante in caso di revoca della dichiarazione di fallimento) sia fondato sul comportamento illecito, contrattuale o extracontrattuale, di un soggetto che si assume aver cagionato la situazione di dissesto determinativa del fallimento, è un ordinario credito risarcitorio da illecito che, atteso il suo contenuto patrimoniale, non rientra tra i beni ed i diritti di natura strettamente personale esclusi dall'esecuzione concorsuale ai sensi dell'art. 46 n. 1 legge fallimentare, ed è anch'esso acquisito alla massa attiva del fallimento. Tale diritto, pertanto, salvo il caso di totale inerzia o disinteresse da parte degli organi preposti al fallimento, non può essere fatto valere direttamente e personalmente dal fallito, né in via autonoma, né mediante intervento nel giudizio che a tal fine sia stato instaurato dal curatore, e proseguito, dopo la chiusura del fallimento per concordato, dall'assuntore del concordato fallimentare. In questa ultima ipotesi, se l'assunzione del concordato sia avvenuta con liberazione immediata del debitore, non è configurabile neppure un interesse riflesso idoneo a legittimare un intervento adesivo dipendente del fallito, né sotto il profilo dell'interesse all'esecuzione del concordato, essendo stato il fallito liberato da ogni responsabilità patrimoniale verso i suoi creditori, né sotto quello dell'interesse alla riabilitazione ex art. 143 n. 2 legge fallimentare dipendendo l'esito del concordato dal comportamento del terzo assuntore e non dell'ex fallito, e non potendo quindi essere valutato ai fini della riabilitazione di quest'ultimo.

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Consulenze legali
relative all'articolo 43 Legge fallimentare

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Antonio A. chiede
mercoledì 18/11/2015 - Calabria
“Una società che, contrattualmente,doveva rendere un opificio chiave in mano ha emesso fatture di acconto per l'intero importo e ha consegnato solo la struttura quasi completa, ma non le macchine industriali e gli arredi. In seguito ad una debitoria residua del 10% circa del pattuito, la società fornitrice ha instaurato un'azione legale, per recupero credito, anche in mancanza di completa consegna dell'opificio. Nelle more del giudizio, il fornitore ha restituito delle macchine operatrice ai suoi fornitori, riducendo in corso di causa la pretesa creditoria. Da circa due mesi è stato dichiarato il fallimento della società fornitrice dell'opificio, quindi, della presunta creditrice, con conseguente archiviazione della causa civile.
In conseguenza di ciò, si chiede:
1°tenuto conto dei tempi lunghi della giustizia, conviene riassumere la causa sospesa per fallimento che, tra le pretese della società convenuta per il recupero del credito vi è una richiesta per riconvenzionale;
2° visto che la scrivente registra dei danni a causa della mancata ultimazione dell'opificio, come bisogna fare per inserirsi nel passivo e se è possibile farlo senza l'ausilio di un legale, anche in costanza di riassunzione della causa, se conveniente;
3° un commercialista è abilitato a svolgere quanto necessario per l'inserimento extra contabile nel passivo; se si bisogna utilizzare il software del P. Civile T.;
4° nel caso in esame è attuabile un esperimento conciliativo presso un' ADR;
5° la segreteria del giudice fallimentare è tenuta a dare lo stato attivo e passivo del fallito all'amministratore della società che ha proposto la riconvenzionale , per conoscere la sua presunta debitoria e avere contezza della situazione patrimoniale del fallito, in modo da verificare un eventuale recupero monetario.”
Consulenza legale i 25/11/2015
La vicenda è così riassumibile: Alfa, presunta creditrice, ottiene d.i. verso Beta. Quest'ultima propone opposizione al d.i. instaurando, così, giudizio di cognizione ordinaria nell'ambito del quale pone anche una domanda riconvenzionale. Nelle more di questo giudizio ordinario Alfa fallisce.

1. Ai sensi dell'art. 43 co. 3 l. fall. "L'apertura del fallimento determina l'interruzione del processo". L'interruzione è un arresto temporaneo del giudizio che serve per ripristinare l'effettività del contraddittorio quando questa viene meno per qualche causa (nel caso, perché il fallito ha perso la capacità processuale).
Di norma, l'interruzione che colpisce la parte costituita con proprio difensore opera solo dopo che l'evento è dichiarato in udienza o notificato all'altra parte (art. 300 co. 1 c.p.c.). Tuttavia il co. 3 dell'art. 43 l. fall., aggiunto con d.lgs. 5/2006, induce a ritenere che nell'ipotesi di fallimento l'interruzione sia automatica e possa essere dichiarata d'ufficio dal giudice.

Una volta che il processo è interrotto deve essere proseguito o riassunto, pena l'estinzione (art. 305 del c.p.c.). La prosecuzione è posta in essere da chi subentra nella posizione della parte venuta meno (es. eredi) mentre la riassunzione è onere dell'altra parte, che vi provvede con citazione (art. 299 del c.p.c.).
Se il processo non viene riassunto e si estingue, il decreto ingiuntivo che non ne sia ancora munito acquista efficacia esecutiva (art. 653 c.p.c.): quindi il debitore-opponente che vuole impedire il verificarsi di questa situazione ha interesse a riassumere il giudizio. La riassunzione deve avvenire entro 3 mesi (6 per i giudizi instaurati prima dell'emanazione della l. 69/2009) che decorrono da quando la parte ne ha conoscenza legale (v. C. Cost. 159/1971); vale a dire, nel caso di fallimento, dalla data di conoscenza effettiva dell'effetto interruttivo (C. Cost. 17/2010).

Con la riassunzione prosegue dinanzi al giudice ordinario la sola causa di opposizione a d.i.. Se Beta intende far valere il credito (chiesto in via riconvenzionale) verso il fallimento, dovrà proporre insinuazione al passivo, essendo la causa di competenza del giudice delegato al fallimento. Infatti vige, in materia fallimentare, il c.d. principio di esclusività dell'accertamento del passivo, ai sensi del quale ogni pretesa che si vuole far valere verso il fallimento deve essere esercitata mediante insinuazione al passivo (art. 52 della l. fall.; v. Cass. 2439/2006; v. Cass. S.U. 21499/2005).
Come la giurisprudenza ha specificato, in tal caso è ammissibile una scissione dell'unico giudizio instaurato originariamente per far valere la pretesa del soggetto ancora in bonis (ovvero instaurato già dal curatore), nell'ambito della quale sia stata proposta riconvenzionale verso controparte fallita (Cass. S.U. 21499/2005).

2-3. Per inserirsi nel passivo è necessario presentare apposita domanda di ammissione al passivo ex art. 93 ss l. fall.. La domanda si propone con ricorso (contenente gli elementi di cui all'art. 93 co. 3 l. fall) al quale è allegata copia degli eventuali documenti.

Il ricorso può anche essere sottoscritto dalla parte personalmente (art. 93 co. 2 l.fall.), eventualmente redatto con l'ausilio di un commercialista. Se esso si basa su un credito che deve essere provato (es. risarcimento danni) sarebbe necessaria una competenza giuridica.

La domanda deve essere trasmessa da indirizzo di posta elettronica certificata all'indirizzo di posta elettronica certificata del curatore almeno 30 giorni prima dell'udienza fissata per l'esame dello stato passivo (c.d. domanda tempestiva, art. 93 co. 1 l. fall). Ex art. 93 co. 1, ultimo periodo, il solo originale del titolo di credito allegato al ricorso (letteralmente, quindi, non il ricorso stesso) deve essere depositato presso la cancelleria del tribunale.

La domanda presentata oltre il termine menzionato ed entro 12 mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo è considerata tardiva (art. 101 della l. fall.). Tali creditori partecipano solo alle ripartizioni dell'attivo posteriori alla loro ammissione ed in proporzione del rispettivo credito, salvo che siano muniti di titolo di prelazione o il ritardo sia dipeso da cause ad essi non imputabili (art. 112 della l. fall.). Le domande presentate oltre il suddetto termine di 12 mesi sono ammissibili solo se l'istante prova che il ritardo è dovuto a causa a lui non imputabile (art. 101 co. 4 l.fall.).

Dal 2012, inoltre, il ricorso deve essere formato, alternativamente:
- ai sensi dell'art. 21 co. 2 d.lgs. 82/2005: documento informatico formato ex art. 20 co. 3 d.lgs. 82/2005 e sottoscritto con firma digitale.
- ai sensi dell'art. 22 co. 3 d.lgs. 82/2005: copia informatica di documento analogico: cioè il documento cartaceo viene scannerizzato e inviato. In tal caso sembra dedursi, dall'art. 4 co. 2 DPR 13711/2014, che sia comunque necessario apporre la firma digitale prima di inviare il file.

Quanto alle modalità di presentazione della domanda, ai sensi dell'art. 16bis co. 3 d.l. 179/2012 (convertito con modifiche dalla l. 221/2012) nelle procedure concorsuali il deposito telematico si applica solo al deposito degli atti processuali e dei documenti ad opera di curatore, commissario giudiziale, liquidatore, commissario liquidatore, commissario straordinario (esso è obbligatorio per le procedure instaurate dal 30/06/2014; per quelle già pendenti l'obbligo decorre dal 31/12/2014). La presentazione della domanda ai sensi di tali disposizioni non è un deposito di atto telematico nell'ambito del processo civile telematico, ma un comunicazione che viene presentata al curatore, quindi non deve essere fatta con il relativo software.

4. Circa la possibilità di esperire un tentativo di conciliazione per il credito verso il fallimento, si richiama il menzionato principio di esclusività del fallimento, dal quale si ricava che ogni pretesa verso il fallimento deve essere esercitata mediante insinuazione al passivo. La regola si spiega in quanto il fallimento apre il concorso di tutti i creditori sulla massa fallimentare e consente a tutti il contraddittorio sulle pretese azionate. Di conseguenza, è ragionevole escludere la possibilità di una conciliazione in altra sede: questa, infatti, determinerebbe una violazione di quel principio e delle ragioni che lo giustificano.

5. Quanto al quesito finale, lo stato attivo si determina in base all'inventario che il curatore provvede a redigere dopo la dichiarazione di fallimento; il relativo verbale è redatto in doppio originale ed uno degli originali deve essere depositato in cancelleria (art. 87 della l. fall.), dove i creditori possono prenderne visione (si tratta, comunque, di atto del curatore soggetto alle regole sul deposito telematico esposte in precedenza).

Il progetto di stato passivo è redatto dal curatore che lo deposita in cancelleria e lo comunica ai creditori (i quali possono presentare osservazioni sino a 5 giorni prima dell'udienza; possono, poi, partecipare all'udienza stessa), ex art. 95 della l. fall.). Quindi si svolge l'udienza di verifica ed il giudice decide con decreto succintamente motivato sulle domande dei creditori. Terminato l'esame delle domande egli forma lo stato passivo e lo rende esecutivo con decreto che viene depositato in cancelleria e che il curatore comunica immediatamente trasmettendo copia ai ricorrenti (art. 96 della l. fall., art. 97 della l. fall.).