Trattasi di norma che, secondo parte della dottrina, deve ritenersi inoperante a seguito della soppressione dell’ufficio del
Pretore; infatti, si osserva che le cause relative a tali diritti non possono che spettare al Tribunale, considerato che il Giudice di Pace non ha competenza in materia di
diritti reali su beni immobili.
Altra parte della dottrina, invece, continua ad attribuire a questa norma una rilevanza indiretta, in quanto il calcolo del valore delle cause immobiliari eseguito secondo tale disposizione può risultare utile per fini diversi dalla determinazione della
competenza (un esempio concreto lo si ritrova al comma 1 dell’
art. 568 del c.p.c., che, per determinare il valore dell’immobile pignorato, richiama proprio l’art. 15 c.p.c.).
Per cause relative a beni immobili devono intendersi tutte quelle attinenti ai diritti di
proprietà,
servitù,
enfiteusi,
usufrutto,
uso e
abitazione, mentre ne restano esclusi:
a) i diritti reali di garanzia (in questo caso il valore si determina in base al credito garantito);
b) i diritti personali relativi a beni immobili, ovvero le domande che hanno ad oggetto non un diritto reale, ma un rapporto obbligatorio contrattuale.
Una particolare questione che è stata affrontata in dottrina con riferimento a tale norma è quella relativa al corretto criterio di determinazione del valore per le cause la cui controversia, pur se relativa alla proprietà o ad altri diritti reali, venga sollevata in relazione ad una convenzione.
Preferibile al riguardo è da ritenere la tesi secondo cui in questi casi il valore non va determinato secondo l’art. 15 c.p.c., ma prendendo a riferimento il valore del
contratto, poiché deve identificarsi in questo l'oggetto principale della contestazione (così, volendo esemplificare, se oggetto della contestazione tra le parti è un atto traslativo della proprietà o costitutivo di usufrutto o servitù contro il corrispettivo di un prezzo, per determinare il valore della causa occorrerà riferirsi al prezzo pattuito fra le parti).
Altra questione specifica affrontata in ordine alla applicabilità della presente norma è quella relativa alla determinazione della natura della domanda di
rilascio di un immobile occupato
sine titulo, essendo stato sollevato il dubbio se trattasi di azione personale o reale.
Un primo orientamento afferma che l'azione di rilascio di un immobile detenuto senza titolo, a seguito della quale il convenuto non opponga il suo diritto dominicale concorrente o contrastante con quello dell'attore, ha natura personale e non reale.
Un secondo orientamento afferma che la contestazione del diritto di proprietà dell'attore da parte del convenuto trasforma l'azione personale in azione reale, e ciò in conseguenza del fatto che il giudice sarà per forza di cose chiamato a decidere sulla sussistenza del diritto di proprietà vantato da una parte e negato dall'altra (da ciò se ne fa conseguire che, per individuare il giudice competente a conoscere della controversia, deve farsi ricorso alla disciplina contenuta nell'art. 15 c.p.c., e non a quella contenuta nell'
art. 12 del c.p.c.).
Secondo un terzo ed ultimo orientamento, anche se l'azione è personale, va in ogni caso applicato l'art. 15 c.p.c; in tal senso si argomenta dalla considerazione che il rilascio di un immobile occupato
sine titulo, si risolve, in caso di mancata contestazione da parte del convenuto del diritto dominicale dell'attore, in un'azione personale di risarcimento del danno in forma specifica, pur sempre relativa ad un bene immobile.
Per quanto concerne il sistema di calcolo da usare per la determinazione del valore, secondo quanto qui statuito occorre fare riferimento a due elementi rilevanti in materia tributaria:
il
reddito dominicale per i terreni e la
rendita catastale per i fabbricati.
Qualora il bene non risulti dai registri del catasto, il giudice comunque deciderà sulla base degli atti disponibili, mentre se tale misura non è assolutamente ricavabile, la causa si considera di valore indeterminabile e la competenza deve intendersi attribuita al Tribunale.
Altro aspetto importante è quello di stabilire il tempo di calcolo del valore.
Sembra preferibile al riguardo la tesi secondo cui, conformemente alla previsione del 1° co., deve tenersi conto del reddito dominicale o della rendita catastale al tempo della proposizione della domanda (pertanto, sarà a tale data che il calcolo andrà effettuato).
E’ da escludersi che il valore del reddito dominicale o della rendita catastale, da prendere quali basi di calcolo, possano essere aumentati o diminuiti a seconda dello stato effettivo dell'immobile, ovvero per intervenuti miglioramenti o degradazioni di esso che abbiano reso il valore non più veritiero.
Il 2° co. della norma si occupa della determinazione del valore nelle cause per
regolamento di confini, prevedendo un criterio che può definirsi principale (ovvero ordinario) di determinazione del valore, ed un criterio sussidiario.
E’ infatti previsto che il valore della causa è ordinariamente dato dal valore della parte di proprietà controversa; se questo non è determinata, il giudice lo determina a norma dell'ultimo comma, vale a dire in base agli atti, ovvero, in mancanza di utili risultanze, deve reputare la causa di valore indeterminabile.
A questo punto si pone il problema di stabilire cosa debba intendersi per “
parte di proprietà controversa”; appare al riguardo preferibile la tesi secondo cui essa non coincide con quella risultante dalle pretese contrapposte dei due litiganti, bensì con quella a cui l'attore si è riferito nella sua domanda, dovendosi pertanto individuare nella quantità di terreno che l'attore vuol fare propria in aggiunta alla quantità di terreno per la quale egli ritiene pacifico il suo diritto di proprietà.
I criteri dettati dall'art. 15 c.p.c. si ritengono, talora, applicabili anche al fine di determinare il valore di cause qui non espressamente contemplate. Ne sono un esempio:
a) Cause con le quali si intendono far valere le limitazioni legali della proprietà: secondo la tesi preferibile, che trova conferma anche in giurisprudenza, queste cause devono essere assimilate alle azioni in materia di servitù ed il loro valore va, pertanto, determinato in base al criterio dettato per queste ultime (il fondo di cui tener conto al fine di effettuare il calcolo è quello del convenuto e non quello dell'attore).
b) Cause relative all’azione esperita ex art. 1102 del c.c. per la tutela della proprietà della cosa immobile comune contro l’uso abnorme di uno dei condomini: si ritiene che anche per questa tipologia di cause debba farsi applicazione dell'art. 15 c.p.c. al fine di determinare il valore dell'azione.
c) Cause relative all’azione esperita ex art. 844 del c.c. volte a far dichiarare l'illiceità di
immissioni moleste provenienti dal fondo altrui e per impedire che l'immobile proprio le subisca: si tratta di un'azione di carattere reale, che rientra nella categoria delle azioni negatorie predisposte a tutela della proprietà. Pertanto, anche per esse, il valore della causa andrà determinato in base al disposto dell'art. 15 c.p.c.
d) Cause relative all’azione esperita ex art. 874 del c.c. volte ad ottenere la comunione forzosa del muro: secondo la tesi prevalente in giurisprudenza trattasi di azione con natura reale, il cui valore è dato dal valore della parte del muro da rendersi comune, sommato al valore della metà del suolo su cui esso è costruito.
f) Cause in materia di ipoteca: è preferibile la tesi sostenuta dalla dottrina maggioritaria, secondo cui l'art. 15 c.p.c. non è applicabile a tali cause, sia in forza del dato letterale (si tratta di cause non menzionate dalla norma), sia perché l'ipoteca è un diritto reale di garanzia, e pertanto il valore del diritto di ipoteca va determinato avendo riguardo al valore del credito garantito.
L’ultimo comma, infine, detta un criterio sussidiario comune, applicabile nel caso in cui per l'immobile all'atto della proposizione della domanda non risulti il reddito dominicale o la rendita catastale.
L'analisi della giurisprudenza sviluppatasi al riguardo fa sorgere il dubbio se presupposto di applicazione di tale ultimo comma sia la semplice mancata indicazione del reddito dominicale o della rendita catastale, o se invece l'immobile debba risultare non accatastato (in giurisprudenza si rinvengono entrambe le tesi).
Prove utilizzabili per poter determinare
ex actis la competenza non sono soltanto gli atti processuali in senso stretto, ma tutta la documentazione esistente nel processo (il riferimento può essere fatto ad una
perizia stragiudiziale asseverata con
giuramento, ovvero al prezzo indicato dalle parti nell'atto di vendita dell'immobile).