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Articolo 843 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Accesso al fondo

Dispositivo dell'art. 843 Codice Civile

Il proprietario deve permettere l'accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessità(1), al fine di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune(2).

Se l'accesso cagiona danno, è dovuta un'adeguata indennità.

Il proprietario deve parimenti permettere l'accesso a chi vuole riprendere la cosa sua che vi si trovi accidentalmente o l'animale che vi si sia riparato sfuggendo alla custodia. Il proprietario può impedire l'accesso consegnando la cosa o l'animale [896 comma 3].

Note

(1) L'ingresso al fondo può essere disposto dal giudice, se il proprietario non lo consente.
(2) L'accesso è limitato, per tempi e modi, allo stretto indispensabile per l'attuazione dei lavori.

Ratio Legis

La disposizione deroga al principio per cui il titolare può impedire a terzi l'accesso al fondo. La natura giuridica del rapporto tra il proprietario e chi sia interessato ad entrare nel fondo consiste in un' obligatio propter rem o, comunque, in un puro limite del diritto di proprietà. Sono, in ogni caso, due i criteri per l'accesso al fondo altrui: l'uno è consiste nell'assoluta necessità di accedere al fondo, l'altro nella proporzionalità del danno subito dal titolare a tutto vantaggio per il terzo.

Brocardi

Ius excludendi omnes alios

Spiegazione dell'art. 843 Codice Civile

La facoltà di chiudere il proprio fondo

L' art. 841 del c.c. consacra un principio tradizionale, già formulato dall'art. 442 del codice del 1865, e che è il riflesso della facoltà di esclusione del proprietario. La formula della nuova norma è più precisa di quella della norma abrogata: in quest'ultima, infatti, si facevano salvi i diritti di servitù spettanti ai terzi e la riserva da un lato era troppo ristretta, perché il diritto di chiudere il proprio fondo deve lasciare e lascia integri tutti i diritti di terzi, di qualunque natura essi siano, e non solo quelli di servitù; dall'altro lato, del tutto pleonastica. Con l'espressione "in ogni tempo", inserita nella nuova norma, viene strettamente ricollegata la facoltà di chiudere il fondo con il diritto di proprietà, di cui essa fa parte, e se ne mette in evidenza l'imprescrittibilità.


L'esercizio della caccia e il limite al diritto di proprietà

La chiusura del fondo costituisce un presupposto in base al quale, in concorso con altre circostanze, il proprietario può impedire l'accesso ad estranei, per l'esercizio della caccia. Non basta, però, a tal fine che il fondo sia comunque chiuso: l'art. 842, comma 1, rimanda alla legge sulla caccia. Questa prescrive che il fondo sia chiuso completamente da mura, rete metallica o altra effettiva chiusura, di altezza non minore di m. 1,80 o da corsi d'acqua della profondità di almeno m 1,50 e della larghezza di almeno m. 3 (art. 28 T. U. approvato con R.D. 31 gennaio 1931, n. 117).

In mancanza di chiusura nei modi predetti, l'esercizio della caccia non può essere impedito se non in casi particolari, come risulta dal coordinamento dell'art. 843 commi 1 e 2 con le disposizioni contenute nelle leggi speciali.

Vi sono, infatti, ipotesi considerate nella legge sulla caccia e ipotesi considerate anche nell'art. 843 o esclusivamente in tale articolo.

Per le ipotesi considerate nella legge speciale, non c'è dubbio che le disposizioni ad esse relative non possano ritenersi abrogate, nè espressamente nè tacitamente, dal nuovo codice. Pertanto è vietata la caccia, contro il consenso del proprietario, nelle appartenenze di ville, abitazioni, parchi (art. 28 cit.); sui laghi e negli stagni di proprietà privata, anche aperti, è vietato porre, contro il divieto del proprietario, imbarcazioni, tine o altro natante per la caccia (art. 30).

L'art. 842 del c.c. oncede al proprietario la facoltà di opporre l'esercizio della caccia a chi non è munito di licenza rilasciata dall'autorità. Tale facoltà, pur non essendo contemplata dalla legge speciale, viene ad estendere l'ambito delle limitazioni all'esercizio della caccia, accrescendo i poteri del proprietario. Indirettamente, in tal modo, il proprietario, limitatamente alla propria sfera giuridica e alla tutela del proprio diritto, realizza anche l'interesse pubblico al controllo sui portatori di armi. L'Amministrazione si serve di solito del propri agenti, che possono elevare contravvenzioni a carico di coloro che non sono muniti di regolare licenza, ma anche questo può essere un mezzo supplementare per evitare l'esercizio della caccia senza licenza perché, concedendo la facoltà di opposizione a tutti i proprietari, si viene praticamente a rendere quasi impossibile la caccia stessa. Dunque la disposizione contenuta nella norma in esame, più che a tutela dell'interesse privato, viene dettata per la tutela dell'interesse pubblico.

L'art. 842 c.c. concede, infine, al proprietario la facoltà di opporsi all'esercizio della caccia, anche se il fondo non è chiuso nei modi anzidetti, quando vi siano colture in atto suscettibili di danno. La disposizione è dettata nell'interesse del proprietario e a tutela, anche, dell'agricoltura. La legge speciale (art. 30) adopera una formula diversa, sancendo i divieto della caccia nel periodo in cui possa danneggiare le colture. Le due disposizioni hanno diversa portata: quella contenuta nella legge speciale fa riferimento a periodi nei quali le colture possono essere danneggiate, e quindi adotta un criterio, entro certi limiti, astratto; quella contenuta nell'art. 842 si riferisce alla suscettibilità attuale di danno alle colture, e perciò adotta un criterio di massimo grado. Naturalmente deve prevalere la disposizione contenuta nell'art. 842, non fosse altro perché è di data posteriore.

Qualche dubbio può sorgere, in merito all'applicazione di tale disposizione, per quanto riguarda la determinazione dell'attuale suscettibilità di danno alle colture: certo si tratta di una questione di fatto, che dovrà essere risolta dal magistrato, per stabilire se debba ritenersi illegittima l'opposizione del proprietario o l'attività del cacciatore, con conseguente condanna ai danni dell'uno o dell'altro, se vi siano stati danni. Ma si devono segnare i limiti entro cui il giudizio del magistrato va contenuto: è stato autorevolmente sostenuto che il proprietario possa opporsi all'esercizio della caccia quando sul fondo vi sia una coltura in atto, affermandosi, quindi, il criterio secondo cui ogni coltura in atto deve ritenersi di suscettibile di danno.

Ma il testo legislativo viene così modificato, con una interpretazione estensiva non giustificabile. La legge non dice « quando vi sia coltura in atto », ma dice quando « vi siano colture in atto suscettibili di danno »: l'attualità, dunque, non riguarda l'esistenza delle colture, ma la loro suscettibilità di danno. D'altra parte, se la norma è dettata nell'interesse dell'agricoltura, ammessa l'ipotesi che delle colture attualmente esistenti possano non essere suscettibili di danno, non si vede perché estendere la tutela anche a questa ipotesi.


L'esercizio della pesca

Anche per quanto riguarda la pesca, in base all'art. 33 T.U. citato, che punisce colui che pesca nelle acque di proprietà privata, l'art. 843 stabilisce che per l'esercizio della pesca occorre il consenso del proprietario. Le ragioni del proprietario sono qi tutelate più energicamente di quanto non lo siano rispetto alla caccia. Il terzo non ha nessuna facoltà: la sua attività, dunque, sarà sempre illegittima se non autorizzata dal proprietario.


La tutela dei diritti di persone diverse dal proprietario

Al proprietario si sostituirà – naturalmente – sia per il lato positivo (facoltà di autorizzare) che negativo (facoltà di opporsi) chiunque abbia l'effettivo godimento, e quindi il possesso, del fondo: sia titolare di un diritto reale (es.: usufruttuario), sia titolare di un diritto personale (es.: locatario). Anche in questi casi, tuttavia, la tutela può riguardare il diritto di proprietà: se si tratta, infatti, di un diritto reale, questo non potrà che essere uno ius in re aliena, che avrà il suo fondamento nella proprietà, sì che le facoltà spettanti al titolare del diritto reale possono ritenersi come derivate dal proprietario; se si tratta, invece, di un diritto personale, il proprietario sarà sempre da considerare come protagonista, perché, di solito, egli è tenuto a garantire il pacifico godimento della cosa, oltre a garantire il possessore dalle molestie che ne diminuiscono l'uso e il godimento, e ad assumere la lite, contro il terzo, qualora sia invece chiamato al posto del possessore che deve essere estromesso.

Qualora il proprietario, nei casi predetti, si sia riservato un diritto di godimento sulle acque, il permesso di esercitarvi la pesca deve essere concesso da lui e non dal possessore.


Il divieto di penetrare nell'altrui fondo recinto e le sue limitazioni

Il divieto di penetrare nel fondo recinto è presidiato energicamente dall' art. 637 del c.p.. Tuttavia, anche al di fuori del casi già menzionati, la facoltà del proprietario di impedire ai terzi l'accesso nel proprio fondo subisce delle limitazioni, nell'interesse pubblico e di altri privati.

Sotto il primo profilo, si deve ricordare la limitazione nascente dalle disposizioni contenute negli artt. 7 e 8 della L. 25 giugno 1865, n. 2359 sull'espropriazione per causa di pubblica utilità. In base ad essa gli ingegneri, gli architetti ed i periti incaricati della formulazione del piano di massima per l'espropriazione, possono introdursi nelle proprietà private e procedere alle operazioni necessarie alla preparazione di tale piano, purchè siano muniti di un decreto del prefetto o del vice prefetto: chi si opponga od ostacoli tali indagini incorre in sanzioni penali.

Il principio riceve applicazione in varie leggi speciali: si possono citare l'art. 1 cap. R. D. 20 maggio 1926, n. 1154; art. 1 R. D. 13 agosto 1926, n. 1907; art. 20 R.D. 29 luglio 1927, n. 1443; art. 97 T.U. sulle acque pubbliche approvato con R.D. 11 dicembre 1932, n. 1775.

Ma vi sono casi in cui la limitazione della facoltà di vietare l'accesso è dettata a tutela dell'interesse dei privati: la norma in esame disciplina tali ipotesi, coordinando le disposizioni contenute negli artt. 592 e 713 codice del 1865, e integrandole con opportune generalizzazioni.

La prima ipotesi, descritta al comma 1, va ricollegata ai rapporti di vicinato: il proprietario deve permettersi l'accesso e il passaggio nel suo fondo al proprietario vicino al fine di riparare un muro o altra opera propria o comune. Salvo qualche lieve ritocco di natura formale, viene integralmente riprodotta la disposizione contenuta nel citato art. 592, codice del 1865.

La seconda ipotesi prescinde anche dai rapporti di vicinato. L'art. 713 codice del 1865 concedeva al proprietario di sciami d'api il diritto di inseguirli nel fondo altrui; il terzo comma di questa norma obbliga il proprietario del fondo di permettere l'accesso non solo se si tratti di riprendere sciami d'api, ma qualsiasi animale che, sfuggendo alla custodia, si sia riparato in tale fondo, e anche per qualsiasi causa propria. Disposizioni speciali, tuttavia, sono dettate per gli sciami d'api (art. 924 del c.c.) e per gli animali mansuefatti, non già al fine di estendere la facoltà di inseguimento nel fondo altrui ad ipotesi già comprese nella disposizione generale, ma piuttosto al fine di limitare nel tempo la possibilità di esercizio di tale facoltà: due giorni e venti giorni rispettivamente.

Il solo presupposto per l'esercizio della facoltà di accesso è che si voglia recuperare una cosa propria di colui che si voglia accedere nel fondo. Il permesso, dunque, potrebbe essere rifiutato se si trattasse di res nullius o di res derelicta. Così se qualcuno ha gettato, animo derelinquendi, la cosa propria sul fondo altrui, non può pretendere di ottenere il permesso che avrebbe (nuovamente) lo scopo di acquistare mediante occupazione la proprietà della cosa abbandonata, non di riavere il possesso della cosa propria. E nemmeno può esercitare l'azione di rivendicazione, perché manca il presupposto fondamentale, la proprietà.

Si capisce che l'estraneo può acquistare la proprietà della cosa nullius o derelicta che si trovi nel fondo altrui, anche senza o contro la volontà del proprietario del fondo (sempre che questi non giunga in tempo ad acquistarla per occupazione), ma in questo caso andrà incontro alle conseguenze civili e penali del suo atto illecito.

Anche nei casi in cui la richiesta di permesso di accedere al fondo è legittima, il proprietario può tuttavia legittimamente impedire l'accesso, consegnando la cosa o l'animale (art. 844, ultima parte alinea 3). se il permesso di accedere nel fondo venga illegittimamente negato, non potrebbe incorrere nelle sanzioni penali di cui agli artt. 392 e 393 c.p. L'arbitrio del proprietario deve essere riconosciuto e dichiarato dal magistrato, e il terzo potrà fare ricorso « alle azioni rivendicatorie e di risarcimento ».


Il risarcimento del danno causato dall'accesso

L'art. 844, alinea 2, dispone che se l'accesso provoca danno, è dovuta al proprietario un'adeguata indennità. La disposizione dettata per i casi previsti dallo stesso articolo ha carattere generale e discende dai principi generali. Il permesso di accedere al fondo non può considerarsi come permesso di danneggiare il fondo, o come preventiva rinuncia al diritto di chiedere il risarcimento dei danni. E neppure il diritto di accedere sul fondo altrui può considerarsi come diritto di danneggiare il fondo, o come causa di esenzione dall'obbligo del risarcimento.

Ne discende che l'obbligo di risarcimento grava anche su coloro che hanno il diritto di esercitare la caccia nei fondi altrui, o su coloro che hanno ottenuto il permesso di esercitare la caccia o la pesca.


Applicabilità delle sanzioni penali

L'applicazione delle sanzioni civili a carico del proprietario che rifiuti o contrasti l'accesso illegittimamente o di coloro che illegittimamente o contro la volontà del proprietario si introducono nel fondo altrui, non esclude l'applicazione di sanzioni penali, in tutti quei casi in cui le circostanze di fatto integrano un reato.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

411 Determinati nell'art. 842 del c.c. i limiti del potere inibitorio del proprietario del fondo nei riguardi di chi intenda esercitarvi la caccia o la pesca, si disciplinano nell'art. 843 del c.c. due casi di accesso coattivo, che costituiscono una limitazione della proprietà fondiaria, senza per altro dar luogo a veri e propri rapporti di servitù. 11 primo caso, regolato dal codice del 1865 in tema di servitù legali (art. 592), concerne l'obbligo del proprietario di permettere l'accesso e il passaggio nel suo fondo, quando ciò sia necessario per costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino o anche comune. L'altro caso concerne il ricupero di cose, proprie nel fondo altrui. In termini più generali di quelli stabiliti dall'art. 713 del codice precedente, il quale si limitava a consentire l'accesso al proprietario di sciami di api e di animali mansuefatti, il nuovo testo, con maggior riguardo alle esigenze insite nei rapporti di vicinanza, consente l'accesso a chi voglia riprendere la cosa sua che accidentalmente vi si trovi o l'animale che vi si sia riparato, sfuggendo alla custodia.

Massime relative all'art. 843 Codice Civile

Cass. civ. n. 32100/2021

In tema di accesso nel fondo altrui per la costruzione o riparazione «di un muro od altra opera», non possono escludersi dall'ambito di applicazione dell'art. 843 c.c. le opere concernenti la parte del muro che è al di sotto del piano di campagna, ivi compresi gli scavi nel fondo del vicino, dovendosi consentire, sulla base del principio del minimo mezzo e della natura dell'opera, tutte quelle indispensabili alla costruzione o riparazione propriamente detta a partire dalle fondamenta, nonché la permanenza e l'occupazione del fondo altrui per il tempo necessario per l'esecuzione di lavori non istantanei, purchè, a necessità terminata, venga eliminata, a cura e spese del depositante - cui, sin dall'inizio, fa carico l'obbligo del ripristino - ogni conseguenza implicante una perdurante diminuzione del diritto del proprietario del fondo vicino, che deve riprendere la sua originaria ampiezza. In tali casi compito del giudice di merito è quello di un'attenta valutazione comparativa tra l'entità del danno (inevitabile) che viene cagionato al vicino e la natura dell'opera che si deve eseguire.

Cass. civ. n. 20555/2021

Il proprietario di un appartamento, in base all'art. 843, comma 1, c.c., applicabile anche al condominio di un edificio, può esercitare il diritto di accedere o di passare negli appartamenti dei vicini (o nelle cose comuni) - a loro volta gravati da una corrispondente obbligazione "propter rem" - solo se ciò sia necessario al fine di realizzare o di riparare un bene o un'opera che sia di sua esclusiva proprietà ovvero comune. (La S.C., in applicazione dell'enunciato principio, ha ritenuto insussistente il diritto di accesso finalizzato alla riparazione di un bene - una canna fumaria - la cui proprietà, o comproprietà, in capo alla società che aveva agito in giudizio era stata esclusa).

Cass. civ. n. 18555/2021

In tema di accesso al fondo altrui (nella specie, per l'esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria ad un climatizzatore), ai fini della verifica delle condizioni di cui all'art. 843 c.c., la valutazione comparativa dei contrapposti interessi delle parti deve essere compiuta con riferimento alla necessità non della costruzione o della manutenzione, ma dell'ingresso e del transito, nel senso che l'utilizzazione del fondo del vicino non è consentita ove sia comunque possibile eseguire i lavori sul fondo stesso di chi intende intraprenderli, oppure su quello di un terzo, con minore suo sacrificio.

Cass. civ. n. 20540/2020

L'art. 843 c.c., che riconosce al proprietario del fondo, sul quale venga eseguito l'accesso ed il passaggio per costruire o riparare opere del vicino o comuni, il diritto ad una congrua indennità nel caso in cui l'accesso gli produca un danno, delinea un'ipotesi di responsabilità da atto lecito che, sebbene prescinda dall'accertamento della colpa, esige tuttavia che il transito e l'accesso abbiano determinato un concreto pregiudizio al fondo interessato, fermo in ogni caso l'obbligo di ripristinare la situazione dei luoghi.

Cass. civ. n. 16776/2019

Gli accessi ed il passaggio che il proprietario deve permettere ex art. 843 c.c. costituiscono obbligazioni "propter rem" il cui soggetto passivo è solo il proprietario o il titolare di altro diritto reale del bene gravato.

Cass. civ. n. 5012/2018

Gli accessi e il passaggio che, ai sensi dell'art. 843 c.c., il proprietario deve consentire al vicino per l'esecuzione delle opere necessarie alla riparazione o manutenzione della cosa propria, dando luogo ad un'obbligazione "propter rem", non possono determinare la costituzione di una servitù, ma si risolvono in una limitazione legale del diritto del titolare del fondo per una utilità occasionale e transeunte del vicino, avente per contenuto il consenso all'accesso ed al passaggio che il soggetto obbligato è tenuto a prestare.

Cass. civ. n. 7768/2011

A norma dell'art. 843 c.c., il proprietario deve permettere l'accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare il muro o altra opera propria del vicino o comune; ove, però, nel relativo giudizio insorgano contestazioni, il giudice è tenuto a verificare l'esistenza dei presupposti che legittimano il vicino ad esercitare tale potere di accesso ovvero la liceità dell'opera.

Cass. civ. n. 1908/2009

In materia di rapporti di vicinato, la previsione dell'art. 843 cod. civ. - secondo cui il proprietario è tenuto a permettere l'accesso o il passaggio nel suo fondo al fine di consentire al vicino lo svolgimento di opere necessarie alla manutenzione del muro dell'immobile di sua proprietà - configura un'obbligazione "propter rem", cui corrisponde l'obbligo per il vicino di versare un'adeguata indennità, da liquidare in via equitativa ed anche in assenza di prova del danno, fermo restando l'obbligo per il medesimo di ripristinare lo stato dei luoghi ad opera finita.

Cass. civ. n. 28234/2008

In tema di accesso al fondo altrui per l'esecuzione di interventi edilizi (nella specie realizzazione di una canna fumaria), ai fini della verifica delle condizioni di cui all'art. 843 c.c., la valutazione comparativa dei contrapposti interessi delle parti deve essere compiuta con riferimento alla necessità non della costruzione o manutenzione, ma dell'ingresso e del transito, nel senso che l'utilizzazione del fondo del vicino non è consentita ove sia comunque possibile eseguire i lavori sul fondo stesso di chi intende intraprenderli, oppure su quello di un terzo, con minore suo sacrificio.

Cass. civ. n. 17383/2004

In tema di limitazioni legali della proprietà, gli accessi e il passaggio che, ai sensi dell'art. 843 c.c., il proprietario deve consentire al vicino per l'esecuzione delle opere necessarie alla riparazione o manutenzione della cosa propria, dando luogo a un'obbligazione propter rem non possono determinare la costituzione di una servitù. (Nella specie, la Corte ha escluso il possesso della servitù di passaggio invocata dai ricorrenti che avevano utilizzato il fondo del vicino collocandovi una scala attraverso cui raggiungevano — in mancanza di altri accessi — il lastrico solare dell'immobile di loro proprietà per eseguire i lavori di manutenzione o riparazione).

Cass. civ. n. 8544/1998

L'art. 843 c.c. che fa obbligo al proprietario di consentire l'accesso ed il passaggio nel suo fondo, sempreché ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune, costituisce norma di stretta interpretazione (art. 14 preleggi) e, pertanto, non comprende la possibilità di effettuare scavi nel fondo stesso nonché opere concernenti la parte del muro che è al di sotto del piano di campagna.

Cass. civ. n. 2274/1995

L'obbligo del proprietario di permettere, ai sensi dell'art. 843 c.c., l'accesso ed il passaggio nel suo fondo quando questi siano necessari per la costruzione o riparazione di un muro od altra opera propria del vicino o comune non si ricollega ad una servitù a carico della proprietà esclusiva ma ha i caratteri di un'obbligazione propter rem che si risolve in una limitazione legale del diritto del titolare del fondo per una utilità occasionale e transuente del vicino e che ha per contenuto la prestazione del consenso all'accesso ed al passaggio, che il soggetto obbligato è tenuto ad adempiere indipendentemente dall'accertamento del giudice, la cui eventuale pronuncia, non trattandosi della costituzione di un diritto in re aliena, è meramente dichiarativa e non costitutiva. (Nella specie, si trattava dell'accesso al tetto condominiale attraverso una mansarda del proprietario dell'ultimo piano per la manutenzione dell'antenna televisiva centralizzata e del vaso di espansione dell'impianto termico comune).

La necessità, di cui all'art. 843 c.c. subordina il diritto del vicino di accedere nel fondo altrui per costruire o riparare un muro od altra opera propria o comune, non deve essere riferita all'opera da compiere ma all'accesso ed al passaggio.

Cass. civ. n. 3222/1982

L'obbligo imposto dall'art. 843 c.c. al proprietario di consentire al vicino l'accesso al suo fondo, al fine di eseguire la costruzione e la riparazione di un muro e di altra opera, e la corrispondente facoltà riconosciuta al vicino medesimo di accedere al fondo per eseguire dette attività, hanno natura di limitazioni legali della proprietà e possono essere disciplinate, in base al principio della libera autonomia contrattuale, da apposite convenzioni concluse tra i proprietari interessati, sia per quanto attiene alle modalità di svolgimento e alla durata del passaggio, e all'eventuale occupazione del fondo, sia per quanto riguarda il pagamento di un'indennità, intesa come preventiva liquidazione del danno che potrebbe derivare al proprietario del fondo dal passaggio e dal protrarsi dell'occupazione.

Cass. civ. n. 774/1982

L'accesso al fondo del vicino — consentito dall'art. 843 c.c. qualora sia necessario per la costruzione di un'opera — permette implicitamente che l'accesso sia accompagnato dal deposito di cose, necessariamente strumentale alla costruzione, con la conseguenza che, a necessità terminata, deve essere eliminata, a cura e spese del depositante — cui, sin dall'inizio, fa carico l'obbligo del ripristino — ogni conseguenza implicante una perdurante diminuzione del diritto del proprietario del fondo vicino che, invece, deve riprendere la sua originaria ampiezza (salva l'indennità nel caso di danni).

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Consulenze legali
relative all'articolo 843 Codice Civile

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PIERO S. chiede
giovedì 09/05/2024
“Buongiorno, desidero un Vostro parere legale sul seguente fatto e ringrazio in anticipo.

L'assemblea straordinaria del Condominio si riunisce in seconda convocazione in data 15 aprile 2024. Non mi è possibile partecipare per motivi di salute e neppure do' delega (nel verbale proprietà S.). Ricevo il verbale il 3 maggio 2024 via PEC.
Dal verbale: (I nomi sono di fantasia in sostituzione dei veri nomi)." Intervenuti o rappresentati per delega n. 21 condomini su un totale di 29, rappresentanti 754,23 millesimi".
[...]
PUNTO 5° CASA B: DELIBERAZIONE IN MERITO INCAMICIAMENTO PLUVIALE CASA B ED INSTALLAZIONE IN OPERA NUOVO PLUVIALE ESTERNO LATO GIARDINI SUD.
I convenuti danno mandato all’amministratore a far incamiciare le tubazioni pluviali di raccolta acque meteoriche ove necessario e possibile. In primo luogo si provvederà a incamiciare il pluviale danneggiato e generante infiltrazioni a danno dei posti auto della proprietà L. La realizzazione dell’intervento risulta possibile solo ed esclusivamente eseguendo un intervento murario all’interno della proprieta' S. L’assemblea inoltre delibera a favore della realizzazione ed installazione di un tubo pluviale in rame esterno per il deflusso delle acque meteoriche del tetto lato giardini Sud."

L'assemblea poteva deliberare senza il mio consenso, lavori nella mia proprietà (S.)? Io ritengo di no e che la delibera sia nulla. E' corretto? Oppure è solo annullabile e mi conviene impugnare la delibera (entro il 2 giugno)? La "delibera" inoltre puo' essere ritenuta viziata anche nella forma, per il fatto che non riporta il numero dei votanti in quel momento, i favorevoli, i contrari e gli astenuti?”
Consulenza legale i 13/05/2024
L’art 843 del c.c. al suo primo comma, prevede espressamente che: "Il proprietario deve permettere l'accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune”.
Come facilmente intuibile, tale norma è largamente utilizzata in ambito condominiale: essa rappresenta l’unico caso in cui l’assemblea può autorizzare a colpi di maggioranza del tutto legittimamente l’esecuzione di interventi all’interno dei singoli appartamenti in proprietà esclusiva, possibilità questa che sarebbe altrimenti del tutto esclusa.

La ragione di questa importante deroga risiede nel fatto che l’accesso all’appartamento altrui deve considerarsi come necessario per effettuare la riparazione su un bene comune oppure su un bene di esclusiva proprietà del vicino (in questo senso chiarissima proprio in merito alle canne fumarie condominiali Cass.Civ., Sez.II, Ord. n.20555 del 19.07.2021).
La giurisprudenza a proposito del requisito della necessità del passaggio ha precisato che: "In tema di accesso al fondo altrui…, ai fini della verifica delle condizioni di cui all'art. 843 c.c., la valutazione comparativa dei contrapposti interessi delle parti deve essere compiuta con riferimento alla necessità non della costruzione o della manutenzione, ma dell'ingresso e del transito, nel senso che l'utilizzazione del fondo del vicino non è consentita ove sia comunque possibile eseguire i lavori sul fondo stesso di chi intende intraprenderli, oppure su quello di un terzo, con minore suo sacrificio” (Cass.Civ., Sez. II, Ord. n.18555 del 30.06.2021).

In applicazione di tale principio, nel caso specifico, se si vuole contestare in giudizio in maniera fruttuosa quanto deliberato dalla assemblea, è necessario capire se il passaggio nell’appartamento dell’autore del quesito sia imprescindibile al fine di procedere all’ incamiciamento della canna fumaria, o, comunque, se anche vi fossero soluzioni alternative a tale passaggio, queste, se applicate, comportino un eccessivo aggravio di spesa per il condominio.

Se così non fosse, è ovvio che quanto deliberato sarebbe nullo e quindi impugnabile in ogni tempo davanti all'autorità giudiziaria anche oltre il rigido termine perentorio previsto dall’art. 1137 del c.c.. Se, però, al contrario, il passaggio risultasse necessario, quanto deliberato deve considerarsi del tutto legittimo e, quindi, l’autore del quesito sarebbe obbligato a concedere l’ingresso nel suo appartamento da parte dell’impresa che dovrà eseguire i lavori.

Ad ogni modo, ai sensi del 2° comma dell’art. 843 del c.c., incomberebbe sul condominio l’obbligo di sobbarcarsi le spese necessarie per ripristinare lo stato dei luoghi nella situazione antecedente al passaggio, oltre all’obbligo di corrispondere una equa indennità all’autore del quesito, a patto che il passaggio abbia a lui cagionato un concreto pregiudizio (in questo senso Cass.Civ., Sez. II, Sent. n.20540 del 29.09.2020).
Con ogni probabilità la canna fumaria è un bene comune a tutti i partecipanti al condominio, ivi compreso l’autore del quesito: per tale motivo anche quest’ultimo dovrà partecipare pro quota in base ai millesimi al pagamento dei lavori di incamiciamento, i quali ,però, dovranno ricomprendere anche i costi dei lavori necessari per ripristinare lo stato dei luoghi nel suo appartamento.

Purtroppo, dalla lettura del verbale non emergono altri elementi a cui appigliarsi per una valida impugnazione della delibera assembleare.



C. R. chiede
venerdì 24/03/2023 - Lombardia
“Buongiorno,
da anni vivo in una abitazione di villa singola in zona residenziale, a fianco del confine a distanza regolamentare di 3 metri il vicino ha posizionato querce che nel tempo sono cresciute arrivando ad una altezza di 10/15/20 metri e forse più.
Il problema sta nel fatto che in ogni periodo dell'anno ho effetti di negativi derivanti da cadute delle infiorescenze, ghiande e soprattutto foglie da ottobre a gennaio che, complice il vento, ricoprono letteralmente il mio prato e il mio tetto.
Negli ultimi anni ho fatto più volte valutare la possibilità di installare un impianto fotovoltaico per il risparmio energetico ma la presenza di queste piante che fanno da barriera alla luce solare e soprattutto rilasciano una quantità di foglie enorme mi impedisce di effettuare tale opera.
Le domande sono due, la prima è in merito alla questione se devo accettare questa situazione molto penalizzante per il decoro della mia zona verde angustiata dalle cadute di un tappeto di foglie, infiorescenze e ghiande sulla mia proprietà.
La seconda più importante è se è corretto che non possa dotarmi di un impianto fotovoltaico perché, detto dai tecnici, verrebbe inficiato dalla enorme quantità di foglie che cadono nella mia proprietà che tra l'altro intasano completamente le gronde e i tubi pluviali obbligandomi tutti gli anni a interventi di rimozione delle stesse.
Le querce sono piante notoriamente molto robuste ma non nego che quando ci sono eventi climatici molto forti, come in questi ultimi anni, non nego di avere timore che stesse possano cadere sulla mia abitazione
Ringrazio per la cortese attenzione.”
Consulenza legale i 31/03/2023
La normativa civilistica in tema di tutela della proprietà stabilisce le distanze a cui devono essere piantati gli alberi dal fondo del vicino e gli strumenti per garantire che i rami o le radici non invadano la proprietà altrui.

L’art. 892 comma 1 n. 1 del c.c., prevede che gli alberi ad alto fusto rispettino la distanza minima di 3 m dal confine; in caso queste misure non siano rispettate, il proprietario confinante può chiedere di abbatterle.
La quercia del presente quesito pare che siano state piantate alla distanza legale e quindi non è possibile chiederne l’abbattimento sebbene costituisca un disturbo e un impedimento.

In caso in cui le piante siano poste alla distanza minima prevista dalla legge ma abbiano rami o radici che invadono o protendono sul fondo del vicino, l’art. 896 del c.c. prevede la possibilità per il proprietario che subisce l’invasione, di chiedere di recedere i rami o le radici.
Tale diritto è imprescrittibile e permette sempre al proprietario del fondo su cui protendono i rami, di chiederne la potatura.
Si segnala questo mezzo di tutela pur non sapendo se nel caso di specie ci siano i rami che invadono il terreno di proprietà altrui.

Lo stesso articolo stabilisce che i frutti caduti appartengono al proprietario dell’albero, il quale ha diritto di accedere sul fondo altrui per raccogliere la cosa di sua proprietà ai sensi dell’art. 843 del c.c..
Colui che deve permettere l’accesso, avrà diritto a un’indennità qualora l’accesso cagioni un danno.

Questa circostanza costituisce un atto lecito dannoso che dà diritto, a chi lo subisce, ad un’indennità.
Tale figura giuridica è stata coniata dalla giurisprudenza e dalla dottrina per poter regolare i rapporti tra le parti con diritti diversi, entrambi meritevoli di tutela.
A tal proposito la Corte di Cassazione ha stabilito, proprio riguardo all’accesso al fondo ai sensi dell’art. 843 c.c., che costituisce “responsabilità da atto lecito dannoso, basato sull' insorgenza di un obbligo indennitario in capo al proprietario autore di un pregiudizio non antigiuridico alla sfera giuridica del proprietario confinante” (Cass. civ. n. 25292/2015).
Il principio alla base è quello di tutela del diritto alla proprietà privata previsto dall’art. 42 Cost. e può essere applicato per analogia anche ad altre fattispecie, come afferma anche la sentenza appena citata.

Qualora, quindi, non sia possibile abbattere un albero perché posto a distanza legale o tagliare i rami perché non protendono sul fondo altrui, si potrebbe ipotizzare che la caduta delle foglie sul terreno del vicino costituisca un atto lecito dannoso.
Infatti, entrambe le parti hanno diritto di tutelare il proprio fondo, una con il mantenimento della pianta posta a distanza legale e che non protende nel terreno altrui, l’altra evitando di dover raccogliere un copioso numero di foglie che impedisce il posizionamento di pannelli solari.

La giurisprudenza ha escluso che la caduta delle foglie sul fondo del vicino sia lesiva ai sensi dell’art. 2051 del c.c. per responsabilità da cose in custodia e dia quindi vita ad un diritto al risarcimento del danno, perché l’evento (caduta) è un fenomeno naturale e inoffensivo e la cosa (pianta) non costituisce un pericolo (Cass. civ. n. 17493/2007).
Se la pianta dovesse però mostrare segni di malattia o instabilità diventerebbe si un pericolo e in quel caso si potrebbe valutare di instaurare un procedimento per denuncia di danno temuto ai sensi dell’art. 1172 del c.c..
Non sembra che sussistano i presupposti al momento per intraprendere questa azione ma se ne segnala l’esistenza.

La richiesta di un’indennità per atto lecito dannoso non risolve però il problema costituito dalla difficoltà, se non impossibilità, di installare i pannelli solari.
Si consiglia, quindi, di valutare attentamente come agire visto quello che è l’obiettivo finale.

Per quanto riguarda, invece, quanto detto dai tecnici sull’opportunità o meno di posizionare i pannelli sul tetto, si segnala che non si rileva alcun profilo giuridico per poter contrastare questa analisi dello stato dei luoghi e si ritiene che sia necessario affidarsi a quanto detto dai tecnici, eventualmente sentendo anche differenti pareri.

S.B. chiede
mercoledì 25/08/2021 - Lombardia
“Sono proprietario di una villetta unifamiliare a schiera di 2 piani più sottotetto e seminterrato.
Accanto alla mia proprietà vi è un condominio di 6 piani contiguo (condominio precedentemente villetta a schiera simile alla mia poi trasformata in condominio moltissimi anni fa).
Naturalmente gli edifici anno 2 facciate una interna ed una esterna contigue.
Volendo il condominio ristrutturare la facciata interna sarebbe obbligato (lo affermano) ad appoggiare il ponteggio sul mio balcone interno attiguo in quanto altrimenti dovrebbero appoggiarsi su di un tetto di un ex giardino poi ex laboratorio ed infine appartamento, tetto che cosi come è non reggerebbe il peso del ponteggio se non sfondandolo e creando un supporto in cemento con notevole spese per demolizione parziale, gettata di cemento per appoggio e seguenti rifacimenti.
I lavori prevedono una durata di 90 giorni con inizio primi settembre.
Specifico che l'appoggio è di notevoli dimensioni mi impedisce l'accesso ad un armadio con 3 doppie ante grandi con scope e molto altro di uso quotidiano ed anche l'uscita verso il balcone di un bagno per ospiti.
Naturalmente vi sarà spostamento bidoni immondizia e vasi grandi e piccoli di piante.
Ho fatto dare al mio commercialista ok di massima che allego ma mi sono pentito di non avervi chiesto quali sono i miei diritti eventuali indennità dato il disagio per lungo tempo.
Ho anche due gatti che saranno privati del loro terrazzo.”
Consulenza legale i 06/09/2021
La norma di riferimento per risolvere il presente quesito è costituita dall’art. 843 c.c., il quale, dopo aver stabilito che il proprietario deve permettere l'accesso e il passaggio nel proprio fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune, precisa - alquanto sinteticamente - che, “se l'accesso cagiona danno, è dovuta un'adeguata indennità”.
Non ci soffermeremo, in questa sede, sul presupposto della necessità del passaggio (se non altro perché il consenso è già stato dato, e la necessità stessa non appare contestata), ma ci limiteremo ai presupposti dell’indennità prevista dalla disposizione in commento.
Una recente pronuncia della Cassazione (Sez. II Civ., sentenza 29/09/2020, n. 20540) ha ribadito che quella prevista dall’art. 843 c.c. costituisce un'ipotesi di “responsabilità da atto lecito”, che prescinde dall'accertamento della colpa.
Tuttavia - precisa la Corte - è necessario che il transito e l'accesso abbiano determinato un concreto pregiudizio al fondo interessato (sembrerebbe, dunque, non un semplice disagio). Va detto, però, che nel caso specifico esaminato dalla sentenza, l'accesso aveva determinato l'occupazione per un periodo limitato di una parte ridotta di un cortile, senza alcun pregiudizio per le facoltà di uso dell'area da parte degli altri comproprietari).
Rimane “fermo in ogni caso l'obbligo di ripristinare la situazione dei luoghi”.
Possiamo allora fare riferimento a quanto affermato dalla meno recente Cass. Civ., Sez. II, sent. 27/01/2009, n. 1908: “sul punto si rilevano due opposte correnti di pensiero, a cui fanno capo due differenti orientamenti giurisprudenziali [...]: l'una ritiene che l'indennità debba essere liquidata solo in caso di danni, poiché l'accesso al fondo del vicino, per la esecuzione di un'opera, permette implicitamente che l'accesso sia accompagnato dal deposito di cose strumentali all'esecuzione dell'opera, con il conseguente obbligo del depositante di provvedere, a sua cura e spese, al ripristino dello status quo ante, di tal che collega l'indennità all'ipotesi di danni ulteriori oltre quelli connessi alla semplice occupazione del suolo; l'altra ritiene che l'obbligo imposto dall'art. 843 c.c., al proprietario di consentire al vicino l'accesso al suo fondo per la costruzione o riparazione di un'opera e la corrispondente facoltà riconosciuta al vicino di accedere al fondo attiguo allo stesso fine, hanno natura di limitazioni legali della proprietà e intende, invece, l'indennità come preventiva liquidazione del danno che potrebbe derivare al proprietario del fondo dal passaggio e dal protrarsi dell'occupazione”.
Ciò premesso, così conclude la Corte: “atteso che la dottrina dominante considera l'obbligo del proprietario di consentire l'accesso o il passaggio del vicino come espressione di un'obbligazione propter rem, appare più confacente alla lettera della legge, considerare l'espressione "indennità" in riferimento ad un danno provocato da liquidarsi in via equitativa, fermo restante l'obbligo del vicino di ripristinare lo stato dei luoghi ad opera finita”.

DR. M. S. chiede
mercoledì 04/11/2020 - Lombardia
“Ho la proprietà di un appartamento in una palazzina di 4 appartamenti su 2 piani con giardino. La proprietà dispone di 2 ingressi: un cancelletto per l' accesso all'androne dello stabile dal quale si accede ai vari appartamenti ed un cancello adatto al passaggio di mezzi per entrare nel giardino. Giardino interamente di proprietà di uno dei condomini. Ovviamente mi spetta la servitù di passaggio che mi consente di accedere dal cancelletto all'androne ed all'appartamento di mia proprietà. Ora devo fare dei lavori di ristrutturazione ed un camioncino dell'impresa che ho scelto dovrebbe portare i materiali da utilizzare ed asportare i detriti. La via che porta al civico della palazzina dove ho la proprietà è molto stretta con divieto di sosta permanente. Un camioncino fermo per operazioni di scarico e carico bloccherebbe la circolazione nella via stessa anche se poco trafficata.
Chiedo: posso far valere una temporanea servitù che consenta alla mia impresa di far accedere un mezzo nel giardino di proprietà altrui, con mia responsabilità per eventuali danni a cose o persone, in modo da poter eseguire le operazioni di carico, scarico ed asporto di materiali ? Ergo: mi può essere negato categoricamente e legalmente l'accesso temporaneo al giardino di proprietà altrui durante lo svolgimento dei lavori di ristrutturazione del mio appartamento ?”
Consulenza legale i 11/11/2020
La soluzione al presente quesito va ricercata in una norma specificamente dettata per risolvere potenziali conflitti di questo tipo.
Si tratta dell’art. 843 del c.c., intitolato “accesso al fondo”, il quale stabilisce, innanzitutto, che il proprietario deve permettere l'accesso e il passaggio nel suo fondo, quando questi abbiano lo scopo di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune.
Tale obbligo è subordinato, secondo la disposizione in esame, alla riconosciuta “necessità” dell’accesso e del passaggio.
Peraltro, secondo l’opinione dominante, non si tratta tecnicamente di una servitù; lo ha chiarito anche la giurisprudenza (v. Cass. Civ., Sez. II, 5012/2018), secondo cui “gli accessi e il passaggio che, ai sensi dell'art. 843 c.c., il proprietario deve consentire al vicino per l'esecuzione delle opere necessarie alla riparazione o manutenzione della cosa propria, dando luogo ad un'obbligazione "propter rem", non possono determinare la costituzione di una servitù, ma si risolvono in una limitazione legale del diritto del titolare del fondo per una utilità occasionale e transeunte del vicino, avente per contenuto il consenso all'accesso ed al passaggio che il soggetto obbligato è tenuto a prestare”.
Quanto agli eventuali danni al fondo del vicino, anch’essi vengono contemplati dalla norma in esame, la quale prevede che, in tale ipotesi, è dovuta un'adeguata indennità.
La Cassazione ha precisato che tale indennità può essere liquidata in via equitativa ed anche in assenza di prova del danno, fermo restando l'obbligo di ripristinare lo stato dei luoghi ad opera finita (Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 1908/2009).
Concludendo, in presenza delle condizioni previste dall’art. 843 c.c., il vicino non potrà negare l’accesso ed il passaggio.

Per completezza, va segnalato, però, che esiste anche un orientamento giurisprudenziale piuttosto rigoroso nella valutazione della necessità dell’accesso: così Cass. Civ., Sez. II, n. 1801/2007, secondo cui “ai fini del riconoscimento della necessità cui l'art 843 cod. civ. subordina la concessione dell'accesso sul fondo altrui, occorre che il giudice del merito proceda ad una complessa valutazione della situazione dei luoghi, al fine di accertare se la soluzione prescelta (accesso e passaggio per un determinato fondo altrui) sia l'unica possibile o, tra più soluzioni, sia quella che consente il raggiungimento dello scopo (riparazione o costruzione) con minor sacrificio sia di chi chiede il passaggio, sia del proprietario del fondo che deve subirlo. Ne consegue che, ove egli pervenga alla conclusione che il richiedente possa procurarsi "aliunde" l'invocato passaggio, con disagi e costi quanto meno pari a quelli che subirebbe il proprietario del fondo che dovrebbe subire il passaggio stesso, deve escludersi la sussistenza del requisito della necessità”.

Claudio M. chiede
giovedì 20/08/2020 - Trentino-Alto Adige
“Fermo restando il diritto del vicino ad entrare nel mio fondo per eseguire lavori di manutenzione al proprio muro, sempre che non vi siano valide alternative, per ovviare a tale accesso, CHIEDO: io proprietario devo essere avvertito di tale invasione? Se l'avvertimento non fosse stato eseguito, posso denunciare il vicino per violazione della mia proprietà? Si ringrazia”
Consulenza legale i 26/08/2020
La questione prospettata viene affrontata da una specifica norma del codice civile, e precisamente l’art. 843 c.c., in forza della quale il legislatore ha inteso salvaguardare interessi privati socialmente apprezzabili, ponendo una deroga ben precisa al generale potere del proprietario di impedire l’accesso al fondo da parte di terzi, riconosciutogli dall’art. 832 del c.c..

Sotto il profilo della natura del diritto che può vantare il terzo interessato ad accedere al fondo altrui, si nega concordemente che tale diritto configuri un’ipotesi di servitù legale, mentre prevale, sia in dottrina che in giurisprudenza, la tesi che lo qualifica come una obbligazione propter rem, ossia come una obbligazione strettamente connessa alla titolarità del diritto di proprietà sul fondo a cui il terzo ha diritto di accedere.

Trattasi, più precisamente, di una obbligazione funzionale al soddisfacimento di una utilità occasionale e transeunte del vicino, consistente appunto nel dovere di consentire l’accesso e la correlata momentanea occupazione degli spazi necessari al compimento delle operazioni di manutenzione e rifacimento del muro.

Proprio in considerazione del fatto che debba qualificarsi come obbligazione e non come servitù, il proprietario del fondo è tenuto (obbligato) a prestare il consenso in favore del terzo che lo richieda ex art. 843 c.c., mentre, in assenza di consenso, l’ingresso nel fondo altrui diviene illecito e si esclude che il vicino possa esercitare a tutela del suo diritto l’azione di reintegrazione.
In tal senso è orientata la giurisprudenza prevalente, tra cui possono citarsi Cass. 1578/1987, Cass. 2274/1995, Cass. 7694/1997, Cass. 10474/1998, Cass. 16482/2002, Cass. 17383/2004 e da ultimo Cass. 5012/2018.

Tuttavia, malgrado questo sia l’orientamento prevalente, va anche detto che, secondo una minoritaria corrente dottrinale e giurisprudenziale, il potere di accesso al fondo altrui, seppure non determini la costituzione di un c.d. jus in re aliena (ossia il diritto ad ottenere il consenso all’accesso), deve qualificarsi come una sorta di limitazione legale della proprietà, la cui applicazione, in caso di contestazione, va accertata mediante una sentenza dichiarativa (e non costitutiva) di quel diritto.
Conseguenze dell’accoglimento di tale tesi sono:
  1. è da considerare illecito l’eventuale impedimento preposto dal proprietario del fondo al comportamento del vicino;
  2. va riconosciuto alle parti, in forza del principio dell’autonomia contrattuale, il potere di fissare convenzionalmente, ossia di comune accordo, la durata e le modalità del passaggio (così Cass. 1578/1987 e Cass. 3222/1982);
  3. in presenza dei presupposti indicati dalla norma, dovrebbe riconoscersi al terzo il diritto di entrare nel fondo altrui anche senza il consenso del proprietario, integrando tale comportamento una sorta di autotutela del proprio diritto;
  4. si ammette il ricorso alla procedura d’urgenza ex art. 700 del c.p.c. per salvaguardare il diritto di accedere al fondo contro il proprietario che si oppone.

Dopo aver esaminato a grandi linee l’aspetto teorico della questione, non resta adesso che occuparsi della soluzione pratica da adottare.
Si ritiene sia abbastanza chiaro che, comunque si voglia qualificare il diritto di accedere al fondo altrui ex art. 843 c.c. (obbligazione propter rem o limitazione legale della proprietà), non può in ogni caso prescindersi da una preventiva richiesta di accesso, manifestata anche a mezzo di un semplice avvertimento.

L’assenza di tale richiesta, pur in presenza dei presupposti individuati dalla norma in esame, rende indubbiamente illecito il comportamento del vicino, il quale corre così il rischio di integrare la condotta di invasione di terreni e/o edifici altrui, quale delineata dall’art. 633 del c.p..

Solo una esplicita richiesta di consenso, invece, seguita dalla opposizione del proprietario del fondo all’interno del quale accedere, legittima il vicino che deve eseguire i lavori al muro a:

  1. ricorrere all’autorità giudiziaria per ottenere un provvedimento che l’autorizzi all’accesso (se si aderisce alla tesi della obbligazione propter rem).
Nel corso di tale giudizio, il giudice dovrà procedere ad una complessa valutazione della situazione dei luoghi, al fine di accertare se la soluzione prescelta (accesso e passaggio per un determinato fondo altrui) sia l’unica possibile o, tra più soluzioni, sia quella che consente il raggiungimento dello scopo (riparazione o costruzione) con minor sacrificio sia di chi chiede il passaggio sia del proprietario del fondo che deve subirlo.
In conseguenza di tale accertamento, qualora il giudice pervenga alla conclusione che il richiedente possa procurarsi in altro modo il passaggio, con disagi e costi almeno pari a quelli che subirebbe il proprietario del fondo che dovrebbe subire il passaggio stesso, deve escludersi la sussistenza del requisito della necessità (così Cass. civ. Sez. II sent. 29.01.2017 n. 1801).

  1. accedere al fondo ponendo in essere una sorta di autotutela del suo diritto o richiedere all’autorità giudiziaria un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. (se si aderisce alla tesi della limitazione legale della proprietà).

In ogni caso è ben possibile che le parti, nell’esercizio del loro potere di autonomia contrattuale, fissino durata e modalità dell’accesso, eventualmente facendone espressa richiesta al giudice, qualora non riescano a raggiungere un accordo in tal senso.


Alfredo O. chiede
mercoledì 26/02/2020 - Sardegna
“Buona sera.
Nel palazzo in cui abito abbiamo deciso di ristrutturare i balconi (aggettanti) e un cornicione condominiale. Io abito al primo piano, non ho balconi, ma un terrazzo nel quale si dovrà montare il ponteggio. L'amministratore ha fatto la ripartizione delle spese condominiali, quindi ponteggio, frontalino dei balconi e cornicione ecc. Gli altri condomini proprietari dei balconi si devono ristrutturare i balconi per le parti private, calpestio ringhiere (senza fregi) ecc.... La domanda è questa: ex art 843 c.c. posso chiedere che il ponteggio venga smontato fissando un termine per le opere condominiali , o devo aspettare che gli altri condomini si ripristinino le parti private del loro balcone, sfruttando l'impalcatura pagata con i millesimi di proprietà e creandomi non pochi disagi?

Volevo inoltre chiedere se io mi posso opporre ad un eventuale cantiere lavori sul mio terrazzo.

Distinti Saluti
Alfredo O.”
Consulenza legale i 01/03/2020
L’ art 843 del c.c. prevede l’obbligo del proprietario di acconsentire il passaggio sul fondo di sua proprietà quando risulti necessario per riparare o costruire un bene del vicino oppure comune.
Innanzitutto è opportuno precisare che il concetto di fondo a cui la norma fa riferimento deve essere inteso in senso molto ampio, dovendosi ricomprendere pacificamente in tale concetto non solo gli appezzamenti di terreno agricolo, ma anche le unità immobiliari ricomprese in un edificio condominiale.
Tale lettura fa sì che la norma in esame trovi ampia applicazione nel momento in cui si debbano concretamente eseguire lavori di ristrutturazioni delle parti comuni o delle parti in proprietà esclusiva del condominio. In tal caso, fino a che punto dobbiamo sopportare la presenza di ponteggi, muratori e materiali edili nella unità immobiliare di nostra proprietà per permettere la ristrutturazione di parti comuni o dell’appartamento del nostro vicino?
L’art. 843 del c.c., condiziona l’obbligo del passaggio sul fondo, al fatto che lo stesso risulti necessario, e su tale aspetto si sono soffermati i i giudici, con particolare riferimento ai lavori svolti in un contesto condominiale.
La giurisprudenza in maniera pressoché costante precisa che la necessità deve riferirsi non ai lavori in sé per sé considerati, ma al passaggio sul fondo, il quale deve risultare necessario per la esecuzione dei lavori. Il requisito della necessità, precisa Cass. Civ., Sez.II, n.685 del 16.01.2006, deve essere inteso nel senso che si deve osservare un equo contemperamento degli opposti interessi tra chi deve effettuare passaggio e il proprietario che lo subisce. In altri termini, i giudici richiedono che si tenga conto della soluzione che pur permettendo al cantiere di portare a termine quanto commissionato, dall’altro lato crei meno disagio possibile al proprietario che tale cantiere deve sopportare.
In questo senso, però, La Corte di Appello di Reggio Calabria con l’interessante sentenza n.632 del 13.05.2019, ha precisato che comunque ai fini della valutazione dei contrapposti interessi deve prevalere la soluzione che richieda il minor sacrificio per colui che chiede il passaggio e l’accesso.

Sul tema del requisito della "necessità" richiesto dall’art. 843 del c.c., non vi è quindi una giurisprudenza univoca che possa fornire indicazioni chiare, e non può che essere così, poiché, nel momento in cui il giudice è chiamato a valutare tale requisito, non può che parametrarlo alle esigenze del singolo caso concreto.

Alla luce di quanto finora detto possiamo dire che sicuramente l’autore del quesito dovrà sopportare la presenza dei ponteggi per la ristrutturazione dei manufatti siti sopra il proprio terrazzo, e in questo senso si pensa in particolar modo al cornicione dell’edificio condominiale; in merito alla riparazione dei balconi sottostanti, ci pare che possa ritenersi legittima la richiesta di smontare parzialmente il ponteggio per la porzione di piano in cui i lavori sono già terminati, sempre che tale richiesta non rallenti eccessivamente i lavori e non comporti una lievitazione dei costi di noleggio di tale strumento edile.

Uguale discorso può essere fatto in merito alla presenza del cantiere lavori, il quale dovrà essere per forza di cose essere presente per tutto il tempo necessario alla riparazione di manufatti condominiali e non posti al di sopra della unità immobiliare dell’autore del quesito, ma che potrà poi trovare una diversa collocazione nel momento in cui i lavori "scenderanno" di piano in piano.


Giampiero B. chiede
venerdì 21/02/2020 - Liguria
“Servitù di passaggio delle acque di fognatura.
Località di mare posta sulla collina di un famosa e rinomata città del levante ligure.
Fondo dominante = FD sta in alto e confina con il terreno fatto di 3 terrazze di terra coltivate a giardino del mio Fondo servente =FS che quindi sta in basso. I tubi dello scarico delle acque di fognatura passano attraverso i muri di sostegno delle terrazze e sotto il terreno delle stesse prima di arrivare alla rete fognaria in strada comunale.
La servitù esiste da più di 40 anni, e non è in discussione.
Poiché per problemi di intasamento di questi tubi (per lo più provocati, oltre che dal logorio degli anni dalle “barbe” delle piante che insistono sulle mie terrazze (olivi e qualche piccolo albero da frutto), il FD ha chiesto di intervenire sul mio FS per avviare lo sblocco e la sostituzione parziale (o totale ?) dei tubi intasati o marci o rotti.
Permesso al momento accordato, con la richiesta di essere presente ai lavori di scavo, sostituzione e ripristino che dovrebbero iniziare nei primi gg della prossima settimana.
Domanda: poiché questi lavori saranno abbastanza invasivi, con scavi sul terreno adibito a giardino e, ancor più pesante come conseguenza, con la rimozione di parte del rampicante sempreverde sui tre muri di contenimento (il ficus repens il quale ci metterà anni prima di poter ripristinare la situazione originaria oppure anche che potrebbe soffrirne particolarmente o rendere particolarmente visibile lo sfregio dovuto all’intervento) chiedo se è giusto che il FD oltre a doversi accollare le spese per l’intervento (e ci mancherebbe, visto che il FS, come detto, non riceve alcun vantaggio ma solo danni anche permanenti) debba risarcire il FS per “le conseguenze ” sopra descritte oltre che per i disagi di un piccolo cantiere sulle nostre terrazze (per esempio l’erba ne verrebbe irrimediabilmente calpestata, la sporcizia etc. etc.).
La mia richiesta di risarcimento è legittima? E in caso affermativo, come si possono quantificare questi danni, essendo per lo più dovuti ad un disagio temporaneo e ad una valutazione estetica soggettiva o quantomeno difficilmente oggettivabile, se non con una perizia ex post ?
Spero di aver rappresentato in modo sufficientemente chiaro la situazione. Non voglio creare un casus belli col vicino ma nello stesso tempo mi chiedo se, appunto io non abbia diritto ad un risarcimento per degli interventi che in ogni caso recheranno uno sfregio per diversi anni alle mie terrazze-giardino ed ai muretti ricoperti dal sempreverde. Attendo quindi con ansia il vostro parere, che solleciterei in quanto i lavori sopra descritti dovrebbero partire proprio nei primissimi giorni della prossima settimana.”
Consulenza legale i 28/02/2020
La soluzione al quesito va ricercata nel disposto dell’art. 843 del c.c.
La norma in questione prevede che il proprietario deve permettere l'accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune.
Nel nostro caso, sembra che sussistano i presupposti per l’accesso al fondo, che in effetti è stato concesso.
Il secondo comma dell’articolo precisa che, se l'accesso cagiona danno, è dovuta un'adeguata indennità.
Ora, il codice utilizza il termine “indennità” anziché “risarcimento del danno” perché in questo caso l’eventuale danno al fondo non deriva da un comportamento antigiuridico, ma da un’attività lecita, che il proprietario del fondo in ipotesi danneggiato ha l’obbligo di consentire.
La giurisprudenza, anche di merito, lo ha chiarito più volte: ad esempio secondo Corte d'Appello Napoli, Sez. III, sent. 09/05/2019, “l'art. 843 c.c., nel prevedere l'obbligo di corrispondere un'adeguata indennità se l'accesso al fondo, resosi necessario al fine di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune, ha cagionato danno, costituisce una fattispecie riconducibile al modello della responsabilità da atto lecito dannoso, basato sull'insorgenza di un obbligo indennitario in capo al proprietario autore di un pregiudizio non antigiuridico alla sfera giuridica del proprietario confinante, e mira ad evitare, in una logica di conciliazione di opposti interessi, che l'attività connessa alla costruzione o alla riparazione dell'opera propria o comune si risolva in uno svantaggio per un altro proprietario, e ciò pur al di fuori di condotte stricto sensu illecite”.
Quanto ai criteri per la quantificazione dell’indennità, la stessa Corte di Cassazione ha affermato che essa va liquidata “in via equitativa ed anche in assenza di prova del danno”, e che in ogni caso colui che effettua l’accesso ha l'obbligo di ripristinare lo stato dei luoghi ad opera finita (Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 1908/2009).
Altra pronuncia di merito (Tribunale Roma, Sez. VII, 13/05/2009) ha aggiunto che “l'indennità è limitata ai soli danni materiali subiti dal fondo in conseguenza diretta ed immediata dell'accesso e di altre attività inerenti e conseguenti”.
Naturalmente sarà opportuno tentare di concordare col vicino, al termine dei lavori, l’importo dell’indennità per eventuali danni. In caso di disaccordo la decisione ultima sarà, inevitabilmente, rimessa al giudice.
Ad ogni modo è bene che l’esecuzione dei lavori venga sorvegliata, magari con l’assistenza di un tecnico, e che ad opera finita venga effettuato un accurato sopralluogo. Infine, appare indispensabile anche documentare fotograficamente lo stato dei luoghi, sia precedente che successivo all’esecuzione degli interventi.

Manuela M. chiede
venerdì 19/07/2019 - Lazio
“In Italia sono proprietaria di un appartamento all'ultimo piano ad uso esclusivo con terrazzo calpestabile, anch'esso ad uso esclusivo. Si devono effettuare dei lavori per eliminare infiltrazioni piovane attraverso il bocchettone all'abitazione sottostante, al cornicione esterno, ammalorato e gonfio di umidità, e in camera mia anch'essa danneggiata da infiltrazioni provenienti dal lastrico solare.
Il condominio non delibera tutti i lavori da eseguire, ma solo una piccola parte, pretendendo di passare attraverso il mio appartamento e richiedendo in via di giudizio la servitù coattiva sul mio appartamento.
Faccio presente che il palazzo è circondato da tre strade pubbliche, con possibilità di parcheggio per un cestello o per la costruzione di un castelletto. Inoltre per i lavori del cornicione è necessario un castelletto.
In sono residente in Germania.
Se, si va in giudizio, quante sono le probabilità di ritrovarmi un’abitazione condominiale?
Io non sono d’accordo a cedere il passo visto che nel mio contratto di compravendita (da 40 anni) non esiste il passaggio di servitù.
Può il condominio trasformare il mio appartamento in cantiere edile per la durata dei lavori?
Grazie”
Consulenza legale i 29/07/2019
Casi come questo vedono contrapposti da un lato il diritto del condominio all’esecuzione di opere qualificate come necessarie e utili e dall’altro il diritto del singolo condomino di godere e disporre del proprio bene in modo pieno ed esclusivo (così art. 832 del c.c.).

Come ben noto, tuttavia, vi sono dei casi in cui il diritto di proprietà può subire delle limitazioni anche contro la volontà del suo titolare (basti pensare alle norme che il legislatore detta in tema di espropriazione).
Nella materia che ci riguarda norma di riferimento è l’art. 843 c.c., la quale impone al proprietario di un fondo (ove il termine fondo deve intendersi in senso ampio e, dunque, riferito anche all’appartamento condominiale) di consentire il diritto di accesso al vicino che abbia necessità di eseguire opere su beni di sua pertinenza.
Quello del vicino, nel nostro caso il condominio, è un diritto che non necessità di una preesistente servitù di passaggio, il che comporta che non può avere alcuna rilevanza il fatto che nel titolo di proprietà non sia contemplata una tale specie di servitù.
Anzi, la giurisprudenza, chiamata a pronunciarsi su casi simili a questo, ha precisato che il diritto riconosciuto a colui che chiede di ottenere l’accesso all’altrui proprietà privata con persone e materiali, non può qualificarsi come servitù a carico della proprietà esclusiva, poiché presenta piuttosto il carattere di obbligazione propter rem, che si risolve in una limitazione legale del diritto del titolare dell’appartamento per un’utilità occasionale del vicino.

Dispone espressamente l’art. 843 c.c. che, perché possa riconoscersi sussistente un diritto di tale tipo, deve presentarsi una necessità assoluta di accesso e passaggio con uomini, attrezzi e materiali dalla proprietà altrui e che il proprietario che ne viene gravato ha in ogni caso diritto ad una adeguata indennità se l’accesso e il passaggio gli cagionano dei danni.
La necessità presuppone l’assenza di accessi alternativi per l’esecuzione delle opere ed il diritto di pretendere l'accesso è tutelabile anche in via d’urgenza ex art. 700 del c.p.c..

Non esiste, a tal proposito, una definizione legislativa di necessità; si rinviene una lontana pronuncia della Corte di Cassazione (e precisamente Cass. n. 3494/1975) in cui è detto che “ ai fini della riconosciuta necessità, cui l’art. 843 c.c. subordina la concessione dell’accesso sul fondo altrui, occorre che il giudice del merito proceda ad una complessa valutazione della situazione dei luoghi, al fine di accertare se la soluzione prescelta (accesso e passaggio per un determinato fondo altrui) sia l’unica possibile o, tra più soluzioni, sia quella che consente il raggiungimento dello scopo (riparazione o costruzione) con minor sacrificio sia di chi chiede il passaggio, sia del proprietario del fondo che deve subirlo”.

E’ chiaro che, qualora venga riconosciuto giudizialmente un tale diritto, non è possibile predeterminare forfettariamente il danno o la misura dell’indennizzo, richiedendo ciò una valutazione da compiere caso per caso, che può anche essere rimessa, in mancanza di accordo delle parti, alla valutazione equitativa del giudice.
In ogni caso, il pagamento di tale indennità deve prescindere dal risarcimento di eventuali danni provocati per colpa o per l’occupazione invasiva del fondo.
Facendo applicazione dei principi surriferiti e stando, ovviamente, a quanto asserito nel quesito, può ipotizzarsi come molto probabile che, in mancanza di volontario consenso all’accesso, il Giudice investito della questione dovrebbe in questo caso ritenere insussistenti i presupposti della necessità assoluta che l'art. 843 c.c. richiede per imporre l’obbligo, da far valere anche coattivamente, di accedere all’appartamento in proprietà esclusiva di uno dei condomini.
La necessità, infatti, si ritiene che possa essere agevolmente esclusa, poiché i lavori potrebbero essere ugualmente eseguiti avvalendosi di un cestello o montando un ponteggio, opere peraltro da realizzare sulla pubblica via, senza limitare il godimento della proprietà di alcun altro condomino.

Nella malaugurata ipotesi che il giudice dovesse convincersi del contrario e autorizzare l’ingresso, anche coattivo, nel proprio appartamento, si consiglia di richiedere l’esibizione di polizza assicurativa delle maestranze, nonché una dichiarazione di manleva di responsabilità in proprio favore con contestuale esibizione del contratto d’opera stipulato dal condominio.

Non può escludersi la possibilità che il regolamento di condominio detti specifiche disposizioni per tali casi, imponendo l’obbligo di consentire l’accesso all’interno dei singoli appartamenti per svolgere lavori di natura condominiale.
In questi casi, tuttavia, occorrerà verificare che si tratti di regolamento di origine contrattuale (richiamato in quanto tale nei contratti di trasferimento delle singole unità immobiliari), non potendo esplicare alcuna efficacia in tal senso il regolamento che sia frutto di una semplice delibera assembleare.


William R. chiede
mercoledì 20/04/2016 - Veneto
“Buon giorno .
Faccio seguito al quesito n 15852, e vostra cortese risposta.
Mi sembra opportuno specificare che il livello originario tra il condominio e la mia proprietà erano uguali, solo in seguito alla costrizione di questo il livelle del terreno del condominio è stato alzato. Nelle vostra spiegazione, non mi sembra risulti contemplata tale situazione.
Il muro di sostegno è stato messo in sicurezza con idonei tiranti, indi l’urgenza prospettata, non esiste più. Comunque considerando che i lavori fatti su entrambe le parti sarebbero più agevoli e meno dispendiosi, dare l’accesso potrebbe / dovrebbe essere un obbligo in considerazione della ridotta mobilità dei mezzi nella proprietà vicina.
Sorgono quindi dei problemi di ordine pratico. Lo scavo delle fondazione delle muro comporterebbe che il terreno di risulta venga portato via o depositato sul terreno di mia proprietà essendo lo spazio disponibile del condominio veramente esiguo.
(Ho l’obbligo di detenere il terreno del condominio in deposito, visto che mi stravolgerebbe l’intero piazzale composto da stabilizzato che si impasterebbe col terreno stesso ?)
L’intervento potrebbe forse comportare il rifacimento di parte della fognatura e sottoservizi del condominio, con conseguenze di possibili svernamenti sulla mia proprietà in quanto la linea fognaria potrebbe essere contenuta dal muro stesso .
Per quanto mi riguarda mi verrebbe interdetto l’accesso alla strada esterna, forti disagi per un tempo ancora non determinato, per ben tre nuclei famigliari con le rispettive autovetture e a un cantiere a causa di ristrutturazione del fabbricato.
Stante la sentenza 1908/2009 “ In materia di rapporti di vicinato, la previsione dell’ art 843 c.c. – secondo cui il proprietario è tenuto a permettere l’accesso o il passaggio sul fondo al fine di consentire al vicino lo svolgimento di opere necessarie alla manutenzione del muro dell’immobile di sua proprietà – configura un’obbligazione “ propter rem “ , a cui corrisponde l’obbligo per il vicino di versare un’adeguata indennità, da liquidare in via equitativa ed anche in assenza di prova del danno, fermo restando l’obbligo per il medesimo di ripristinare lo stato dei luoghi a opera finita “
Tale sentenza è da considerarsi costante, nella giurisprudenza ?
Esistono dei parametri per quantificare il danno in considerazione che il danno è anche di natura soggettiva e aleatoria e non sempre di facilmente comprovabile in sede giudiziaria ( mancato transito alla strada di accesso – ingombro del piazzale – eventuale deposito di merci e cose – durata dei lavori allo stato indeterminabili in conseguenza al tipo d’opera e all’impresa impegnata – opere provvisionali già in essere pur limitate ).
Tale intervento, a detta del rappresentante del condominio, sembrerebbe interessare alcuni plinti e tubature sulla mia proprietà, come se volessero allargare l’ala di fondazione, in quanto probabilmente gli è reso difficile sulla loro proprietà. ( la questione non è del tutto chiara )
Cosa ne pensate ?
Per quanto mi risulta la sentenza Cass n 8544/1998 non permette di effettuare scavi sul fondo del vicino, ne opere di fondazione.
Tale sentenza è costante ?”
Consulenza legale i 28/04/2016
Si procede a rispondere ai singoli quesiti.
1. Nel caso in cui il dislivello tra fondo superiore e fondo inferiore non abbia origine naturale, bensì venga creato dai proprietari di uno dei due fondi, non può trovare applicazione il dettato di cui all'art. 887 del c.c., poiché tale norma disciplina solamente l'ipotesi in cui il dislivello sia di origine naturale (cfr. Cassazione civile, Sez. III, 17 marzo 2005, n. 5762 "la fattispecie prevista dall'art. 887 c.c. presuppone che il dislivello tra i due fondi sia d'origine naturale").
Come già indicato nella risposta precedente, nel caso in cui il dislivello venga creato da uno dei due proprietari, l'obbligo di costruzione e manutenzione del muro di sostegno incombe su quest'ultimo proprietario, la cui attività ha appunto fatto emergere l'esigenza di erigere un muro.
In questo senso la Giurisprudenza ha affermato che:
a) "se il dislivello, invece, è stato causato dal proprietario del fondo inferiore, l'obbligo della costruzione e della manutenzione del muro di sostegno incombe su quest'ultimo, che risponde ex art. 2053 c.c. dei danni cagionati dalla sua rovina" (cfr. Cassazione civile, Sez. III, 17 marzo 2005, n. 5762);
b) "la fattispecie prevista dall'art. 887 c.c. presuppone che il dislivello tra i due fondi sia di origine naturale. Se il dislivello, invece, è stato causato dal proprietario del fondo inferiore, rendendo indispensabile la costruzione di un muro di sostegno, l'obbligo della relativa conservazione incombe su quest'ultimo" (cfr. Cassazione Civile, Sez. II, 21 febbraio 2007, n. 4031).
Pertanto, il condominio, il quale ha creato un dislivello tra i fondi (che prima non esisteva), così come ha sostenuto doverosamente le spese per la costruzione del muro di contenimento, ora deve provvedere alla manutenzione dello stesso, ai sensi dell'art. 2053 del c.c., il quale prevede che: "il proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina, salvo che provi che questa non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione".
In sostanza, alla luce dell'elemento in fatto fornito tramite questa seconda richiesta di consulenza, le spese per la manutenzione del muro non sembrano doversi ripartire tra i proprietari dei due fondi in virtù dell'art. 887 del c.c., bensì sembra che esse debbano ricadere per intero sul condominio, il quale, si ribadisce, ha costruito il muro in seguito alla realizzazione del piano rialzato.
Tuttavia, seppure, come chiarito, in generale le spese spettano al condominio che ha realizzato il muro, occorre ribadire che nel caso in cui il muro realizzato dal condominio si trovi nel suo fondo, il condominio stesso potrebbe pretendere che il proprietario del fondo vicino contribuisca alle spese per la manutenzione, nel caso in cui si ravvisasse una responsabilità in capo a quest'ultimo: "nel caso in cui l'esigenza di rifacimento di un muro di recinzione posto tra due fondi a dislivello, di proprietà esclusiva di uno solo dei confinanti per essere interamente compreso sul suo fondo, sia determinata da condotte concorrenti di entrambi i proprietari, le relative spese di ricostruzione e consolidamento vanno poste a carico degli stessi in relazione alle rispettive responsabilità per il mutamento dello stato dei luoghi, ai sensi degli artt. 2043 e 1227 c.c., restando in ogni caso esclusa l'applicabilità dell'art. 887 c.c., il quale attiene al regime delle spese nella diversa ipotesi di comunione del muro a dislivello" (cfr. Cassazione Civile, Sez. III, 31 agosto 2015, n. 17305).
2. Si conferma che ricorre l'obbligo di consentire l'accesso al vicino per la realizzazione dei lavori sul muro di sostegno, nel caso in cui tale ingresso e transito nel fondo sia "necessario" per la realizzazione degli stessi lavori.
Questo è il parametro fornito dalla Giurisprudenza di legittimità: "in tema di accesso al fondo altrui per l'esecuzione di interventi edilizi (nella specie realizzazione di una canna fumaria), ai fini della verifica delle condizioni di cui all'art. 843 c.c., la valutazione comparativa dei contrapposti interessi delle parti deve essere compiuta con riferimento alla necessità non della costruzione o manutenzione, ma dell'ingresso e del transito, nel senso che l'utilizzazione del fondo del vicino non è consentita ove sia comunque possibile eseguire i lavori sul fondo stesso di chi intende intraprenderli, oppure su quello di un terzo, con minore suo sacrificio" (cfr. Cassazione Civile, Sez. II, 26 novembre 2008, n. 28234).
Ancora, "ai fini del riconoscimento della necessità cui l'art 843 c.c. subordina la concessione dell'accesso sul fondo altrui, occorre che il giudice del merito proceda ad una complessa valutazione della situazione dei luoghi, al fine di accertare se la soluzione prescelta (accesso e passaggio per un determinato fondo altrui) sia l'unica possibile o, tra più soluzioni, sia quella che consente il raggiungimento dello scopo (riparazione o costruzione) con minor sacrificio sia di chi chiede il passaggio, sia del proprietario del fondo che deve subirlo. Ne consegue che, ove egli pervenga alla conclusione che il richiedente possa procurarsi "aliunde" l'invocato passaggio, con disagi e costi quanto meno pari a quelli che subirebbe il proprietario del fondo che dovrebbe subire il passaggio stesso, deve escludersi la sussistenza del requisito della necessità" (cfr. Cassazione Civile, Sez. II, 29 gennaio 2007, n. 1801).
Nel caso di specie, in considerazione del fatto che il condominio avrebbe una "ridotta mobilità dei mezzi" sul proprio fondo - come evidenziato nella formulazione del quesito - potrebbe risultare difficile dimostrare che non ricorrano i requisiti della necessarietà dell'accesso e del transito dei mezzi.
3. Il principio contenuto nella sentenza richiamata nella formulazione del quesito (Cassazione Civile, Sez. II, 27 gennaio 2009, n. 1908) - la quale afferma che "in materia di rapporti di vicinato, la previsione dell'art. 843 c.c. - secondo cui il proprietario è tenuto a permettere l'accesso o il passaggio nel suo fondo al fine di consentire al vicino lo svolgimento di opere necessarie alla manutenzione del muro dell'immobile di sua proprietà - configura un'obbligazione "propter rem", cui corrisponde l'obbligo per il vicino di versare un'adeguata indennità, da liquidare in via equitativa ed anche in assenza di prova del danno, fermo restando l'obbligo per il medesimo di ripristinare lo stato dei luoghi ad opera finita" - è certamente da ritenersi consolidato.
Infatti, il nostro ordinamento prevede un meccanismo che indennizzi il disagio ed i danni subiti per il sacrificio del proprio diritto di proprietà; in particolare, l'art. 843 del c.c., comma 1 e 2, stabilisce che:
"[I]. Il proprietario deve permettere l'accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune.
[II]. Se l'accesso cagiona danno, è dovuta un'adeguata indennità".
Come correttamente evidenziato, è difficile rinvenire dei parametri generali che possano applicarsi a situazioni concrete così differenti tra loro; per tale motivo, la Giurisprudenza affida ad un giudizio di equità la quantificazione della indennità.
Chiaramente tale indennità sarà certamente determinata altresì dall'allegazione dettagliata dei singoli danni subìti, poiché, appunto, ogni situazione è differente rispetto alle altre.
4. Con riferimento alla possibilità si scavare nel fondo del vicino al fine di estendere la fondazione del muro, si ritiene che il nostro ordinamento non configuri un obbligo in capo al vicino di prestare necessariamente il consenso in tale direzione.
Infatti, la pronuncia della Cassazione richiamata (cfr. Cassazione Civile, Sez. II, 22 ottobre 1998, n. 10474) stabilisce che "l'obbligo, gravante sul proprietario di un fondo, di consentire l'accesso ed il passaggio nella sua proprietà, se necessari per la riparazione di un muro (comune o) di proprietà esclusiva del vicino (art. 843 c.c.), non trova la sua fonte in una diritto di servitù a favore del fondo finitimo, integrando, per converso, gli estremi di una obligatio "propter rem" che si risolve in una limitazione legale del diritto del titolare del fondo, funzionale al soddisfacimento di una utilità occasionale e transeunte del vicino (da adempiere indipendentemente dall'accertamento del giudice, la cui eventuale pronuncia ha carattere meramente dichiarativo) e consistente nel dovere di consentire l'accesso o la momentanea occupazione degli spazi necessari al compimento delle operazioni di manutenzione e rifacimento dei muri perimetrali dell'edificio finitimo tutte le volte in cui l'impedimento dell'accesso stesso renderebbe impossibile il compimento delle necessarie riparazioni".
Alla luce del dato testuale di cui all'art. 843 del c.c. ed alla luce della Giurisprudenza constante della Corte, si ritiene di escludere che il condominio possa ampliare il dettato della norma in questione sino al punto di consentire che gli scavi si estendano al fondo del vicino.
Infatti, anche la Giurisprudenza più recente chiarisce che: "in materia di rapporti di vicinato, la previsione dell'art. 843 c.c. (...) il proprietario è tenuto a permettere l'accesso o il passaggio nel suo fondo al fine di consentire al vicino lo svolgimento di opere necessarie alla manutenzione del muro dell'immobile di sua proprietà" (cfr. Cassazione Civile, Sez. II, 27 gennaio 2009, n. 1908).
Inoltre, si ritiene che, seppure per l'esecuzione dei lavori il condominio può accedere dal fondo del vicino (poiché sembrano ricorrere i presupposti di legge), tuttavia, in generale, si devono contenere al minimo i danni derivanti dalla compromissione del diritto di proprietà (come per l'allocazione della terra sul fondo del vicino per il tempo strettamente necessario alla realizzazione dei lavori e con l'obbligo di ripristinare la situazione precedente).
Infine, con riferimento al pericolo di sversamenti sulla proprietà del fondo inferiore occorre certamente verificare ex ante che nella realizzazione dei lavori verranno poste in essere tutte le accortezze dovute; in secondo luogo, sarebbe comunque ammissibile la proposizione delle cd. azioni di nunciazione, disciplinate dagli artt. 1171 e 1172 del c.c.

Gregorio chiede
domenica 10/07/2011 - Calabria

Buonasera. Abito in una casa bifamiliare e accanto c'è un condominio che stanno per ristrutturare. La ditta appaltatrice deve montare il ponteggio sul mio terrazzo ma non mi ha chiesto il permesso. Come posso tutelarmi in caso di danni causati dai lavori e la messa in sicurezza del ponteggio visto che ho tre bambine che giocano sul terrazzo, essendo estate? Ho diritto ad un risarcimento per l’occupazione del suolo, visto che in base all'articolo 843 del C.C. sono costretto a lasciarli montare il ponteggio? Grazie”

Consulenza legale i 22/07/2011

Entro il confine della propria proprietà c’è il divieto di accesso. Tuttavia, il proprietario deve permettere il passaggio nel fondo al vicino che abbia necessità di effettuare attività di riparazione della propria opera. L'obbligo di indennizzo di cui all'art. 843 c.c. deriva dall'esercizio di un'attività lecita e consentita e prescinde anche dall'esistenza della colpa, essendo correlativo al prodursi del danno a causa dell'accesso o del passaggio, però non si riferisce al semplice disagio per occupazione del suolo.

Comunque, chi scrive, se dal ponteggio collocato nel suo fondo, dovesse avvertire pericolo di un danno grave e prossimo alla proprietà (o alle figlie), può, a norma dell’art. 1172 del c.c. e art. 688 del c.p.c. e ss., denunziare ciò alla competente autorità giudiziaria agendo in via cautelare con l’apposita “azione di nunciazione di danno temuto”allo scopo di ottenere un idoneo provvedimento inibitorio.


Massimiliano P. chiede
martedì 05/07/2011 - Sardegna
“In merito al dispositivo dell'art. 843 c.c. secondo capoverso che parla di un eventuale indennizzo per l'accesso e il passaggio nel proprio fondo, avrei la necessità di sapere in che misura deve essere calcolata l'indennità da chiedere tenendo presente che ho dovuto pagare 5 euro una-tantum per poter parcheggiare l'autovettura in un fondo, prospicente alla spiaggia, in località Ezzi Mannu(Porto Torres).L'azienda beneficiaria, tale "Roccavorte" ubicata in Via Sassari 163 - Porto Torres ha delimitato una striscia di terreno lunga 1,5 km circa parallela alla spiaggia e chiede 5,00 euro ad autovettura come indennizzo per l'accesso al fondo. Chiedo se tale comportamento sia lecito. Cordiali Saluti.”
Consulenza legale i 22/07/2011

L'obbligo di indennizzo di cui all’art. 843 c.c. deriva dall'esercizio di un'attività lecita e consentita e prescinde anche dall'esistenza della colpa, essendo correlativo al prodursi del danno a causa dell'accesso o del passaggio, ma non si riferisce al semplice disagio per occupazione del suolo.

Nel caso di specie, non sussistono nemmeno i presupposti stabiliti dalla legge (cioè l’accesso al fondo per necessità al fine di costruire o riparare un muro o altra opera), per cui evidentemente si tratta, di un’arbitraria imposizione pecuniaria (un pedaggio selvaggio) da denunciare all’autorità di pubblica sicurezza.

Anche la giurisprudenza è di questa idea, si cita la pronuncia della Corte di Cassazione, III sez. penale, del 16 febbraio 2001, per cui "Nessuna proprietà privata e per nessun motivo può impedire l'accesso al mare alla collettività se la proprietà stessa è l'unica via per raggiungere una determinata spiaggia".

Vivi chiede
giovedì 05/05/2011 - Sicilia

“Buonasera, premetto che non abito in un condominio ma in una villa bifamiliare, volevo sapere come posso impedire al mio vicino che i suoi gatti accedano nella mia proprietà. Grazie”

Consulenza legale i 06/05/2011

Innanzitutto il proprietario del fondo è legittimato dall’art. 841 del c.c. a chiudere in qualunque tempo il fondo, ciò anche per evitare che animali altrui siano più facilitati all’ingresso. Tuttavia, qualora il fondo risulti già sufficientemente “protetto”, secondo l’art. 925 del c.c. gli animali mansuefatti, cioè quegli animali, originariamente selvatici, che sono stati addomesticati dall'uomo e che hanno conseguito l'abitudine a ritornare (consuetudo revertendi) dove risiedono abitualmente, se entrano nel fondo altrui, possono essere inseguiti, salvo il diritto del proprietario del fondo ad un’indennità per il danno.

A mente dell’art. 2052 del c.c., inoltre, esiste una responsabilità oggettiva del proprietario dell’animale in custodia che provochi un fatto dannoso ad altri (per es. rotture, danneggiamenti vari), salvo la prova del caso fortuito.

Nel caso di specie, la convivenza con animali domestici non deve ledere la libertà altrui. Del disturbo arrecato è utile rendere edotto il proprietario, prima che gli animali arrechino danni, chiedendo di inibire l’interferenza con l’uso di una maggiore diligenza nella custodia ed, in caso di sua inerzia, si può eventualmente adire l’autorità giudiziaria, configurandosi nel comportamento molesto un atto emulativo ex art. 833 del c.c..


Filippo chiede
lunedì 18/04/2011 - Campania

Sto realizzando un muro di cinta per conto di un mio cliente con giusta D.I.A. inoltrata al Comune. Il vicino però ostacola i lavori parcheggiando, volutamente, un auto sul confine e si rifiuta di spostarla. Ho fatto intervenire i vigili urbani e commissariato di polizia i quali affermano che non possono fare niente in quanto la vettura è parcheggiata in proprietà privata. Cosa posso fare per continuare i lavori e a chi rivolgermi ? Grazie!”

Mcristina L. chiede
venerdì 25/03/2011 - Lombardia

“Avrei necessità di sapere se l'indennità, prevista dal secondo capoverso dell'art. 843 c.c. in caso di danni derivanti dalle impalcature per il rifacimento della facciata (approvato da regolare assemblea del condominio) da montare sul terrazzo di proprietà di un condomino, si riferisce anche al semplice danno del disagio da occupazione del suolo (previsti 90 giorni) e se il detto condomino proprietario del terrazzo ha facoltà di impedire il passaggio degli operai sul detto terrazzo durante i lavori. Ringrazio anticipatamente e saluto.”

Consulenza legale i 26/03/2011

Qualora si rendano necessarie riparazioni alle parti comuni, il proprietario di un appartamento sito in un edificio condominiale è tenuto a concedere il passaggio con persone e materiali ai condomini che intendano provvedervi.

L'obbligo di indennizzo di cui all'art. 843 del c.c. deriva dall'esercizio di un'attività lecita e consentita e prescinde anche dall'esistenza della colpa, essendo correlativo al prodursi del danno a causa dell'accesso o del passaggio, ma non si riferisce al semplice disagio per occupazione del suolo.


Marina chiede
venerdì 11/03/2011 - Lazio

“In merito al dispositivo dell'art. 843 c.c. secondo capoverso che parla di un eventuale indennizzo per l'accesso e il passaggio nel proprio fondo, avrei la necessità di sapere in che misura deve essere calcolata l'indennità da chiedere tenedo presente, nel mio caso, che le impalcature dovranno essere montate sul mio terrazzo e ci resteranno per circa 60 giorni per i lavoro di rifacimento del tetto e smaltimento dell'amianto.

Ringrazio anticipatamente.
Saluti.”

G. P. chiede
martedì 16/07/2024
“Spett.le Brocardi
Sottopongo alla vs attenzione il seguente problema:
in un terreno di proprietà di Guido era stato eseguito a suo tempo un fossato da parte di Giovanni che intendeva fare una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana ritenendo il suddetto terreno nella sua disponibilità.
Una volta ridefinita la proprietà di Guido e Giovanni si è reso necessario:
1- Posizionare una rete nel nuovo confine (già stabilito dal geometra consultato)
2- Ripristinare lo stato del terreno riempiendo il fossato
Per quanto riguarda il punto 1 si sta procedendo con l’acquisto del materiale;
domanda: la spesa del materiale è a carico di Guido che vuole ben definire il confine ovvero la spesa va ripartita in parti uguali tra i confinanti prima della messa in posa?
Oppure Guido a lavoro ultimato può chiedere a Giovanni la metà della spesa effettuata sia per il materiale che la per mano d’opera?
Punto 2
Giovanni ha negato l’accesso diretto al terreno di Guido alla scavatrice non concedendone il transito in quanto attraversava il terreno di sua proprietà.
L’operatore, pertanto, ha dovuto trovare un’altra via di accesso dovendo demolire parte di un muretto a secco situato nel terreno di Guido per poter accedere alla zona di lavoro.
Domanda: Giovanni aveva diritto di negare il transito per dei lavori necessari della durata di poche ore.
Guido può chiedere il a Giovanni il risarcimento dei danni derivanti dalla demolizione del muretto a secco considerando che in Sardegna il ripristino dei muretti a secco si aggira intorno ai 200 euro al metro?
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 08/08/2024
Per quanto riguarda il primo quesito, relativo alla suddivisione delle spese per la recinzione tra le due proprietà, occorre premettere che il codice civile, all’art. 886, stabilisce che “ciascuno può costringere il vicino a contribuire per metà nella spesa di costruzione dei muri di cinta che separano le rispettive case, i cortili e i giardini posti negli abitati”. Tuttavia, questa norma non pare pertinente rispetto al nostro caso, per due ragioni:
  • essa si applica ai veri e propri muri, e non alle reti di recinzione, come ha chiarito anche la giurisprudenza;
  • l’articolo in commento si riferisce a case, cortili e giardini posti negli abitati, mentre quelli descritti nel quesito sembrano essere terreni, non corrispondenti a tali caratteristiche.
Ad avviso di chi scrive, la questione va risolta, invece, sulla base di quanto previsto dall’art. 951 c.c., che disciplina l’azione di apposizione di termini. Si tratta di una vera e propria azione giudiziale, che serve ad apporre, installare, i segni esteriori del confine tra due fondi. Ciò non significa che, nel nostro caso, sia necessario ricorrere al giudice, visto che le parti si stanno già accordando tra loro. Il testo della norma, però, prevede appunto che l'apposizione dei “termini”, ovvero dei segni materiali di identificazione del confine, vada effettuata “a spese comuni”.
Quanto alle modalità con cui questo potrà avvenire nella pratica, poco importa se le spese vengano ripartite a metà fin dall’inizio o se vengano, invece, anticipate da uno dei confinanti e successivamente rimborsate pro quota.

Passando al secondo quesito, la norma cui fare riferimento è rappresentata dall’art. 843 c.c., il quale stabilisce, ai primi due commi, che:
  1. il proprietario deve permettere l'accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune;
  2. se l'accesso (al fondo del vicino) cagiona danno, è dovuta una “adeguata indennità”.
Nel nostro caso, per ottenere il risarcimento, chi si assume danneggiato dovrà dimostrare, innanzitutto, la sussistenza dei presupposti per l’accesso ex art. 843, comma 1, c.c. e cioè che l’accesso fosse necessario per le finalità previste dalla norma stessa; in secondo luogo, di essere stato costretto alla demolizione dei muretti a secco per poter effettuare il transito dei mezzi meccanici, e quindi di non aver avuto alternative al passaggio in quel determinato punto.

R. Z. chiede
venerdì 21/06/2024
“Buonasera,
Abito da 20 anni in una bifamiliare che confina con un vigneto. Per evitare che le irrorazioni delle viti sconfinassero nella nostra proprietà, abbiamo piantato a 50 cm dal confine una siepe mista che negli anni si è ispessita e che è sempre stata potata, e riportata al rispetto dei confini, entrando nel vigneto, senza che il vecchio proprietario dicesse nulla. Tutto è andato bene per un periodo anche quando alla coltivazione è subentrato il figlio il quale a seguito di un banale alterco con mio marito ci ha interdetto l’accesso al fondo per procedere alla potatura. Ora pur tagliando dall’interno della nostra proprietà il normale vegetare delle piante più vecchie produce rami sottili che con fatica riesco a tagliare dall’interno e rami più alti protendono sulle viti poste ad un metro dal nostro confine e non si riesce a fare una lavoro che soddisfi questo signore che esige si proceda alla potatura senza entrare nella sua proprietà o addirittura suggerisce di estirpare la siepe in oggetto che ha circa 20 anni. Mano a mano che le piante della siepe originaria sono morte abbiamo provveduto a ripiantarne altre ad una distanza superiore ai 50 cm in modo di riuscire a potarle passando fra la rete e le piante stesse. Abbiamo inviato una raccomandata richiedendo il permesso di accedere al fondo per effettuare un lavoro ottimale e sollevarci da responsabilità per danni a cose o persone eventualmente provocati dai rami sporgenti, permesso naturalmente negato. Ora vorremmo sapere come comportarci senza, se possibile, ricorrere a spese legali onerose, ma al tempo stesso per non essere perseguibili per legge.
Grazie”
Consulenza legale i 24/06/2024
In merito alla problematica evidenziata nel quesito, la giurisprudenza della Corte di Cassazione riconosce al proprietario delle piante la facoltà di accesso al fondo del vicino, sulla base del combinato disposto degli artt. 896 e 843 del codice civile; la stessa Suprema Corte spiega che tale facoltà “non corrisponde ad un diritto di servitù, bensì al contenuto di un'obbligazione "propter rem", insuscettibile di possesso e, quindi, di tutela possessoria”.
Quindi, contro il rifiuto del vicino di concedere l’accesso non è possibile proporre un’azione possessoria; ciò non significa, però, che non vi sia tutela per il proprietario il quale voglia potare la propria siepe che si protende nel terreno confinante.
Pertanto, se si intendono adire le vie legali, bisognerà individuare l’azione più opportuna, confrontandosi con un avvocato di propria fiducia.
Tuttavia, nel quesito si esprime la volontà di evitare, per quanto possibile, “spese legali onerose”; ora, poiché si riferisce anche di aver inviato al vicino, a mezzo raccomandata, una espressa richiesta di consentire l’accesso al fondo per effettuare la potatura delle piante, menzionando esplicitamente anche la questione della responsabilità per eventuali danni che possano derivare dai rami non tagliati, ad avviso di questa redazione chi pone il quesito ha fatto quanto era in proprio potere e si è correttamente attivato per “fare la propria parte”, incontrando - però - un’ostinata opposizione da parte del confinante (atteggiamento che, stando a quanto riferito, appare irragionevole).
In ogni caso, si suggerisce di seguire attentamente l’evolversi della situazione e rivolgersi, se del caso, a un legale qualora la controversia non si risolva spontaneamente.
Non è chiaro, peraltro, per quale motivo il confinante pretenda di far estirpare la siepe; ad ogni buon conto è bene verificare:
  • il tipo di piante da cui è costituita la siepe;
  • la distanza da rispettarsi nel caso specifico (l'art. 892 c.c., infatti, stabilisce distanze diverse in base al tipo di piante);
  • in caso di siepe situata a distanza infralegale, l'eventuale usucapione della relativa servitù.

V.B. chiede
mercoledì 25/08/2021 - Lazio
“Buongiorno, già vostro utente pongo il seguente quesito.
Sono comproprietario al 50% con mia sorella di unità immobiliare indivisa nel Comune di Formia (Lt).
L'immobile fa parte, per le sue parti esclusive (non vi sono parti comuni) di un villino quadrifamiliare.
Il proprietario dell'immobile sopra il mio è gravato nei nostri confronti da un diritto di servitù, come da atto di compravendita degli immobili da costruttore a noi, che ci consente di accedere al soprastante lastrico solare per interventi di manutenzione ordinaria/straordinaria varia con particolare riferimento all'impianto televisivo.
Costui con una scusa o l'altra ha, di fatto, impedito da qualche tempo l'esercizio del nostro diritto.
Recentemente sembra essere assente e la sua madre ci riferisce che è all'estero senza però darci la possibilità di contatto.
Temo che costui possa avere l'obiettivo di far decadere per prescrizione il nostro diritto di servitù.
Ho fatto a lui una raccomandata all'ultimo indirizzo da me conosciuto (a disposizione per vostra visione).
L'indirizzo sembra essere ancora valido perché la raccomandata mi è stata restituita in quanto inesitata ma senza indicazioni di sconosciuto, trasferito....
Domanda: come posso recapitargli il mio scritto affinché sia efficace quale interruttivo dei termini di eventuale prescizione.
Grazie.”
Consulenza legale i 02/09/2021
Prima di rispondere alla specifica domanda formulata nel quesito, occorre chiarire che il diritto di accesso al lastrico solare per eseguire, ove occorra, riparazioni dell’impianto televisivo non va qualificato come diritto di servitù, bensì come obligatio propter rem: si veda in proposito Cass. Civ., Sez. II, 27/02/1995, n. 2274, secondo cui “l’obbligo del proprietario di permettere, ai sensi dell'art. 843 c.c., l'accesso ed il passaggio nel suo fondo quando questi siano necessari per la costruzione o riparazione di un muro od altra opera propria del vicino o comune non si ricollega ad una servitù a carico della proprietà esclusiva ma ha i caratteri di un'obbligazione propter rem che si risolve in una limitazione legale del diritto del titolare del fondo per una utilità occasionale e transeunte del vicino e che ha per contenuto la prestazione del consenso all'accesso ed al passaggio, che il soggetto obbligato è tenuto ad adempiere indipendentemente dall'accertamento del giudice, la cui eventuale pronuncia, non trattandosi della costituzione di un diritto in re aliena, è meramente dichiarativa e non costitutiva. (Nella specie, si trattava dell'accesso al tetto condominiale attraverso una mansarda del proprietario dell'ultimo piano per la manutenzione dell'antenna televisiva centralizzata e del vaso di espansione dell'impianto tecnico comune)”.
In quanto obbligazione propter rem, essa è suscettibile di estinguersi per prescrizione, se il creditore non esercita il corrispondente diritto per il tempo determinato dalla legge (così Cass. Civ., Sez. II, 05/09/2000, n. 11684).
Ad ogni modo, rispetto all’interruzione della prescrizione l’art. 2943 c.c. stabilisce che essa può avvenire - tra l’altro - con “ogni [...] atto che valga a costituire in mora il debitore”.
La costituzione in mora, idonea ad interrompere la prescrizione, è un atto recettizio, ossia un atto che, per produrre i propri effetti, deve essere portato a conoscenza del debitore/destinatario.
È anche chiaro, però, che il debitore non può volontariamente o comunque consapevolmente sottrarsi alla ricezione delle comunicazioni a lui destinate.
Come rilevato da una pronuncia (pur risalente) del Tribunale di Varese, 24/01/1979, “l'interruzione della prescrizione si verifica ugualmente qualora l'atto di messa in mora non pervenga al debitore per cause indipendenti dalla volontà del creditore e, invece, in larga misura connesse al comportamento del debitore inadempiente”.
La più recente Cass. Civ., Sez. II, ord. 28/11/2013, n. 26708 ha affermato il principio per cui “l'atto di costituzione in mora del debitore non è soggetto a particolari modalità di trasmissione, né alla normativa sulla notificazione degli atti giudiziari, nel caso in cui detta intimazione sia inoltrata con raccomandata a mezzo del servizio postale, la sua ricezione da parte del destinatario può essere provata [...] anche sulla base della presunzione di ricevimento fondata sull'arrivo della raccomandata all'indirizzo del destinatario, essendo quest'ultimo onerato di provare di non averne avuta conoscenza senza sua colpa (Cass. n. 13651 del 2006)”.
Nel nostro caso, sembrerebbe che la raccomandata, inviata all’ultimo indirizzo conosciuto della controparte, non sia stata ritirata da quest’ultimo (in particolare, non vi sarebbero, sulla busta e/o sull’avviso di ricevimento, indicazioni di un eventuale trasferimento del destinatario, né questi risulterebbe sconosciuto).
Ad ogni buon conto, sarebbe opportuno verificare in Comune - se già non è stato fatto - l’ultima residenza anagrafica del destinatario, onde controllare se quest’ultimo risulti ancora residente all’indirizzo in questione oppure trasferito, eventualmente in altro Comune.
Laddove la raccomandata con avviso di ricevimento sia stata effettivamente spedita all’ultima residenza, risultante all’anagrafe, non potrà certo imputarsi al mittente il mancato ritiro della stessa da parte del destinatario.

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