Funzione sociale del contratto
La concezione individualistica destina il contratto ad assolvere esigenze egoistiche, e ne ripone la funzione nell'utilità che è suscettibile di apportare ai contraenti; per essa i1 contratto si giustifica come rapporto obbligatorio, in quanto serve ad aumentare o a diminuire la sfera della libertà e della proprietà dell'individuo, la sua potenza economica e giuridica. In un ordinamento, però, in cui l'attività dei singoli assume una immanente destinazione a scopi di ordine superiore, è chiaro che il contratto diviene espressione di un interesse particolare che riflette l'interesse collettivo, si profila quale strumento di libertà giuridica dell'individuo coordinata ai bisogni del complesso sociale, quale mezzo di attuazione della cooperazione delle attività individuali per il raggiungimento dei fini sociali ammessi dall'ordinamento giuridico. Pure in un sistema che concede diritti soggettivi soltanto per la realizzazione delle finalità generali il contratto, dunque, potrebbe mantenere una sua funzione giuridica.
Già sotto l'impero del codice del 1865, per l'impulso dello spirito sociale che andò animando anche l'ordinamento giuridico liberale, si era ritenuto che il contratto dovesse intendersi come mezzo giuridico per l'attuazione di quello scambio di prestazioni e di servizi che alimenta il complesso sociale, e perciò si era sostenuto che, mediante il contratto, i singoli combinano le loro forze; cooperando ad assicurare la conservazione e lo sviluppo della collettività organizzata. Proclamato il principio di prevalenza dell'interesse generale, la dottrina aveva potuto affermare che la generica concessione della tutela dell'ordinamento giuridico alla volontà privata esprimentesi nel contratto, dipendeva dalla valutazione dell'utilità sociale connessa ai fini perseguiti dai privati; ma è noto che tale concezione si ergeva prevalentemente sui criteri politici che presiedevano all'indirizzo della vita giuridica della Nazione, e pertanto non doveva soddisfare il giurista.
La funzione sociale del contratto oggi, invece, può costruirsi su basi di diritto positivo. Soccorre, all'uopo, l'art. 1321, il quale pone, al riconoscimento dei contratti innominati, la condizione che essi realizzino interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico.
La concezione che ne deriva ammette che si possano conseguire, mediante il contratto, scopi di interesse particolare solamente se questi scopi possono sistemarsi in una sfera d'interessi d'ordine superiore. Entro tali limiti il contratto è strumento giuridico dell'attività economica individuale. E’ strumento di cooperazione e di collaborazione fra gli individui, ma nel contempo è espressione dell'iniziativa privata, dalla quale trae impulso e svolgimento anche la vita dell'economia.
Cooperazione e collaborazione non è però comunione di interessi; in modo che anche la nozione del contratto, nella costruzione derivata dal nuovo codice, siede sul presupposto del naturale contrasto economico e giuridico fra le parti, e sulla composizione che tale contrasto riceve nel rapporto creato dal contratto. Infatti, è naturalmente insopprimibile una contrapposizione fra gli interessi dei contraenti quando le conseguenze del rapporto contrattuale si riflettono nella sfera di ciascuna delle parti con effetti opposti e antagonistici; e d'altra parte, anche se tale conflitto è meno appariscente, come nell'ipotesi considerata nell'art. 1420 (per cui, come vedremo sub n. 5, si rimane nell'orbita contrattuale), in effetti ciascuna parte muove ugualmente da diversi e contrastanti punti che, se si compongono nella determinazione di uno scopo comune, per l'intrecciarsi degli obblighi e dei diritti reciproci, si ripercuotono ugualmente con effetti contrapposti.
Nozione del contratto secondo il nuovo codice
La determinazione del concetto di contratto, sotto l'impero del codice del 1865 ebbe a suscitare i più vivi dibattiti. La sua distinzione dal concetto di convenzione, del quale avrebbe dovuto intendersi come una particolare specie (Pacifici Mazzoni), la sua identificazione col concetto di negozio giuridico bilaterale (Coviello N., Bonfante, Pacchioni, De Ruggiero) e la sua considerazione restrittiva come negozio a contenuto patrimoniale (Scuto), costituirono sempre altrettante direttive di una polemica, non di rado risolventesi in una critica della definizione adottata dall'art. #1098# del codice del 1865.
Il nuovo codice, fra tanto dissidio, fisse del contratto una nozione tecnica, volendo precisare iL campo di applicabilità diretta delle norme per esso dettate e che agli altri negozi bilaterali possono estendersi soltanto per analogia, in vista della forza espansiva che sono suscettibili di sviluppare (art. 1324). Quanto meno nei limiti in cui possa condizionare l'applicazione di una serie di altre disposizioni, la dottrina deve riconoscere valore alla definizione dell'art. 1321 e deve ricercare l'estensione che questa conferisce al concetto di contratto, senza isolarsi dietro il dogma del carattere non vincolante delle norme definitorie, oggi ritenuto spoglio di valore assoluto e suscettibile quindi di una valutazione attenuata.
a) Negozio a carattere patrimoniale; differenza dai negozi di diritto familiare
Il contratto è stato configurato nell'art. 1321 come negozio a carattere patrimoniale. Tale configurazione si adegua alla norma dell'art. 1174, la quale ritiene essenziale all'obbligazione (di cui il contratto è una fonte: art. 1173) la patrimonialità della prestazione (il contratto però può anche rivestire rapporti con effetti reali: art. 1376 e segg., 1350, n. 1 a 5; 2643, n. 1 a 5); d'altra parte la disciplina apprestata per il contratto, così nel nuovo, come nel vecchio codice, non potrebbe integralmente convenire se non a rapporti a contenuto patrimoniale.
I rapporti patrimoniali sogliono contrapporsi a quelli familiari. Ora, in relazione a questi ultimi la volontà individuale non è capace di produrre effetti giuridici, come riguardo ai rapporti patrimoniali; per cui non soltanto è impossibile spaziare in una varietà indefinita di forme negoziali a carattere familiare, come per i negozi patrimoniali, che non sono di numero chiuso, ma non è efficiente un'indagine sulla volontà degli interessati che si diriga a ricercare l'intento pratico comune prescindendo dallo schema predisposto dalla legge. Non è convincente l'opinione che nega l'applicazione del concetto di causa ai negozi di diritto familiare dopo la precisa affermazione della sua compatibilità anche nei. negozi di diritto pubblico e la sua specifica estensione al matrimonio, in modo che, la circostanza che il contratto esige imprescindibilmente una causa, non consente di attribuire, al rapporto contrattuale, autonomia di concezione rispetto a quello familiare. E’ invece
indiscutibile che la disciplina del contratto non è preordinata con riguardo a rapporti che, come quelli di diritto familiare, si possono costituire ed estinguere indipendentemente dalla volontà di chi è destinatario dei suoi effetti; nei quali, sul momento del diritto predomina quello del dovere; nei quali, al dovere non corrisponde in generale un diritto del destinatario degli effetti; nei quali, al titolare del dovere si pongono dei diritti non riferibili al suo interesse, in funzione della idoneità di lui ad adempiere al dovere, di massima non esercitabili mediante rappresentante. A tali rapporti non si può certo conferire la natura del contratto (v. sui negozi di diritto familiare, ancora, ultra,sub art. 1323, n. 3).
b) Negozio tra più di due parti
Altro aspetto che è opportuno cogliere nella definizione dell’art. 1321 riguarda la configurazione del contratto quale negozio fra «due o più parti» anzichè fra «due o più persone», come si diceva nell'art. #1098# del codice civile del 1865.
Parte è un centro di interessi; e la sua nozione si costituisce, così con riferimento ad un solo soggetto giuridico (parte semplice), come in relazione a più soggetti (parte plurima). In quest'ultimo caso gli interessi singoli si presentano unificati, si dispongono cioè e si tutelano
quale interesse unico; le dichiarazioni di volontà che si esprimono nel contratto saranno, ben vero, nel caso di parte plurima, tante quanti sono i soggetti che compongono la parte, ma la loro direzione è una sola.
Talvolta, tuttavia, alla pluralità di soggetti che costituiscono una parte, non corrisponde una pluralità di interessi unificati: ciò si verifica quando vi è necessità di integrare la capacità dell'unico titolare (emancipato o inabilitato e suo curatore) o per le esigenze della sua rappresentanza (procura congiuntiva).
Sotto 1'impero del codice del 1865, il contratto era considerato come negozio bilaterale dalla dottrina che del negozio plurilaterale faceva una figura a sè stante, qualificata dall’esistenza di più di due dichiarazioni (ciascuna delle quali rivolta a ciascuna delle altre parti), dalla pluralità di rapporti giuridici colleganti ciascuna parte a ciascuna delle altre, dalla eterogeneità di contenuto di tali rapporti e dalla diversità degli effetti rispetto a ciascuna parte. La nozione che emerge dall'art. 1321 esclude però che il contratto, per il nuovo codice, presupponga non più di due parti; in modo che la categoria del negozio plurilaterale è venuta ad assumere, come concetto tecnico di diritto positivo, la stessa configurazione che spetta al negozio bilaterale con con-tenuto patrimoniale. Il negozio plurilaterale, se pur dogmaticamente può ispirare l'idea di una figura autonoma, dal lato della disciplina legislativa è oggi da ritenersi un contratto; con che non si dice che particolari suoi atteggiamenti non possano far divergere dalla disciplina del contratto, in quanto si ritenga che essa sia stata predisposta esclusivamente con riguardo ad un rapporto fra due sole parti (arg. articoli 1420, 1446, 1459, 1466).
L'art. 1321, accennando ad un accordo fra più di due parti, non può essersi riferito se non al c. d. negozio plurilaterale, perchè, quando un rapporto contrattuale si forma fra più di due parti, ciascuna e portatrice di un proprio interesse, e perciò non è da pensare che il nuovo codice abbia potuto alludere ad una fattispecie di negozio fra più di due parti dal quale non derivi una pluralità di rapporti: lo prova la circostanza che sono disciplinati fra i contratti il sequestro convenzionale (art. 1798 e segg.), già ritenuto negozio plurilaterale, e la cessione dei beni ai creditori (art. 1977 e segg.), che nella qualifica di negozio plurilaterale avrebbe dovuto sistemarsi alla stessa stregua del concordato amichevole stragiudiziale. Quanto all'estremo della eterogeneità degli effetti che scaturirebbero dal negozio plurilaterale in relazione alla varietà dei rapporti regolati, esso sembra compatibile con la figura del contratto delineata nell'art. 1321, non soltanto perchè qui non è espressamente richiesto che da un contratto debbano derivare conseguenze giuridiche omogenee, ma perchè, in realtà, non si intende la ragione per la quale detta omogeneità debba elevarsi a requisito essenziale del contratto quando è possibile che i vari effetti siano dominati da una causa unica: se alla pluralità di effetti corrisponde una pluralità di cause, vi sarà pluralità di negozi, della cui natura dovrà discutersi caso per caso.
Il contratto plurilaterale: critica della dottrina che lo configura come atto collettivo
Nella nozione del contratto rientra, secondo l'art. 1420, pure il negozio con più di due parti in cui le prestazioni di ciascuna son dirette al conseguimento di uno scopo comune: ciò è menzionato esplicitamente nel predetto art. 1420 e nei correlativi articoli 1446, 1459, 1466, ed è riconfermato negli articoli 2247 e 2602 a proposito della società e del consorzio, che vanno ricondotti alla figura generale regolata nell'art. 1420, e che sono qualificati dal codice come contratti.
Non sembra che, in via interpretativa, possa negarsi al tipo di negozio descritto nell'art. 1420 la natura contrattuale che questo gli attribuisce, se, come si è detto (v. supra n. 2), il contratto è una nozione di diritto positivo.
Si è tuttavia parlato di atto collettivo anzichè di contratto. Ma l'atto collettivo presuppone un accordo fra una pluralità di soggetti per la formazione di una volontà unica, e quindi per una dichiarazione che, a seconda dei casi, può avere i caratteri di negozio unilaterale (perfetto) di dichiarazione unilaterale (diretta alla formazione di un negozio), e che in ogni ipotesi riflette la sua efficacia anche al di la della sfera di coloro che hanno concorso a formarlo; per converso l'art. 1420 presuppone dichiarazioni dal cui concorso risulta sempre un negozio giuridico perfetto e dalle quali sorge un vincolo reciproco fra le persone che le hanno espresse, diretto ad assoggettare la libertà, giuridica di ciascuna all'interesse di tutte le altre, e quindi all'interesse comune. In altri termini, mentre dall'atto collettivo promanano manifestazioni unificate (v. sub art. 1332, n. 2) suscettibili di appropriazione da parte dei soggetti che non hanno partecipato alla sua formazione, nella fattispecie alla quale si riferisce l’art. 1420 si hanno manifestazioni che esauriscono la loro efficacia nell'ambito delle persone che hanno partecipato alla formazione dell'atto giuridico. Di più, l'atto collettivo si basa su una situazione giuridica di interesse comune già precostituita, mentre il rapporto enunciato nell'art. 1420 mira anche a creare questa comunione di interessi.
Il contratto di società come contratto plurilaterale
La dottrina che assimila all'atto collettivo il contratto di cui all'art. 1420 non sembra meglio persuasiva se la si considera in relazione alto schema del contratto di società, che dovrebbe invece fornirne la piena dimostrazione.
Base della teoria anticontrattualista è l'affermazione di una incompatibilità fra la struttura del rapporto contrattuale e quella del rapporto sociale, che non esige unanimità di consensi ed anzi può essere dominato dal principio maggioritario, che non pone i contraenti in antagonismo di interessi, che ammette mutamenti nei soggetti originari o per l'entrata di altri soci o per l'alienazione della partecipazione, che si può risolvere in un rapporto fra persone vicendevolmente sconosciute, attesa la possibilità, nella società per azioni, di incorporare la posizione di socio in un titolo al portatore. Procedimento di indagine per gli scopi della teoria predetta, è soprattutto l'analisi portata alla struttura della società per azioni e, in particolare, al modo di formazione successiva della società stessa.
Questo procedimento è di dubbia validità perchè la società per azioni e un tipo di società non la società tipica e perchè il processo di formazione successiva della società azionaria e il meno usato; ma, di più, non sembra che possa condurre a risultati convincenti.
La formazione successiva della società per azioni avviene con la partecipazione dei soli intervenuti nell'assemblea costituente perchè costoro hanno la rappresentanza degli assenti (art. 2336). Nel dissenso circa il contenuto secondario del contratto definitivo e circa la modifica dell'atto costitutivo prevale il volere della maggioranza, non perchè si prescinde dalla volontà della minoranza, ma perchè, con la sottoscrizione delle azioni e la costituzione del rapporto definitivo i sottoscrittori e gli azionisti hanno consentito a considerare come volontà propria quella che esprimerà, la maggioranza, nei limiti in cui questa sia conforme alla legge o allo statuto; in modo che la volontà della maggioranza è volontà anche dei dissenzienti per l'anticipata rimessione che ad essa è stata fatta, e che rende privo di effetto il dissenso successivamente manifestato. Perciò i1 principio maggioritario non sta per nulla in opposizione a quello del consenso.
L'antagonismo di interessi fra i soci è evidentissimo, in via generale, in base alle disposizioni degli articoli 2253 e segg. che pongono rapporti fra soci (come si rileva dall'intestazione della sezione), quindi obbligazioni di un socio verso l'altro, quindi pretese di un socio verso l'altro, riguardanti anche il periodo successivo alla formazione della società (esempio, debito di conferimento). In via particolare, l'opposizione di interessi deve constatarsi come permanente, ad esempio, nei casi in cui vi è un gruppo di soci con diritto ad una maggiore quota di utili o al voto limitato, e come eventuale nei casi di violazione della legge o dell'atto costitutivo, che da diritti di impugnativa appunto in vista di un'opposizione di interesse fra minoranza e maggioranza nell'orbita del rapporto comune.
Nè ripugna al contratto la possibilità di mutamenti nei suoi soggetti (arg. art. 1406 e segg.). Che nel caso di azioni al portatore la trasmissibilità della posizione dell'azionista può ridurre il rapporto sociale a un rapporto fra persone che non si conoscono non dà argomento decisivo alla tesi anticontrattualista dato il riconoscimento legislativo del contratto per persona da nominare, che dà luogo ad una identica indeterminatezza soggettiva, per giunta originaria, eliminata dalla retroattività degli effetti, così come è eliminata, nel caso di azione al portatore, dall'esibizione del titolo.
Il contratto plurilaterale come accordo
A ben guardare, i1 contratto delineato nell'art. 1420 non è che il c.d. accordo: è infatti caratteristica di questa ultima figura giuridica quella comunione di scopi fra le parti alla quale allude l'art. 1420 predetto. Una parte della dottrina aveva respinto ogni distinzione fra contratto e accordo, sul riflesso che anche quest'ultimo è un modo d'incontrarsi di più volontà sull'identico contenuto giuridico, e che la disposizione parallela dei voleri, sostenuta per l'accordo (mentre nel contratto le volontà sarebbero convergenti), è compatibile con la figura del contratto, di cui può costituire un particolare atteggiamento.
Il nuovo codice ha accolto tale dottrina, pur ammettendo che, a motivo della pluralità dei vincoli che nell'accordo si racchiudono, della comunione di scopi che le parti intendono raggiungere, del pericolo che in alcune sue manifestazioni può costituire per l'economia pubblica (consorzi), e sotto vari altri ovvi aspetti, i1 contratto di cui all'art. 1420 meriti una disciplina parzialmente autonoma.
Questa disciplina particolare non intacca l’unità della più vasta figura di contratto che si è avuta occasione di delineate come concetto tecnico di diritto positivo; il concetto unitario così descritto si fonda sulla prevalenza di caratteri comuni nel contratto in senso stretto e nell'accordo, per cui le particolarità di quest’ultimo possono rappresentare specificazioni, non mai antinomie giustificatrici di configurazioni autonome. Nei limiti permessi dalla disciplina particolare predetta, la denominazione di accordo potrà certo sopravvivere, come indicatrice di un tipo speciale di contratto (in senso ampio).
Nelle rubriche degli articoli 1420, 1446, 1459 e 1466 si parla di contratto plurilaterale con riferimento ad un accordo fra più di due parti; ma questa pluralità di soggetti è ovviamente prevista allo scopo di regolare particolari situazioni che presuppongono la esistenza di più di due parti, non al fine di designarne una caratteristica essenziale. Infatti, qualsiasi finalità può essere comune anche solo a due parti, Tanto vero che la società può essere costituita pure da due persone: l'accordo così può essere bilaterale oltre che plurilaterale.
Contratti bilaterali e unilaterali; contratti con prestazioni corrispettive e con obbligazioni di una sola parte
Il nuovo codice, se fa accenno alla categoria dei contratti plurilaterali, tace su quelli bilaterali e sugli unilaterali; regola però i contratti con prestazioni corrispettive (articoli 1453, 1463 e 1467) e i contratti con obbligazioni di una sola parte (articoli 1333 e 1468).
Le categorie regolate hanno assorbito, rispettivamente, i contratti bilaterali e quelli unilaterali di cui agli articoli #1099# e #1100# codice del 1865. Di contratto unilaterale potrà tuttavia continuare a parlarsi a proposito dei contratti con obbligazioni di una sola parte; la denominazione di contratto bilaterale, invece, può avere ancora la sua importanza positiva, soltanto se con essa si vogliono designare i contratti a due parti nei quali ciascuna assume obbligazioni che non sono in posizione di sinallagma con le obbligazioni dell'altra parte. L'accordo bilaterale può rientrare nella citata nozione di contratto bilaterale, data l’assunzione dell'accordo nella più ampia categoria del contratto.