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Articolo 1199 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Diritto del debitore alla quietanza

Dispositivo dell'art. 1199 Codice Civile

Il creditore che riceve il pagamento deve, a richiesta e a spese del debitore, rilasciare quietanza [1195, 1196](1) e farne annotazione sul titolo(2), se questo non è restituito al debitore [2213 comma 2, 2704, 2726].

Il rilascio di una quietanza per il capitale fa presumere il pagamento degli interessi.

Note

(1) Non è richiesta una forme rigorosa per la quietanza: è ammesso, ad esempio anche un telegramma. Deve però trattarsi di un atto scritto e dalla quietanza deve dedursi a quale debito sia imputato l'adempimento (v. 1193, 1195 c.c.). Pertanto, essa deve indicare anche il titolo dell'obbligazione.
(2) Ad esempio sul contratto.

Ratio Legis

Il debitore ha un vero e proprio diritto ad ottenere la quietanza: questo perché, ai sensi dell'art. 1218 del c.c., se il creditore agisce per l'inadempimento è sul debitore che grava l'onere della prova di aver adempiuto (2697 c.c.). Pertanto, in assenza di tale norma, il creditore potrebbe non rilasciare la quietanza ed agire contro il debitore, che si troverebbe in una posizione difficile. Il debitore, quindi, può anche rifiutare il pagamento se il creditore non intende quietanzarlo.

Brocardi

Apocha
Solutionem adseveranti probationis onus incumbit

Spiegazione dell'art. 1199 Codice Civile

I presupposti che escludono e che ammettono la datio in solutum

Questo articolo e l'art. 1197 c.c. disciplinano ex se l'istituto della datio in solutum, come suole chiamarsi la prestazione di cosa diversa da quella convenuta nel rapporto obbligatorio. Di essa il codice del 1865 non si occupava, la dottrina, però, l'aveva appoggiata al principio negativamente enunciato dall'art. 1245, per cui il creditore non poteva essere costretto a ricevere una cosa diversa da quella dovuta (aliud pro alio invito creditore solvi non potest). L'abrogato art. 1929, poi, disciplinando uno degli effetti della fideiussione, ammetteva che il creditore potesse ricevere una cosa diversa da quella convenuta nell'obbligazione.

La stessa formula negativa è contenuta nell'art. 1197, mentre sarebbe stata preferibile quella positiva contenuta nell'art. 93 del progetto del 1940, secondo la quale l'obbligo si estingueva se il creditore accettava al momento dell'adempimento una prestazione diversa da quella dovuta. Comunque, dall'una e dall'altra formulazione del concetto della datio in solutum si desume:
a) che il debitore non può prestare per la sua liberazione, e il creditore non pile essere obbligato a ricevere in suo soddisfacimento, una cosa diversa da quella convenuta anche se di valore eguale o maggiore. Ciò si spiega meditando su di un doppio rilievo, d'indole oggettiva l'uno (l'interesse del creditore di avere la cosa pattuita in vista della funzione economico-sociale cui essa adempie) e soggettiva l'altro (il creditore, cioè, può aver attribuito all'oggetto della prestazione un valore maggiore di quello che esso, oggettivamente considerato, ha). Il principio di cui al punto a) non si applica: 1) nel caso di prestazioni alternative (qui, infatti, il debitore ha facoltà di liberarsi prestando, in luogo della cosa dovuta, quella dedotta in facultate solutionis); 2) in quei contratti — ad es. mutuo — nei quali l'obbligo del debitore si esaurisce nel restituire non cose del genere ma della stessa qualità è quantità di quelle ricevute;
b) che il creditore non può pretendere una cosa diversa da quella che gli è dovuta ancorché di valore inferiore;
c) che il debitore può, se il creditore acconsente, prestare una cosa diversa da quella pattuita: qui la datio in solutum estingue l'obbligo. Considerando tale effetto, non sembra appropriata la denominazione del titolo dell'art. 1197, laddove viene indicato « prestazione in luogo dell'adempimento »: si potrebbe infatti dubitare che l'adempimento resti inattuato e che sia sostituito dalla prestazione, cosa che non è, in quanto la stessa prestazione di cosa diversa da quella dedotta nel rapporto obbligatorio, estinguendo l'obbligo, ne segna l'adempimento. Più aderente a tale effetto sarebbe stata la definizione « prestazione di cosa diversa da quella convenuta ».


Natura giuridica della datio

Dall'esegesi dello stesso art. 1197 è facile rilevare come la datio si presenti quale negozio giuridico bilaterale, in particolare trattasi di un contratto distrahendi o solvendi causa. Infatti in essa si riscontra chiaramente uno degli elementi del contratto: il consenso del creditore e del debitore diretto a sostituire all'oggetto dell'originaria prestazione uno diverso e, quindi, la datio costituisce un contratto con cui il creditore acconsente a ricevere un aliud pro alio e dichiara, al tempo stesso, di considerare
estinto l'obbligo del debitore e soddisfatto il suo diritto.

Come contratto la datio richiede, per la sua esistenza e validità, gli stessi requisiti che a tale scopo sono richiesti in un contratto in genere; come negozio solutorio, poi, vuole : a) un'obbligazione preesistente che possa estinguersi con la datio ; b) un oggetto idoneo ad essere dedotto nella prestazione in luogo di quella originaria, comunemente sarà una pecunia pro re (forma tipica), una res pro pecunia, una pecunia pro pecunia (come nell'ipotesi, meno frequente, che contro un debito di denaro a rate si cede una equivalente somma sotto forma di rendita); c) la titolarità del diritto o la proprietà della cosa, da parte del debitore, che da costui viene offerta in luogo della prestazione originaria; d) la capacità del creditore di ricevere dal debitore il diritto o la cosa che viene data in soluzione.


L'estinzione dell'obbligo mediante la datio

Affinché la datio estingua l'obbligo si richiede il trasferimento della cosa al creditore: accordo e trasferimento devono, perciò, essere coevi, dandosi origine, in caso contrario, soltanto ad un nuovo rapporto obbligatorio e non all'estinzione di uno preesistente. In ciò la datio si differenzia da un altro negozio, anch'esso solutorio: la novazione. Infatti se questa importa nel debitore l'assunzione di un obbligo nuovo, per cui l'accordo è in obligatione, la datio, all'opposto, opera immediatamente una modifica nella sfera patrimoniale dei contraenti, essendo l'accordo in solutione; ancora, nella novazione, si mantiene in vita un rapporto obbligatorio sostituendone soltanto l'oggetto, nella datio in solutum il creditore viene soddisfatto con una prestazione diversa da quella originaria.


Effetti della datio

Gli effetti della dazione non si esauriscono nell'estinzione dell'obbligo appena la diversa prestazione sia stata eseguita, perché se ne producono altri dopo l'esecuzione del contratto solutorio: a) tra le parti e b) tra queste ed i terzi.

a) I primi consistono (effetti tra le parti) nell'obbligo del debitore di garantire il creditore dall'evizione e dai vizi della cosa prestatagli, secondo le norme della vendita ogni qualvolta, s'intende, la prestazione, effettuata in solutione, consista nel trasferimento della proprietà, o di un altro diritto: cosi l'art. 1197, comma 2, con una disposizione che codifica un principio già affermato dalla dottrina, la quale aveva ritenuto quelle norme applicabili ad ogni negozio traslativo a titolo oneroso.

Richiamando l'art. 1197 la disciplina che, in tema di vendita e data alle azioni di garanzia per l'evizione e per i vizi occulti, si deve qui dire per la datio che, ove pattiziamente le parti non abbiano o escluso o modificato il contenuto della garanzia nei limiti consentiti dagli articoli 1487, 1491 nel caso di evizione totale della cosa, il creditore potrà chiedere la risoluzione del contratto, la restituzione del prezzo pagato, il rimborso delle spese e dei pagamenti legittimamente fatti per il contratto oltre le spese necessarie ed utili per la cosa e (se il debitore era in mala fede, se, cioè, conosceva che la cosa era di proprietà altrui) anche le spese voluttuarie (art. 1479 richiamato dall'art. 1483 cui si riporta l'art. 1197). Nell'ipotesi di evizione parziale il creditore potrà chiedere la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno quando, secondo le circostanze, deve ritenersi che non avrebbe acconsentito a ricevere la cosa in datione solutionis senza quella parte di cui non è divenuto proprietario; diversamente potrà ottenere solo una riduzione del prezzo oltre il risarcimento del danno (art. 1480 richiamato dall'art. 1484 cui si riporta l'art. 1197).

La garanzia per i vizi della cosa prestata significa obbligo, per il debitore, di garantire che essa sia immune da vizi che o la rendano inidonea all'uso cui e destinata o ne diminuiscano, in modo apprezzabile, il valore: mancata la garanzia il creditore potrà domandare, a sua volta, nei modi e termini stabiliti dall'art. 1495, o la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo. L'applicabilità alla dazione delle norme che disciplinano le due garanzie nella compravendita non è assoluta: su questo punto il codice ha adottato un criterio eclettico perché, pur con quel rinvio di materia, fa salvo il diritto al creditore di esigere la prestazione originaria ed il risarcimento del danno; e, quindi, in via alternativa il creditore può esercitare o l'azione in garanzia o l'azione per far valere il diritto di credito che sopravvive alla datio, quando questa non ha prodotto l'effetto patrimoniale suo proprio. In tal senso è stata risolta dal nuovo codice la corrispondente questione dibattuta dalla dottrina che su di essa aveva proposto varie soluzioni, affermando, cioè, che il creditore, evitto della cosa data in solutum, poteva proporre ora un'azione per conseguire l'oggetto dedotto nel rapporto obbligatorio, ora solo un'azione di risarcimento di danni, ora l'una e l'altra insieme.

b) I terzi, nei cui riguardi la dazione può far sentire i suoi effetti, sono :
1) i terzi che hanno prestato garanzia per il debitore principale: costoro sono liberati dalla prestazione che il debitore effettua in luogo di quella originaria ma non risentono dell'eventuale annullamento della dazione. Il principio dell'ultimo capoverso dell'articolo 1197 si spiega considerando che non si può aggravare la posizione di tali terzi facendo persistere la loro responsabilità tanto quanto dura quella del debitore, estendendola, cosi, oltre i limiti dell'obbligo garantito, che, d'altra parte, a seguito dell'accettazione fatta dal creditore di una nuova prestazione, non può considerarsi ancora esistente per i terzi.

2) i creditori del debitore che al creditore consenziente prestano cosa diversa da quella convenuta nel rapporto obbligatorio. Nei loro riguardi la dottrina, sotto il codice del 1865, si era chiesta se la revocatoria poteva dai medesimi — con il concorso dei requisiti di legge (art. 1235) — essere intentata contro la datio in solutum, considerata quale negozio che i terzi del debitore intaccava nella loro consistenza e nella loro funzione di garanzia generica delle ragioni creditorie.
E, mentre alcuni si erano espressi per l'affermativa, ed alcuni per la negativa, altri, invece, avevano distinto l'ipotesi in cui il valore della cosa data in soluzione corrispondeva a quello dell'oggetto primario del rapporto obbligatorio, oppure lo eccedeva per negare e ammettere rispettivamente il rimedio della pauliana.

Il punto su cui bisogna far perno per risolvere la controversia de qua, ancora proponibile sotto il nuovo codice (quello del 1865 non apprestava alcun elemento a favore di una delle tre anzidette teorie) è l'indole della datio in solutum. Ed infatti, poiché, expressis verbis, l'art. 2901, 2 cpv. sottrae alla revocatoria l'adempimento di un debito scaduto, è chiaro che la dazione, definita quale negozio solutorio — non diverso in tale sua funzione da quello che ha per oggetto la prestazione originaria, — non può venir attaccata con la pauliana che, di contro, sarà proponibile se si negano alla dazione quell'indole e quella funzione.

Ciò posto, lo studioso sa per quali considerazioni si è riconosciuta alla dazione natura e funzione di negozio giuridico solutorio, sostitutivo dell'altro con oggetto originario, di conseguenza tale identità appare sottrarre alla revocatoria la dazione, sempre che, però:
- essa possa considerarsi sostitutiva della prestazione primaria pure nella quantità, nel senso, cioè, che il valore della cosa data in soluzione non superi quello della cosa che il debitore avrebbe dovuto prestare. È troppo chiaro, per dame una spiegazione, che ove si consegni una cosa di valore superiore a quello dell'originaria, il debitore non tanto adempie, quanto compie un atto che, nella parte eccedente la prestazione, non è da ritenersi come determinato dall'obbligo dell'adempimento per cui può essere contenuto nei limiti in cui la legge (art. 2901, 2° cpv.) espressamente sottrae alla revocatoria l'adempi-mento d'un debito scaduto;
- non denoti, per la particolare sostituzione, il proposito in chi la compie di diminuire l'oggetto della garanzia generica o comunque pregiudicare it soddisfacimento delle ragioni creditorie, e l'ipotesi di una datio in cui pro pecunia venga consegnato un immobile dove è troppo manifesto che più l'adempimento dell'obbligo (pagamento della somma) si vuol sottrarre l'immobile ad azioni esecutive dei creditori.


Forma e pubblicità della datio

Le norme sin qui considerate, con le quali il codice disciplina la dazione, devono essere integrate con altre enunciate per i contratti in genere, che sono applicabili anche al contratto solutorio: tali norme riflettono la forma e la trascrizione della datio in solutum. Non è dubbio che questa debba essere fatta per scrittura, o pubblica o privata, quando abbia per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari, oppure beni mobili iscritti; lo stesso dovrà dirsi per la trascrizione del titolo costitutivo della dazione, quando, pur qui, oggetto suo sia o un immobile o un diritto reale immobiliare (art. 2643 del c.c.) o un bene mobile iscritto (art. 2683 del c.c.).


Cessione di un credito in datione

In luogo della prestazione originaria (il codice anche qui parla di adempimento: terminologia errata per le considerazioni innanzi svolte) il debitore può, sempre se il creditore è consenziente, cedergli un credito: in tale ipotesi l'art. 1198, comma 1, stabilisce che l'obbligazione si estingue solo con la riscossione del credito , la cessione di questo in solutione non importa contrariamente alla norma dell' art. 1197, immediata estinzione dell'obbligazione, in quanto essa, salva diversa volontà delle parti, si presume fatta pro solvendo e non pro soluto; cioè liberatoria per il debitore solo se il creditore riscuote il credito cedutogli, a meno che la mancata realizzazione di questo dipenda da negligenza dell'accipiens nell'iniziare o nel proseguire le istanze contro it debitore cedutogli (comma 1 art. 1267 richiamato dal cpv. dell'art. 1198).

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

82 La prova del pagamento è disciplinata con opportune integrazioni rispetto all'unica norma dell'art. 182 cpv. del progetto del 1936.
Così all'art. 95 si è invertito l'onere di essa per il pagamento degli interessi e si è affermato che questo si presume per il solo fatto del rilascio della quietanza per il capitale.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

83 
Si è poi esteso alla prova del pagamento il rigore previsto per la prova del contratto (art. 96), accogliendosi così la opinione prevalsa nella giurisprudenza pratica.
Questo indirizzo non pregiudica in alcun modo le varie tesi sulla natura del pagamento: esso vuole evitare soltanto gli effetti pratici, gravi e pericolosi, della libertà di prova, che scardina la sicurezza contrattuale, ponendo il debitore nella libertà di utilizzare un mezzo infido, per esonerarsi dalle conseguenze di un vincolo che non vuole adempiere. Dal lato della politica legislativa la detta considerazione appare importante: ed è, invero, importante notare che si porrebbe il debitore in migliore situazione giuridica di quella in cui è posto il creditore, quando lo si ammettesse ad una libertà probatoria rispetto all'estinzione, mentre il creditore non è sempre libero di usare la prova testimoniale per l'accertamento della costituzione dell'obbligazione.
E' opportuno evitare una istruttoria come è quella per testi nei casi in cui comunemente si suole precostituire una prova per iscritto. Gli uomini d'affari circondano di cautele più il pagamento che la costituzione contrattuale di un'obbligazione; sicché, mentre non è raro che si concludano oralmente affari che importano il sorgere di obbligazioni di rilevante valore, sarà estremamente difficile che di un pagamento di qualche entità non vi sia prova scritta.

Massime relative all'art. 1199 Codice Civile

Cass. civ. n. 5945/2023

Il creditore che, rilasciando quietanza al debitore, ammette il fatto del ricevuto pagamento rende confessione stragiudiziale alla parte, con piena efficacia probatoria ex artt. 2733 e 2735 c.c., sicché non può impugnare l'atto se non dimostrando, a norma dell'art. 2732 c.c., che esso è stato determinato da errore di fatto o violenza, essendo insufficiente la prova della non veridicità della dichiarazione.

Cass. civ. n. 19283/2022

La quietanza, quale dichiarazione di scienza del creditore assimilabile alla confessione stragiudiziale del ricevuto pagamento, può essere superata dall'opposta confessione giudiziale del debitore, che ammetta, nell'interrogatorio formale, di non aver corrisposto la somma quietanzata, dal momento che l'art. 2726 c.c. limita, quanto al fatto del pagamento, la prova per testimoni e per presunzioni, non anche la prova per confessione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto la quietanza di pagamento superata dalla confessione del debitore convenuto, tratta dalla mancata risposta all'interrogatorio formale, in applicazione dell'art. 232 c.p.c.).

Cass. civ. n. 32061/2021

Una volta che sia stata dedotta in giudizio dal creditore la falsità materiale di una quietanza, sul presupposto che il debitore, successivamente alla sottoscrizione da parte del creditore, non disconosciuta, abbia apposto la dicitura "a saldo di ogni avere", è onere del sottoscrittore proporre querela di falso per fornire la prova dell'avvenuta contraffazione del documento ed interrompere il collegamento, quanto alla provenienza, tra dichiarazione e sottoscrizione. Ne consegue che, a fronte della produzione della quietanza da parte del debitore, il creditore, che non disconosca la sottoscrizione ivi apposta, ma si limiti ad affermare che il documento era stato manomesso nel contenuto con l'aggiunta della parola "saldo" previa cancellazione della parola "acconto" senza che fosse stata convenuta dalle parti una simile correzione, ha l'onere di proporre querela di falso per fornire la prova dell'avvenuta contraffazione del documento.

Cass. civ. n. 25774/2020

La clausola con cui si stabilisce che una parte del corrispettivo venga pagata alla sottoscrizione del contratto non ha natura di dichiarazione unilaterale recettizia con la quale il creditore riconosce di aver riscosso la somma, rilasciando quietanza, ma ha, piuttosto, natura negoziale, in quanto costituisce la programmazione delle modalità di pagamento dell'obbligazione.

Cass. civ. n. 14599/2020

La quietanza di pagamento priva di data certa anteriore al pignoramento è inopponibile, ai sensi dell'art. 2704 c.c., al condomino che sottoponga ad espropriazione forzata ex artt. 543 ss. c.p.c. i crediti vantati dal debitore esecutato nei confronti del proprio condominio, essendo egli terzo estraneo al rapporto contrattuale dal quale origina l'oggetto del pignoramento; in ogni caso, tale quietanza, ove opponibile al condomino procedente, non gode del valore probatorio privilegiato di cui all'art. 2702 c.c., trattandosi di "res inter alios acta", ma, quale prova atipica dal valore meramente indiziario, può essere liberamente contestata dal creditore e contribuisce a fondare il convincimento del giudice unitamente agli altri elementi probatori acquisiti al processo. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CATANIA, 11/02/2016).

Cass. civ. n. 23636/2019

L'attestazione del mero fatto del ricevimento di una somma di denaro (nella specie, contenuta in una ricevuta di pagamento del canone di locazione) non può valere in nessun caso ad integrare la prova scritta della volontà contrattuale delle parti diretta a modificare l'importo del canone ricevuto rispetto a quello originariamente pattuito per iscritto ed è quindi priva di alcun valore negoziale, potendo, semmai, valere come dichiarazione di scienza. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 09/05/2017)

Cass. civ. n. 1572/2019

La dichiarazione che il creditore rilasci al debitore di avvenuta ricezione in pagamento di un assegno bancario non costituisce quietanza liberatoria in senso tecnico, a prescindere dal "nomen" che il dichiarante le abbia attribuito, trattandosi di una mera dichiarazione di scienza asseverativa del fatto della ricezione dell'assegno, ma non anche dell'effetto giuridico dell'adempimento dell'obbligazione, il quale consegue solo alla riscossione della somma portata dal titolo. (Nella specie, la S.C. ha negato la valenza di quietanza liberatoria alla dichiarazione, contenuta nel rogito notarile, di avvenuta dazione di un assegno bancario in corrispettivo della compravendita immobiliare, la quale doveva intendersi avvenuta, in mancanza di diversa volontà delle parti, "pro solvendo" e non "pro soluto"). (Rigetta, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 15/11/2016).

Cass. civ. n. 32458/2018

Il creditore, il quale rilascia quietanza al debitore, ammette il fatto del ricevuto pagamento e rende confessione stragiudiziale alla parte, con piena efficacia probatoria, ai sensi degli artt. 2733 e 2735 c.c. (Cassa con rinvio, COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. FOGGIA, 04/07/2011).

Cass. civ. n. 13234/2017

Il condominio, non partecipe ed ignaro dell'accordo simulatorio intervenuto tra un condomino e l'ex amministratore, ove deduca la simulazione delle quietanze relative all'avvenuto pagamento degli oneri condominiali è da considerarsi "terzo" rispetto a quell'accordo, con la conseguenza che può fornire la prova della simulazione "senza limiti", ai sensi del'art. 1417 c.c., e, quindi, sia a mezzo di testimoni, sia tramite presunzioni, dovendosi inoltre escludere che, in dipendenza della natura di confessione stragiudiziale della quietanza, possano valere, riguardo alla sua posizione, i limiti di impugnativa della confessione stabiliti dall'art. 2732 c.c., che trovano applicazione esclusivamente nei rapporti fra il mandatario ed il preteso simulato acquirente. (Rigetta, CORTE D'APPELLO L'AQUILA, 11/03/2015).

Cass. civ. n. 18094/2015

La quietanza liberatoria rilasciata a saldo di ogni pretesa deve essere intesa, di regola, come semplice manifestazione del convincimento soggettivo dell'interessato di essere soddisfatto di tutti i suoi diritti, e pertanto alla stregua di una dichiarazione di scienza priva di efficacia negoziale, salvo che nella stessa non siano ravvisabili gli estremi di un negozio di rinunzia o transazione in senso stretto, ove, per il concorso di particolari elementi di interpretazione contenuti nella stessa dichiarazione, o desumibili "aliunde", risulti che la parte l'abbia resa con la chiara e piena consapevolezza di abdicare o transigere su propri diritti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, qualificando come quietanza a saldo la dichiarazione del dipendente, resa prima dell'erogazione delle competenze di fine rapporto, di non avere altre pretese fondate sulle prestazioni di lavoro, aveva escluso che, a fronte dell'indicazione dell'importo complessivo da corrispondere "una tantum", fosse stato oggetto di consapevole rinuncia il computo ai fini del TFR dell'assegno percepito durante il distacco all'estero). (Rigetta, App. Torino, 22/09/2008).

Cass. civ. n. 9120/2015

La quietanza liberatoria rilasciata a saldo di ogni pretesa deve essere intesa, di regola, come semplice manifestazione del convincimento soggettivo dell'interessato di essere soddisfatto di tutti i suoi diritti, e pertanto alla stregua di una dichiarazione di scienza priva di efficacia negoziale, salvo che nella stessa non siano ravvisabili gli estremi di un negozio di rinunzia o transazione in senso stretto, ove, per il concorso di particolari elementi di interpretazione contenuti nella stessa dichiarazione, o desumibili "aliunde", risulti che la parte l'abbia resa con la chiara e piena consapevolezza di abdicare o transigere su propri diritti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva interpretato la quietanza liberatoria come negozio di rinunzia, e ciò alla stregua sia di alcuni riferimenti testuali contenuti nella stessa, sia dello svolgimento di intese negoziali pregresse, rivelatrici della comune intenzione delle parti di definire ogni pretesa o rivendicazione comunque riferibile al precorso rapporto di lavoro subordinato, con contestuale costituzione, in funzione al tempo stesso transattiva e novativa, di un diverso rapporto di collaborazione autonoma). (Rigetta, App. Torino, 19/10/2007).

Cass. civ. n. 7820/2015

La disposizione dell'art. 1199 c.c., secondo cui il creditore che riceve il pagamento deve, a richiesta ed a spese del debitore, rilasciare quietanza, concerne unicamente l'ipotesi in cui il debitore ha adempiuto mediante pagamento, inteso come corresponsione di una somma di denaro, e non è riferibile alla promessa di pagamento o agli altri modi di estinzione delle obbligazioni.

Cass. civ. n. 22655/2011

Il rilascio della quietanza non richiede forme particolari, sicché essa può essere contenuta anche nella fattura che il creditore invii al proprio debitore e risultare da qualsiasi non equivoca attestazione dell'adempimento dell'obbligazione, come l'annotazione "pagato", o altra equivalente, apposta sulla fattura, che riveli sia l'ammontare della somma pagata, sia il titolo per il quale il pagamento è avvenuto, sempreché tale annotazione sia sottoscritta dal soggetto da cui essa proviene, solo in tal modo potendo rivestire l'efficacia probatoria privilegiata propria della scrittura privata, a norma dell'art. 2702 c.c.; né si richiede, peraltro, che la dichiarazione di quietanza annotata sulla fattura sia autografa, potendo la stessa essere costituita anche da un timbro dattiloscritto con la dicitura "pagato".

Cass. civ. n. 23142/2009

In tema di prova dell'estinzione satisfattiva del debito dell'ente pubblico previdenziale, la regola in base alla quale il debitore che effettui il pagamento ha diritto al rilascio della quietanza (art. 1199 c.c.) non esclude che il pagamento possa essere provato per presunzioni occorrendo, al fune di escludere l'ammissibilità di mezzi di prova diversi, un'apposita prescrizione di legge al pari della disposizione contenuta nella legge di contabilità generale (art. 55 R.D. n. 2440 del 1923) e nel relativo regolamento (artt. 26 ss. R.D. n. 827 del 1924) per i pagamenti eseguiti dallo Stato, non applicabile, all'Inps.

Cass. civ. n. 3921/2006

Poiché la quietanza costituisce atto unilaterale di riconoscimento del pagamento ed integra, tra le parti, confessione stragiudiziale — proveniente dal creditore e rivolta al debitore — che fa piena prova della corresponsione di una specifica somma di denaro per un determinato titolo, l'esistenza del fatto estintivo (pagamento) da essa attestato può essere contestata soltanto mediante la prova degli stessi fatti (errore di fatto o violenza) richiesti dall'art. 2732 c.c. per privare di efficacia la confessione, essendo irrilevanti il dolo e la simulazione. Inoltre non è ammissibile la prova testimoniale o per presunzioni diretta a dimostrare la simulazione assoluta della quietanza, che dell'avvenuto pagamento costituisce documentazione scritta, ostandovi l'art. 2726 c.c., il quale, estendendo al pagamento il divieto, sancito dall'art. 2722 dello stesso codice, di provare con testimoni patti aggiunti o contrari al contenuto del documento contrattuale, esclude che con tale mezzo istruttorio possa dimostrarsi l'esistenza di un accordo simulatorio concluso allo specifico fine di negare l'esistenza giuridica della quietanza, nei confronti della quale esso si configura come uno di quei patti, anteriori o contestuali al documento, vietati in virtù del combinato disposto dei citati artt. 2722 e 2726 c.c. (Nella specie, il principio è stato formulato con riferimento alla quietanza rilasciata dal venditore nell'atto pubblico di compravendita).

Cass. civ. n. 2298/1996

L'art.1199 codice civile, con lo stabilire che il creditore che riceve il pagamento deve, a richiesta del debitore, rilasciargliene quietanza, concepisce quest'ultima come un documento scritto che, pur non richiedendo particolari forme, attesti tuttavia inequivocabilmente con l'annotazione «pagato» o con altra equivalente, l'avvenuto pagamento, sicché la sola sottoscrizione della fattura inviata dal venditore-creditore all'acquirente-debitore, priva dell'attestazione dell'adempimento dell'obbligazione per esserne stata accertata la falsità, vale ad attribuire efficacia di scrittura privata, a norma dell'art. 2702 codice civile, alla fattura stessa, ma non è sufficiente a costituire quietanza per il difetto di ogni attestazione in tal senso.

Cass. civ. n. 9135/1993

La simulazione della quietanza, che è un atto unilaterale recettizio contenente la confessione stragiudiziale del pagamento di una somma determinata, presuppone, ai sensi dell'art. 1414, secondo comma, c.c., un precedente e coevo accordo, tra il dichiarante ed il destinatario, diretto a porre in essere solo apparentemente il negozio confessorio.

Cass. civ. n. 4522/1993

Poiché la quietanza costituisce solo una dichiarazione della parte che la rilascia di aver ricevuto una determinata somma, senza vincolare anche la parte cui è diretta, quando il venditore deduca che, nonostante nel contratto abbia rilasciato quietanza liberatoria per l'intero prezzo della vendita, aveva in realtà ricevuto parte del prezzo stesso, e chieda di provare tale assunto, non si è in presenza di una simulazione del negozio, neppure con riguardo al prezzo della compravendita, sicché l'ipotesi esula dalla disciplina degli artt. 1414 e ss. c.c., comportando soltanto l'indagine sulla verità della dichiarazione unilaterale del venditore di aver ricevuto il prezzo integrale.

Cass. civ. n. 2410/1991

La quietanza costituisce atto unilaterale ricettizio che contiene esclusivamente il riconoscimento di avere riscosso quanto è stato pagato dal debitore. Essa, quindi, non esclude, in mancanza di una volontà transattiva o di rinunzia dalla stessa risultante - ed implicante un'ulteriore dichiarazione del creditore di non avere più alcun diritto nei confronti del debitore - che il creditore stesso possa comunque pretendere l'integrale pagamento di quanto spettantegli, sia per il titolo cui sono imputabili i versamenti quietanzati, sia, ed a maggior ragione, per titoli diversi (nella specie, per autonoma obbligazione risarcitoria ex art. 1224 c.c., rispetto alla somma capitale e agli interessi).

Cass. civ. n. 6991/1987

La norma dell'art. 1199 c.c., sull'obbligo del creditore che riceve il pagamento di rilasciare quietanza al debitore che ne faccia richiesta, è derogabile, sicché il debitore, come può astenersi dal chiedere quietanza di un pagamento effettuato, cosa può impegnarsi a non chiederne in relazione a pagamenti ancora da effettuare. Va, pertanto, negata l'illegittimità di una disposizione di accordo sindacale che escluda, per la predisposizione di garanzie ritenute equivalenti dalle parti, il rilascio di quietanze, restando peraltro la vincolatività di tale accordo limitata, trattandosi di impegni connessi all'esercizio di un diritto individuale, ai lavoratori che abbiano sottoscritto raccordo o che abbiano conferito alle organizzazioni sindacali uno specifico mandato con rappresentanza o che, successivamente alla stipulazione dell'accordo, vi abbiano prestato acquiescenza o l'abbiano ratificato, anche con comportamenti concludenti.

Cass. civ. n. 1630/1973

Il rilascio della quietanza costituisce una obbligazione del creditore, il cui mancato adempimento non può tornare a danno del debitore. Pertanto quest'ultimo ha il diritto di provare l'avvenuto pagamento dell'obbligazione a suo carico e l'esercizio di questo diritto non può essere impedito dall'omesso rilascio della quietanza. (Nella specie, si sosteneva che, in base all'espressa clausola di un contratto di assicurazione, l'avvenuto pagamento del premio poteva essere provato soltanto con la quietanza, e non anche con l'esibizione della copia di un assegno di cui il creditore ammetteva, peraltro, di avere riscosso l'importo).

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Consulenze legali
relative all'articolo 1199 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

DR. M. S. chiede
sabato 05/11/2022 - Lombardia
“buongiorno,
nella qualità di coerede ed in presenza di palesi distrazioni dal patrimonio della de_cujus, ho ricostruito la massa ereditaria controllando e ricostruendo la contabilità ed i movimenti bancari per identificare gli attori delle distrazioni stesse.
Premetto che amministratore di fatto della de_cujus, ovvero quello che ha operato per anni sul patrimonio della defunta ed in prima persona ( gestione banche, gestione locazioni immobiliari. etc. ) è uno dei coeredi.
Dal controllo effettuato ho rilevato che non risultano movimenti sui conti correnti bancari esaminati relativi a bonifici o versamenti da parte di un locatario per un importo rilevante: in 5 anni 43.200 Euro.
Ho chiesto all'amministratore di fatto di avere le copie delle ricevute rilasciate a fronte dei versamenti effettuati dall'inquilino e non ho ricevuto risposta alcuna.
Allora ho scritto al locatario per chiedere le copie delle quietanze, precisandogli che, in caso di suo rifiuto ad esibirle, l'avrei ritenuto responsabile delle somme non versate a titolo di locazione, somme che in ogni caso ed in mancanza di ricevute ufficiali che ne dimostrino il pagamento ed a chi ( per identificare chi le ha eventualmente occultate ), devono tassativamente rientrare nell'ambito della massa ereditaria ricostruita.
Il locatario non ha risposto alla mia raccomandata di richiesta di questi documenti ma mi ha fatto sapere, indirettamente, che lui le ricevute le ha tutte ma non ci pensa nemmeno a farmele avere in copia.
A mio parere il locatario è corresponsabile in solido con l'amministratore di fatto nei conronti della massa ereditaria.
Cosa posso fare per costringerlo ad esibire le copie delle ricevute di cui sopra? posso rivolgermi ad un giudice?
Grazie in anticipo per il Vs. parere.”
Consulenza legale i 10/11/2022
La questione che il quesito richiede di affrontare attiene, sostanzialmente, alla obbligatorietà o meno per il locatore di rilasciare al conduttore ricevuta del pagamento dei canoni di locazione che mensilmente gli vengono corrisposti.

Ebbene, tale questione trova una precisa risposta nel disposto di cui all’art. 1199 c.c., rubricato appunto “Diritto del debitore alla quietanza”, norma che pone in capo al locatore/creditore l’obbligo di rilasciare al conduttore/debitore quietanza dell’avvenuto pagamento, ma soltanto a fronte di una espressa richiesta avanzata in tal senso da parte dello stesso debitore e ponendosi a carico di quest’ultimo l’onere di sostenere le relative spese (rientra tra queste, ad esempio, il pagamento dell’imposta di bollo, che va assolto mediante apposizione sulla quietanza di una marca da euro 2,00 per importi superiori ad euro 77,47).
Argomentando a contrario,, dunque, può dirsi che in linea generale nessun obbligo grava sul locatore al rilascio della quietanza se il conduttore non dovesse farne espressa richiesta.

Resta, a questo punto, soltanto l’ulteriore obbligo, discendente questa volta dalla legge, di avvalersi di mezzi tracciabili di pagamento allorchè il canone di locazione dovesse superare l’importo di euro 2000,00, limite massimo (ad oggi) consentito per effettuare il pagamento con denaro contante.
Nel caso di specie, tuttavia, sembra che non ricorra neppure tale limite, considerato che si fa riferimento ad un importo di euro 43.200, quale somma complessiva corrisposta nell’arco di tutti e cinque gli anni di locazione (il che equivale ad euro 720,00 mensili, somma decisamente al di sotto dei 2000 euro).

Pertanto, stando così le cose, nessuna censura può essere mossa, almeno sotto il profilo della legittimità dei pagamenti, al modus operandi che le parti hanno deciso di prediligere, non contravvenendo, almeno formalmente, ad alcun divieto di legge.
Ovviamente, però, una scelta di questo tipo espone il conduttore/debitore ad un certo rischio, in quanto è evidente che se dovessero sorgere contestazioni in merito al pagamento dell’affitto, il locatore si troverebbe in una situazione processuale indubbiamente vantaggiosa, non avendo l’inquilino a disposizione prove documentali atte a poter dimostrare il regolare pagamento del canone di locazione ed incombendo pur sempre su quest’ultimo l’onere di provare di aver adempiuto alla propria obbligazione.

A ciò si aggiunga l’ulteriore considerazione che, secondo quanto disposto dal n. 3 dell’art. 2948 del c.c., le pigioni delle case così come ogni altro corrispettivo dovuto in forza di contratto di locazione, si prescrivono nel termine di cinque anni, il che comporta che il locatore, ed adesso i suoi eredi, sarebbero astrattamente legittimati, in assenza di ricevute di pagamento, a richiedere al conduttore tutti i canoni arretrati non ancora prescritti (proprio come vorrebbe fare chi pone il quesito).
Si tratta, tuttavia, di una possibilità meramente astratta e teorica, in quanto a fronte di una tale richiesta, certamente il conduttore non resterebbe meramente inerte e passivo, ma si difenderebbe con qualsiasi mezzo di prova, quali prove testimoniali oppure facendo ricorso a semplici elementi presuntivi su cui il giudice potrebbe fondare il suo convincimento, quali la circostanza che, malgrado i cinque anni di canoni non pagati, il proprietario non ha mai intimato il pagamento degli stessi né ha attivato la procedura per il rilascio forzato dell’immobile.

Peraltro, neppure si potrebbe richiedere al giudice, a cui ci si dovrebbe necessariamente rivolgere per il pagamento dei canoni non prescritti, di ordinare al conduttore l’esibizione delle ricevute di pagamento, considerato, come prima è stato detto, che non sussiste alcun obbligo di rilascio di tali ricevute se il debitore non ne fa espressa richiesta né l’importo del canone di locazione superava il tetto massimo fissato per legge per doverne effettuare il pagamento con mezzi tracciabili.

In conclusione, si ritiene che si abbiano scarsissime probabilità di successo nell’intraprendere un’azione quale quella a cui si fa riferimento nel quesito e che, purtroppo, a distanza di così tanto tempo, riuscirà estremamente difficile risalire all’impiego che di quelle somme di denaro né è stato fatto (sarebbe stato più conveniente e semplice accertarsi della destinazione di quelle entrate nel momento in cui venivano periodicamente percepite).

Bruno M. chiede
giovedì 19/03/2020 - Lazio
“Buongiorno.
A seguito di sentenza di Appello sono stato condannato a pagare alla controparte una consistente somma, poi oggetto di transazione con la quale è stato convenuto il pagamento in 48 rate e la riduzione dell'importo del debito. Nel corso della 12a rata, dicembre 2019, ho chiesto a mezzo mail al legale della controparte che mi fossero rilasciate le quietanze delle rate versate, ma dopo 3 mesi non ho ricevuto alcuna risposta.
L'atto transattivo è stato regolarmente registrato all'Agenzia delle Entrate, in esso è stata stabilita la clausola risolutiva per inadempimento, ovvero che il mancato pagamento di una sola rata comporta la risoluzione contrattuale con la perdita dei benefici, sia in ordine alla rateizzazione che alla riduzione del debito.
Questa la clausola inserita nell'atto transattivo:
“Le parti convengono che, in caso di parziale, inesatto o non puntuale adempimento, anche di una sola delle predette rate, trascorsi invano trenta giorni dalla relativa scadenza, determinerà l'automatica risoluzione della presente scrittura, la decadenza del beneficio del termine per il debitore ed il conseguente diritto del creditore di intraprendere l'azione legale per il recupero dell'intero credito, trattenendo le somme eventualmente versate a titolo di acconto dell'intero importo dovuto”.
Stabilito che le quietanze sono un diritto del debitore ( nel contratto non è integrata la norma che impone al creditore l'emissione delle quietanze), la mancata emissione delle stesse mi autorizza a informare per iscritto al creditore della mia intenzione di sospendere i pagamenti mensili (effettuati sempre a mezzo bonifico) fintanto che non aderisce alla richiesta e a riprenderli una volta ottenute le quietanze? A seguito dell'eventuale sospensione dei pagamenti, così motivata, è legittimata la controparte ad attivare la clausola risolutiva? Ci sono precisi riferimenti normativi, o precedenti giurisprudenziali, che legittimano il debitore alla sospensione dei pagamenti nel caso di inadempienza del creditore al rilascio delle quietanze?
Grazie per le informazioni che mi darete.”
Consulenza legale i 09/04/2020
La norma principale di riferimento riguardo l’argomento in esame è l’art. 1199 del codice relativo al diritto del debitore alla quietanza.
Quest’ultima può intendersi come una dichiarazione di scienza da parte del creditore – su richiesta del debitore- attestante l'avvenuta esecuzione della prestazione dovuta.
In pratica, con essa il creditore dichiara l’avvenuto adempimento dell’obbligazione.

Come ha osservato la Suprema Corte con la sentenza n. 32458/2018: “Il creditore, il quale rilascia quietanza al debitore, ammette il fatto del ricevuto pagamento e rende confessione stragiudiziale alla parte, con piena efficacia probatoria, ai sensi degli artt. 2733 e 2735 c.c.”.
Dal momento che il rilascio della quietanza rappresenta un obbligo per il creditore, un suo eventuale rifiuto potrebbe in astratto giustificare la proposizione da parte del debitore dell'eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 del codice.
Tuttavia, come espressamente previsto in quest’ultimo articolo “non può rifiutarsi la esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede”.
In merito a tale aspetto (seppur con riguardo i canoni locatizi), in una risalente pronuncia la Cassazione aveva evidenziato che “Il rifiuto del conduttore di pagare i canoni di locazione, giustificato dall'avere il locatore omesso di consegnare le ricevute relative a canoni già pagati (eccezione d'inadempimento), deve ritenersi contrario a buona fede, ed è perciò causa di risoluzione del contratto di locazione ex art. 1453 c.c., se il conduttore stesso non si sia trovato nella necessità di servirsi delle ricevute per non avere il locatore mai negato gli avvenuti pagamenti. “ (Cass. 2987/77).

Ciò brevemente premesso in punto di normativa e giurisprudenza, passando al caso concreto possiamo osservare quanto segue.

Nella presente vicenda, esaminato anche l’atto di transazione che ci è stato trasmesso, non ravvisiamo un motivo per sospendere il pagamento delle rate ai sensi dell’art. 1460 c.c. (eccezione di inadempimento).
Le rate vengono pagate a mezzo bonifico e, pertanto (anche se ciò non è equiparabile ad una quietanza) sotto il profilo probatorio si tratta di pagamenti assolutamente dimostrabili.
A ciò si aggiunga che l’importo sino ad oggi versato costituisce una parte del totale da versare (12 rate su 48) e, quindi, si tratterebbe comunque di una quietanza parziale e non relativa all’intero adempimento dell’obbligazione. Se i pagamenti venissero sospesi soltanto sulla base della mancata trasmissione della quietanza da parte del creditore, riteniamo che legittimamente quest’ultimo potrebbe sostenere il verificarsi della risoluzione prevista dalla clausola contenuta nell’atto transattivo.
Suggeriamo quindi di continuare a versare le rate, magari inviando comunque nuovamente una formale richiesta di quietanza (a mezzo pec e non mail) per i pagamenti sino ad oggi effettuati.

Antonella chiede
mercoledì 11/10/2017 - Veneto
“Gentile redazione,
gradirei una risposta ai seguenti quesiti:
Primo quesito:
Vorrei chiedere se è un errore utilizzare l'espressione “prova certa ” o se il codice civile (o altri codici) prevede la dicitura “prova certa”ed eventualmente da quale legge è definita e regolata tale definizione e se ad esempio:
la ricevuta di un versamento di una persona sul conto corrente di controparte può essere considerato “prova certa” dell'avvenuto pagamento,
il pagamento di una somma tramite assegno circolare tratto dal conto corrente di una persona può essere considerato “prova certa” di un pagamento
e se il fatto che è stato fornito un atto di quietanza dell'avvenuto pagamento di queste somme da parte di controparte può essere considerato una “prova certa”;
oppure se la dicitura “prova certa” non può essere usata ed occorre definire tali documenti (ricevute, atto di quietanza ecc...) “elementi di prova che vengono valutati dal Giudice sia in base ai criteri della Legge di valutazione delle prove sia in base al potere discrezionale del Giudice (elementi di prova liberamente valutati dal Giudice) ”
Gradirei che la risposta venisse corredata dai riferimenti della legge (o delle leggi) che regola l'utilizzo di tale dicitura.
Secondo quesito:
La mia abitazione è in comune con i miei due figli e loro hanno dei problemi per questioni ereditarie per cui su metà immobile è iscritta una prenotazione di ipoteca.
Potreste per cortesia spiegarmi se c'è un modo in cui io posso fare una ricerca e scoprire se è in corso un' esecuzione contro la mia abitazione o parte di essa? oppure una causa contro uno dei miei figli (a sua insaputa) che potrebbe anche portare all'esecuzione? Dove posso trovarne eventualmente traccia? E tale ricerca andrebbe fatta nel tribunale della città in cui vi è l'immobile o nel Tribunale della città in cui risiede mio figlio che è diversa da quella in cui vi è l'immobile? In quale luogo o ufficio? presso l'agenzia delle entrate? presso il catasto? Nella cancelleria del Tribunale ed eventualmente in quale cancelleria?
Attendo un cortese riscontro.
Cordiali saluti.

Consulenza legale i 19/10/2017
Non esiste alcun articolo del codice civile che contenga la definizione di “prova certa”.
Con prova certa deve intendersi, in senso puramente atecnico, una prova incontestabile.

Il valore probatorio dei documenti viene stabilito dal codice civile (articoli 2699 e seguenti). Tra questi, indichiamo di seguito i più rilevanti ai fini del quesito.
In primo luogo l’art. 2702 cod. civ. il quale, in ordine all’efficacia probatoria di una scrittura privata, stabilisce che essa fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta: ciò a condizione che la persona contro la quale viene prodotta ne riconosca la sottoscrizione (se disconosce la propria firma, invece, la scrittura privata in questione diviene una prova come le altre, ovvero liberamente valutabile e del tutto contestabile), oppure fatto salvo il caso in cui è la legge che la considera come riconosciuta (ad esempio, si considera riconosciuta la sottoscrizione autenticata, al momento della sua apposizione, dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato, previo accertamento della identità del sottoscrittore, art. 2703 c.c.).

Non parla di “prova certa” ma di “data certa” l’art. 2704 cod. civ., il quale si intitola: “data della scrittura privata nei confronti dei terzi”, e per il quale la data della scrittura privata della quale non è autenticata la sottoscrizione non è certa e computabile riguardo ai terzi, se non:
- dal giorno in cui essa è stata registrata;
- dal giorno della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di chi l’ha sottoscritta;
- dal giorno in cui la scrittura è stata riprodotta nel suo testo in un atto pubblico;
- dal giorno in cui si verifica un fatto che stabilisca in modo sicuro che la scrittura privata è stata redatta prima.

La giurisprudenza, in ogni caso, specifica che: “L'art. 2704 c.c. non contiene un'elencazione tassativa dei fatti in base ai quali la data di una scrittura privata non autenticata deve ritenersi certa rispetto ai terzi e lascia al giudice di merito la valutazione, caso per caso, della sussistenza di un fatto, diverso dalla registrazione, idoneo, secondo l'allegazione della parte, a dimostrare la data certa; tale fatto può essere oggetto di prova per testi o per presunzioni, (..)” (Cassazione civile, sez. VI, 12/09/2016, n. 17926).

Ciò per quanto riguarda le scritture private che sono sottoscritte; per quel che riguarda le altre, invece, afferma la Cassazione: “Le scritture prive della sottoscrizione non possono rientrare nel novero delle scritture private aventi valore giuridico formale e produrre, quindi, effetti sostanziali e probatori, neppure quando non ne sia stata impugnata la provenienza dalla parte cui vengono opposte. Ne consegue che la parte, contro la quale esse siano state prodotte, non ha l'onere di disconoscerne l'autenticità ai sensi dell'art. 215 c.p.c., norma che si riferisce al solo riconoscimento della sottoscrizione, questa essendo, ai sensi dell'art. 2702 c.c., il solo elemento grafico in virtù del quale - salvi i casi diversamente regolati (….) - la scrittura diviene riferibile al soggetto dal quale proviene e può produrre effetti a suo carico.” (Cassazione civile, sez. VI, 14/02/2013, n. 3730).

Quindi la scrittura privata che non ha sottoscrizione non ha alcun valore di prova legale: costituisce, eventualmente, elemento indiziario ed è liberamente valutabile da parte del Giudice.

Per quanto riguarda, infine, le quietanze (art. 1199 cod. civ.), statuisce la giurisprudenza: “Il rilascio di una quietanza- ai sensi dell'art. 1199 c.c. - costituisce una confessione stragiudiziale dell'avvenuto pagamento dell'obbligazione, come tale revocabile solo per errore o violenza, ai sensi dell'art. 2732 c.c. Pertanto, il creditore - che abbia emesso la quietanza - ove non ne disconosca la sottoscrizione, non può eccepire che il pagamento non sia mai avvenuto, a meno che non alleghi e dimostri che la quietanza fu rilasciata per [[defref=errore di fatto]] o violenza. La quietanza ha dunque efficacia di prova piena a carico della parte confitente che dichiara di aver ricevuto il pagamento delle somme quietanzate e, può, quindi essere contestata soltanto mediante la prova degli stessi fatti richiesti dall'art. 2732 c.c. per privare di efficacia la confessione.” (Tribunale Grosseto, 25/05/2016, n. 419).

Al di fuori del sistema delle cosiddette “prove legali” (come si è visto, le prove documentali - atto pubblico e scrittura privata autenticata o riconosciuta - o quelle assunte nel processo come la confessione, il giuramento e la testimonianza), la cui in presenza preclude al Giudice qualsiasi valutazione sul contenuto delle stesse, dovendosi semplicemente attenere alle risultanze della prova offerta, così come legalmente stabilito, si applica la regola dell’art. 116 c.p.c.: “Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti”.

Tornando agli esempi di cui al quesito:
- la ricevuta di un versamento di una persona sul conto corrente di controparte non può essere considerato “prova certa” - nel senso di inconfutabile - dell'avvenuto pagamento: si deve peraltro tenere conto, con riguardo a questo esempio in particolare, del principio generale per cui nessuno può costituire prova a favore di se stesso;
- il pagamento di una somma tramite assegno circolare tratto dal conto corrente di una persona può essere considerato sicuramente “prova certa” che il pagamento è stato effettuato, così come del buon fine dello stesso: ciò perché si tratta di assegno circolare (diverso sarebbe se si trattasse di assegno bancario: quest’ultimo può anche essere tratto in favore del creditore, ma non prova il pagamento se scoperto per mancanza di fondi sul conto corrente di provenienza);
- il rilascio di un atto di quietanza dell'avvenuto pagamento di somme da parte di controparte può essere considerato una “prova certa” se la quietanza in questione è sottoscritta da controparte.

Per quel che concerne il secondo quesito, per sapere se esistono un procedimento esecutivo o una causa civile pendenti nei nostri confronti non è necessario effettuare una ricerca: sia in un caso che nell’altro, infatti, la legge prevede che del procedimento noi veniamo notificati.
Nel caso di un procedimento civile, dunque, ci verrà notificato un atto di citazione oppure un ricorso, atti nei quali è fissata una data di udienza e vengono indicati i termini e i modi per costituirsi (ovvero partecipare al giudizio).
Se non si riceve invece alcuna notifica ma la causa è comunque pendente, significa che quel procedimento è viziato nella forma e dunque esso sarà invalidabile.

Per quanto riguarda l’esecuzione forzata (pignoramento mobiliare, pignoramento del conto corrente, pignoramento di un immobile, ecc.) è obbligatorio che il procedente, prima di procedere in tal senso, notifichi prima all’esecutato un atto di precetto, che è un atto in cui si intima il pagamento (o comunque l’esecuzione della prestazione cui si è obbligati) entro 10 giorni, pena l’esecuzione forzata.

Come si vede, nessun procedimento può svolgersi “all’insaputa” dell’interessato.

In ogni caso, ad avviso di chi scrive, è possibile tentare di chiedere alla Cancelleria del Tribunale, dando il proprio nome, la cortesia di far sapere se esiste un procedimento pendente a proprio carico.
La richiesta dovrebbe essere fatta presso il Tribunale del luogo di residenza del potenziale convenuto in giudizio; nel caso, invece, di sospetto di esecuzione sull’immobile, la ricerca dovrò essere condotta presso il Tribunale del luogo in cui si trova l’immobile.
In ogni caso, la Cancelleria del Tribunale cui fare riferimento per l'indagine/richiesta è quella del “ruolo generale”.

Per quanto riguarda i figli, infine, solo se sono minorenni, a ricevere gli atti e ad informarsi delle notifiche saranno i genitori.