Con questa norma il legislatore ha voluto prevedere una ipotesi di definizione non contenziosa della lite in materia di consulenza contabile.
Discussa è la posizione del c.t.u. in tale ambito, in quanto mentre secondo la dottrina prevalente il
tentativo di conciliazione costituisce per lo stesso un vero e proprio obbligo (incombente su di lui per il fatto di aver accettato l’incarico), secondo la tesi prevalente in giurisprudenza sul medesimo non sorge alcun obbligo di esperire il tentativo di conciliazione, neppure se a ciò lo abbia espressamente incaricato il giudice.
Si è fatto osservare che la facoltà di conciliare le parti compete al c.t.u. soltanto nella specifica ipotesi in cui sia chiamato a svolgere un esame contabile, e che, al di fuori di tale ambito, l'accordo stipulato dalle parti e verbalizzato dal c.t.u. può al massimo configurarsi come un negozio transattivo, insuscettibile di essere munito di
efficacia esecutiva, ma capace di determinare la cessazione della materia del contendere.
A tal proposito, tuttavia, non si è mancato di evidenziare una certa tendenza ad estendere la potestà conciliativa del c.t.u. al di fuori di questa specifica ipotesi; infatti, l’
art. 696 bis del c.p.c., introdotto dalla Legge n. 80/2005, prevede una fattispecie di c.t.u.
ante causam volta alla composizione da lite, che, in caso di esito positivo, va anch’essa documentata con processo verbale, suscettibile di acquisire efficacia di titolo esecutivo a seguito di successivo decreto giudiziale.
Una volta intervenuta la conciliazione della controversia, occorre documentare la stessa redigendo un processo verbale, che va sottoscritto dalle parti e dal consulente tecnico, per poi essere inserito nel fascicolo di ufficio.
Sotto il profilo della sua natura giuridica, il verbale di conciliazione ha natura di
scrittura privata non autenticata, non potendo riconoscersi al consulente la capacità di autenticare la sottoscrizione delle parti.
Una volta redatto e inserito nel fascicolo di ufficio, al verbale di conciliazione fa seguito il decreto di
exequatur reso dal giudice istruttore.
Relativamente a quest’ultimo, sono sorti dei dubbi in ordine all'oggetto ed alla estensione dei poteri spettanti al giudice nel momento in cui attribuisce efficacia esecutiva a tale verbale.
Infatti, secondo una prima tesi il controllo giudiziale ha natura sostanziale, essendo volto a verificare l’efficacia e la validità intrinseca dell'accordo conciliativo (al giudice compete di accertare la regolare partecipazione di tutti gli interessati all'accordo, la presenza nella scrittura di eventuali condizioni o patti nulli, la completezza dell'accordo con riferimento all’oggetto del contendere).
Secondo altra tesi, invece, il controllo del giudice deve risolversi in una semplice verifica di regolarità formale del processo verbale di conciliazione, senza che lo stesso possa sollevare alcun rilievo in ordine alla validità intrinseca dell'accordo.
Il decreto di esecutività , sia esso di accoglimento o di reiezione, non è impugnabile, con la conseguenza che ogni tipo di nullità, sia relativa al provvedimento che all'accordo, potrà esser fatta valere soltanto in sede di
opposizione all'esecuzione intrapresa in forza di quel verbale esecutivo.