La causa(1) è illecita(2) quando è contraria a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume(3).
La causa(1) è illecita(2) quando è contraria a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume(3).
(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)
(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)
Cass. civ. n. 19220/2015
Il contratto di locazione avente ad oggetto un locale seminterrato da adibite ad attività lavorativa (nella specie, di natura industriale) è nullo, ex art. 1343 c.c., per l'illiceità della causa concreta, in quanto diretto a realizzare un godimento del bene corrispondente ad un'attività vietata dall'ordinamento con norma imperativa, costituita dall'art. 8 d.P.R. n. 303 del 1956 (applicabile "ratione temporis").Cass. civ. n. 3646/2009
L'assunzione a carico di ciascuna delle parti di contrapposte obbligazioni non solo esclude la gratuità del negozio ma rende palese la sussistenza della causa di cui agli artt. 1325 e 1343 cod. civ., la quale si identifica con la funzione economico sociale che il negozio obiettivamente persegue e che il diritto riconosce come rilevante ai fini della tutela apprestata, rimanendo ontologicamente distinta rispetto allo scopo particolare che ciascuna delle parti si propone di realizzare. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva escluso la sussistenza di un difetto di causa in relazione ad una scrittura privata con cui due società, in vista della stipulazione di una convenzione di lottizzazione con il Comune, il quale aveva subordinato detta stipulazione alla costruzione di una strada, ritenuta eccessivamente onerosa da una delle parti, si erano accordate perché la strada fosse realizzata dall'altra, contro il rilascio di un titolo di credito a garanzia di tale impegno).Cass. civ. n. 13566/2008
Il contratto concluso per effetto di truffa di uno dei contraenti in danno dell'altro, non è nullo, ma annullabile, ai sensi dell'articolo 1439 c.c. Infatti, il dolo costitutivo del delitto di truffa (articolo 640 c.p.) non è diverso, né ontologicamente né sotto il profilo intensivo, da quello che vizia il consenso negoziale, atteso che entrambi si risolvono negli artifici o raggiri adoperati dall'agente e diretti ad indurre in errore l'altra parte e così viziarne il consenso.Cass. civ. n. 26724/2007
In relazione alla nullità del contratto per contrarietà a norme imperative, in difetto di espressa previsione in tal senso (c.d. «nullità virtuale»), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch'esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità. Ne consegue che, in tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario (nella specie, in base all'art. 6 della legge n. 1 del 1991) può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti (c.d. «contratto quadro», il quale, per taluni aspetti, può essere accostato alla figura del mandato); può dar luogo, invece, a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto suddetto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del «contratto quadro»; in ogni caso, deve escludersi che, mancando una esplicita previsione normativa, la violazione dei menzionati doveri di comportamento possa determinare, a norma dell'art. 1418, primo comma, c.c., la nullità del cosiddetto «contratto quadro» o dei singoli atti negoziali posti in essere in base ad esso.Cass. civ. n. 26172/2007
In tema di contratti di intermediazione finanziaria, l'eventuale invalidità ai sensi dell'art. 8 della legge n. 154 del 1992 delle comunicazioni provenienti dalla società di intermediazione mobiliare (S.I.M.) al cliente può incidere sull'efficacia giuridica del successivo atto di approvazione del saldaconto, non sulla sua validità, posto che un atto compiuto dal suo autore come effetto dell'inganno in cui sia indotto da altri è passibile di annullamento, non di nullità, al pari del contratto concluso per effetto di truffa. (Cassa con rinvio, App. Milano, 19 Luglio 2002).Cass. civ. n. 10490/2006
Causa del contratto è lo scopo pratico del negozio la sintesi, cioè, degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare (c.d. causa concreta), quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato. (Nel formulare il suindicato principio la S.C. ha considerato privo di causa, e conseguentemente viziato di nullità, un contratto concernente un'attività di consulenza avente ad oggetto la valutazione di progetti industriali e di acquisizione di azienda intercorso tra una società di consulenza, che ne aveva contrattualmente assunto l'incarico, e un soggetto che la stessa attività «già simmetricamente e specularmente» svolgeva in adempimento delle proprie incombenze di amministratore della medesima società conferente).Cass. civ. n. 1514/2006
Nella vendita di immobile destinato ad abitazione, il certificato di abitabilità costituisce requisito giuridico essenziale del bene compravenduto poichè vale a incidere sull'attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico - sociale, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità. Pertanto, il mancato rilascio della licenza di abitabilità integra inadempimento del venditore per consegna di "aliud pro alio", adducibile da parte del compratore in via di eccezione, ai sensi dell'art. 1460 cod. civ., o come fonte di pretesa risarcitoria per la ridotta commerciabilità del bene, a meno che egli non abbia espressamente rinunciato al requisito dell'abitabilità' o esonerato comunque il venditore dall'obbligo di ottenere la relativa licenza. (Nella specie, la sentenza di merito, confermata dalla S.C., aveva ritenuto che detto esonero non vi fosse stato, atteso che il compratore poteva nutrire la legittima aspettativa che nei sette mesi intercorrenti tra la stipula del preliminare e il tempo stabilito per la stipula del contratto definitivo, la controparte avrebbe procurato il certificato).Cass. civ. n. 20678/2005
Nei contratti con prestazioni corrispettive, qualora una delle parti adduca, a giustificazione della propria inadempienza, l'inadempimento o la mancata offerta di adempimento dell'altra, il giudice deve procedere ad una valutazione unitaria e comparativa dei comportamenti, tenendo conto soprattutto dei rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute, della loro incidenza sulla funzione economico - sociale del contratto, e quindi, degli interessi che le parti perseguono nella stipula.Tale valutazione, avendo per oggetto un apprezzamento di fatto, rientra nei poteri del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato. (Nella specie la S.C. ha confermato la decisione della corte di merito che, relativamente ad una compravendita immobiliare per la quale era stata corrisposta una cospicua somma da parte del promissario acquirente , aveva ritenuto il comportamento di quest'ultimo, che aveva omesso di indicare il notaio rogante, inidoneo a giustificare il ben più grave inadempimento dei promittenti venditori, i quali, nonostante le richieste, non avevano fatto pervenire alla controparte la documentazione necessaria ai fini della stipula del contratto definitivo, per consentirle di verificare la libertà dell'immobile da persone e cose, senza peraltro attivarsi per sollecitare la nomina del notaio).Cass. civ. n. 20290/2005
Le pattuizioni intervenute tra i coniugi anteriormente o contemporaneamente al decreto di omologazione della separazione consensuale, e non trasfuse nell'accordo omologato, sono operanti soltanto se si collocano, rispetto a quest'ultimo, in posizione di «non interferenza» — perché riguardano un aspetto che non è disciplinato nell'accordo formale e che è sicuramente compatibile con esso, in quanto non modificativo della sua sostanza e dei suoi equilibri, ovvero perché hanno un carattere meramente specificativo — oppure in posizione di conclamata e incontestabile maggiore o uguale rispondenza all'interesse tutelato attraverso il controllo di cui all'art. 158 c.c. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto correttamente motivata la sentenza impugnata, che aveva escluso l'invalidità dell'accordo intervenuto tra i coniugi per l'alienazione della casa coniugale, di proprietà esclusiva del marito ed assegnata alla moglie, e per la ripartizione del ricavato tra loro, in quanto la perdita dell'abitazione da parte del coniuge assegnatario era giustificata dall'intenzione di quest'ultimo di trasferirsi in un'altra città, ed era comunque compensata dal beneficio economico derivante dall'attribuzione di parte del corrispettivo, che avrebbe consentito alla moglie di far fronte più largamente alle proprie esigenze ed a quelle della figlia a lei affidata).Cass. civ. n. 3004/2004
La vendita di una porzione di terreno edificabile, facente parte di un fondo di maggiore estensione di proprietà del venditore, non implica di per sé la realizzazione da parte di quest'ultimo di una lottizzazione soggetta a preventiva autorizzazione, ricorrendo quest'ultima ipotesi soltanto quando il frazionamento di un terreno edificabile si accompagni alla predisposizione delle opere di urbanizzazione occorrenti per una pluralità di insediamenti. Ne consegue che, in difetto di tale presupposto, non configura un'ipotesi di lottizzazione abusiva la vendita di una porzione di area edificabile, né è nulla per illiceità della causa la vendita di parte di un fondo che, ancorché analoga ad altri atti di disposizione di ulteriori frazioni dello stesso, non faccia riferimento né preveda infrastrutture di urbanizzazione.Cass. civ. n. 1244/1983
La causa del contratto si identifica con la funzione economico-sociale che il negozio obiettivamente persegue e il diritto riconosce rilevante ai fini della tutela apprestata. Essa è ontologicamente distinta dallo scopo particolare che ciascuna delle parti persegue, rappresentando lo scopo obiettivo del negozio. Da ciò deriva che l'illiceità della causa — sia nell'ipotesi di contrarietà della stessa a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume (art. 1343 c.c.) sia nell'ipotesi di utilizzazione dello strumento negoziale per frodare la legge (art. 1344 c.c.) deve essere inerente alla funzione obiettiva che intenzionalmente entrambe le parti attribuiscono al negozio per il raggiungimento di una comune finalità contraria alla legge e che non può essere ravvisata nell'approfittamento da parte di uno dei contraenti dello stato di errore in cui versa l'altro contraente circa una qualità dell'oggetto, che integra invece un'ipotesi di vizio del consenso sanzionabile con i diversi rimedi dell'annullabilità della convenzione.Cass. civ. n. 63/1973
La causa, come funzione economico-sociale del negozio, va intesa, nei contratti tipici, come funzione concreta obiettiva, che corrisponde ad una delle funzioni tipiche ed astratte determinate dalla legge. Pertanto anche nei contratti tipici, avendo riguardo a detta funzione concreta, è concepibile una causa illecita, che si ha quando le parti, con l'uso di uno schema negoziale tipico, abbiano direttamente perseguito uno scopo contrario ai principi giuridici ed etici fondamentali dell'ordinamento.Cass. civ. n. 2420/1972
La causa del negozio si manifesta nel momento stesso del nascere di questo, ricollegandosi essa allo scambio delle obbligazioni; con la conseguenza che, se la causa è illecita perché contraria a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume (art. 1343 c.c.), la illiceità, in quanto connaturata al negozio sin dal suo sorgere, ne determina immediatamente la nullità (art. 118, secondo comma, c.c.). Da qui la conseguenza che l'eventuale accertamento della illiceità della causa perché contraria al buon costume esclude non solo la possibilità di pretendere l'esecuzione del contratto, ma anche di chiedere la rimozione di quanto, in offesa al buon costume, si fosse fatto per eseguirlo, in particolare la ripetizione di quanto eventualmente già corrisposto (art. 2035 c.c.).
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