La necessità di nominare un custode può essere dettata dalla legge ovvero demandata alla discrezione del giudice o, ancora, a quella dell’
ufficiale giudiziario.
Trattasi di figura investita di un potere-dovere pubblico (scaturente, secondo Carnelutti, da un contratto di diritto pubblico), a cui si attribuisce la
rappresentanza di interessi parzialmente pubblici (quali la conservazione e l’amministrazione di beni).
La natura pubblica dell’ufficio di questo incaricato giudiziale si evidenzia nei diversi momenti in cui viene in considerazione la sua figura: egli, infatti, viene nominato da organi pubblici, divenendo titolare di poteri caratterizzati da una particolare
vis imperii; nello stesso tempo, però, l’autorità giudiziaria ha il potere di esercitare un particolare controllo su tutta la sua attività, potendo perfino giungere alla sua sostituzione nei casi di maggiore gravità.
Tale costruzione pubblicistica della figura del custode giudiziario (si ricorda che si tratta, comunque, di un pubblico ufficio temporaneo) è stata fatta propria anche dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha in diverse occasioni affermato che il custode giudiziario è un gestore autonomo ed un ausiliario del giudice, dal quale direttamente ripete l’investitura e sotto la cui direzione e controllo svolge la propria attività, potendo compiere autonomamente tutti gli
atti di ordinaria amministrazione e, previa
autorizzazione giudiziale, quelli di
straordinaria amministrazione.
Sotto il profilo della sua posizione istituzionale, si sono sviluppati tesi contrastanti.
Così, secondo parte della dottrina (Carnelutti) egli sarebbe un rappresentante della parte a vantaggio o a danno della quale si produrranno gli effetti dell’
espropriazione o del
sequestro.
In contrario, però, si è fatto osservare che:
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la rappresentanza implica, da parte di colui che la esercita, un’attività volitiva, mentre il custode, in molti casi, è chiamato a compiere attività di carattere puramente materiale, quale appunto la semplice custodia dei beni;
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il rappresentante deve agire per conto del rappresentato, mentre il custode agisce nell’interesse della giustizia, ma in nome proprio.
Secondo altra parte della dottrina, invece, il fenomeno della custodia integrerebbe un’ipotesi di sostituzione processuale; egli, infatti, non si limita ad esercitare un’attività accanto al proprietario dei beni sottoposti a custodia, ma si sostituisce addirittura a lui nell’esercizio di particolari diritti.
In contrario, anche qui, si fa osservare che:
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nel codice di rito manca una norma che legittimi il custode ad agire in giudizio in nome proprio per esercitare un diritto altrui;
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è quasi sempre impossibile stabilire con esattezza quale sia il soggetto in nome del quale il custode è chiamato ad agire in giudizio.
Egli, infatti, non ha facoltà di agire in nome e per conto delle parti i cui beni sono sottoposti a sequestro e/o pignoramento, le quali, al contrario, mantengono la loro autonomia nell’ambito dei rapporti posti in essere precedentemente e successivamente al pignoramento o al sequestro.
Si ritiene in definitiva preferibile la tesi che individua nel custode un semplice
ausiliario del giudice, il quale agisce, nel corso del giudizio, al preciso fine di espletare l’incarico che gli è stato affidato.
Per quanto concerne i poteri e gli obblighi del custode, può intanto evidenziarsi che l’art. 65 c.p.c. si limita soltanto ad affidargli la conservazione e l’amministrazione dei beni pignorati e/o sequestrati, senza specificare concretamente quali sono i contenuti della sua attività, e ciò anche in considerazione della estrema varietà e natura dei beni che possono formare oggetto di esecuzione.
Tuttavia, è stato ritenuto che sia proprio questa (la varietà dei beni da custodire) la ragione per cui il legislatore abbia preferito non solo non dettare una disciplina specifica volta a predeterminare i poteri attribuiti a tale figura, ma anche non inserire, nel corpo del codice, delle norme con cui disciplinare l’aspetto della sua legittimazione processuale.
In considerazione di ciò, comunque, alcuni autori hanno suggerito di distinguere i poteri del custode in tre diverse categorie, ossia:
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poteri minimi, correlati alla conservazione del bene ed al mantenimento della sua produttività;
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poteri per il cui esercizio è necessaria la rimozione di un limite, mediante l’ottenimento dell’autorizzazione giudiziale;
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poteri che il custode non ha, ma che il giudice può attribuirgli solo caso per caso e secondo circostanze motivate.
L’assenza, invece, di norme volte a disciplinare la legittimazione processuale del custode ha indotto dottrina e giurisprudenza a cercare di colmare tale lacuna mediante una individuazione in concreto delle azioni che il custode può esercitare in giudizio rispetto ai beni affidati alla sua conservazione.
Il secondo comma della norma riconosce al custode il diritto ad un compenso, il quale dovrà essere stabilito con
decreto dal giudice dell’esecuzione nel caso di nomina fatta dall’ufficiale giudiziario e in ogni altro caso dal giudice che lo ha nominato.
Secondo un particolare orientamento della giurisprudenza di merito, malgrado la lettera della norma, competente a decidere delle questioni relative al custode non può essere in via esclusiva il giudice che ha provveduto alla nomina, ma quello dinanzi al quale è giunta la fase del procedimento (perché quello che ha la più completa conoscenza dello stato del processo).
In ordine alla natura del decreto con cui viene liquidato il compenso, si discute se si tratti di atto avente natura amministrativa o, piuttosto, di atto con natura di
ingiunzione di pagamento.
In questo secondo senso sembra orientata la giurisprudenza prevalente, affermandosi che, in quanto assimilabile al decreto monitorio, sarà opponibile davanti allo stesso giudice che l’ha emesso (solo un isolato orientamento giurisprudenziale ne ammette l’impugnabilità con
ricorso per Cassazione ex
art. 111 Cost., e ciò per il suo contenuto decisorio).
Interessante si ritiene che sia la tesi sostenuta dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui non può valere come
titolo esecutivo nei confronti delle parti il decreto di liquidazione del compenso al CTU che non contenga l’indicazione della parte obbligata al pagamento, non potendosi da tale mancata specificazione dedurre che il compenso debba intendersi posto solidalmente ed in eguale misura a carico di tutte le parti costituite (da ciò se ne è fatto conseguire che la parte a cui venga notificato il
precetto al pagamento, avrà tutto il diritto di proporre
opposizione all’esecuzione, per far dichiarare che il custode non ha diritto di procedere ad
esecuzione forzata nei suoi confronti in base a quel decreto).