Nozione di cosa futura
La cosa che deve formare oggetto della prestazione di dare deve essere esistente; senza di che la prestazione, priva di oggetto, verrebbe essa stessa a mancare. Esistenza della cosa non significa però sua attualità; in modo che, a meno di un divieto legale, è principio generale che anche le cose future possono dedursi come oggetto della prestazione (art. 1348): la cosa viene allora determinata per relationem, con riferimento alla sua futura esistenza. Il principio dell'art. 1348 si applica anche ai diritti, per la disposizione generale dell'art. 813.
Cosa o bene futuro non è solo ciò che non ha esistenza fisica attuale, se l’art. 1472 denomina e disciplina come cosa futura anche gli alberi da abbattere, e i frutti non ancora separati. Gli alberi da abbattere e i frutti pendenti sono cose future con riferimento ad effetti particolari che debbono scaturirne, e che la loro attuale condizione di cose presenti non è suscettibile di produrre; si considerano non per ciò che essi sono, ma per ciò che saranno; per la loro futura condizione di cose autonome, che esige un trattamento diverso da quello che attualmente si richiede, non per la loro attuale condizione di accessori di altre cose. Ciò vuol dire che il concetto giuridico di cosa futura non va delineato con aderenza alla sua nozione pratica, e che può costituirsi anche di ciò che, pur avendo una esistenza attuale, è dedotto correlativamente ad una situazione futura nella quale una cosa attuale può venire a trovarsi, e per le esigenze della disciplina di questa situazione.
In tale ampia nozione prendono posto le cose in costruzione e, per alcuni aspetti, anche le cose altrui. Le cose in costruzione vengono dedotte in contratto non per i materiali esistenti e che si vanno via via connettendo, ma per ciò che questi materiali costituiranno ad opera esaurita, per la res nova che produrranno; e pertanto la loro situazione giuridica deve potersi regolare in modo distinto da quella che spetta alle cose presenti di cui la res nova sarà costituita, e, se trattasi di edificio, dal suolo al quale esso verrebbe ad aderire. Sono però eccezionali le disposizioni degli articoli 566 e 1028 cod. nav. che, in deroga all'articolo 2823 cod. civ., ammettono l'iscrizione dell'ipoteca su navi ed aeromobili in costruzione; la deroga è giustificata dal fatto che l'ordinamento della costruzione delle cose predette consente di individuarle fin dall'inizio della costruzione, in modo che non viene violato il principio della specialità dell'ipoteca, sul quale ha fondamento il divieto di iscrivere ipoteca su cosa futura (che non implica divieto di una promessa di ipoteca).
Le cose altrui sono da ritenersi cose future quando si deducono con riguardo all'eventualità che successivamente si acquistino al patrimonio della parte che ne dispone; esse vengono trattate separatamente dalle cose future negli articoli 1478 e 2822 con riferimento all'ipotesi in cui il disponente deduca la cosa come se fosse già nel patrimonio suo ovvero nella certezza che di essa egli divenga o possa divenire proprietario; il che è diverso dal dedurre la cosa nella speranza che si acquisti nel patrimonio proprio, ipotesi certamente da accomunarsi all'altra nella quale si deduce una cosa attualmente inesistente, ma della quale è probabile la nascita. E’ cosa futura perciò la successione non ancora aperta, oggetto del divieto contenuto nell'art. 458; concerne le cose altrui che si spera vengano a far parte del proprio patrimonio, il divieto dell'art. 771.
E’ chiaro che non osta, a considerare come futura la cosa dedotta, l'ignoranza o il dubbio sulla sua esistenza, posto che giuridicamente è cosa futura anche la cosa presente se considerata dalle parti come cosa futura; viceversa deve ritenersi cosa presente l'aspettativa di un diritto (in senso tecnico), la quale include gli effetti preliminari scaturenti da un negozio in formazione, che sono attuali. Quanto ai diritti è futuro i1 credito per locazioni da concludere, e il diritto di usufrutto non ancora costituito, del quale si vuole cedere l'esercizio; non il credito per rate a scadere di un contratto di locazione o di somministrazione già concluso, né la costituzione di un diritto di usufrutto o di superficie, né un credito condizionato.
La distinzione poi tra res sperata e spes non ha importanza per ciò che si riferisce ai caratteri dell'oggetto della prestazione (per altri aspetti, v. ultra, n. 2), perché questo, in entrambi i casi, é una cosa futura. La dottrina che nel caso di spes ritiene dedotta l'alea o la speranza e quindi una cosa presente, non considera, infatti, che né l'alea né la speranza, essendo meri stati psicologici, possono aversi come cose e che, pure in questo secondo caso, deve in realtà ritenersi dovuta solo la cosa che verrà ad esistenza, senza di che si avrebbe una prestazione nella quale l'oggetto si considera due volte: una prima volta nella speranza, ed una seconda volta nella cosa di cui si sarà verificata la nascita.
Il negozio su cosa futura
Traendo norma dalla lettera dell'art. 1472 si deve dire che quando le parti non abbiano inteso concludere un negozio aleatorio, il contratto su cosa futura è nullo se la cosa non viene ad esistenza. L'aleatorietà alla quale accenna l'art. 1472 è quella che pone in rischio la nascita della cosa, e attiene quindi alla c. d. deduzione di una spes anziché di una res sperata. Anche per la res sperata può esserci un margine di alea, non quanto alla sua nascita che è certa, ma perché non è prevedibile, al tempo della conclusione del contratto, quale valore o qualità possa avere la cosa che verrà a nascere e la quantità che di essa potrà venire ad esistenza; questa limitata alea però non esclude che un minimo di oggetto cada in considerazione secondo la volontà delle parti, e perciò la sanzione dell'art. 1472 sarà ugualmente operante se, nonostante sia prevedibile, la nascita della cosa non si avveri.
La sanzione prevista dall'art. 1472 consisterebbe nella nullità del contratto; con che si dovrebbe ammettere una validità originaria di questo, che si risolve nel caso in cui la cosa non venga ad esistenza. Invece il contratto su cosa futura presenta quella stessa situazione di pendenza della sua validità, che si è constatata a proposito dell'articolo 1347 (n. 1).
La differenza fra l’art. 1347 e l'art. 1472 è puramente formale, non sostanziale: l'uno pone l'accento sull'avverarsi dell'evento completivo della fattispecie, e non può enunciare se non la conseguenza positiva che il contratto si è prodotto; l'altro prende in considerazione la deficienza dell'elemento completivo della fattispecie, e pertanto non può dichiarare se non l'effetto negativo che gli elementi già realizzati non sono idonei a produrre il contratto. Se entrambi gli articoli fossero stati redatti muovendo da unico punto di partenza (o dalla realizzazione dell'elemento o dalla sua deficienza) entrambi avrebbero, con identità di formule, previsto l'effetto della validità o quello della nullità del contratto.
Anche per il negozio su cosa futura, pertanto, la pendenza della validità del contratto ha base nella c.d. inversione dell'ordine cronologico di formazione della fattispecie che la legge permette rispetto all'oggetto della prestazione; pure il negozio su cosa futura è quindi un negozio anticipato, e non ci resta, a tal riguardo, che rinviare al commento dell'art. 1347 (n. 1).
Deve tuttavia soggiungersi che l'art. 1348 è compatibile con i contratti meramente obbligatori (locazione) e con quelli ad effetti reali (vendita), non con i contratti reali (comodato, deposito, pegno). In questi infatti la consegna della cosa è un modo di perfezione del contratto (v. ultra, sub art. 1350, n. 3), e non si potrebbe attuare rispetto alla cosa futura. Quando questa viene tuttavia dedotta si avrà soltanto una promessa di contratto reale, che può essere attinente anche ad una cosa futura, dato il suo carattere meramente obbligatorio. La nascita o la separazione della cosa sarà la premessa indispensabile per portare a conclusione il contratto definitivo (reale), ad esecuzione della promessa anteriore.