Il primo comma dichiara espressamente impugnabili, per violenza o per dolo, le disposizioni testamentarie.
Tale regola non era stata enunciata nel vecchio codice del 1865, poiché potevano ritenersi estensibili al testamento le disposizioni contenute negli articoli #1111# - #1115# di quel codice: la dottrina, infatti, aveva elaborato la teoria generale del negozio giuridico e identificato un complesso di norme le quali, anche se dettate per una categoria di negozi - i contratti - dovevano ritenersi applicabili agli altri tipi negoziali, e quindi anche al testamento. Tra queste norme erano indubbiamente da comprendere quelle relative all’impugnabilità per violenza o per dolo.
Ciò tanto più varrebbe oggi, poiché la teoria generale del negozio giuridico costituisce ormai un’acquisizione. C’è tuttavia da rilevare che, mentre gli articoli #1111# - #1115# del codice del 1865 si riferivano al contratto, e potevano quindi essere estesi al negozio giuridico, considerato nel suo complesso, la disposizione del primo comma del presente articolo riguarda, più propriamente, le singole disposizioni testamentarie, che sono parti, in un certo senso autonome, del negozio testamentario.
Tuttavia, non basterebbe questa sola differenza relativa all’oggetto a giustificare la disposizione della quale ora si tratta, poiché - com'è noto - le cause di nullità o di annullabilità del negozio possono colpire il negozio medesimo nel suo complesso, o singole parti del suo contenuto, essendo il nucleo del negozio giuridico costituito da una determinazione volitiva che può anche scindersi in una pluralità di minori determinazioni volitive (disposizioni), in un certo senso autonome, all’interno del negozio che le contiene. Si tratta di un problema giuridico, da impostare e risolvere sulla base di elementi formali, e rispetto al quale ogni rilievo di ordine psicologico non può che costituire un presupposto od appiglio materiale per la sua esatta impostazione, dal punto di vista tecnico e giuridico.
Inoltre, è pure il caso di rilevare che il fenomeno dell’autonomia delle singole disposizioni costituenti il contenuto dell’unico negozio presenta il massimo rilievo proprio in rapporto al negozio testamentario, come si può facilmente desumere dalla lettura, anche affrettata, delle norme sia del vecchio che dell’attuale codice.
Dunque, il primo comma del presente articolo può avere una giustificazione pratica: eliminare ogni possibile dubbio circa l’applicabilità delle norme generali sull’impugnabilità per violenza o per dolo al negozio testamentario, che presenta, quanto alla disciplina positiva, peculiarità e caratteristiche per le quali non solo si richiedono disposizioni particolari, ma possono sorgere (e spesso sorgono) dubbi circa l’applicabilità di disposizioni di carattere generale.
Il secondo comma riguarda l’impugnativa delle disposizioni testamentarie per errore sul motivo. La disposizione si giustifica (e si giustificava, sotto la vigenza del vecchio codice) perché contiene una serie di limitazioni rispetto alle norme generali degli articoli #1109# - #1110# del codice del 1865.
Si richiedeva infatti, e si richiede: a) che il motivo sia espresso; b) che costituisca la causa unica della disposizione (mentre il negozio giuridico in genere può annullarsi anche se l’errore non abbia il suo correlato in una dichiarazione espressa del movente che indusse il soggetto a volere, ed anche se l’errore costituì la causa principale del negozio). È da notare, però, che questa disposizione particolare si limita a statuire in merito all’impugnativa delle disposizioni testamentarie per causa di errore sui motivi; anzi, i compilatori dell’attuale codice si ispirarono al concetto “che l’errore vizio in tanto è rilevante, in quanto costituisca errore sui motivi; mentre ogni altro errore sugli elementi essenziali può valere soltanto come errore ostativo, che determina non l’annullabilità ma la nullità del testamento”.
Ma il testo legislativo non si presta a tale interpretazione, con la quale, d’altro canto, si escluderebbe, senza ragione logica, l’impugnativa generica per errore derivante dai princìpi e dalle regole generali. In base al testo dell’art. #828# codice 1865, sul quale la norma che si esamina appare modellata, si ammetteva l'impugnativa delle disposizioni testamentarie per errore, anche diverso da quello sui motivi, purché ricorressero le condizioni richieste dagli articoli #1111# ss. del detto codice.
Per quanto riguarda la redazione della disposizione in esame, è il caso di rilevare che essa è notevolmente migliorata rispetto a quella dell’art. #828# del codice del 1865. Alla parola “causa”, che risultava estremamente equivoca di fronte al significato rigorosamente tecnico che essa assumeva negli articoli #1119# ss. codice 1865, è stata sostituita la parola “motivo”, che deve ritenersi più propria e meno rischiosa. L’idea racchiusa nell’aggettivo “espressa” collegato al termine “causa” è stata parzialmente modificata, poiché l’art. 624 richiede esplicitamente soltanto la contestualità: il motivo erroneo deve risultare dal testamento, e non può desumersi aliunde, né provarsi con altro mezzo, al di fuori del documento in cui il testamento è racchiuso.
Infine, nell’articolo in esame si fa menzione espressa dell’errore di fatto e dell’errore di diritto, e vengono così eliminati i dubbi affacciati circa l’ambito dell’impugnabilità. Per altro verso, la formula dell’art. 624 comma 2 deve ritenersi tecnicamente più corretta di quella dell’art. #828# del codice del 1865, con riferimento alla sua struttura complessiva. L’art. 624, infatti, qualifica impugnabili (cioè annullabili) mediante apposita azione le disposizioni testamentarie viziate da dolo, violenza o errore nei motivi; mentre invece l’art. #828# del codice del 1865 dichiarava che le disposizioni testamentarie affette da errore sopra la causa espressa “non hanno alcun effetto”: ciò non corrispondeva alla realtà pratica, e contrastava coi criteri elementari della sistematica giuridica.
Il terzo comma stabilisce il termine quinquennale di prescrizione per l’azione di annullamento delle disposizioni testamentarie viziate da dolo, violenza o errore sui motivi. Il legislatore ha voluto affermare un astratto criterio di simmetria, con riferimento all’art. #1300# del codice del 1865. Era stato, infatti, proposto che il termine si facesse decorrere non dalla scoperta del vizio, ma dal giorno dell’esecuzione del testamento, anche per evitare il prolungamento indefinito nel tempo del termine prescrizionale, per l’ipotesi in cui fossero diversi gli interessati a proporre la relativa azione, ed essi avessero notizia del vizio in tempi differenti. Il sistema, che, in definitiva, prevalse, venne così giustificato nella relazione del Guardasigilli al Progetto preliminare (n. 135): “Si è rilevato che l’innovazione costituirebbe una deviazione illogica dalle regole accolte in materia contrattuale e potrebbe praticamente impedire l’esercizio dell’impugnativa, quando gli interessati, o perché assenti o per altre ragioni, non abbiano modo di conoscere il vizio del testamento”.
Il rilievo è certamente apprezzabile, ma va integrato. Innanzitutto, si deve osservare che il comma 3 dell'art. 624 non è perfettamente conforme all’art. #1300# del codice del 1865; infatti, riguardo alla violenza, l’art. #1300# codice 1865 faceva decorrere il termine dal momento in cui essa “è cessata”, mentre l’art. 624 fa decorrere il termine, in tutti i casi, dal giorno in cui si è avuta notizia del vizio. E la deviazione può apparire giustificata, per il particolare riflesso che, in materia di contratti, il soggetto che subisce la violenza, e quindi ha conoscenza di essa, è quello stesso che è legittimato a proporre l’impugnativa; mentre, in materia testamentaria, chi subisce la violenza è il testatore, e chi è legittimato a produrre impugnativa è invece l’erede. La differenza, però, non è così macroscopica, come può a prima vista sembrare. Infatti, in materia contrattuale, può darsi che il soggetto che subì la violenza muoia senza aver proposto l’impugnativa e il termine non sia decorso: in questo caso, i suoi eredi, astrattamente legittimati, possono subire gli effetti della prescrizione, per non avere avuto notizia della violenza. E reciprocamente, in materia testamentaria, il testatore ha un’arma ancora più potente per eliminare gli effetti della violenza subita: revocare il testamento o la disposizione estorta con violenza.
Per quanto riguarda, poi, le richiamate esigenze logiche del sistema, c’è da rilevare che l’applicazione letterale dell’art. 624 potrebbe condurre alla conseguenza assai strana del verificarsi della prescrizione a carico di persone non ancora legittimate a proporre l’impugnativa, per non essersi ancora aperta la successione. Si può, infatti, fare l’ipotesi che il successibile interessato all’annullamento della disposizione testamentaria venga a conoscenza del vizio durante la vita del testatore, e decorra il quinquennio prima che si apra la successione. Ciò costituirebbe certo un assurdo logico, che la deviazione dal sistema adottato per i contratti avrebbe potuto evitare. L’assurdo, però, potrebbe essere ugualmente evitato, col rispetto delle esigenze pratiche sopra riferite, qualora si applicasse qui il principio “contra non valentem agere non currit praescriptio”. La disposizione, in tal caso, dovrebbe essere intesa come se fosse così completata: “in ogni caso la prescrizione non comincerà mai a decorrere prima dell’apertura della successione”.