La norma in esame non trova riscontro nel vecchio codice del 1865. La giustificazione, dal punto di vista sistematico e da quello politico-legislativo, è evidente. Sotto il primo profilo, la disposizione in esame si riconduce al
principio tradizionale che nega la tutela giuridica, anche indiretta, all'illecito: più specificamente, si possono richiamare le disposizioni di cui agli articoli #1119# e #1122# del codice del 1865, fatta, s’intende, la debita differenza tra "causa" in senso tecnico e "motivo". Sotto il secondo profilo, è stato rilevato, nella Relazione del Guardasigilli al Progetto, che la disposizione dell’art. 626
"riafferma l'importanza che anche nei rapporti privati devono avere quei princìpi etici sui quali lo Stato Fascista costruisce il nuovo ordine sociale e giuridico".
Quanto alle condizioni sotto le quali opera il motivo illecito come causa di nullità, molto opportunamente, per ragioni di coerenza sistematica, il legislatore ha modellato il testo di questa disposizione su quello della disposizione generale contenuta nell'art.
624. Le esigenze del sistema furono rispettate anche sotto il profilo formale, poiché sono identiche persino le formule letterali delle due disposizioni.
Vi è tuttavia una differenza che concerne gli effetti:
l’errore sui motivi rende la disposizione impugnabile, cioè annullabile, mediante il tempestivo esercizio dell’azione concessa a tale fine, mentre
l’illiceità del motivo la rende, invece, nulla (di pieno diritto, e senza bisogno di apposita impugnativa). Non è soltanto l’uso dell'espressione tecnica "
rende nulla" (di fronte all'altra:
"può essere impugnata" dell’art.
624) che induce alla proposta, per altro evidente, interpretazione, ma piuttosto la chiara differenza della disciplina giuridica: l’art.
624 parla espressamente dell’azione (di annullamento) alla quale assegna il termine quinquennale di prescrizione; l’art. 626 non parla né di azione, né di prescrizione.
Del resto, anche questa differenza di effetti può ricondursi a premesse e a situazioni di più generale portata. Infatti, mentre l’errore produce soltanto l’annullabilità dei negozi giuridici (gli articoli #1109# - #1110# del codice del 1865 parlano impropriamente di nullità, ma l’art. #1300# dello stesso codice prevede espressamente l’azione di annullamento, anch'essa detta, impropriamente, di nullità, ed il relativo termine prescrizionale),
l’illiceità della causa produce la nullità del negozio (art. #1119# del codice del 1865).
Il rapporto fra la disposizione in esame e quella dell’art.
647, secondo la quale
l’onere illecito si ha come non apposto, ha fatto sorgere il dubbio che la diversità di trattamento tra il motivo illecito, il quale
vitiatur et vitiat, e l’onere illecito, che
vitiatur sed non vitiat, conduca ad un'ingiustificata incoerenza sistematica.
Il rilievo per cui
"non riesce chiaro il motivo illecito che non comporti in sé l’onere di fare cose illecite", non può aver peso: a) perché in sé stesso, in quanto implichi una (inesistente) necessità logica, inesatto; b) perché, nei casi nei quali l’apparente motivo si traduca in un vero e proprio onere, si applicherà l’art.
647, anziché l’art. 626: non si tratterà di identità (necessaria od eventuale) di contenuto, ma di indiscutibile
differenza di funzione. Tale differenza si è voluta sottolineare, quando si è detto che il motivo si riferisce a una cosa avvenuta, mentre la condizione di cui all’art.
647 si riferisce a una cosa che deve avvenire. Piuttosto, si dirà che il motivo giustifica la disposizione
a parte testatoris, e non mira ad influire sul contegno del beneficiario della disposizione; mentre l’onere mira, appunto, a vincolare l’attività di quest’ultimo. Non si nega che di fatto possano sorgere difficoltà nel qualificare l’antecedente visibile di una disposizione come motivo o come onere; ma si tratterà di una delle tante
quaestiones facti alle quali dà luogo quotidianamente l’interpretazione delle disposizioni testamentarie. Ed è, se non assolutamente certo, almeno assai probabile che il movente risultante, non già da una specifica disposizione, ma dal complesso delle disposizioni testamentarie, debba qualificarsi come motivo, ai fini dell’eventuale applicabilità dell’art. 626, anziché come onere, ai fini dell’applicabilità dell’art.
647.