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Articolo 1748 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Diritti dell'agente

Dispositivo dell'art. 1748 Codice Civile

(1)Per tutti gli affari conclusi durante il contratto l'agente ha diritto alla provvigione quando l'operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento(2).

La provvigione è dovuta anche per gli affari conclusi dal preponente con terzi che l'agente aveva in precedenza acquisito come clienti per affari dello stesso tipo o appartenenti alla zona o alla categoria o gruppo di clienti riservati all'agente, salvo che sia diversamente pattuito(3).

L'agente ha diritto alla provvigione sugli affari conclusi dopo la data di scioglimento del contratto se la proposta è pervenuta al preponente o all'agente in data antecedente o gli affari sono conclusi entro un termine ragionevole dalla data di scioglimento del contratto e la conclusione è da ricondurre prevalentemente all'attività da lui svolta; in tali casi la provvigione è dovuta solo all'agente precedente, salvo che da specifiche circostanze risulti equo ripartire la provvigione tra gli agenti intervenuti(4).

Salvo che sia diversamente pattuito, la provvigione spetta all'agente dal momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione in base al contratto concluso con il terzo. La provvigione spetta all'agente, al più tardi, inderogabilmente dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico.

Se il preponente e il terzo si accordano per non dare, in tutto o in parte, esecuzione al contratto, l'agente ha diritto, per la parte ineseguita, ad una provvigione ridotta nella misura determinata dagli usi o, in mancanza, dal giudice secondo equità.

L'agente è tenuto a restituire le provvigioni riscosse solo nella ipotesi e nella misura in cui sia certo che il contratto tra il terzo e il preponente non avrà esecuzione per cause non imputabili al preponente. È nullo ogni patto più sfavorevole all'agente.

L'agente non ha diritto al rimborso delle spese di agenzia.

Note

(1) Tale articolo, modificato dall'art. 2 del D. lgs. 10 settembre 1991, n. 303, è stato sostituito dall'art. 3 del D. lgs. 15 febbraio 1999, n. 65.
(2) Si deve distinguere il diritto alla provvigione dalla sua esigibilità: il primo sorge quando preponente e terzo giungono alla stipula grazie all'opera dell'agente; la seconda matura se e quando tale accordo riceve esecuzione (comma 4).
(3) Si tratta della provvigione c.d. indiretta, perchè i terzi erano stati acquisiti come clienti del preponente in un momento precedente.
(4) Pertanto, il diritto alla provvigione è legato a criteri di effettività in quanto sorge, anche se l'affare è concluso solo dopo la cessazione del contratto di agenzia, quando la proposta si è avuta in sua costanza ovvero, se non è trascorso troppo tempo, quando è stato determinante l'operato dell'agente.

Ratio Legis

Il diritto alla provvigione matura in capo all'agente quando il suo operato incide sulla conclusione del contratto, e ciò proprio in quanto la sia obbligazione è quella di promuovere la conclusione dei contratti.
Il comma 4 detta i criteri per stabilire la misura della provvigione in quanto essa è elemento essenziale del contratto e la sua assenza ne determinerebbe la nullità (1418 c.c.).
Se il preponente ed il terzo si accordano per non dare esecuzione al contratto, ciò non incide, di regola, sul diritto alla provvigione dell'agente, in quanto, altrimenti, essi potrebbero giungere a tale patto proprio per frodare l'agente; la regola perde la sua giustificazione se la non esecuzione della stipula non è imputabile al preponente.

Spiegazione dell'art. 1748 Codice Civile

Il diritto dell'agente alla provvigione

In aderenza alla natura del rapporto e alle finalità dello stesso l'agente ha diritto alla provvigione solo per gli affari che hanno avuto regolare esecuzione. Egli assume il rischio di lavorare a vuoto una prima volta quando si adopera per la conclusione dell'affare per il caso che non vi riesca, una seconda volta, quando ad affare concluso questo non abbia buon fine. Il diritto al compenso quindi è subordinato alla condizione della conclusione dell'affare e del buon fine di questo.
Le parole adoperate dalla legge «regolare esecuzione » chiariscono il contenuto della locuzione «buon fine» corrente nella pratica. Il buon fine dell'affare rimane escluso ogni volta che il contratto concluso col terzo rimane ineseguito, a meno che l'inesecuzione dipenda dal fatto o dalla colpa del preponente.


L'esecuzione parziale dell'affare e la provvigione

Se l'affare ha avuto esecuzione parziale, la provvigione spetta all'agente in proporzione della parte eseguita. Occorre per com'è chiarito nella relazione ministeriale (n. 722), che il preponente abbia conseguito sempre un risultato utile. Questo manca se il preponente riesce soltanto a ridurre le perdite come nel caso che riscuota una delle ordinarie percentuali fallimentari. Al contrario il risultato utile vi è quando il preponente è reintegrato nel costo della sua prestazione, per esempio il prezzo della vendita, e consegue un di più. Su tale di più il preponente è tenuto a corrispondere una provvigione proporzionale. Per conseguenza, come già implicitamente si è detto, il risultato utile deve essere stabilito in relazione alla prevista esecuzione integrale del contratto secondo i patti convenuti e all'utile complessivo che da tale esecuzione sarebbe dovuto derivare. Il risultato utile manca ancora se il preponente ha potuto limitare l'esecuzione del contratto e in relazione alla parte eseguita ha realizzato un utile proporzionale ma questo è assorbito dal danno che egli riceve dalla mancata esecuzione integrale del contratto, come nel caso che per sopravvenute circostanze, quali le mutate condizioni del mercato, il preponente non riesce più a collocare utilmente la merce non ritirata dal compratore.

Gli stessi criteri valgono anche se a seguito di contestazioni sorte circa l'esecuzione del contratto, si addiviene fra i contraenti a una transazione.


Gli affari conclusi direttamente dal preponente nella zona e la provvigione

La norma del secondo comma dell'art. 1748 è una logica conseguenza del regime di esclusiva da cui è retto il rapporto. L'art. 1743 obbliga il preponente a non valersi contemporaneamente di più agenti nella stessa zona e per lo stesso ramo di attività. Ma il preponente può direttamente trattare gli stessi affari. Deve però corrispondere all'agente la provvigione come se gli affari stessi fossero dall'agente compiuti. È una soluzione che tiene conto degl'interessi di entrambe le parti: non toglie al preponente la libertà d'intervenire direttamente e garantisce all'agente il beneficio economico che dalla personale esecuzione del rapporto egli dovrebbe conseguire.
È fatta espressa salvezza alle parti di regolare diversamente l'esecuzione del rapporto o escludendo la provvigione ovvero riducendola a una percentuale minore della ordinaria.


Le spese di agenzia

Come si è detto nel commento all'art. 1742, il rapporto è caratterizzato dalla stabilità dell'incarico e dall'autonomia dell'attività dell'agente. È logico quindi che questo, contrariamente a quanto è stabilito per il mandatario (art. 1719), non possa ripetere dal preponente né le spese generali né quelle fatte per i singoli affari.
Per altro la provvigione si determina in modo da tener conto sia del compenso sia delle spese. E le parti sono libere di convenire diversamente.


Il modo di liquidazione della provvigione

Il codice nulla dispone circa il modo di liquidazione della provvigione.
La liquidazione è fatta dal preponente. L'agente la controlla sulle fatture, se il preponente le trasmette a suo mezzo ai clienti, ovvero sulle copie delle fatture che il preponente deve far tenere periodicamente all'agente, quando spedisce direttamente gli originali ai clienti.
Di regola la liquidazione si fa ogni sei mesi. Il preponente spedisce il conto all'agente e paga la provvigione entro sessanta giorni dall'approvazione. Se l'agente non risponde, il conto dopo un congruo pe­riodo di tempo s'intende approvato.

Si ammette che anche prima dell'approvazione l'agente abbia diritto sulle provvigioni maturate a un anticipo nella misura del 30 % se non risulta debitore della ditta per altre partite.
Se non giungono a buon fine gli affari per i quali l'agente ha già riscosso in tutto o in parte le provvigioni, l'agente è tenuto al rimborso che può essere fatto anche mediante addebitamento in conto e successiva compensazione con altri crediti dell'agente nascenti dallo stesso rapporto di agenzia.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

722 L'agente ha diritto alla provvigione, ma solo per gli affari che sono andati a buon fine (art. 1748 del c.c., primo comma). La provvigione è dovuta anche in caso di esecuzione parziale, sebbene solo in proporzione della parte eseguita (art. 1748, primo comma); non vi è però esecuzione parziale quando non si sia portata una qualsiasi utilità all'imprenditore e si siano semplicemente ridotte le perdite cagionate da un affare sfortunato, come nel caso di riscossione di una percentuale fallimentare. La provvigione è pure dovuta per gli affari direttamente conclusi dal preponente nella zona riservata all'agente (art. 1748, secondo comma), come effetto dell'esclusività a lui concessa. I diritti dell'agente nel caso di storno dell'affare sono regolati nell'art. 1749 del c.c.. Se l'affare non ha avuto esecuzione per un fatto imputabile al preponente, è ovvio che l'agente ha diritto integrale alla provvigione. Se l'affare sia rimasto ineseguito in tutto o in parte per mutuo consenso dei contraenti, la circostanza che all'inesecuzione dell'affare ha concorso anche la volontà dell'altro contraente, esclude che si possa ragionevolmente applicare la stessa regola adottata per l'ipotesi di fatto imputabile esclusivamente al preponente, e che si possa perciò attribuire all'agente l'intera provvigione. Ma non è nemmeno giusto privarlo di ogni compenso; e infatti l'art. 1749, secondo comma, mantiene il diritto dell'agente alla provvigione, disponendo che essa deve ridursi alla misura determinata dalle norme corporative e dagli usi o, in mancanza, dal giudice secondo equità. Deve ritenersi sottinteso che anche una determinazione convenzionale potrà valere, se risulti per l'agente più favorevole delle norme corporative o degli usi. Per quanto il codice non lo dica, è ovvio che la provvigione non è dovuta se l'inesecuzione dell'affare sia dipesa da caso fortuito : la condizione del buon fine fa gravare ogni rischio a carico dell'agente.

Massime relative all'art. 1748 Codice Civile

Cass. civ. n. 28878/2022

Nel rapporto di agenzia, ove il preponente agisca per la restituzione delle somme versate in anticipo a titolo di acconto su compensi poi non maturati, grava su questi, e non sull'agente, l'onere di provare la sussistenza dei fatti che hanno reso la somma versata priva di giustificazione causale, ossia la mancata conclusione degli affari, atteso che la provvigione è dovuta in caso di conclusione dell'affare per effetto dell'attività dell'agente.

Cass. civ. n. 17575/2022

In tema di contratto d'agenzia, nel giudizio di accertamento del diritto alla provvigione, l'agente, al quale l'art. 1748 c.c., nel testo modificato dall'art. 2 d.lgs. n. 303 del 1991, riconosce il diritto di esigere tutte le informazioni necessarie per verificare l'importo delle provvigioni liquidate, ha l'onere di provare che gli affari da lui promossi sono andati a buon fine o che il mancato pagamento sia dovuto a fatto imputabile al preponente, cosicché, qualora quest'ultimo non gli abbia trasmesso i dati e le informazioni necessarie per esercitare i suoi diritti di credito quantificando esattamente negli atti di causa le sue spettanze, il giudice deve, su istanza di parte, emanare nei confronti del preponente l'ordine di esibizione delle scritture contabili ex art. 210 c.p.c.

Cass. civ. n. 7358/2022

In tema di contratto di agenzia, ai sensi dell'art. 1748, comma 2, c.c., il diritto alla provvigione cd. indiretta compete in ogni caso di ingerenza nella zona di esclusiva dell'agente o di captazione di clienti riservati all'agente attraverso l'intervento diretto o indiretto del preponente, quali che siano le modalità della sottrazione così realizzata ed indipendentemente dalla tecnica negoziale prescelta o dal luogo in cui questa è posta in essere, sicché anche la conclusione di affari al di fuori della zona di esclusiva dell'agente con una società che, a sua volta, provveda alla distribuzione del prodotto ad imprenditori affiliati operanti nell'ambito territoriale riservato all'agente, costituisce violazione della zona di esclusiva, ove vi concorra il preponente.

Cass. civ. n. 17572/2020

In tema di contratto di agenzia, il conferimento dell'incarico di riscossione all'atto della stipula del contratto fa presumere - attesa la natura corrispettiva del rapporto - che il compenso per tale attività sia compreso nella provvigione pattuita, che va riferita al complesso dei compiti affidati, mentre essa va separatamente compensata se il relativo incarico sia conferito nel corso del rapporto e costituisca una prestazione accessoria ulteriore rispetto a quella originariamente prevista dal contratto, a meno che non risulti accertata la volontà delle parti di procedere ad una novazione che, prevedendo nuovi obblighi a carico dell'agente, lasci invariati quelli del preponente.

Cass. civ. n. 9291/2020

Nel contratto di agenzia, il diritto di esclusiva è connaturato al rapporto e dispiega i suoi effetti sia durante la permanenza dello stesso che nel periodo successivo alla sua cessazione; all'agente spettano, quindi, anche provvigioni postume, sempre che la conclusione dell'affare, avvenuta dopo la cessazione del contratto, sia il frutto della prevalente attività promozionale da questi svolta durante il mandato, senza che rilevino, in considerazione del vincolo di esclusiva, gli eventuali interventi della società preponente finalizzati alla conclusione dell'affare.

Cass. civ. n. 25544/2018

In tema di contratto di agenzia, l'inserimento della provvigione nel conto provvigionale, il cui diritto sorge allorquando l'affare sia andato a buon fine o la mancata conclusione del contratto sia imputabile al preponente, non costituisce fonte autonoma di obbligazione ma mera ricognizione di debito, avente effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, che comporta l'inversione dell'onere della prova dell'esistenza di quest'ultimo ma non impedisce al preponente di sottrarsi al pagamento, dimostrando che al contratto non è stata data esecuzione per fatti a lui non imputabili.

Cass. civ. n. 2288/2017

In tema di contratto di agenzia, ai sensi dell'art. 1748, comma 2, c.c., il diritto alla provvigione cd. indiretta compete in ogni caso di ingerenza nella zona di esclusiva o di captazione di clienti riservati all'agente attraverso l'intervento diretto o indiretto del preponente, quali che siano le modalità della sottrazione così realizzata ed indipendentemente dalla tecnica negoziale prescelta o dal luogo in cui questa è posta in essere, sicché, anche la conclusione di affari al di fuori della zona di esclusiva dell'agente, con una società che, a sua volta, provveda alla distribuzione del prodotto ad imprenditori affiliati operanti, invece, nel predetto ambito territoriale, costituisce violazione della zona di esclusiva, ove vi concorra il preponente (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, con accertamento non sindacabile, aveva ritenuto sussistente la sottrazione della clientela di zona attraverso l'intervento della preponente capogruppo, che si era consapevolmente avvalsa dell'attività del proprio agente operante nella zona della capogruppo, per soddisfare gli ordinativi di merce dei vari esercizi commerciali affiliati, operanti nelle zone di altri agenti).

Cass. civ. n. 21994/2016

Nel contratto di agenzia, il patto dello star del credere in misura eccedente il massimo previsto dal contratto collettivo tempo per tempo vigente è legittimo, quale espressione dell'autonomia negoziale delle parti ex art. 1322 c.c., ove assunto in modo spontaneo e autonomo dall'agente, in vista della stipulazione di un contratto con un cliente reputato non solvibile dal preponente, che si è determinato alla conclusione per la sola garanzia così prestata, senza imposizione di un vincolo coercitivo che interferisca o alteri l'equilibrio sinallagmatico delle prestazioni tipiche del rapporto.

Cass. civ. n. 486/2016

In tema di contratto di agenzia, la ripartizione dell'onere della prova tra agente e preponente deve tenere conto, oltre della partizione della fattispecie sostanziale tra fatti costitutivi e fatti estintivi od impeditivi del diritto, anche del principio - riconducibile all'art. 24 Cost. e al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l'esercizio dell'azione in giudizio - della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di appello che non aveva adeguatamente valutato gli estratti conto del rapporto e il prospetto riepilogativo delle provvigioni, prodotti in giudizio dall'agente con il ricorso introduttivo della causa in primo grado e non tempestivamente contestati dalla società preponente).

Cass. civ. n. 21219/2015

In tema di contratto di agenzia, l'omesso invio degli estratti conto provvisionali da parte del preponente giustifica la carente indicazione dei relativi dati ai fini della quantificazione giudiziale del proprio credito chiesta dall'agente, derivando essa dall'inadempimento dell'obbligo di informazione a carico del primo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che, a fronte dell'inadempimento del preponente dell'obbligo informativo, aveva ritenuto che correttamente il tribunale avesse disposto consulenza tecnica di ufficio per la quantificazione del credito dell'agente).

Cass. civ. n. 25023/2013

Nel giudizio per l'accertamento del diritto alla provvigione, l'agente ha l'onere di provare che gli affari da lui promossi sono andati a buon fine o che il mancato pagamento sia dovuto a fatto imputabile al preponente, essendo il buon fine dell'affare un fatto costitutivo del diritto alla provvigione. (Principio affermato in fattispecie soggetta "ratione temporis" all'art. 1748 c.c. nel testo anteriore alla sostituzione ex art. 3 del d.l.vo 15 febbraio 1999, n. 65).

Cass. civ. n. 14968/2011

Nel giudizio promosso dall'agente contro la ditta preponente per l'accertamento del suo diritto al pagamento di provvigioni sugli affari conclusi, egli ha l' onere di provare i fatti costitutivi della sua pretesa, ovvero gli affari da lui promossi; è peraltro legittimo l'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. delle scritture contabili impartito dal giudice di merito alla medesima preponente, anche con riferimento ai contratti per i quali non è applicabile, per ragioni temporali, l'art. 2 del d.l.vo n. 303 del 1991, che, nel riconoscere - in attuazione della direttiva comunitaria 18 dicembre 1986, n. 653 - il diritto dell'agente ad ottenere un estratto delle scritture contabili, ha fornito un autorevole criterio interpretativo delle norme previgenti. Tale principio deve essere coordinato con la funzione di strumento istruttorio residuale assegnata dall'ordinamento all'ordine di esibizione predetto, che può pertanto essere utilizzato solo se la prova del fatto non è acquisibile "aliunde" e se l'iniziativa non ha finalità meramente esplorative; la valutazione concernente la ricorrenza di tali presupposti è rimessa al giudice di merito e il mancato esercizio da parte di costui del relativo potere discrezionale non è sindacabile in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 10821/2011

La proposizione della domanda di pagamento delle provvigioni relative ad un rapporto di agenzia, riguardando un diritto il cui fatto costitutivo è rappresentato non dal rapporto predetto (che, di per sé, è solo il presupposto della nascita del credito azionato), ma dalla conclusione di affari tra preponente e clienti per il tramite dell'agente, esige che siano indicati, con elementi sufficienti a consentirne l'identificazione, i contratti che l'agente assume siano stati conclusi per suo tramite, non potendosi considerare assolto l'onere probatorio dalla mera produzione degli ordini raccolti.

Cass. civ. n. 15069/2008

In materia di rapporto di agenzia, il preponente non può operare, con continuità, nella zona di competenza dell'agente ma, ai sensi dell'art. 1748, secondo comma, c.c., ha solamente la facoltà di concludere, direttamente, singoli affari, anche se di rilevante entità, dal cui compimento sorge il diritto dell'agente medesimo a percepire le cosiddette provvigioni indirette; ne consegue che, ove l'intervento del proponente sia meramente isolato, il diritto al pagamento della provvigione ha, a sua volta, natura episodica e non periodica, e, come tale, è soggetto alla prescrizione ordinaria di cui all'art. 2946 c.c. e non alla prescrizione «breve» ex art. 2948, n. 4, c.c.

Cass. civ. n. 18586/2007

L'art. 1748 c.c., nel testo modificato dall'art. 2 del D.L.vo n. 303 del 1991, ha riconosciuto il diritto dell'agente di esigere che gli siano fornite tutte le informazioni, in particolare un estratto dei libri contabili, necessarie per verificare l'importo delle provvigioni liquidate. Conseguentemente, in relazione a tale precisa garanzia normativa, non appare conforme a diritto la reiezione, come nella specie, dell'istanza dell'agente mirante, indipendentemente dall'espletamento di consulenza tecnica, all'acquisizione della documentazione in possesso solo del preponente, indispensabile per sorreggere, sul piano probatorio, attraverso precisi dati quantitativi, l'allegazione relativa all'aumento del numero dei clienti e del volume degli affari nel corso degli anni; né è imputabile alla parte la carenza di indicazione di tali dati quantitativi, derivando dall'inadempimento dell'obbligo di informazioni posto dalla legge a carico del preponente.

Cass. civ. n. 17762/2003

Nel giudizio promosso dall'agente contro la ditta preponente per l'accertamento del suo diritto al pagamento delle provvigioni, egli ha l'onere di provare i fatti costitutivi della sua pretesa, ovvero gli affari da lui promossi e la loro esecuzione, laddove rientra nel potere discrezionale del giudice di merito disporre l'ammissione di consulenza tecnica, qualora la ricostruzione dei reciproci rapporti di dare ed avere tra agente e preponente, sulla base dei fatti addotti dalle parti, necessiti di una ricostruzione tecnico-contabile.

Cass. civ. n. 84/2003

Nel rapporto d'agenzia, la clausola «tutto subito» — che consente all'agente di optare per la percezione immediata delle provvigioni di incasso relative a tutta la durata del contratto di assicurazione, anziché percepire la provvigione di incasso anno per anno, — nel prevedere il diritto da parte della società di ripetere le provvigioni anticipate sui premi non incassati dall'agente, perché maturati dopo la cessazione del rapporto, non incide sull'equilibrio contrattuale delle parti e non può pertanto essere considerata vessatoria, atteso che il risultato conseguito non contrasta con il sistema di pagamento provvigionale anno per anno.

Cass. civ. n. 10427/2002

Nell'ipotesi di contratto di agenzia o rappresentanza commerciale nullo perché stipulato con soggetto non iscritto nel ruolo istituito dalla legge 12 marzo 1968, n. 316, quest'ultimo può esperire l'azione generale di arricchimento senza causa, ai sensi dell'art. 2041 c.c., per farsi indennizzare delle prestazioni svolte a favore del preponente, senza che rilevi la distinzione tra contratto semplicemente illegale in quanto (come nella specie) contrario a norme imperative e contratto nullo per illiceità della causa (dovuta a contrarietà a norme imperative o all'ordine pubblico), giacché l'azione di indebito arricchimento potrebbe essere esclusa solo nell'ipotesi di contratto nullo per illiceità della causa dovuta a contrarietà al buon costume.

Cass. civ. n. 8310/2002

Nel giudizio promosso dall'agente contro la ditta preponente per l'accertamento del suo diritto al pagamento delle provvigioni, l'agente stesso ha l'onere di provare i fatti costitutivi della pretesa, ovvero gli affari da lui promossi e la loro esecuzione, non potendosi supplire al mancato assolvimento di tale onere con la richiesta alla controparte di esibizione di documenti (che per poter essere presa in considerazione deve comunque essere specifica e concernente documenti individuati) e la cui inosservanza da parte del preponente configura un argomento di prova ex art. 116 c.p.c., liberamente valutabile dal giudice di merito.

Cass. pen. n. 8310/2002

Nel giudizio promosso dall'agente contro la ditta preponente per l'accertamento del suo diritto al pagamento delle provvigioni, l'agente stesso ha l'onere di provare i fatti costitutivi della pretesa, ovvero gli affari da lui promossi e la loro esecuzione, non potendosi supplire al mancato assolvimento di tale onere con la richiesta alla contropare di esibizione di documenti, (che per poter essere presa in considerazione deve comunque essere specifica e concernere documenti individuati) e la cui inosservanza da parte del preponente configura un argomento di prova ex art. 116 c.p.c., liberamente valutabile dal giudice di merito.

Cass. civ. n. 11197/2001

Il diritto dell'agente a conseguire le provvigioni per le vendite concluse direttamente dal preponente nella zona riservata allo stesso agente, ex art. 1748, secondo comma, c.c., presuppone che si tratti di vendite concluse da un soggetto, appunto il preponente, in immediato rapporto con la controparte acquirente, nelle quali, cioè, lo scambio fra le prestazioni corrispettive avvenga in maniera immediata e diretta tra le due parti, senza l'intervento di soggetti interposti e senza ulteriori passaggi intermedi. (Nella specie, la Suprema Corte ha annullato la sentenza di merito che aveva riconosciuto la provvigione in relazione a vendite effettuate da un grossista, che aveva acquistato i prodotti commerciati presso il preponente e li aveva successivamente posti in vendita al dettaglio mediante propri venditori).

Cass. civ. n. 14767/2000

Qualora un contratto di agenzia contenga una clausola secondo cui il conto provvigionale si intende approvato se non contestato entro trenta giorni, l'approvazione dell'estratto conto preclude l'impugnabilità della validità e dell'efficacia dei singoli rapporti obbligatori e dei titoli contrattuali da cui derivano gli addebiti e gli accrediti; infatti, un'approvazione non può avere un'efficacia maggiore di una dichiarazione «saldo» apposta dall'agente in calce ai conteggi predisposti unilateralmente dal preponente sulle provvigioni spettantegli, non essendo idonea a esprimere la rinuncia a diritti diversi da quelli inerenti alle provvigioni classificate e percepite, né dimostrando la consapevolezza dell'esistenza di altri diritti e la convinzione di abdicare ad essi.

Cass. civ. n. 5467/2000

Anche in base alla normativa di attuazione della direttiva comunitaria 86/653 (del 18 dicembre 1986) sugli agenti di commercio indipendenti e, in particolare, alla disciplina dettata dall'art. 1748 c.c., nel testo di cui al D.L.vo 15 febbraio 1999, n. 65 di maggior tutela del diritto dell'agente alle provvigioni sia per quanto riguarda sia il momento genetico che l'onere probatorio l'agente ha l'onere di precisare e provare i fatti costitutivi del suo diritto alle provvigioni, e quindi, in particolare, la conclusione dei contratti da lui promossi, con i relativi dati identificativi e quantitativi.

Cass. civ. n. 1361/2000

In tema di rapporto d'agenzia, la consulenza tecnica può costituire mezzo di prova quando la parte non possa dimostrare il proprio assunto; lo è comunque quando si tratti di fatti riscontrabili solo attraverso particolari conoscenze tecniche, come nel caso di registrazioni contabili relative a rapporti assicurativi conclusi direttamente dalla compagnia assicuratrice.

Cass. civ. n. 5441/1999

Nel rapporto di agenzia, il patto cosiddetto dello star del credere (per cui l'agente, in relazione agli affari non andati a buon fine, non solo non percepisce alcuna provvigione, ma partecipa anche al rischio di impresa sopportando in parte le perdite subite dall'imprenditore preponente, come conseguenza dell'inadempimento dei clienti da lui procurati) prescinde da qualsiasi negligenza, colpa o dolo dell'agente sicché — avendo tale obbligo di garanzia carattere oggettivo — l'agente non può sottrarvisi dimostrando di aver tenuto un comportamento diligente nello scegliere il cliente e di aver provveduto ad informare la società preponente in ordine ad eventuali dubbi di insolvenza. Quest'ultima però non può imporre all'agente di curare o concludere affari che egli reputi dannosi se non esonerandolo dalla garanzia stessa.

Cass. civ. n. 10063/1998

Nel giudizio promosso dall'agente contro la ditta preponente per l'accertamento del suo diritto al pagamento di provvigioni dirette ed indirette sugli affari conclusi, è legittimo l'ordine di esibizione delle scritture contabili impartito dal giudice di merito alla medesima preponente, anche con riferimento ai contratti per i quali non è applicabile, per ragioni temporali, l'art. 2 del D.L.vo 10 settembre 1991 n. 303, che, nel riconoscere — in attuazione della direttiva comunitaria 18 dicembre 1986 n. 86/653 — il diritto dell'agente ad ottenere un estratto delle scritture contabili, ha fornito un autorevole criterio interpretativo delle norme previgenti. Tuttavia, poiché l'inosservanza dell'ordine di esibizione di documenti integra un comportamento dal quale il giudice può, nell'esercizio di poteri discrezionali, desumere argomenti di prova a norma dell'art. 116, comma secondo, c.p.c., non è censurabile in sede di legittimità, neanche per difetto di motivazione, la mancata valorizzazione dell'inosservanza dell'ordine ai fini della decisione nel merito o dell'ammissione di una consulenza tecnica per gli accertamenti contabili, anche perché anche l'esperimento di una consulenza tecnica d'ufficio è rimesso alla discrezionalità del giudice del merito e non può essere inteso come un mezzo che esoneri la parte dall'onere della prova dei fatti posti a fondamento della pretesa fatta valere in giudizio.

Cass. civ. n. 9802/1998

In tema di rapporto di agenzia, qualora il preponente abbia concluso affari direttamente nella zona dell'agente, ovvero quando non abbia comunicato all'agente il buon fine degli affari da lui promossi, l'agente che invoca il pagamento delle provvigioni può richiedere l'esibizione delle scritture contabili del preponente e la consulenza tecnica sulle stesse, per accertare la conclusione e il buon fine degli affari conclusi per il suo tramite.

Cass. civ. n. 4887/1998

In materia di contratto di agenzia, in caso di conclusione da parte del mandante, a seguito di iniziative dell'agente e con l'assistenza del medesimo nel momento della stipulazione, di un contratto di concessione di vendita in esclusiva nella zona di pertinenza dell'agente, va annullata per vizio di motivazione e violazione della disposizione dell'art. 1748, comma 2, c.c. sul diritto alle cosiddette provvigioni indirette, la sentenza con cui il giudice di merito ritenga risolto il rapporto di agenzia per implicita volontà delle stesse parti ed insussistente il diritto dell'agente a provvigioni per gli affari conclusi con tale concessionario, sulla sola base della stipulazione di tale contratto di esclusiva e del non dimostrato assioma che il medesimo avesse di fatto comportato la totale estromissione dell'agente nei rapporti tra preponente ed esclusivista. (Nella specie il contratto di agenzia, stipulato a termine con clausola di tacito rinnovo, non era stato mai disdetto; la S.C. ha rilevato anche contraddittorietà di motivazione per il riconoscimento di provvigioni per un periodo successivo alla ritenuta risoluzione del contratto, inoltre, annullando con rinvio la sentenza impugnata, ha rilevato che il giudice di rinvio avrebbe anche dovuto, se del caso, verificare l'applicabilità — anche sotto il profilo temporale - del comma 3 dell'art. 1748, c.c., introdotto dall'art. 2 del D.L.vo n. 303 del 1991, che prevede il diritto dell'agente alla provvigione sugli affari conclusi dopo lo scioglimento del contratto se la loro conclusione «è effetto soprattutto dell'attività da lui svolta».

Cass. civ. n. 1153/1998

In tema di contratto di agenzia, l'indennità suppletiva di clientela ha origine e disciplina esclusivamente collettiva, essendo stata introdotta dall'AEC 18 dicembre 1974 e conservata dagli accordi successivi, tutti con natura ed efficacia meramente negoziale, ed è pertanto dovuta solo agli agenti il cui rapporto sia regolato, direttamente o per relationem, dai detti accordi.

Cass. civ. n. 12668/1997

La provvigione spetta all'agente sugli affari che abbiano avuto regolare esecuzione, dovendosi intendere per regolare esecuzione non l'esatto adempimento secondo i patti contrattuali, bensì il risultato economico utile conseguito, cosa che la provvigione è dovuta anche in caso di esecuzione non «ortodossa» o di esecuzione parziale, sia pure, in quest'ultimo caso, solo in proporzione alla parte dell'affare che sia andata a buon fine.

Cass. civ. n. 4504/1997

È nulla ai sensi dell'art. 1356 c.c., risolvendosi in una condizione meramente potestativa, tale da far venir meno l'efficacia vincolante dell'intero contratto, la clausola del contratto di agenzia con la quale il proponente si riservi in ogni momento la possibilità, previa comunicazione, di trattare direttamente alcuni clienti (non previamente individuati), così escludendo ogni diritto dall'agente in quanto l'applicazione di detta clausola svuoterebbe di significato il contratto, consentendo al preponente la possibilità di sottrarre all'agente un numero indefinito di clienti — anche tutti — senza riconoscergli diritto a provvigioni o tenere in alcun conto le spese sostenute e le attività svolte per organizzare una sempre più estesa rete di clienti.

Cass. civ. n. 6258/1996

L'agente che, al fine di ottenere il pagamento delle relative provvigioni, deduca la conclusione di affari diretti da parte del preponente, in violazione del patto di esclusiva, nella zona a lui riservata, ha l'onere di provare l'avvenuta conclusione di tali affari, e non può supplire al mancato assolvimento dello stesso mediante richiesta di esibizione della contabilità aziendale del preponente relativa agli anni nei quali assume essersi verificata la violazione del patto, potendo richiedere solo che siano esibiti atti e documenti specificamente individuati e individuabili.

Cass. civ. n. 2749/1996

Al rapporto di agenzia compiutamente regolato dalla disciplina contrattuale efficace erga omnes (D.P.R. 16 gennaio 1961, n. 145, di recepimento dell'accordo 20 giugno 1956), non può farsi applicazione analogica dell'art. 1736 c.c. secondo il quale il commissionario tenuto allo star del credere ha diritto ad un compenso aggiuntivo o ad una maggior provvigione, poiché quella disciplina stabilisce un limite alla garanzia a carico dell'agente e, in alternativa, il diritto di questi ad un maggior tasso provvigionale. Dove invece il rapporto sia sottratto alla disciplina collettiva (come nel caso di mandato agenziale da esplicarsi al di fuori del territorio nazionale, quando le parti non abbiano esplicitamente richiamato la sopraindicata disciplina) la clausola contrattuale che faccia carico all'agente dello star del credere senza limiti e senza alcun bilanciamento in suo favore, pur non incorrendo in nullità, comporta il diritto dell'agente ad uno specifico compenso a norma del menzionato art. 1736 c.c.

Cass. civ. n. 600/1996

In tema di contratto di agenzia, il preponente che, essendosi contrattualmente riservata la facoltà di concludere affari diretti anche nella zona assegnata all'agente, suggerisca alla clientela di preferire l'acquisto diretto invece che per il tramite dell'agente, esercita il proprio diritto di fare concorrenza a quest'ultimo e va quindi esente da responsabilità contrattuale nei suoi confronti.

Cass. civ. n. 4741/1995

L'erogazione a titolo di concorso spese prevista, ex art. 5 dell'Aec 20 giugno 1956, reso efficace erga omnes con D.P.R. n. 145 del 1961, a favore dell'agente con riguardo ai contratti stornati e cioè accettati, ma non eseguiti dal preponente, differisce dalla provvigione, che spetta all'agente in relazione agli affari andati a buon fine ed a quelli non eseguiti per cause imputabili al preponente, atteso che essa, pur trovando causa nella mancata esecuzione degli affari da parte del preponente, ha carattere indennitario e presuppone che l'agente non abbia maturato il diritto alle provvigioni per quegli affari. Ne consegue che la domanda relativa al suddetto concorso spese deve considerarsi nuova e quindi preclusa in appello, ai sensi dell'art. 437 c.p.c., rispetto alla domanda relativa alle provvigioni proposta in primo grado.

Cass. civ. n. 2356/1994

Nel rapporto di agenzia, la responsabilità dell'agente nei confronti del preponente per l'esecuzione dell'affare, in base al patto dello «star del credere», sussiste in ogni caso di inadempimento, anche parziale, del terzo compratore e non richiede un vero e proprio stato d'insolvenza.

Cass. civ. n. 1434/1993

Nel rapporto di agenzia, mentre lo star del credere non è più dovuto e, se trattenuto, deve essere rimborsato dal preponente, quando in qualsiasi modo questi abbia recuperato le somme perdute (art. 8 Accordo collettivo 19 dicembre 1979), la provvigione non è dovuta in ogni caso in cui l'affare non abbia avuto regolare esecuzione, salva l'ipotesi che, a seguito dell'inadempimento del cliente, il preponente abbia conseguito il risarcimento sia del danno emergente che del lucro cessante.

Cass. civ. n. 1359/1993

Nel rapporto di agenzia, il patto così detto dello star del credere, (per cui l'agente, in relazione agli affari non andati a buon fine, non solo non percepisce alcuna provvigione, ma partecipa anche al rischio di impresa sopportando in parte —a prescindere da qualsiasi colpa o dolo — le perdite subite dall'imprenditore preponente, come conseguenza dell'inadempimento dei clienti da lui procurati) non consente di trasferire sull'agente il detto rischio oltre la misura massima prevista dagli accordi collettivi e, pertanto, è affetto da nullità parziale il patto con cui l'agente si impegna a tenere indenne il preponente delle perdite subite per l'inadempimento del terzo contraente in misura superiore a quella suddetta, qualunque sia il congegno negoziale utilizzato dalle parti ed anche quando la responsabilità per lo star del credere sia collegata alla generica violazione degli obblighi stabiliti per l'agente dall'art. 1746 c.c

Cass. civ. n. 108/1993

In tema di rapporto di agenzia, il risarcimento del danno derivante dalla responsabilità contrattuale del preponente e commisurato al mancato guadagno dell'agente per le provvigioni non percepite a causa dell'inadempimento deve essere determinato con riferimento all'utile netto, tenendo conto degli oneri che l'agente avrebbe dovuto sopportare per conseguire dette provvigioni.

Cass. civ. n. 6586/1992

Ai sensi dell'art. 1748 c.c., l'agente ha diritto alle provvigioni sulle vendite di macchinari del preponente sia nel caso in cui tali vendite siano effettuate in leasing, cioè mediante trasferimento della proprietà dei beni ad una società finanziaria che li concede in locazione ai clienti, non potendo escludersi il buon fine dell'affare per una clausola che obblighi il preponente a ritirare quei macchinari in ipotesi di fallimento o insolvenza del cliente, sia nel caso di vendite aventi ad oggetto macchinari con ritiro di quello usato, in relazione anche al residuo valore di questo.

Cass. civ. n. 7062/1991

Il diritto dell'agente alla provvigione prevista dall'art. 1748 primo comma c.c. per gli affari conclusi direttamente dal preponente che devono avere esecuzione nella zona riservata all'agente, presuppone che questi abbia espletato almeno in minima parte l'attività pattuita concludendo o tentando di concludere dei contratti, predisponendo un'organizzazione o svolgendo un'attività quantomeno informativa nei confronti del preponente; quando invece l'agente non abbia svolto alcuna prestazione e sia rimasto del tutto inerte, il medesimo non può vantare alcun diritto neppure a titolo di provvigione indiretta, non potendo la norma citata trovare applicazione quando l'intervento del preponente nella zona dell'agente sia stato causato dall'inadempimento di questi.

Cass. civ. n. 6741/1991

Ove nel contratto di agenzia sia stata pattuita la garanzia dello «star del credere» senza la previsione a tale titolo di un supplemento di provvigione, l'agente ha comunque diritto per l'assunzione di detta garanzia ad un corrispettivo che il giudice può determinare secondo equità ai sensi dell'art. 1736 c.c., ove le parti abbiano richiamato tale disciplina facendo espresso rinvio alla norma dell'art. 1746 secondo comma c.c. relativa all'applicabilità all'agente degli obblighi posti a carico del commissionario.

Cass. civ. n. 3698/1991

In tema di rapporto di agenzia, l'esigibilità del credito avente ad oggetto le provvigioni - in mancanza di intese diverse (non ravvisate, nella specie, nell'art. 7 del c.o.n.c. 19 dicembre 1979) - prescinde dalla fatturazione, essendo questa un adempimento che condiziona solo la regolarità fiscale e contabile delle operazioni commerciali ma non anche l'obbligo del pagamento.

Cass. civ. n. 422/1991

Nel rapporto di agenzia il preponente non è obbligato a concludere e ad eseguire tutti i contratti proposti dall'agente, perché ciò comporterebbe un'eccessiva ed inammissibile limitazione dell'iniziativa economica e della libertà di organizzazione e gestione dell'impresa. Ne consegue che, sia a norma degli artt. 1748 e 1749 c.c. che alla stregua della corrispondente disciplina collettiva del settore, all'agente spettano le provvigioni solo per gli affari da lui promossi che siano stati accettati ed eseguiti dal preponente nonché per quelli che, sebbene accettati da quest'ultimo (e perciò conclusi), non abbiano avuto esecuzione per cause a lui imputabili, spettando all'agente (il cui rischio economico della mancata esecuzione del contratto non è limitato al caso in cui la stessa sia imputabile al cliente o dipenda da caso fortuito o forza maggiore) l'onere di provare, quali fatti costitutivi della propria pretesa alla provvigione, che gli affari da lui promossi sono stati accettati ed eseguiti dal preponente o che al medesimo è imputabile la causa della mancata esecuzione degli ordini accettati. 

Cass. civ. n. 3056/1990

In tema di contratto di agenzia, la disposizione dell'art. 1748, secondo comma c.c. - a norma della quale la provvigione è dovuta anche in caso di affari conclusi direttamente dal preponente e destinati ad avere esecuzione nella zona riservata all'agente - ha la funzione di tutelare quest'ultimo rispetto alla così detta sottrazione di affari, con la conseguenza che, ove l'agente stesso ne invochi la concreta applicazione, grava su di lui l'onere di provare che gli affari di cui trattasi effettivamente rientrano nell'ambito del mandato conferitogli, tenuto anche conto della possibilità che questo risulti legittimamente limitato a determinare linee di prodotto o a particolari categorie di clientela.

Cass. civ. n. 925/1990

Il diritto dell'agente di commercio alla provvigione ed i limiti di tale diritto in caso di mancata esecuzione dei contratti da lui procurati trovano specifica e completa regolamentazione negli artt. 1748 e 1749 c.c., oltre che nelle corrispondenti disposizioni degli accordi economici collettivi, restando esclusa la possibilità di far ricorso in tale materia alla disciplina normativa di altri contratti, ed in particolare alle norme relative al mandato oneroso, attesa la compiutezza della disciplina adottata dagli arti. 1742 e ss. c.c. per il contratto di agenzia, il quale, a differenza del mandato, ha per oggetto non il compimento di atti giuridici ma un'attività materiale di promozione di affari.

Cass. civ. n. 303/1988

Nel rapporto di agenzia; il preponente, anche in mancanza di una clausola contrattuale che espressamente riservi al predetto la facoltà di accettare o meno gli affari proposti dall'agente, non è obbligato a concludere tutti i contratti proposti da quest'ultimo, indipendentemente dalla valutazione della loro convenienza, risultandone, in caso contrario, una inammissibile limitazione dell'iniziativa economica e della libertà di organizzazione e gestione delle imprese proprie del preponente stesso, che è responsabile nei confronti dell'agente, per le provvigioni da questo perdute, solo nel caso di sistematico ed ingiustificato rifiuto degli affari promossi, e non anche nel caso di non pretestuoso rifiuto di singole proposte.

Cass. civ. n. 3718/1987

A norma dell'art. 1748 c.c., l'agente ha diritto alla percentuale contrattualmente stabilita sull'importo effettivamente versato dal cliente e percepito dal preponente, in relazione agli affari procurati dall'agente stesso comunque conclusi nella sua zona di esclusiva. Pertanto, il preponente, se ha facoltà di non concludere il contratto procurato dall'agente o di concluderlo a condizioni diverse da quelle generalmente praticate e quindi anche di stabilire un prezzo inferiore a quello di listino e di accollarsi le spese di trasporto della merce, non può però pretendere di detrarre dalle provvigioni l'importo degli sconti praticati o delle spese sostenute; né l'agente può, a sua volta, pretendere che la provvigione sia computata sul prezzo di listino o su quello da lui contrattato, se, in sede di conclusione dell'affare, sia stato stabilito un corrispettivo inferiore o vi sia stato accollo da parte del preponente di spese di norma sostenute dai clienti.

Cass. civ. n. 3466/1987

Nel rapporto di agenzia, il patto cosiddetto dello «star del credere» non consente di trasferire sull'agente il rischio di impresa oltre la misura del 20%, prevista dall'art. 6 dell'accordo collettivo 20 giugno 1956, reso efficace erga omnes con D.P.R. 16 gennaio 1961, n. 145, e pertanto è affetto da nullità (parziale ) il patto con cui l'agente si impegni a tenere integralmente (o comunque oltre la misura indicata) indenne il preponente delle perdite subite per l'inadempimento del terzo contraente, qualunque sia il congegno negoziale — anche distinto o successivo rispetto al contratto di agenzia — all'uopo utilizzato dalle parti. Tale nullità — ove non abbia formato oggetto di specifica pronuncia nelle precedenti fasi del giudizio di merito — può essere rilevata anche d'ufficio in sede: di legittimità sempre che non richieda nuovi accertamenti di fatto.

Cass. civ. n. 2390/1987

Nei rapporti di agenzia il patto dello star del credere — secondo cui, indipendentemente dal, dolo o dalla colpa, l'agente partecipa entro i limiti predeterminati al rischio d'impresa sopportando in parte le perdite subite dall'imprenditore per effetto della inadempienza dei clienti da lui stesso procurati — non impedisce di esercitare le normali azioni contrattuali per inadempimento, secondo i criteri generali previsti dall'art. 1218 c.c., in relazione a specifici comportamenti illeciti — sia colposi che, a maggior ragione, dolosi —dell'agente. (Nella specie la S.C. ha confermato la pronuncia del giudice del merito il quale aveva affermato la responsabilità per danni di un agente che aveva promosso affari di rilevante importo con persone che egli sapeva, o doveva sapere usando la normale diligenza, essere insolvibili).

Cass. civ. n. 156/1985

In tema di rapporto di agenzia, i cosiddetti premi di produzione, i quali hanno natura corrispettiva e sono assimilabili a provvigioni integrative correlate al superamento di un determinato volume di affari, competono all'agente (al pari della provvigione) anche sugli affari conclusi in modo diretto dal preponente, salvo specifiche ed eccezionali previsioni diverse.

Cass. civ. n. 58/1985

In tema di rapporto di agenzia, il fatto che la provvigione sia determinata in misura fissa anche per gli affari non andati a buon fine non esclude l'assunzione da parte dell'agente del rischio del risultato utile della propria attività di lavoro, essendo la provvigione, a differenza della retribuzione del lavoratore dipendente, proporzionale non all'impegno soggettivo dell'agente — che in ogni caso non ha diritto al rimborso delle spese — ma al valore dell'affare concluso.

Cass. civ. n. 3889/1983

In materia di rapporto di agenzia il rinvio alle pattuizioni individuali contenuto negli accordi collettivi, al fine della determinazione delle percentuali dovute all'agente a titolo di provvigione, determina la libera disponibilità delle parti al riguardo, con la conseguenza ulteriore che sulla misura di tali compensi possono legittimamente intervenire rinunzie o transazioni senza incontrare i limiti individuati dall'art. 2113 c.c. in disposizioni inderogabili di legge o di convenzioni collettive.

Cass. civ. n. 401/1980

Ai fini del diritto alla provvigione spettante all'agente non rileva il luogo in cui il contratto sia stato formalmente concluso od eseguito bensì quello in cui il contratto sia stato promosso o avrebbe potuto essere promosso per essere ivi la sede del cliente, a meno che il preponente non dimostri l'inesistenza in concreto per l'agente della possibilità di promuovere la conclusione di contratti con il cliente avente la sua sede nella zona assegnata in esclusiva all'agente, per essersi il cliente spogliato della possibilità di tale conclusione per averla delegata, a causa di reali e sostanziali ragioni organizzative, a persone preposte alle articolazioni territoriali esistenti fuori zona, avvenendo nella sede dell'impresa o del cliente la mera registrazione dei contratti, altrove promossi. 

Cass. civ. n. 1346/1975

Il rapporto di agenzia è normalmente fondato sul principio della corrispettività, nel senso che all'obbligazione fondamentale dell'agente di svolgere l'attività diretta alla conclusione dei contratti in una zona determinata corrisponde, con vincolo di sinallagma, l'obbligazione fondamentale del preponente di corrispondergli la relativa retribuzione, prevista dall'art. 1748, comma primo, c.c., in forma di provvigione per gli affari che hanno avuto regolare esecuzione. Tale criterio di retribuzione, in forza dell'autonomia negoziale delle parti, può essere, però, legittimamente integrato da un minimo forfettario.

Cass. civ. n. 219/1975

Il preponente è libero di non accettare l'affare proposto dall'agente. In tal caso questo, salvo che non sia diversamente pattuito, non ha diritto alla provvigione, sempre che non si tratti di un rifiuto generalizzato dei singoli affari, non giustificato dalla situazione di specie.

Cass. civ. n. 1175/1973

L' art. 36 Costituzione vale ed opera in quei rapporti di lavoro che implicano un orario ed una prestazione continua ed esclusiva: esso non può dunque invocarsi nel rapporto di agenzia, da parte dell'agente per prospettare una situazione svantaggiosa nei confronti del preponente, essendo il primo non un prestatore d'opera subordinato, ma un lavoratore che svolge la sua attività senza alcun vincolo di dipendenza, in piena libertà ed autonomia, ed a proprio rischio. La mancanza, in un contratto di agenzia, dell'imposizione di un obbligo all'impresa preponente di versare all'agente una somma fissa mensile e la previsione, invece, di provvigioni sui soli affari andati a buon fine sono del tutto connaturali a tale tipo di contratto, il cui oggetto è lo svolgimento, a rischio dell'agente, di una attività economica organizzata ed autonoma, concretantesi in un risultato di lavoro e vincolato al preponente da un semplice rapporto di collaborazione.

Cass. civ. n. 222/1972

Al procacciatore di affari, diversamente da quanto stabilito dall'art. 1748, primo comma c.c., per l'agente, spetta una provvigione, sia pure ridotta, anche per gli affari che, da lui avviati e condotti a buon punto, siano, poi, stati conclusi da altri od anche dallo stesso proponente.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1748 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

U. R. chiede
venerdì 04/11/2022 - Veneto
“Buonasera, il mio quesito faceva riferimento ad un contratto di agenzia, nello specifico alla liquidazione delle provvigioni.
Il contratto cita "A titolo di corrispettivo dell'attività di promozione delle vendite svolta a favore della MANDANTE, sarà riconosciuta all'AGENTE una provvigione sugli affari che si sono conclusi con il suo intervento e che hanno avuto regolare esecuzione." "Si rimanda al contratto collettivo nazionale degli agenti di commercio la definizione di regolare esecuzione".
La mia domanda è, se grazie all'agente si concretizza un contratto di vendita, la mandante lo conferma, lo accetta e lo firma, il cliente versa l'anticipo ma poi per problemi relativi alla mandante la consegna del bene avviene in ritardo di mesi rispetto alla data di consegna firmata nel contratto e di conseguenza il cliente tarda di mesi il saldo del bene (essendo il contratto di vendita sviluppato in 30% anticipo, 40% merce pronta, 30% a 60 giorni dalla consegna) allora la mandante ha la facoltà di pagare le provvigioni in ritardo all'agente, in relazione al ritardo del pagamento del cliente causato di fatto da una ritardata consegna del bene (ritardo della consegna in relazione a quanto scritto nel contratto accettato dalla mandante e procurato dall'agente) a causa della mandante.
Spero di essere stato chiaro.
In parole povere: la mandante può pagare in ritardo le provvigioni all'agente, perché a intender suo non sono maturate visto che il cliente non ha ancora saldato, anche se l'unico motivo per cui il cliente non ha saldato è il ritardo nella consegna della mandante.
Grazie”
Consulenza legale i 12/11/2022
Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sez. Lavoro, n. 3483/2020) ha ribadito che “a seguito della legge 15 febbraio 1999 n. 65 di attuazione della Direttiva Europea in materia di agenzia, per tutti gli affari conclusi durante il contratto l'agente ha diritto alla provvigione quando l'operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento (art. 3 della legge che ha così modificato l'art. 1748 c.c., primo comma)”.
La Suprema Corte richiama, poi, il testo del quarto comma dell’art. 1748 c.c., anch’esso modificato dalla legge citata: il testo attuale, che riportiamo perché rilevante per risolvere il presente quesito, stabilisce che “salvo che sia diversamente pattuito, la provvigione spetta all'agente dal momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione in base al contratto concluso con il terzo. La provvigione spetta all'agente, al più tardi, inderogabilmente dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico”.
La Corte ricorda, in proposito, che “in tal modo la legge, sulla falsariga del modello tedesco, ha distinto tra il momento di acquisizione della provvigione e il momento di esigibilità della provvigione già acquisita. Il momento di acquisizione è il momento in cui l'operazione promossa dall'agente è stata conclusa tra le parti; il momento di esigibilità è il momento in cui il preponente ha eseguito, o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione. Nella nuova disciplina giuridica, dunque, il fatto costitutivo della provvigione è la conclusione del contratto. Condizione di esigibilità è invece l'esecuzione del contratto da parte del preponente: la provvigione è esigibile nel momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione. Non è quindi necessaria la prova del buon fine dell'affare e cioè, in sostanza, dal pagamento del prezzo da parte del cliente”.
Tornando al nostro caso, dunque, e sulla base delle informazioni fornite, risulta illegittima e infondata la pretesa della “mandante” di non pagare le provvigioni all’agente, proprio sulla base della distinzione tra momento di acquisizione della provvigione e momento di esigibilità della stessa, e tenuto conto che limite inderogabile (quindi non superabile mediante eventuale patto contrario) per l’eventuale ritardo di pagamento della provvigione è costituito dal momento “in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico”; tanto più che, nella fattispecie descritta nel quesito, il mancato pagamento da parte del terzo/cliente si assume dovuto a un ritardo della stessa preponente.


G. P. chiede
martedì 21/06/2022 - Veneto
“Sono amministratore di una società di agenzia operante nel settore dei beni industriali con un contratto di agenzia in esclusiva su alcune mercati che risale al 2007. La mandante ha disdetto il contratto.

L'articolo 5. Provvigione 5.1 dice che
"5. Provvigione
5.1 L'AGENTE ha diritto alla provvigione indicata nel punto S-5 condizioni speciali, su tutte le vendite di Prodotti contrattuali concluse dal MANDANTE nel corso del contratto e per i 6 mesi successivi alla disdetta dello stesso con clienti stabiliti nel Territorio (ad eccezione dei clienti riservati di cui all'art. 4.3)."
L'articolo 1748 CC Diritti dell'agente stabilisce certe norme minime di trattamento a favore dell'agente. E' un articolo derogabile per accordo tra le parti o inderogabile?

Distinti saluti”
Consulenza legale i 28/06/2022
Per rispondere al quesito è necessario analizzare ogni singola disposizione dell’art. 1748 c.c. e stabilire se le stesse, prese singolarmente, siano o meno derogabile ad opera delle parti.

Per quanto riguarda i presupposti del diritto alla provvigione, la norma in esame contempla tre situazioni diverse, prevedendo il diritto alla provvigione sugli affari conclusi dal preponente “per effetto” dell’intervento dell’agente, sugli affari conclusi dal preponente “con terzi che l’agente aveva in precedenza acquisito come clienti per affari dello stesso tipo” nonché sugli affari conclusi dal preponente con clienti “appartenenti alla zona o alla categoria o al gruppo di clienti riservati all’agente”.
Quanto alla prima situazione, la stessa si riferisce all’ipotesi in cui manchi un’esclusiva a favore dell’agente. In caso di esclusiva, infatti, la provvigione spetta comunque all’agente su tutti i contratti conclusi nella zona a prescindere dal contributo fornito dall’agente alla conclusione dell’affare.
Anche la seconda ipotesi riguarderebbe l’agente non esclusivo. La norma avrebbe, cioè, lo scopo di evitare che il preponente possa indebitamente avvantaggiarsi dell’opera dell’agente non esclusivo contattando direttamente i clienti da questi acquisiti e sottraendosi in tal modo all’obbligo di pagamento delle provvigioni sugli “affari dello stesso tipo” conclusi con tali clienti senza il tramite dell’agente.
La terza ipotesi, infine, contempla il diritto dell’agente (questa volta esclusivo) di ottenere la provvigione sugli affari conclusi direttamente dal preponente con i clienti riservati (per zona, categoria o gruppo) all’agente.
E' consentito alle parti di derogare alla predetta disposizione accordandosi diversamente nel singolo contratto.
In linea generale, dunque, salvo espresso accordo contrario, l'agente avrà diritto alla provvigione anche per quegli affari che il preponente abbia concluso con clienti appartenenti alla zona dell'agente stesso o che l'agente abbia in precedenza acquisito per affari dello stesso tipo.

Il terzo comma dell’art. 1748 si occupa del diritto alla provvigione sugli affari conclusi dopo lo scioglimento del contratto.
La norma prevede che l’agente abbia il diritto di ottenere le provvigioni sugli affari conclusi dopo la cessazione del rapporto:
- se la proposta del cliente perviene al preponente (o all’agente medesimo) prima della cessazione del rapporto (restando in tal caso irrilevante il momento della conclusione del contratto e, per l’agente in esclusiva, il contributo da questi fornito alla conclusione dello stesso) nonché
- se l’affare viene concluso entro un termine ragionevole dalla data di cessazione del rapporto e la conclusione é da ricondursi prevalentemente all’attività svolta dall’agente cessato.
Al fine di ridurre il rischio di controversie circa l’interpretazione della norma, laddove la stessa condiziona il diritto alle provvigioni postume alla intervenuta conclusione dell’affare entro un termine ragionevole, è opportuno concordare tale termine in sede di contratto di agenzia.
Nel caso di specie è stato concordato un termine di 6 mesi.
Gli AEC del settore industria hanno previsto un termine di 4 mesi.
Pertanto, la previsione nel contratto de quo di un termine di 6 mesi in sostituzione della generica previsione codicistica appare legittimo.

Il quarto comma dell’art. 1748 c.c. tratta del momento in cui matura il diritto alla provvigione
Se le parti nulla dispongono, la provvigione spetta all’agente nel momento e nella misura in cui il preponente ha o avrebbe dovuto eseguire la prestazione a suo carico.
Nel primo caso, il diritto dell’agente alla provvigione matura con l’esecuzione della prestazione del preponente.
Le parti possono legittimamente derogare a tale disposizione, prevedendo, ad esempio, la maturazione della provvigione al buon fine dell’affare.
L’autonomia contrattuale non può tuttavia spingersi sino al punto di differire il pagamento della provvigione ad un momento successivo a quello in cui l’affare è andato a buon fine, in quanto “la provvigione è inderogabilmente dovuta dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito la sua prestazione”.
Inoltre, a prescindere dalle pattuizioni contrattuali, la mancata esecuzione dell’affare non può assumere alcuna rilevanza ai fini della maturazione del diritto alle provvigioni quando il rifiuto del terzo di eseguire la sua prestazione é giustificato dall’inadempimento del preponente.

L’art. 1748, quinto comma, c.c. disciplina anche l’ipotesi in cui il preponente ed il terzo si accordino per non dare esecuzione in tutto o in parte al contratto, stabilendo che in tal caso, all’agente spetta una provvigione ridotta nella misura determinata dagli usi o, in mancanza, dal giudice secondo equità.
Tale fattispecie è configurabile solo quando la mancata esecuzione è dovuta ad un accordo tra le parti intervenuto successivamente alla conclusione del contratto e, pertanto, la stessa non ricorre qualora il contratto stesso consenta ad una delle parti di non eseguire la sua prestazione ovvero la mancata esecuzione sia dovuta a causa non imputabile al preponente.

Il sesto comma della norma in esame prevede che l’agente è tenuto a restituire le provvigioni riscosse se e nella misura in cui sia certo che il contratto tra il terzo ed il preponente non avrà esecuzione per cause non imputabili al preponente.
La disposizione sancisce espressamente la nullità di ogni eventuale patto più sfavorevole all’agente.


S.C. chiede
sabato 03/07/2021 - Trentino-Alto Adige
“Rappresento la società Alfa.
In data 15 novembre 2017 la società Alfa e la società Beta stipularono un contratto avente ad oggetto la segnalazione di potenziali clienti a cui vendere servizi di carattere gestionale;
- l'art. 3.4 di detto contratto ( predisposto dalla società Beta ) stabilisce che le provvigioni inerenti i contratti stipulati, a seguito della citata segnalazione, saranno riconosciuti anche nel caso di rinnovo automatico / tacito del contratto di fornitura del servizio e/o di stipula di nuovo stipulati successivamente alla scadenza del primo contratto ( senza specificare, però, che detta clausola avrà valore anche nel caso di scioglimento del rapporto contrattuale );
- mediamente la durata dei contratti di fornitura servizi ai clienti è di due/tre anni;
- a seguito di disdetta da parte della società Alfa, il rapporto di collaborazione tra le due società è venuto a cessare a far data 15 febbraio 2020;
- alla data di risoluzione del rapporto contrattuale, alcuni contratti si erano tacitamente rinnovati ed altri, invece, scadranno negli anni a venire;
- La società Beta, nonostante il venir meno del rapporto di collaborazione ritiene, in riferimento ai clienti dalla stessa segnalati, di aver diritto alla provvigione anche dopo la cessazione del rapporto di collaborazione con la società Alfa, e ciò fin quando dura la fornitura del servizio gestionale al cliente, sia in caso di tacito rinnovo e sia nel caso di nuovo contratto.
La società Beta, ad oggi, ritiene che le provvigioni, maturate e maturande a seguito di rinnovi e/o nuovi contratti con i clienti proposti dalla stessa, dovranno essere percepiti anche nel caso di cessazione del rapporto di collaborazione con la società Alfa.
Lo scioglimento del rapporto tra società Alfa e società Beta fa venir meno la clausola contrattuale di cui sopra evitando di corrispondere una provvigione " a vita " in forza del rinnovo dei contratti stipulati con clienti segnalati dalla società Beta?
Lo scioglimento del rapporto contrattuale fa venir meno tutte le obbligazioni contenute nel contratto tra cui quella prevista dall'art. 3.4?
Grazie per un riscontro
Sergio C.”
Consulenza legale i 13/07/2021
L’art. 3 (“Bonus per l’eventuale procacciamento di affari alla Committente”) del contratto d’opera trasmesso introduce un accordo tra società Alfa e Beta sostanzialmente riconducibile al contratto di agenzia.

Infatti, è prevista la corresponsione di un compenso al Consulente volto a remunerare la segnalazione di potenziali clienti con cui poi la Committente dovesse concludere dei contratti.
In particolare, l’art. 3.4 prevede che “detto Bonus maturerà anche in relazione ai contratti fra cliente e Committente rinnovati automaticamente dopo lo spirare del termine iniziale di durata del rapporto od a quelli stipulati successivamente alla scadenza del primo contratto”.

Successivamente, l’art. 3.6 prevede che “nei casi di cessazione – per causa non imputabile alla Consulente – del presente contratto, la Consulente conserverà il diritto all’intero Bonus purchè:
  1. la segnalazione del potenziale cliente sia pervenuta alla Committente in data anteriore alla cessazione del rapporto con la Consulente (e si sia poi conclusa con esito positivo);
  2. l’evento elencato sub paragrafo (ii)del punto 3.1. dell’art. 3 della presente scrittura si avveri entro il ventiquattresimo mese successivo alla cessazione del contratto fra Committente e Consulente”.
Dal tenore del contratto, si evince quindi che la società Beta avrà diritto alle provvigioni anche successivamente alla cessazione del contratto, salvo che la cessazione sia avvenuta per causa a lei imputabile, purchè la segnalazione del potenziale cliente sia avvenuta in data anteriore alla cessazione del rapporto.

Vi è inoltre al punto ii dell’art. 3.6 un’ulteriore condizione, ovvero che la conclusione del contratto tra Cliente e Società Alfa avvenga entro il ventiquattresimo mese successivo alla cessazione del contratto tra società Alfa e Beta.

Non vi sono ragioni per escludere che la provvigione sia dovuta anche per i rinnovi dei contratti con i clienti e per i nuovi contratti stipulati entro i 24 mesi dalla cessazione, sempre che i rinnovi e i nuovi contratti siano riconducibili comunque all’attività svolta dall’agente in vigenza del contratto.

Peraltro, al di là del tenore contrattuale, con riferimento al contratto di agenzia, la questione è regolata anche dal terzo comma dell’1748 c.c., il quale prevede che l’agente abbia ha diritto alla provvigione sugli affari conclusi dopo la data di scioglimento del contratto se:
  • “la proposta è pervenuta al preponente o all’agente in data antecedente o
  • gli affari sono conclusi entro un termine ragionevole dalla data di scioglimento del contratto e la conclusione è da ricondurre prevalentemente all’attività da lui svolta, salvo che da specifiche circostanze risulti equo ripartire la provvigione tra gli agenti intervenuti.”
Nel caso in cui il contratto di durata sia un contratto di somministrazione, di subfornitura, ovvero un contratto di vendita a consegne ripartite, salvo non sia stato diversamente pattuito, è stato sostenuto in dottrina e giurisprudenza che l’agente abbia diritto alla provvigione su tutte le forniture effettuate anche a seguito dello scioglimento del contratto di agenzia, essendo questi di fatto atti di esecuzione di un contratto concluso nel corso del rapporto.

Contrariamente, qualora il contratto promosso sia un contratto quadro, in cui ciascuna fornitura deve formare oggetto di un ulteriore accordo (ordine – accettazione), in tal caso le singole forniture dovranno essere considerate come contratti di vendita indipendenti, seppure conclusi nel contesto del contratto quadro, con la conseguenza che tali successivi contratti di vendita non daranno diritto alla provvigione (fatto salvo che l’agente non riesca a dimostrare che tali affari, siano riconducibili alla sua attività di promozione e siano stati conclusi entro un termine ragionevole).

Nel caso in cui, infine, il rapporto di durata venga sottoscritto dal preponente a seguito dello scioglimento del rapporto, per comprendere se l’agente possa avere diritto alla provvigione, non sarà sufficiente accertare la natura del rapporto di durata, ma, altresì, dimostrare che la conclusione dell’affare, sia riconducibile all’attività di promozione dell’agente.

Ad esempio, il Tribunale di Grosseto, sentenza n. 269 del 2018, ha ritenuto dovute le provvigioni per un contratto di fornitura a tempo indeterminato che un agente, a seguito di gravose trattative protrattesi per diversi mesi, aveva procurato alla preponente.

Tornando al caso di specie, peraltro, il pagamento delle provvigioni non sarebbe a tempo indeterminato, ma soltanto per i 24 mesi successivi alla cessazione del contratto, come previsto al punto ii) dell’art. 3.6. Termine che secondo la giurisprudenza è da ritenersi ragionevole anche ai sensi dell’art. 1748 c.c. (Cass. Civ. 2013, n. 894).

Diversamente la società Alfa dovrebbe dimostrare che i rinnovi dei contratti e i nuovi contratti siano frutto di ulteriori e diverse trattative intraprese dalla società Alfa o da altri suoi agenti successivamente alla cessazione del contratto con la società Beta.


EDOARDO G. chiede
giovedì 22/04/2021 - Emilia-Romagna
“(I) L’agente avrà diritto ad 1/12 del Gettone per ogni mese di fornitura a condizione che la Preponente abbia regolarmente incassato dal Cliente (in ciascun mese) il relativo canone mensile.
(II) A partire dal 12° mese di fornitura l’Agente avrà diritto alla differenza tra l’intero Gettone e la somma maturata ai sensi del punto (I) che precede, a condizione che la Preponente abbia regolarmente incassato dal Cliente tutti i canoni dei 12 mesi di fornitura.
(III) Entro il giorno 10 del mese d’attivazione del nuovo contratto il Gettone viene anticipato integralmente all’Agente a titolo di anticipo provvigionale (che dovrà essere comunicato all’Agente via email con apposito "
Sul nostro mandato di agenzia c'è questa clausola che nel nostro settore (utilities) è del tutto normale. Un procacciatore che inizialmente doveva entrare in società in fase di costituzione con noi con mansioni di creazione rete vendita, nel periodo in cui si aspettava l'appuntamento dal notaio, ha concluso, per tramite dell'altra nostra società già esistente, contratti di luce e gas, senza avere alcun mandato e di fatto alcun diritto. Quando ha poi deciso di non entrare a far parte della compagine sociale, gli abbiamo sottoposto il mandato da procacciatore, che ovviamente contiene la clausola sopra descritta. Si è rifiutato di sottoscrivere il mandato, asserendo che la clausola fosse vessatoria. Certi di avere a che fare con una persona seria e con la nostra buona fede gli abbiamo comunque inviato l'invito a fatturare, cosa fatta prima della contestazione da parte sua. Successivamente, ricevuta la sua contestazione, a seguito di svariate email di carattere conciliativo, a tutela della nostra società, gli abbiamo comunicato che sarebbe stato riconosciuto l'intero anticipo provvigionale solo dietro sottoscrizione del mandato (che avevamo provveduto a modificare per quanto possibile per andargli in contro) e che, in caso contrario, sarebbe stato pagato in dodicesimi, cioè ogni mese dopo l'effettiva maturazione della provvigione che si ha nel momento in cui il cliente finale paga la fattura di luce o di gas alla mandante. Il soggetto, malgrado il nostro pagamento mensile, ci ha fatto un'azione civile con tanto di pignoramenti. Il loro avvocato sostiene che la nostra è un'imposizione arbitraria.
A seguito delle azioni civili da lui intraprese, non capacitandoci del perché si fosse impuntato così tanto a non firmare il mandato, abbiamo fatto delle ricerche, e dalla visura camerale emerge che lui sarebbe “procacciatore d’affari per prodotti di cosmesi e farmaceutici”, quindi non abilitato alla vendita di contratti di utilities.
Facciamo presente che da allora ad oggi, è stato corrisposto mensilmente l’importo della provvigione effettivamente maturata.
Ovviamente questo è stato fatto in quanto, in assenza di accordi tra le parti, al fine di evitare che a seguito di pagamento integrale di quanto non ancora maturato, lui migrasse tutta la Clientela, lasciandoci con i nostri storni da parte della mandante e senza darci modo di recuperare legalmente le somme perse.
Ci potreste dare delucidazioni in merito cortesemente?”
Consulenza legale i 10/05/2021
Va premesso che non è semplicissimo, nel nostro caso, inquadrare correttamente il rapporto intercorso tra le parti e, di conseguenza, le norme applicabili.
Iniziamo col dire che nel nostro ordinamento esistono varie figure simili, cui la vicenda oggetto del quesito può essere, in astratto, ricondotta.
La prima è costituita dal contratto di agenzia, ovvero, secondo la definizione contenuta nell’art. 1742 c.c., quello con cui “una parte assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto dell'altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata” (qual è, appunto, quello stipulato sempre nel nostro caso tra la società che ha posto il quesito e l’azienda di luce e gas).
A prima vista sembrerebbe di poter escludere che il rapporto tra la controparte e chi pone il quesito possa essere qualificato in questi termini, se non altro perché, sempre ai sensi dell’art. 1742 c.c. citato, il contratto deve essere provato per iscritto, mentre le prestazioni cui si riferisce la richiesta di pagamento sono state eseguite - secondo quanto riferito - in assenza di un atto sottoscritto dalle parti.
Inoltre, lo schema di contratto che è stato sottoposto alla controparte (e che costui si è sempre rifiutato di firmare) definisce l’attività del contraente come quella di procacciatore d’affari.
Vediamo, ora, se effettivamente, al di là del termine usato dalle parti, possa configurarsi un rapporto di procacciamento d’affari.
Occorre chiarire, però, che la figura del procacciatore d’affari - che, in assenza di una definizione legislativa, possiamo descrivere come colui che promuove la conclusione di contratti - non trova una espressa disciplina nel codice civile: siamo di fronte, pertanto, ad un contratto atipico, sia pure piuttosto diffuso nella pratica, per la cui disciplina concreta dovremo far riferimento, in primo luogo, agli accordi tra le parti (in primis a quelli eventualmente redatti per iscritto) e, in secondo luogo, alle norme che regolano fattispecie simili.
La terza figura cui far riferimento è quella del mediatore, definito dall’art. 1754 c.c. come chi mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza. Una caratteristica fondamentale del mediatore è, quindi, la sua imparzialità. Ora, nel nostro caso il contratto (che il presunto procacciatore ha però rifiutato di firmare) avrebbe previsto quanto segue:
- incarico limitato alla sola segnalazione di affari;
- carattere non stabile del rapporto (si ribadisce espressamente “l'attività di procacciamento costituirà per il procacciatore d’affari attività secondaria ed occasionale che svolgerà liberamente senza nessun vincolo di stabilità e subordinazione nei confronti della mandante e avrà piena libertà di orario, di impiego del suo tempo e scelta di organizzazione”).
Si comprende come l’inquadramento del rapporto appaia quindi problematico e non privo di contraddizioni. D’altra parte, però, la stessa giurisprudenza ha riconosciuto l’esistenza di figure, per così dire, ibride: si veda Cass. civ., Sez. Unite, 02/08/2017, n. 19161, secondo cui “in tema di mediazione, è configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale cosiddetta atipica, fondata su un contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche ad una soltanto delle parti interessate (c.d. mediazione unilaterale). Tale ipotesi ricorre nel caso in cui una parte, volendo concludere un singolo affare, incarichi altri di svolgere un'attività intesa alla ricerca di un persona interessata alla conclusione del medesimo affare a determinate, prestabilite condizioni, e proprio per il suo estrinsecarsi in attività di intermediazione, rientra nell'ambito di applicabilità della disposizione prevista dall'art. 2, comma 4 della L. 3 febbraio 1989, n. 39, che, per l'appunto, disciplina anche ipotesi atipiche di mediazione per il caso in cui oggetto dell'affare siano beni immobili o aziende. Ove oggetto dell'affare siano altre tipologie di beni, e segnata mente beni mobili, l'obbligo di iscrizione sussiste solo per chi svolga la detta attività in modo non occasionale e quindi professionale o continuativo. Ove ricorra tale ipotesi, anche per l'esercizio di questa attività è richiesta l'iscrizione nell'albo degli agenti di affari in mediazione di cui al menzionato art. 2 della citata L. 3 febbraio 1989 n. 39 (ora, a seguito dell'abrogazione del ruolo dei mediatori, la dichiarazione di inizio di attività alla Camera di commercio, ai sensi dell'art. 73 del D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59), ragion per cui il suo svolgimento in difetto di tale condizione esclude, ai sensi dell'art. 6 della stessa legge, il diritto alla provvigione”.
Proprio in tema di distinzione tra mediazione e procacciamento d’affari, la recente Cass. Civ., Sez. II, sentenza 04/09/2020, n. 18489 ha affermato quanto segue: “costituisce elemento comune a dette figure la prestazione di un'attività di intermediazione diretta a favorire tra terzi la conclusione di un affare, con conseguente applicazione di alcune identiche disposizioni in materia di diritto alla provvigione, mentre l'elemento distintivo consiste nel fatto che il mediatore è un soggetto imparziale, e nel procacciamento di affari l'attività dell'intermediario è prestata esclusivamente nell'interesse di una delle parti; ne consegue che sono applicabili al procacciatore d'affari, in via analogica, le disposizioni del contratto d'agenzia, ivi comprese quelle in materia di prescrizione del compenso spettante all'agente, diverse da quelle sulla prescrizione del compenso spettante al mediatore”.
Nel nostro caso, in realtà, nonostante il contratto (che, ripetiamo, non è stato sottoscritto) si preoccupasse di ribadire il carattere occasionale e non stabile del rapporto, ciò non vale ad escludere l’esistenza di un rapporto di collaborazione tra le parti (sia pure in termini di massima autonomia e libertà del procacciatore/mediatore).
Ad ogni modo, passiamo ad esaminare quelli che sono i presupposti del sorgere del diritto alla provvigione in entrambi i casi.
In materia di agenzia, l’art. 1748 c.c. stabilisce il diritto dell’agente alla provvigione “quando l'operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento”.
Detta norma prevede inoltre, ora, che, salvo che sia diversamente pattuito, la provvigione spetta all'agente dal momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione in base al contratto concluso con il terzo. La provvigione spetta all'agente, al più tardi, inderogabilmente dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico.
Ed ancora, se il preponente e il terzo si accordano per non dare, in tutto o in parte, esecuzione al contratto, l'agente ha diritto, per la parte ineseguita, ad una provvigione ridotta nella misura determinata dagli usi o, in mancanza, dal giudice secondo equità.
La previsione che ci interessa maggiormente è, però, quella del comma 6, in base al quale “l'agente è tenuto a restituire le provvigioni riscosse solo nella ipotesi e nella misura in cui sia certo che il contratto tra il terzo e il preponente non avrà esecuzione per cause non imputabili al preponente. È nullo ogni patto più sfavorevole all'agente”.
Cosa si intenda per “causa non imputabile al preponente”, è stato chiarito da Cass. Civ., Sez. lavoro, ord. 08/09/2020, n. 18664. Nella vicenda oggetto di tale pronuncia il contratto di agenzia, liberamente sottoscritto dalle parti, prevedeva lo storno (e dunque il postumo mancato riconoscimento) delle provvigioni, tra l’altro, in caso di mancato raggiungimento, da parte del cliente, di un certo limite di fatturato, oltre al caso di disdetta entro sei mesi dall'attivazione da parte del cliente. La Cassazione, proprio sulla scorta del comma 6 dell’art. 1748 c.c. citato, ha affermato: “è evidente che nelle ipotesi contrattuali sopra riportate non si sia verificata alcuna mancata esecuzione del contratto, ma solo il mancato raggiungimento di taluni obiettivi di politica aziendale”.
Nel nostro caso, peraltro, il contratto - che prevedeva gli storni - non è stato neppure sottoscritto dalle parti.
D’altra parte, Cass. Civ., Sez. lavoro,02/05/2000, n. 5467 ha precisato che, nell’ambito delle nuove norme sul diritto alla provvigione del mediatore, “il fatto costitutivo della provvigione è la conclusione del contratto. Questa genera non una semplice aspettativa [..] ma un diritto di credito vero e proprio, anche se non esigibile [...] Condizione di esigibilità è invece l'esecuzione dei contratto da parte del preponente: la provvigione è esigibile nel momento e nella misura in cui il proponente ha eseguito o. avrebbe dovuto eseguire la prestazione. Non è quindi necessaria la prova del buon fine dell'affare e cioè. in sostanza, del pagamento del prezzo da parte del cliente” (N.B. nel nostro caso, il preponente sarebbe la società che pone il quesito).
La situazione, dal nostro punto di vista, non migliora se proviamo ad inquadrare il rapporto nell’ambito della mediazione: infatti, a norma dell’art. 1755 c.c., il sorgere del diritto alla provvigione in capo al mediatore dipende dalla conclusione dell'affare per effetto del suo intervento.
Secondo la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. III, 09/05/2008, n. 11521), “nella mediazione, la maturazione del diritto alla provvigione non deriva tanto dalla conclusione del contratto, ma "dall'affare", termine che comprende qualsiasi operazione di contenuto economico che si risolva, a prescindere dalla forma negoziale adoperata, in un'utilità di carattere patrimoniale in relazione all'obiettivo prefisso dalle parti”.
Nel nostro caso, è indubbio che i contratti cui le provvigioni si riferiscono siano stati promossi e conclusi a seguito dell’intervento del soggetto che, oggi, reclama il pagamento.
Concludendo, appare difficile sostenere, in mancanza di sottoscrizione del contratto, la legittimità non solo del pagamento rateale, ma anche - e soprattutto - degli storni, dovendosi ritenere esigibile l’intera provvigione, non potendo la preponente, in difetto di specifico accordo, far ricadere sul procacciatore (o comunque voglia qualificarsi il soggetto che le ha segnalato potenziali clienti per la società terza) il proprio rischio d’impresa, derivante dagli impegni assunti proprio con il terzo, pur trattandosi di eventualità ricorrente nel settore e addirittura conosciuta dal procacciatore.
D’altra parte, la preponente non ha neppure mai contestato, a quanto risulta, che i contratti siano stati stipulati per effetto dell’attività svolta dal procacciatore, limitandosi a sostenere la legittimità del pagamento rateale delle provvigioni.

ENRICO M. chiede
domenica 02/02/2020 - Marche
“Collaboro con una testata di informazione on line che si finanzia con raccolta pubblicitaria da parte di ditte e privati. Per la raccolta dei contratti pubblicitari ci avvaliamo di un agente commerciale, remunerato con una percentuale provigionale sui contratti conclusi, senza fisso, regolarmente contrattualizzato.
Dato che nello specifico mi occupo del conteggio delle provvigioni desederei avere alcuni chiarimenti riguardanti questo aspetto, in particolare:

1) quando l’agente matura in diritto alle provvigioni, dato che dal momento della firma (cioè quando l’agente manda il contratto firmato dal cliente) al momento della esecuzione (cioè quando la pubblicità viene messa on line) possono passare anche diversi giorni e in qualche caso fino ad un mese, a causa dei tempi tecnici di predisposizione della grafica, che può essere a carico della testata o del cliente, mai dell’agente. Preciso che finora abbiamo sempre corrisposto le provvigioni alla firma, senza attendere la messa on line.

2) Quando possono essere stornate le provvigioni già corrisposte. A tale proposito cito tre casi concreti che ci sono occorsi:

a) Il cliente, dopo aver firmato il contratto, rinuncia per gravi problemi di salute. La pubblicità non parte e provvediamo a stornare le provvigioni senza che l’agente abbia nulla da eccepire;

b) Il cliente, dopo aver sottoscritto il contratto con durata di 12 mesi, passati sei mesi ci contesta la durata del contratto (ma evidentemente è una scusa) e vuole interrompere il servizio, pagando regolarmente i sei mesi decorsi. Per non creare un contenzioso accogliamo la sua richiesta interrompendo la pubblicità;

c) caso quasi analogo al precedente. Il cliente vuole recedere dal contrato due mesi prima della scadenza dicendo di non avere avuto dalla pubblicità fatta alcun riscontro commerciale, pagando comunque regolarmente i mesi decorsi.

Domanda: per quanto riguarda i casi b e c possiamo stornare all’agente la quota di provvigioni corrispondente ai periodi mancanti alla scadenza dei contratti e da noi non riscossi?

Ringrazio per l’attenzione e cordialmente saluto.”
Consulenza legale i 06/02/2020

L’art. 1748 c.c. primo comma, come modificato da d. lgs. 15 febbraio 1999 n. 65, prevede che “per tutti gli affari conclusi durante il contratto l’agente ha diritto alla provvigione quando l’operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento”.
Il diritto alla provvigione è quindi sganciato dal “buon fine” dell’affare. Presupposto necessario e sufficiente per il sorgere del diritto dell’agente alla provvigione è, quindi, la mera conclusione dell’operazione o affare per effetto del suo intervento.

Inoltre “salvo che sia diversamente pattuito, la provvigione spetta all'agente dal momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito, o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione in base al contratto concluso con il terzo. La provvigione spetta all'agente, al più tardi, inderogabilmente dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico” (comma 4).
Tale disciplina costituisce il cosiddetto regime “generale”, che si applica ogni volta in cui le parti non abbiamo concordato una diversa pattuizione contrattuale.

Come rilevato dalla Corte di Cassazione, sez. lav., n. 5467/2000, la norma distingue “tra il momento di acquisizione della provvigione e il momento di esigibilità della provvigione già acquisita. Il momento di acquisizione è quello in cui l’operazione promossa dall'agente è stata conclusa tra le parti; il momento di esigibilità è quello in cui il preponente ha eseguito, o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione. Nella nuova disciplina giuridica, dunque, il fatto costitutivo della provvigione è la conclusione del contratto. Questa genera non una semplice aspettativa, come nella disciplina precedente, ma un diritto di credito vero e proprio, anche se non esigibile: un diritto che può essere ceduto e permette l’insinuazione nel passivo del fallimento del preponente. Condizione di esigibilità è invece l’esecuzione del contratto da parte del preponente: la provvigione è esigibile nel momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione. Non è quindi necessaria la prova del buon fine dell’affare e cioè, in sostanza, dal pagamento del prezzo da parte del cliente”.

Sul punto, bisogna sottolineare che la norma non fa espressamente riferimento al solo momento in cui il preponente esegue la propria prestazione, bensì a quello in cui egli avrebbe dovuto eseguirla, secondo gli accordi che questi aveva preso con il cliente.

Per completezza, si rileva, peraltro, che il vigente Accordo Economico Collettivo (AEC), non richiamato sotto questo profilo dal contratto di collaborazione di cui al presente parere, all'art. 5 comma 2 prevede che “Ai sensi del quarto comma dell’art. 1748 c.c. le parti concordano che la provvigione spetta inderogabilmente dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico”.

Il contratto di collaborazione professionale trasmesso prevede all'art. 4 comma 2 che “la liquidazione delle provvigioni avverrà su base mensile a partire dal mese successivo alla stipula del contratto, ogni 5 del mese, mediante bonifico bancario e previa emissione di fattura da parte del professionista”.
La disposizione si presta purtroppo a diverse interpretazioni a seconda che per “stipula del contratto” si intenda lo stesso contratto di collaborazione o si riferisca ai singoli contratti con i clienti.
Nel primo caso, la clausola sarebbe irrilevante ai fini di stabilire il momento in cui le provvigioni dell’agente diventino esigibili: in mancanza di previsioni particolari del contratto, si applicherà la regola generale di cui all'art. 1748 c.c., comma 4, ovvero la provvigione spetterà all’agente dal “momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito, o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione in base al contratto concluso con il terzo”.
Pertanto, se il preponente si impegna a mettere online una pubblicità entro una determinata data, qualora lo stesso non metta online la pubblicità entro tale data, la provvigione sarà comunque dovuta all’agente, in quanto la mancata esecuzione della prestazione è imputabile ad un inadempimento del preponente.
Se invece si optasse per la seconda interpretazione, le parti avrebbero invece stabilito che, a prescindere dal momento in cui il preponente ha eseguito, o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione, la provvigione spetterà all’agente a partire dal mese successivo alla stipula del contratto.
Se, quindi, circa il momento in cui sorge il diritto dell’agente non vi sia dubbio che lo stesso coincida con la stipula del contratto tra il preponente e i clienti, per quanto riguarda il momento dell’esigibilità delle somme questo dipenderà dall’interpretazione data alla disposizione contrattuale sopra riportata.

Per quanto riguarda il secondo quesito, bisogna invece fare riferimento al quinto comma dell’art. 1748 c.c., che regola il c.d. storno del contratto: “se il preponente e il terzo si accordano per non dare, in tutto o in parte, esecuzione al contratto, l'agente ha diritto, per la parte ineseguita, ad una provvigione ridotta nella misura determinata dagli usi o, in mancanza, dal giudice secondo equità.

Il preponente e il terzo possono d'accordo non eseguire in tutto o in parte il contratto concluso per il tramite dell'agente. In questo caso la mancata esecuzione dipende anche dalla volontà del terzo e deve escludersi perciò che all'agente possa essere riconosciuto il diritto alla intera provvigione; dipende inoltre anche dalla volontà del preponente e non sarebbe giusto applicare il primo comma dell'art. 1748, che riconosce all'agente il diritto alla provvigione solo per gli affari che hanno avuto buon fine. Pertanto, la legge per contemperare le diverse esigenze dispone che l'agente ha diritto a una provvigione ridotta. La riduzione si fa con riguardo agli usi o, in mancanza, è fatta dal giudice con criteri di equità.

I casi riportati nel secondo quesito riguardano tutti situazioni in cui il preponente e il cliente si sono accordati, successivamente alla firma del contratto, per non dare esecuzione al contratto o darvi esecuzione solo parzialmente.
Stando alla lettera della legge ed in mancanza di una specifica previsione del contratto di collaborazione professionale:
  • nel caso in cui, dopo la firma del contratto, il preponente e il cliente si accordino per non dare esecuzione al contratto si dovrebbe comunque corrispondere una provvigione all'agente, anche se ridotta.
  • nel caso in cui, dopo la firma del contratto, il preponente conceda al cliente la possibilità di recedere anticipatamente rispetto alla scadenza del contratto, all'agente spetterà una provvigione ridotta, eventualmente calcolata solo su quanto riscosso dal cliente.
Per evitare un contenzioso ed eventuali future pretese da parte dell’agente, si suggerisce di modificare di comune accordo con l’agente le previsioni contrattuali prevedendo esplicitamente la misura delle provvigioni in casi analoghi.

Benedetto C. chiede
martedì 24/04/2018 - Lombardia
“Gentili Signori,
ho sottoscritto un contratto di Agenzia che include una clausole che consente all'azienda preponente di addebitare insindacabilmente all'agente costi sostenuti nell'evasione dell'ordine.
Da più di un anno i costi addebitati superano anche il 50% delle provvigioni
Il contratto è ovviamente privo di buona fede da parte del preponente
Cosa posso fare?
Invio mail con allegato contratto sottoscritto”
Consulenza legale i 30/04/2018
Le norme principali di riferimento in materia sono gli articoli 1748 e 1749 c.c.
Nell’art. 1748 c.c. sono indicati i casi in cui l’agente ha diritto alla provvigione la quale è determinata in misura proporzionale al valore dell'affare (quarto comma del predetto art. 1748 c.c.).
Il codice civile, tuttavia, non indica i criteri per la quantificazione della provvigione che sono quindi rimessi agli accordi tra le parti.
Sul punto il contratto collettivo di riferimento, all’art. 5, si limita soltanto a prevedere che: “I criteri per il conteggio della provvigione saranno stabiliti negli accordi tra le parti; in ogni caso non potranno essere dedotti dall’importo a cui è ragguagliata la provvigione gli sconti di valuta concordati per condizioni di pagamento.”

L’art. 1749 c.c. individua invece gli obblighi del proponente, tra cui quello fondamentale di comportarsi con lealtà e buona fede.
Ciò è stato rimarcato anche dalla Suprema Corte, come ad esempio nella sentenza n. 21445/2007 in cui ha statuito che il preponente: “ è tenuto ad agire con correttezza e buona fede nei confronti dell'agente e la violazione di detti obblighi contrattuali può configurare, in base alla gravità delle circostanze, una giusta causa di scioglimento dello stesso rap­porto di agenzia, rispetto al quale trova analogica applicazione l'art. 2119 c.c., con il consequenziale diritto dell'agente recedente all'indennità prevista dall'art. 1751 c.c. in caso di cessazione del rapporto.”
Del resto, buona fede e correttezza sono delle regole generali che si applicano a tutti i contratti e che devono sussistere in tutte le fasi del contratto: nelle trattative, nella sua conclusione, nella sua interpretazione, nella sua esecuzione (artt. 1175, 1337, 1366 e 1375 del codice civile).
Come ha rimarcato più volte la Suprema Corte “I princìpi di correttezza e buona fede nell'esecuzione e nell'interpretazione dei contratti impongono alle parti di adempiere obblighi anche non espressamente previsti dal contratto o dalla legge, ove ciò sia necessario per preservare gli interessi della controparte” e “consentono al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto, qualora ciò sia necessario per garantire l'equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l'abuso del diritto. Si ha abuso del diritto quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti. Ricorrendo tali presupposti, è consentito al giudice di merito sindacare e dichiarare inefficaci gli atti compiuti in violazione del divieto di abuso del diritto, oppure condannare colui il quale ha abusato del proprio diritto al risarcimento del danno in favore della controparte contrattuale, a prescindere dall'esistenza di una specifica volontà di nuocere, senza che ciò costituisca una ingerenza nelle scelte economiche dell'individuo o dell'imprenditore, giacché ciò che è censurato in tal caso non è l'atto di autonomia negoziale, ma l'abuso di esso” (Cass. 20106 del 2009).

Ciò posto in linea generale, nello specifico del quesito in esame si osserva quanto segue.

Per quanto riguarda la determinazione dei compensi, la clausola contenuta nell’art. 6 del contratto non appare violare quanto previsto dal codice civile in materia né il contratto collettivo.
Infatti, come sopra evidenziato, i criteri per il calcolo della provvigione sono lasciati alla negoziazione delle parti non essendovi alcuna norma che stabilisca degli importi minimi inderogabili.
Parimenti, l’individuazione della base su cui calcolare la provvigione ha natura pattizia.

Di contro, con riguardo la clausola contenuta nell’art. 5 lett.b (ultimo capoverso) del contratto in esame, si osserva quanto segue.
In tale clausola è specificato che il preponente si riserva la possibilità di addebitare parte dei costi all’agente.
Non è specificato nel quesito se tali costi vengano invece addebitati per intero.
Ad ogni modo, la circostanza che tali spese superino anche del 50% l’ammontare delle provvigioni, potrebbe integrare un comportamento contrario a buona fede o comunque essere in contrasto con il tenore del sopra citato art.1749 c.c. che, tra l’altro, stabilisce che il preponente deve “avvertire l'agente, entro un termine ragionevole, non appena preveda che il volume delle operazioni commerciali sarà notevolmente inferiore a quello che l'agente avrebbe potuto normalmente attendersi”.

Ciò posto, per far valere la mancanza di buona fede in capo al preponente (il cui onere della prova è a carico di chi la eccepisce) l’unico strumento - in mancanza di accordo tra le parti - è quello giudiziale.
Infatti, o vi è un accordo di entrambe le parti contrattuali a modificare la clausola in questione oppure ci si deve rivolgere a un giudice che dovrebbe accertare che la mancanza di buona fede (laddove ritenuta sussistente) costituisca un inadempimento contrattuale tale richiedere lo scioglimento del contratto.
Tra l’altro, come sopra indicato, la Suprema Corte ha ritenuto tale inadempimento - a seconda delle circostanze - anche come giusta causa di scioglimento dello stesso rapporto di agenzia.
In sede giudiziale, potrebbe inoltre essere richiesto anche un risarcimento degli eventuali danni patrimoniali subiti in conseguenza della violazione dell’obbligo di buona fede.

In ogni caso, il primo passo è quello di una contestazione formale (a mezzo pec o lettera raccomandata). Solo se questa resta priva di effetto (perché il proponente non intende modificare il contratto o perché comunque non c'è una volontà di trovare un accordo), allora occorre seguire la strada dell'accertamento giudiziale.

Da ultimo, ricordiamo che è un diritto dell’agente (art. 1749 c.c.) “esigere che gli siano fornite tutte le informazioni necessarie per verificare l'importo delle provvigioni liquidate ed in particolare un estratto dei libri contabili.”
Pertanto, laddove le predette spese che vengono addebitate in forza dell’art. 5 del contratto non siano state documentate, suggeriamo di richiedere formalmente - a mezzo posta certificata - tutta la documentazione relativa ad esse, per ogni più opportuna valutazione.



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