Nella sua precedente formulazione l’art. 282 si fondava sul c.d. effetto sospensivo dell'
appello, ossia l'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado non operava durante il termine concesso per appellare e durante il giudizio di appello; solo la sentenza di appello produceva efficacia esecutiva in via immediata, pur se non ancora
passata in giudicato.
L'esecuzione provvisoria poteva sussistere automaticamente solo in forza di specifiche e ben circoscritte norme, ossia
ope legis, in casi tassativi previsti dalla legislazione speciale e resi via via più numerosi ed importanti al fine di intensificare la tutela di certi diritti.
L. 26.11.1990, n. 353, in un’ottica di rivalutare il giudizio di primo grado, ha sancito il principio generale della provvisoria esecutività della sentenza di primo grado, la quale, sin dal momento della sua pubblicazione, è capace di produrre effetti esecutivi, legittimando l'instaurazione di uno dei procedimenti previsti nel libro III del codice di rito.
E’ stato osservato che in questo modo si è inteso scoraggiare l'impugnazione pretestuosa, proposta al solo scopo dilatorio.
In contrario è stato puntualizzato che la
notifica al soccombente della sentenza di primo grado in forma esecutiva e del
precetto costituirà per costui un irresistibile invito ad impugnarla, quanto meno per cercare di ottenere l'inibitoria di cui all'
art. 283 del c.p.c. e, qualora questa non sia accolta, a proporre anche opposizione all'esecuzione.
Per quanto concerne il profilo del limite oggettivo della esecutorietà, il legislatore del 1990 non ha precisato se essa vada riferita esclusivamente alle sentenze suscettibili di
esecuzione forzata nelle forme del libro III del codice di rito.
La tesi prevalente circoscrive l'esecutività alle sole sentenze di condanna, mentre qualche autore evidenzia come a nulla rilevi l'astratta qualifica della sentenza, se di pura condanna, di accertamento o costitutiva, essendo decisivo soltanto il fatto che essa possa essere in concreto attuata per mezzo dei procedimenti di esecuzione coattiva.
Va tuttavia precisato che anche coloro i quali aderiscono alla tesi restrittiva, tendono ad ammettere che l'esecutività provvisoria, pur non potendo essere riconosciuta per le statuizioni costitutive, debba esserlo per gli eventuali capi di condanna accessori.
Per la verità, già prima delle modifiche introdotte dalla Legge 353/1990 parte della dottrina riconosceva che la provvisoria esecutorietà potesse riferirsi anche ad altri tipi di sentenza ed in particolare alle sentenze inibitorie ed a quelle di accertamento costitutivo, argomentando dalla considerazione che anche le sentenze costitutive possano essere suscettibili di esecutorietà provvisoria, come ogni altro tipo di sentenza; secondo un orientamento ancora più estensivo, tutte le categorie di sentenze, anche quelle di mero accertamento, sarebbero suscettibili di esecuzione provvisoria ex art. 282.
Per quanto concerne in particolare la condanna alle spese, secondo il disposto della norma in esame, la condanna alle spese del giudizio contenuta nella sentenza di primo grado comporta, in quanto tale, la provvisoria esecutività del relativo capo della sentenza, indipendentemente dalla natura - se di condanna, costitutiva o di mero accertamento - e dal contenuto (se di accoglimento, di rigetto o di altro tenore della
domanda principale o
riconvenzionale o del terzo) della decisione principale, cui la statuizione sulle spese accede.
Alcuni autori, sul presupposto che risulti difficile teorizzare che la domanda di condanna accessoria non possa costituire
titolo esecutivo fino al passaggio in giudicato della domanda principale, hanno ritenuto che, in caso di mero rigetto della domanda proposta dall'attore, il
convenuto vittorioso possa recuperare le spese di lite, senza dover necessariamente attendere il passaggio in giudicato della sentenza.
Nel caso specifico di sentenza dichiarativa di fallimento, la sua esecutività obbligatoria e vincolante per gli organi fallimentari perdura sino all'esaurimento delle operazioni fallimentari, oppure sino a che intervenga una sentenza di revoca passata in giudicato.
Infatti, gli effetti della sentenza di fallimento possono essere rimossi, sia quanto alla determinazione dello status di fallimento sia quanto agli aspetti conservativi che al medesimo si ricollegano, soltanto con il passaggio in giudicato della successiva sentenza di revoca, resa in sede di opposizione, mentre prima di tale momento può provvedersi, in via esclusivamente discrezionale, alla sospensione dell'attività liquidatoria.
Considerata la natura costitutiva della sentenza che accoglie la domanda di revocatoria ordinaria o fallimentare, la disciplina della provvisoria esecutorietà di cui alla norma in esame non trova applicazione, anche qualora vi siano capi di condanna consequenziali, e non autonomi, rispetto alla pronuncia costitutiva.
La possibilità di anticipare l'esecuzione delle statuizioni condannatorie contenute nella sentenza che abbia natura costitutiva deve essere valutata in concreto volta per volta, in base al rapporto esistente tra l'effetto condannatorio da anticipare e l'effetto costitutivo producibile solo con il giudicato.
Nel caso di sentenza costitutiva pronunciata ex
art. 2932 del c.c., si era affermata la tesi secondo cui le statuizioni di condanna consequenziali ( dispositive dell'adempimento delle prestazioni a carico delle parti fra le quali la sentenza determina la conclusione del contratto) sono da ritenere immediatamente esecutive ai sensi dell'art. 282.
Tale orientamento, tuttavia, è stato successivamente disatteso dalla Corte di Cassazione, la quale ha fatto osservare che, nel caso di preliminare di compravendita e di pronuncia ex art. 2932 c.c. l'effetto traslativo della proprietà del bene si produce solo con l'irretroattività della sentenza che determina l'effetto sostitutivo del contratto definitivo (prima del proprio passaggio in giudicato la sentenza non è in grado di produrre quegli effetti del contratto definitivo che è destinata a surrogare); all'interno della pronuncia ex art. 2932 c.c. non si possono scindere capi costitutivi principali e capi condannatori consequenziali, ove questi ultimi siano legati ai primi da un vero e proprio nesso sinallagmatico.
Resta ferma, invece, la provvisoria esecutività ex art. 282 del capo sulle spese, trattandosi di una statuizione meramente dipendente e non sinallagmatica rispetto al capo costitutivo.
Per quanto concerne, infine, l’espressione “
tra le parti” contenuta nella norma, espressione contenuta anche nel vecchio testo dell’art. 282 comma 1, l'orientamento prevalente era nel senso che tale precisazione non impedisse che la sentenza non immutabile potesse imporre un comportamento di collaborazione a quei soggetti tenutivi per il loro ufficio (come ad esempio il
custode, il
conservatore dei registri immobiliari, ecc.).
A seguito della novella tale inciso è stato ritenuto superfluo, poiché, in assenza di una norma specifica, esso non vale ad escludere immediati obblighi di comportamento da parte di "terzi" in ragione del loro ufficio o funzione ed in presenza di condanna provvisoriamente esecutiva.