A seguito della riforma del 2005, l'accoglimento dell'istanza di sospensione prevista da questa norma veniva subordinata all’esistenza di motivi non soltanto “
gravi”, ma anche “
fondati”, con la precisazione che tali motivi potevano riguardare la “
possibilità di insolvenza di una delle parti” e che l'
inibitoria potesse essere concessa “
con o senza cauzione”.
Parte della dottrina ha affermato che i motivi posti a base dell'intervento legislativo dovevano rinvenirsi nella volontà di tutelare l'appellante dinanzi ad una decisione, provvisoriamente esecutiva, che si potesse rivelare
prima facie suscettibile di riforma; sotto questo profilo, la sussistenza di “
fondati motivi” postulava che dinanzi al giudice di appello, nella decisione preliminare (e sommaria), potesse venire in rilievo anche la fondatezza dello stesso appello; diversamente, la valutazione della possibilità di insolvenza trovava la sua giustificazione nell'esigenza di evitare che l'eventuale riforma della sentenza gravata si rivelasse inutile per la impossibilità di ripetere le somme che potevano essere state pagate ingiustamente a seguito della
esecuzione forzata intrapresa dalla parte appellata.
Questa stessa norma è stato oggetto di modifiche a seguito della Riforma Cartabia, modifiche consistenti nella trasposizione in forma precettiva del principio a mente del quale occorre prevedere:
1) che la sospensione dell'
efficacia esecutiva o dell'esecuzione della sentenza impugnata sia disposta sulla base di un giudizio prognostico di manifesta fondatezza dell'
impugnazione o, alternativamente, sulla base di un grave e irreparabile pregiudizio derivante dall'esecuzione della sentenza anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti quando la sentenza contiene la condanna al pagamento di una somma di denaro;
2) che l’istanza di sospensione possa essere proposta o riproposta nel corso del giudizio di appello, anche con ricorso autonomo, a condizione che il ricorrente indichi, a pena di inammissibilità, gli specifici elementi sopravvenuti dopo la proposizione dell'impugnazione;
3) che, qualora l'istanza sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata, il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l'ha proposta al pagamento in favore della
cassa delle ammende di una somma non inferiore ad euro 250 e non superiore ad euro 10.000 (l'
ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio).
Si è, dunque, voluto precisare che il pregiudizio grave e irreparabile, tale da fondare l’accoglimento dell’inibitoria, può derivare “anche” dall’esecuzione di pronunce di condanna al pagamento di somme di denaro, in particolare in relazione alla possibilità di insolvenza, ma che al tempo stesso la tutela può riferirsi anche a sentenze di condanna ad un
facere o a un
pati, in relazione alle quali può venire pure in rilievo la possibilità di insolvenza di una delle parti (un esempio può ravvisarsi nell’ipotesi in cui sia stata ordinata la demolizione di un’opera e il creditore non sia in condizione di offrire garanzie di essere poi in grado di ripristinarla, allorchè la decisione dovesse essere riformata).
Per quanto riguarda il riferimento alla “
possibilità di insolvenza di una delle parti”, espressione che lascia presupporre una condanna al pagamento di una somma di denaro, si è sostenuto che la possibile (futura) insolvenza del
creditore, in prospettiva di una eventuale riforma della
sentenza di primo grado con conseguente obbligo di restituzione, sia stata tipizzata come “grave motivo”, idoneo da solo a sorreggere l'accoglimento dell'istanza di inibitoria.
Tuttavia, considerato che la norma fa genericamente riferimento ad “una delle parti”, anche il rischio della futura insolvenza del debitore (cioè dell’appellante) potrebbe venire in rilievo quale valida ragione per negare la sospensione dell'esecuzione.
Sempre in relazione alla valutazione dell’insolvenza di una delle parti, si ritiene che debba essere esaminata solo la possibile attuale situazione di insolvenza, restando irrilevante il rischio di una possibile insolvenza futura, soprattutto in mancanza di indici di dissesto patrimoniale già presenti nel momento in cui viene assunta la decisione sull'istanza inibitoria.
Deve osservarsi che, mentre l'inibitoria della efficacia esecutiva della sentenza potrà avvenire prima dell'inizio dell'esecuzione e ne impedirà irreversibilmente l'avvio sulla base di quella sentenza, la sospensione dell'esecuzione già iniziata può condurre solo ad un arresto del procedimento esecutivo, e non alla caducazione degli
atti esecutivi già compiuti.
Circa, infine, la possibilità di subordinare il provvedimento sospensivo al rilascio di una cauzione, secondo alcuni autori tale strumento può essere imposto solo a carico della
parte istante, che ottiene la provvidenza richiesta.
Vi è tuttavia chi ha proposto una lettura estensiva della norma al fine di permettere la possibilità di porre una cauzione a carico di tutte e due le parti, e dunque sia in ipotesi di concessione che di rigetto dell'istanza.
E’ stato evidenziato in dottrina che, se dopo la pronuncia dell'ordinanza ex [[186 quatercpc]], il
convenuto non chieda espressamente la sentenza per le vie ordinarie, tale ordinanza si converte velocemente in sentenza e diviene da lui appellabile nei modi consueti, con una efficacia esecutiva sospendibile ai sensi della norma in esame.
L'art. 27, L. 12.11.2011, n. 183 (cd. legge di stabilità), con l'intento di disincentivare le istanze di sospensione dell'efficacia esecutiva o dell'esecuzione della sentenza di primo grado, ha previsto l'irrogazione di una pena pecuniaria non inferiore a 250 euro e non superiore a 10.000 euro per la parte che abbia proposto la relativa istanza, quando questa sia inammissibile o manifestamente infondata.
Il legislatore ha inteso così responsabilizzare la
parte soccombente che pretestuosamente richieda la sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, al sol fine di ritardare la soddisfazione in via esecutiva della parte vittoriosa.
Si tratta di una sanzione pecuniaria assimilabile a quella prevista dall'art. 408 (anche in questa parte la norma è stata modificata, con la precisazione che la sanzione pecuniaria deve essere versata a favore della
Cassa delle Ammende).