Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale di Torino aveva accolto la domanda di revoca della donazione effettuata in favore della moglie da parte del marito; si trattava, in particolare, di una donazione indiretta, attuata mediante il pagamento del 30% del prezzo di acquisto di un immobile.
La donna non aveva adeguatamente assistito il marito gravemente infortunato in seguito ad un incidente sugli sci e pertanto doveva considerarsi “ingrata” ai sensi dell’art. 801 cod. civ.
Il marito, infatti, si era visto costretto a chiedere la separazione anche in considerazione della relazione extraconiugale intrapresa dalla moglie con modalità “offensive” (come riconosciuto dal tribunale stesso).
La Corte d’appello, pronunciatasi in secondo grado, confermava la sentenza resa dal Tribunale, con la conseguenza che l’ex moglie decideva di proporre ricorso in Cassazione, lamentando l’erronea valutazione, da parte del giudice di secondo grado, del materiale probatorio prodotto.
Secondo la ricorrente, in particolare, il marito non avrebbe effettuato una vera e propria donazione (che deve essere caratterizzata da spontaneità), poiché si era semplicemente limitato a cedere alle “pressioni” fatte dalla stessa.
Secondo la moglie, inoltre, la relazione extraconiugale intrapresa non aveva in alcun modo offeso l’onore e il decoro del marito, dal momento che “non si era avuto alcuno scandalo”, in quanto gli unici a percepire tale relazione erano stati i collaboratori domestici del marito.
Anche il marito, peraltro, secondo la ricorrente, non aveva tenuto un comportamento ineccepibile, visto che lo stesso “giocava d’azzardo, trascurando la figlia minore e, in una occasione, aveva aggredito fisicamente la moglie”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dalla ricorrente, rigettando il relativo ricorso.
La Corte, in particolare, non riteneva provato l’assunto relativo alla natura dell’elargizione del marito, che non potrebbe considerarsi una vera e propria donazione e contestava, altresì, le altre argomentazioni addotte dalla donna.
In particolare, la Corte evidenziava come il giudice di secondo grado avesse “ben spiegato che la ragione dell’ingratitudine non si identificava con l’instaurazione della relazione extraconiugale in sé, ma nella ostentata esibizione della stessa, fra le mura della casa coniugale ed in presenza di una pluralità di estranei e, talvolta, anche in presenza del marito”.
Tali modalità, secondo la Corte, esibivano, “piuttosto platealmente”, una “intimità affettiva e (…) anche sessuale, con un chiaro riverbero lesivo del decoro del resistente e della percezione della di lui onorabilità”.
Evidenziava la Cassazione come tale comportamento integrasse, dunque, “l’ingiuria grave”, richiesta dall’art. 801 cod. civ. per la revocabilità della donazione per ingratitudine, in quanto la stessa è caratterizzata da “un durevole sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante contrastanti con il senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, dovrebbero invece improntarne l’atteggiamento”.
Secondo la Corte, infatti, se non può sanzionarsi il solo fatto di aver intrattenuto un rapporto d’intimità esterno al matrimonio, certamente l’ingratitudine deve ritenersi integrata in caso di relazione che, “insensibile al rispetto della dignità del coniuge, finisca per lederne l’immagine sociale”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla ricorrente, condannando la medesima al pagamento delle spese di lite.