L’ingratitudine non determina ipso iure la revoca dell’atto di liberalità, ma, facendo sorgere nel donante una facultas poenitendi, gli dà il diritto di promuovere il relativo giudizio. Questo va proposto entro un anno dal giorno in cui il donante è venuto a conoscenza del fatto che consente la revoca: il momento iniziale è quindi unico, a differenza dell’art. #1082# del codice precedente, che fissava il decorso dell’anno anche dal giorno del fatto.
Se il donatario si è reso responsabile di omicidio volontario in persona del donante o gli ha dolosamente impedito di revocare la donazione, il termine per agire è di un anno dal giorno in cui gli eredi hanno avuto notizia della causa di revoca (così ad es. da quando una sentenza, che abbia accertato e dichiarato la responsabilità del donatario, sia venuta a loro conoscenza). Il termine di un anno è di decadenza.
Legittimati attivamente alla revoca sono innanzitutto il donante; se lui è morto i suoi eredi, anche se l’azione non sia stata da quello proposta. Tale requisito richiedeva, invece, il capoverso dell’art. #1082# del vecchio codice del 1865.
Legittimati passivamente sono il donatario ed i suoi eredi alla di lui morte. Non può proporsi l’azione de qua nei confronti di una persona giuridica donataria, perché i fatti che determinano la revoca dell’atto di liberalità sono tali che non possono essere compiuti dagli enti stessi; se quelli sono, invece, da attribuirsi a chi rappresenta l’ente, non è giusto che a questo siano fatte subire le conseguenze dell’attività delittuosa del suo rappresentante.
Potrà l’azione di revoca essere proposta dai creditori del donante o dei suoi eredi? La soluzione era indubbiamente negativa per il vecchio codice del 1865, che rafforzava il carattere personale di tale azione negando agli eredi il diritto di proporla a meno che dal donante essa non fosse stata iniziata (non bastava, quindi, che il de cuius avesse, in vita, dichiarato di voler avvalersi del diritto di revoca). Oggi che, indipendentemente da quel presupposto, gli eredi del donante sono legittimati a proporla anche contro gli eredi del donatario, si potrebbe dubitare se non sia mutata l’indole e da personale si debba considerarla patrimoniale e quindi proponibile anche in via surrogatoria dai creditori del donante e degli eredi. Tuttavia, sembra che non si possa negare l’indole personale, riflettendo come il proporre o meno l’azione di revoca dipenda da una valutazione della gravità dell’ingrato comportamento dimostrato dal donatario e che di ciò devono ritenersi arbitri, senza dubbio, il donante ma anche i suoi eredi, i quali, rappresentando il defunto (il concetto mistico dell’eredità romana non si è ancora smarrito del tutto), sono in grado di decidere sull’entità di tale causa ai fini di far valere o meno la revoca.