Nel caso di specie, un’amministratrice di sostegno agisce a nome della propria assistita al fine di revocare la donazione fatta da quest’ultima nei confronti della figlia, alla quale aveva trasferito la nuda proprietà di immobili. L’atto veniva richiesto ai sensi dei predetti articoli che rendono possibile la revoca in caso di grave ingiuria al patrimonio del donante.
Alla base della revoca vi erano una serie di conflitti familiari, sorti subito dopo la donazione. La figlia, infatti, secondo l’amministratrice di sostegno, teneva una condotta violenta e intimidatoria nei confronti della madre.
La Corte d’Appello respinge la richiesta poiché affinché sia possibile la revocazione è necessario un danno qualificato: ovvero, un pregiudizio grave, in relazione alla situazione economica del donante, peraltro arrecato dolosamente. Nel caso di specie, i requisiti in oggetto non sussistono.
Per i Giudici, è assente l’elemento psicologico: la figlia si è sempre occupata dell’anziana madre fino all’arrivo di un terzo soggetto. Questa situazione ha sorpreso la donna, causandole uno stato di apprensione, che non può essere assimilato all’astio gratuito che viene descritto dai ricorrenti, ed è ben lontano dalla volontà, dolosa, di arrecare pregiudizio alcuno.
Secondo costante giurisprudenza, l’art. 801 c.c. prevede quale presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, la manifestazione esteriorizzata, ossia resa palese ai terzi, mediante il comportamento del donatario, di un durevole sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante, contrastanti con il senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, dovrebbero invece improntarne l'atteggiamento: elementi non ravvisabili nel caso di specie secondo il giudizio della Corte d'appello bolognese.