Il principio «casum sentit debitor»
Quest'articolo si riferisce alla seguente categoria di contratti: contratti con attribuzioni corrispettive, aventi efficacia puramente obbligatoria.
Quando sopravvenga l’impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore (1218), questi rimane liberato in quanto la sua obbligazione si estingue ex art. 1256.
Qui ho solo da aggiungere che per quanto riguarda lo stesso concetto di impossibilità della prestazione, non è da accogliere l'insegnamento recente della Corte di Cassazione secondo cui «spetta unicamente al Giudice di stabilire, nel contrasto tra le parti, se la sopravvenuta impossibilità della prestazione sia totale o parziale e quindi produca, o meno, l'estinzione del contratto, anche se il creditore dichiari il suo perdurante interesse alla residua prestazione» (Cass. II febbraio 1947, n. 170, in Foro it. 1947, I, 450).
E’ vero invece che nel determinare concretamente l’impossibilità della prestazione non si può affatto prescindere dalla valutazione dell'interesse del creditore: dato che la prestazione ha da corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale, del creditore (1174), è evidente che non si potrà affatto parlare di impossibilità della prestazione (onde questa potrà sempre costituire il contenuto valido di un rapporto obbligatorio) tutte le volte in cui il creditore, nonostante eventi che abbiano colpito l’oggetto del rapporto, se ne dichiari ugualmente soddisfatto: in questo caso, se il creditore intende continuare nell'esecuzione del rapporto, adempiendo la propria controprestazione, il debitore non potrà sottrarvisi, ricorrendo all'art. 1463.
Ma, come è ovvio, questo principio non è di per sè sufficiente a regolare i rapporti tra le parti quando si tratti di obbligazioni nascenti da contratto sinallagmatico: infatti, in tal caso, occorre stabilire la sorte dell'obbligazione corrispettiva a quella che si è estinta per impossibilità della prestazione.
Di qui appunto il problema del c.d. rischio e pericolo nelle obbligazioni corrispettive (o, più semplicemente, il problema del rischio della controprestazione) che l'art. 1463 intende risolvere. Quest'articolo, confermando il principio, sancito nell'art. 1256, dell'estinzione dell'obbligazione la cui prestazione è diventata impossibile per una causa non imputabile al debitore, stabilisce che la controparte rimane a sua volta esonerata, dal dovere di eseguire la controprestazione, e che, se l'avesse già eseguita, ha diritto di ripeterla.
In definitiva, l'art. 1463 risolve il problema del rischio nelle obbligazioni corrispettive stabilendo il principio che il danno derivante dall'impossibilità della prestazione di un'obbligazione ricade sul debitore stesso, in quanto esso perde il diritto alla controprestazione: nulla egli può pretendere dalla controparte perché nulla ha ad essa dato.
Funzione di tale principio: reagire contro l’avvenuta rottura del rapporto di corrispettività teleologica tra gli arricchimenti (voluto dalle parti contraenti al momento della conclusione del contratto) al fine di impedire un arricchimento unilaterale
Già si è parlato del fondamento giuridico della risoluzione per impossibilità sopravvenuta.
Da quel fondamento si ricava facilmente quale sia la funzione del principio «casum sentit debitor» accolto dall'art. 1463: di reagire contro l'avvenuta rottura del rapporto di corrispettività teleologica tra gli arricchimenti valuta dalle parti contraenti al momenta della conclusione del contratto, al fine di impedire un arricchimento unilaterale.
Se è la causa quella che muove le parti a fare le loro promesse dalle quali sorgono le rispettive attribuzioni patrimoniali; se queste attribuzioni costituiscono nient'altro che il mezzo per raggiungere i reciproci arricchimenti delle parti, è logico che quando il mezzo fallisce — come appunto avviene nel nostro caso, in cui si verifica l'impossibilità sopravvenuta di una prestazione — la stessa ragione dell'accordata tutela giuridica delle attribuzioni esige che questa venga eliminata anche nei confronti dell'attribuzione superstite: se non fosse così, si avrebbe il verificarsi dell'arricchimento a favore di una parte, senza che vi fosse il correlativo arricchimento per l'altra, contrariamente alla volontà causale delle parti contraenti.
Pertanto, dal punto di vista funzionale, il principio «casum sentit debitor» è un rimedio apprestato dall'ordinamento per reagire sulle attribuzioni patrimoniali che hanno mancato il loro scopo, ed è l'espressione concreta della rilevanza diretta, esterna e reattiva della causa.
Si dirà tra poco i1 modo in cui opera il principio «casum sentit debitor», cioè in che cosa consista, dal lato giuridico, la reazione contro l'avvenuta rottura del rapporto di corrispettività teleologica tra gli arricchimenti: qui si conclude dicendo che il principio «casum sentit debitor» vuole significare che è i1 debitore della prestazione divenuta impossibile quello che ne sopporta il danno, in quanto perde il diritto alla controprestazione di cui era creditore.
Costruzione giuridica
Il Codice parla di «risoluzione del contratto».
E la figura della risoluzione vera e propria è accentuata da molti scrittori [così Barbero scrive che, ex art. 1463, viene «tolto di mezzo (risolto) il contratto», e Messineo parla di «risoluzione (di diritto) del contratto», e già detta figura era stata sostenuta sotto l'impero del vecchio Codice: così Dalmaltello scriveva che «la risoluzione contrattuale per impossibilità fortuita della prestazione presenta semplicemente diversità accidentali rispetto a quella che è la risoluzione per inadempimento colposo, ma ha la stessa ragione giustificatrice».
Invece, nel caso dell'art. 1463 non si può affatto parlare di risoluzione, per quelle ragioni già esposte ed alle quali si rinvia. Qui si aggiunge solo, a completamento della precedente dimostrazione, che le differenze — e non sono poche — tra la risoluzione per inadempimento ex .articolo 1453 e seg. e l'istituto di cui all'art. 1463 sono tutt'altro che accidentali, bensì toccano l'intima struttura dei due istituti:
a) a differenza della risoluzione per inadempimento, la quale si verifica in seguito a sentenza costitutiva (1453), o in seguito a diffida della parte delusa (1454), o in seguito ad apposita dichiarazione della parte interessata (1456), o a mancata dichiarazione di essa entro un dato termine (1457); nel caso di fortuito tutte queste formalità non sono affatto necessarie (infra);
b) mentre nella risoluzione per inadempimento questa opera su entrambe le attribuzioni patrimoniali; nel caso di fortuito, il rimedio ex art. 1463 opera unicamente su di una obbligazione (quella rimasta superstite): l'altra obbligazione si è estinta per impossibilità della prestazione ex art. 1256, cioè per una causa diversa e che non ha a che fare con la pretesa risoluzione ex art. 1463, onde, essendo essa già estinta, non la si può estinguere una seconda volta con la risoluzione;
c) a differenza della risoluzione per inadempimento, non sarà affatto a parlare di risarcimento di danni nel caso di estinzione per fortuito;
d) il momento della estinzione delle obbligazioni è diverso nei due casi: nell'inadempimento l'obbligazione inadempiuta si estingue, non al momento dell'inadempimento, bensì o al momento della sentenza (1453), o al momento della convenzione (risoluzione convenzionale: sub art. 1453), o al momento della scadenza del termine ex art. 1454, o al momento in cui la parte interessata dichiara all'altra che intende valersi della clausola risolutiva (1456), o al momento della scadenza dei tre giorni di cui all'art. 1457; invece, nell'ipotesi del fortuito, l'obbligazione si estingue nello stesso momento in cui si estingue l'obbligazione corrispettiva la cui prestazione è diventata impossibile (infra);
e) mentre nella risoluzione per inadempimento il diritto trasmesso all'inadempiente ritorna automaticamente all'attore (retro, sub arti-colo 1453), invece nel caso di fortuito l'adempiente ha semplicemente un diritto personale alla restituzione della prestazione da lui eseguita (1463 in f.).
La netta diversità strutturale tra la risoluzione per inadempimento e l'estinzione per fortuito di cui all'art. 1463, e soprattutto il principio che quest'ultima non costituisce affatto una figura di risoluzione in senso tecnico, pare che possa dirsi confermata dal fatto che, mentre per la risoluzione per inadempimento vi è un articolo (il 1458) che precisa quali sono gli effetti della risoluzione e specialmente la sua retroattività obbligatoria, articolo che è poi espressamente richiamato nel caso di risoluzione per eccessiva onerosità (1467), nulla è detto a questo proposito in materia di fortuito, nella quale pare nettamente da escludere ogni fenomeno di retroattività, i1 quale qui non potrebbe funzionare.
Poste queste caratteristiche strutturali del rimedio ex art. 1463, pare che il principio «casum sentit debitor» debba essere costruito così: avvenuta la rottura del rapporto di corrispettività teleologica tra gli arricchimenti (per il fatto che una delle obbligazioni corrispettive si è estinta per sopravvenuta impossibilità della prestazione, ex articolo 1256), l'ordinamento interviene per stabilire un nuovo mutamento giuridico (vicenda) al fine di evitare che il debitore della prestazione divenuta impossibile abbia a conseguire un arricchimento a cui non corrisponda un altro arricchimento a favore della controparte. Tale vicenda consiste in questo:
a) se l'obbligazione a carico del creditore della prestazione divenuta impossibile non è ancora stata adempiuta, detta obbligazione rimane estinta ipso iure, nello stesso momento in cui la prestazione della corrispondente obbligazione diventa impossibile: cioè le due obbligazioni corrispettive si estinguono ipso iure, contemporaneamente, l'una ex art. 1256, l'altra ex art. 1463. E quest'ultima si estingue per la reazione che su di essa esercita la volontà causale. Il punto da mettere qui in evidenza è questo: le due obbligazioni si estinguono per due cause diverse. A seguito del fortuito, non si ha il meccanismo unitario che è proprio della risoluzione in senso tecnico, bensì si verifica lo smembramento del rapporto con conseguente estinzione autonoma, e con mezzi distinti, di ciascuna delle due obbligazioni. Aggiungo che, ancora meno può parlarsi a questo proposito di «annullamento» come fa Colagrosso: l'obbligazione del creditore della prestazione diventata impossibile non resta invalidata ab origine, ma si estingue per la reazione che su di essa viene ad esplicare la volontà causale;
b) se l'obbligazione a carico del creditore della prestazione divenuta impossibile è già stata adempiuta, l'adempiente acquista, ex lege, il diritto alla restituzione della prestazione eseguita. In questo caso il comando nascente dal negozio viene colpito in maniera, indiretta, mediante l'attribuzione di un'azione personale di restituzione: in questo caso specialmente si può cogliere bene i1 manifestarsi di quella rilevanza mediata, esterna e reattiva della volontà causale su cui poggia la mia costruzione generale dei vari rimedi concessi negli articoli 1453-1469 codice civile.
E’ sulla natura di questo diritto alla restituzione che mette conto di fermare qui l'attenzione. L’adempiente ha diritto di ripetere la prestazione eseguita mediante una di quelle condictiones extra-contrattuali, che il legislatore pare identificare con la condictio indebiti, ma che più esattamente va qualificata come conditio ob causam finitam.
Non può trattarsi di una vera e propria condictio indebiti perché (a parte ogni considerazione sul problema, variamente risolto, del requisito dell'errore da parte del solvens, errore al quale, nel nostro caso non sarebbe nemmeno da pensare), la condictio indebiti presuppone la inesistenza dell'obbligazione sin dal momento in cui il pagamento avviene (art. 2033), mentre nel caso di impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 di inesistenza dell'obbligazione corrispettiva al momento del suo adempimento non può affatto parlarsi in quanto il rimedio dell'art. 1463 non ha per nulla efficacia retroattiva.
Disciplina giuridica: A) Presupposti per l’applicabilità dell’art. 1463; B) L’estinzione dell’obbligazione che sta di fronte a quella colpita da fortuita impossibilità non è subordinata ad alcuna domanda giudiziale; C) L’azione per la restituzione della prestazione già eseguita è un’azione personale
Disciplina giuridica
A) Per quanto riguarda i presupposti per l'applicabilità del rimedio ex art. 1463, oltre ai caratteri che deve rivestire l'impossibilità della prestazione (per i quali rinvio al commento dell'art. 1256), si ricordano i seguenti due:
α) deve trattarsi di un contratto sinallagmatico,
β) con efficacia puramente obbligatoria (per i contratti ad efficacia reale dispone l'art. 1465).
B) L'estinzione dell'obbligazione che sta di fronte a quella colpita da fortuita impossibilità, non è subordinata ad alcuna domanda giudiziale: il giudice (eventualmente) non può che accertare l'estinzione già avvenuta del rapporto.
C) L'azione per la restituzione della prestazione già eseguita è un'azione personale: saranno qui applicabili le norme dettate per la ripetizione dell'indebito, tenendo però presente il fatto che qui si tratta di una prestazione eseguita in forza di un rapporto su quale l'ordinamento reagisce solo ex postfacto. In vista di ciò, deve dirsi che le norme sulla condictio indebiti, richiamate dall'art. 1463 sono puramente quelle che si riferiscono all'obbligazione di restituzione dell'accipiens, e non a quelle che si riferiscono ai terzi: deve cioè qui vedersi, a mio avviso un caso di interpretazione restrittiva dell'articolo 1463.
Infatti, non pare qui applicabile l’art. 2038 in cui è detto che se l'accipiens ha alienato a titolo gratuito la cosa ricevuta indebitamente, «il terzo acquirente è obbligato, nei limiti del suo arricchimento, verso colui che ha pagato l'indebito». Se si dovesse applicare questo articolo si avrebbe questo risultato: che i terzi acquirenti vengono meglio tutelati nel caso di risoluzione del contratto per inadempimento imputabile [per il quale caso, come si è visto, l'art. 1458 stabilisce espressamente che «la risoluzione, anche se è stata espressamente pattuita, non pregiudica i diritti acquistati dai terzi»] che non nell'ipotesi di inadempimento dipendente da caso fortuito [così infatti afferma che avviene Auletta].
Il che pare una cosa assurda e da doversi respingere per le seguenti considerazioni:
a) anzitutto, se è vero che la ragione della tutela dei terzi nel caso di risoluzione per inadempimento imputabile è da ricercarsi nella impossibilità di prevedere da parte dei terzi il fatto dell'inadempienza imputabile al loro autore, dovrà dirsi che ancora meno prevedibile è il verificarsi della impossibilità fortuita sopravvenuta della prestazione dovuta dal loro stesso autore. Basta pensare al concetto di caso fortuito per convincersene subito: nessun dubbio infatti che il caso fortuito è.... ancor meno prevedibile dell'inadempienza imputabile;
b) e l'assurdità dell'applicazione dell'art. 2038 diventa ancora maggiore se si pensa che la giurisprudenza è solita ammettere lo stesso debitore colpito dal caso fortuito a fare valere, come interessato, l'applicazione del principio «casum sentit debitor»: sarebbe così lo stesso autore che potrebbe venire a ledere i diritti trasmessi ai suoi aventi causa.
Ora, questa assurdità viene eliminata se si accetta la costruzione secondo la quale l'azione per la restituzione della prestazione eseguita a colui la cui controprestazione è diventata impossibile per fortuito, non è una schietta condictio indebiti (la quale presuppone che i mezzi del trapasso non
siano stati validi in quanto era inesistente l'obbligazione sin dal momento in cui la prestazione venne eseguita), bensì è una condictio ob causam finitam in quanto si è qui eseguita una prestazione in forza di un rapporto giuridico sul quale solo successivamente si verifica la reazione da parte dell'ordinamento giuridico: ora, una tale condictio non può toccare i terzi subacquirenti, in quanto quella prestazione venne eseguita validamente, ed i mezzi del trapasso sono stati e restano validi.
Né qui, infine, parrebbe possibile il richiamo alla disposizione di cui all'art. 2652, n. 1 perché si tratta di una condictio personale.
Concludendo: l'interpretazione restrittiva dell'art. 1463, per quanto riguarda l'applicazione delle norme relative alla ripetizione dell'indebito si basa sulla considerazione della natura speciale dell'azione in restituzione ex art. 1463, più precisamente dell'essere essa una tipica condictio ob causant finitam.