Ho un problema legato all'attuale situazione causata dal Covid-19. Sono proprietaria di una casa a (omissis) che utilizzo per affittare principalmente ai turisti.
Sono tre anni (2018-2019-2020) che però ho stipulato annualmente un contratto di locazione di 8 mesi (marzo-ottobre) vuoto per pieno con un'Agenzia turistica del posto con la quale non ho avuto problemi fino a quando si è presentata la pandemia.
In sostanza l'Agenzia per eventi eccezionali ed imprevedibili vuole recedere dal contratto (firmato a dicembre 2019), richiedendo addirittura la restituzione della caparra di € 2.000.
Premetto che il contratto è una locazione abitativa di natura transitoria e che a me sembra eccessivo il comportamento del conduttore perché ancora è troppo presto per capire l'evoluzione della pandemia. Inoltre avendo visto che nell'allegato al DL sul coronavirus gli alberghi e strutture simili possono rimanere aperti non mi sembra giusto che essendo all'inizio della locazione venga chiesta la risoluzione del contratto.
Assumere una posizione decisa in un periodo così tormentato dal punto di vista sociale e normativo non è certo impresa semplice.
L’attuale emergenza sanitaria, infatti, sta sollevando tutta una serie di problematiche giuridiche sulle quali sicuramente il legislatore non ha neppure avuto il tempo di riflettere, lasciando così all’interprete prima ed ai giudici dopo l’arduo compito di trovare la soluzione che meglio di ogni altra possa contemperare gli interessi delle parti contrapposte.
Si ritiene che sia proprio questo il fine che in questo momento ci si deve essenzialmente prefiggere, ossia quello di cercare di trovare dei rimedi per riequilibrare al meglio le posizioni contrattuali compromesse da un avvenimento del tutto eccezionale ed imprevedibile, nell’ottica di individuare quella strada che con maggiore probabilità potrà essere ritenuta corretta e più consona alla situazione in un futuro giudizio.
Ciò a cui si sta assistendo è sostanzialmente una imprevedibile e temporanea alterazione del sinallagma funzionale di determinate fattispecie contrattuali, problema che si pone in particolare per tutti quei contratti di locazione stipulati per fini commerciali, in cui a subirne le conseguenze negative è ovviamente il conduttore.
Sembra più che evidente che in una situazione di questo tipo il conduttore non potrà ritenersi legittimato ad invocare la grave difficoltà economica per essere esonerato da quella responsabilità che l’art. 1218 del c.c. prevede quale principio cardine delle obbligazioni, anche perché ammettere ciò significherebbe trasferire le conseguenze negative della sua incapienza patrimoniale in capo al creditore (il locatore).
D’altro canto, però, non si può fare a meno di rilevare che non mancano orientamenti giurisprudenziali in cui si dà rilevanza alla causa del contratto inteso come scopo pratico del negozio, e sulla cui base la giurisprudenza ha legittimato la caducazione ex art. 1463 del c.c. dei c.d. “contratti di viaggio tutto compreso” per sopravvenuta inutilizzabilità della prestazione da parte del viaggiatore (si segnalano in tal senso Cass. civ. Sez. I n. 18047 del 10.07.2018, Cass. 24.07.2007 n. 16315, mentre in dottrina ha trattato della causa concreta del negozio giuridico C. M. Bianca, in Il contratto).
Ovviamente il rimedio della caducazione, in una situazione di questo tipo, caratterizzata dalla sua provvisorietà, risulterebbe scomodo anche per il conduttore, dovendosi presumere che questi abbia interesse alla prosecuzione del rapporto contrattuale al cessare dell’emergenza sanitaria (è questo il caso, ad esempio, di coloro che conducono in locazione immobili destinati allo svolgimento di una attività commerciale, quale un negozio).
Infatti, in favore di conduttori di questo tipo unico rimedio a cui può pensarsi, in assenza di alcun provvedimento legislativo emesso in loro favore (se non per gli sgravi fiscali), è quello di invocare l’applicazione del secondo comma dell’art. 1256 del c.c., norma che esonera il debitore da responsabilità per il ritardo nell’inadempimento qualora dipenda da una causa a lui non imputabile.
L’applicazione di quest’ultima norma consente di considerare il rapporto contrattuale come in sorta di sospensione (diversa dalle ipotesi di sospensione previste agli artt. 1460 e 1461 c.c.), con l’effetto di conservare il contratto e autorizzare il conduttore a sospendere il pagamento fin quando l’alterazione sinallagmatica non verrà riequilibrata (in quel momento, indubbiamente, dovranno essere anche corrisposti i canoni arretrati sospesi).
Ciò, però, non può valere in una fattispecie contrattuale quale quella in esame, nella quale assume particolare rilievo quel concetto di causa concreta a cui prima si è fatto cenno ed in cui l’efficacia del contratto è limitata ad un arco temporale abbastanza ristretto (da marzo ad ottobre).
In situazioni come questa, infatti, la scelta più corretta si ritiene che debba essere proprio quella della caducazione del contratto ex art. 1463 c.c., a nulla rilevando il fatto che il contratto sia stato concluso sin dal mese di dicembre scorso, in quanto trattasi di una classica fattispecie di contratto ad esecuzione differita (in cui il momento della conclusione non coincide con il momento della sua esecuzione).
L’esecuzione della prestazione, anche dal lato del locatore, avrebbe dovuto avere inizio proprio nel periodo in cui l’alterazione del sinallagma contrattuale si era più che concretizzata, e ciò non può che avere risvolti negativi anche sul piano di una corretta applicazione degli artt. 1374 e 1375 c.c., norme che, in fase di esecuzione del contratto, impongono il rispetto del generale obbligo di buona fede.
Peraltro, a vantaggio di quanto reclamato dall’agenzia turistica si potrebbe anche invocare l’art. 88 del decreto legge n 18 del 17 marzo 2020, norma in forza della quale è stata legittimata la risoluzione ex art. 1463 c.c. ed il relativo rimborso di quanto fosse stato già corrisposto per contratti di soggiorno turistico e altre fattispecie similari (di ciò si teme che se ne possa tener conto in un futuro giudizio).
Le superiori considerazioni, dunque, inducono a consigliare di rispondere all’agenzia turistica offrendo un riequilibrio volontario del sinallagma contrattuale, mediante riduzione della prestazione che la medesima si è obbligata ad eseguire in forza del combinato disposto degli artt. 1464 e 1258 c.c.
Infatti, sebbene sia incontestabile che l’emergenza Covid-19 non abbia realizzato uno squilibrio delle prestazioni in termini prettamente giuridici (poiché il locatore sta regolarmente adempiendo alla sua prestazione e l’obbligazione del conduttore ha natura fungibile, avendo ad oggetto una somma di denaro), non può trascurarsi che alla base del contratto si pongono pur sempre dei presupposti di fatto ben precisi, di cui le parti hanno tenuto conto al momento della stipula (dal lato del conduttore il regolare ed ordinario avvio della stagione turistica che, sicuramente, per una località di villeggiatura, avrà un peso di un certo rilievo nella determinazione del canone).
L’aver offerto il riequilibrio delle posizioni contrattuali costituirà indubbiamente un utile elemento di cui, in una eventuale controversia giudiziaria, il giudice potrà tener conto al fine di valutare come improntato al rispetto della buona fede il comportamento della parte locatrice.
Qualora, tuttavia, l’agenzia turistica non dovesse accettare la soluzione qui proposta, purtroppo non resterà che o aderire alle loro richieste (e, dunque, risolvere consensualmente il contratto restituendo la caparra ricevuta), oppure respingerle, con l’inevitabile conseguenza di far sfociare la controversia in un’aula di giustizia, dove oltre al danno ci si potrebbe anche trovare costretti a dover subire la beffa di essere condannati al pagamento delle spese processuali.