Cass. civ. n. 344/2020
L'art. 281 sexies c.p.c. - che consente al giudice, al termine della discussione, di redigere immediatamente il dispositivo e la concisa motivazione della sentenza - è applicabile, in assenza di un'espressa previsione che ne limiti l'operatività al solo giudizio di primo grado, anche in appello. (Fattispecie relativa a controversia già pendente in appello alla data di entrata in vigore della modifica dell'art. 352 c.p.c. introdotta dall'art. 27, comma 1, l. n. 183 del 2011). (Rigetta, CORTE D'APPELLO L'AQUILA, 05/06/2018).
Cass. civ. n. 27606/2019
In tema di impugnazioni, il potere del giudice d'appello di procedere d'ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all'esito complessivo della lite, laddove, in caso di conferma della decisione impugnata la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di specifico motivo d'impugnazione. Tuttavia, anche in ragione dell'operare del c.d. effetto espansivo interno di cui all'art. 336, primo comma, c.p.c., l'accoglimento parziale del gravame della parte vittoriosa in cui favore il giudice di primo grado abbia emesso condanna alla rifusione delle spese di lite non comporta, in difetto di impugnazione sul punto, la caducazione di tale condanna, sicché la preclusione nascente dal giudicato impedisce al giudice dell'impugnazione di modificare la pronuncia sulle spese della precedente fase di merito, qualora egli abbia valutato la complessiva situazione sostanziale in senso più favorevole alla parte vittoriosa in primo grado. (In applicazione dei su indicati principi, la S.C. ha cassato la sentenza del giudice di appello che, nel riformare la sentenza impugnata aumentando l'entità della condanna al risarcimento danni pronunciata in favore degli appellanti, aveva modificato il regolamento delle spese di primo grado in termini meno favorevoli per gli appellanti, in difetto di appello incidentale sul capo relativo alle spese).
Cass. civ. n. 21443/2019
La verifica, da parte del giudice investito del tema della corretta instaurazione del contraddittorio, quanto alla chiamata in giudizio dei litisconsorti necessari, riguardando la valida costituzione del rapporto processuale, ha carattere preliminare rispetto all'esame dei motivi di impugnazione, anche nel caso in cui questi ultimi attengano alla regolare costituzione del contraddittorio nel grado precedente e non sia stata devoluta questione relativa alla individuazione dei litisconsorti necessari medesimi, come stabilita nei precedenti gradi di giudizio.
Cass. civ. n. 20883/2019
La sentenza d'appello può essere motivata "per relationem", purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata che, nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento dei danni derivanti da illegittime sospensioni di un contratto di appalto, con riguardo alla relativa liquidazione, ha richiamato la sentenza di primo grado affermando di condividerla integralmente ed esplicitandone puntualmente le ragioni).
Cass. civ. n. 12875/2019
Il giudice d'appello può qualificare il rapporto dedotto in giudizio in modo diverso rispetto a quanto prospettato dalle parti o ritenuto dal giudice di primo grado, purché non introduca nel tema controverso nuovi elementi di fatto, lasci inalterati il "petitum" e la "causa petendi" ed eserciti tale potere-dovere nell'ambito delle questioni, riproposte con il gravame, rispetto alle quali la qualificazione giuridica costituisca la necessaria premessa logico-giuridica, dovendo, altrimenti, tale questione preliminare formare oggetto di esplicita impugnazione ad opera della parte che risulti, rispetto ad essa, soccombente. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso vertente sull'erroneo inquadramento, da parte dei giudici di merito, del contratto dedotto in giudizio nella disciplina del trasporto di merci per conto di terzi, in ragione del fatto che tale qualificazione giuridica non era stata oggetto di esplicito motivo di gravame, avendo la ricorrente proposto appello al solo fine di contestare che al rapporto, così come qualificato, si applicasse il sistema delle c.d. tariffe a forcella).
Cass. civ. n. 513/2019
In tema di giudizio di appello, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, come il principio del "tantum devolutum quantum appellatum", non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, ovvero in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all'applicazione di una norma giuridica diverse da quelle invocate dall'istante, né incorre nella violazione di tale principio il giudice d'appello che, rimanendo nell'ambito del "petitum" e della "causa petendi", confermi la decisione impugnata sulla base di ragioni diverse da quelle adottate dal giudice di primo grado o formulate dalle parti, mettendo in rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice. (Nella specie, il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno da perdita di "chance" per la mancata selezione nell'ambito di una procedura finalizzata alla somministrazione di lavoro a tempo determinato, sulla base del contenuto dell'avviso di reclutamento diffuso in vista della selezione; il giudice d'appello, invece, con decisione confermata dalla S.C., aveva reputato fondata la suddetta domanda, ma sulla base della diversa circostanza di fatto - risultante dagli atti, ancorché non considerata dal primo giudice - che alla partecipante non erano state comunicate le ragioni della sua esclusione dalla procedura selettiva, secondo quanto previsto nel capitolato d'appalto tra il somministrante e l'utilizzatore).
Cass. civ. n. 29021/2018
L'effetto sostitutivo della sentenza d'appello, la quale confermi integralmente o riformi parzialmente la decisione di primo grado, comporta che, ove l'esecuzione sia già stata promossa in virtù del primo titolo esecutivo, la stessa proseguirà sulla base delle statuizioni ivi contenute che abbiano trovato conferma in sede di impugnazione; nel caso in cui, invece, l'esecuzione non sia ancora iniziata, essa dovrà intraprendersi sulla base della pronuncia di secondo grado quale titolo esecutivo da notificare prima o congiuntamente al precetto ai fini della validità di quest'ultimo, anche quando il dispositivo della sentenza di appello contenga esclusivamente il rigetto dell'appello e l'integrale conferma della sentenza di primo grado. (Principio ribadito in relazione ad una fattispecie nella quale a seguito di condanna per danno erariale pronunciata dalla Corte dei Conti e confermata in appello, la sentenza impugnata nel rigettare l'opposizione a precetto, aveva erroneamente affermato che il titolo esecutivo fosse costituito dalla sentenza di prime cure del giudice contabile, essendo quella di appello meramente confermativa).
Cass. civ. n. 14077/2018
La modificazione, da parte del giudice di appello, della qualificazione giuridica della domanda operata dal primo giudice è illegittima - per violazione del giudicato interno formatosi in ragione dell'omessa impugnazione sul punto della parte interessata - solo se detta qualificazione abbia condizionato l'impostazione e la definizione dell'indagine di merito, sicché è consentita la riqualificazione in termini di ripetizione di indebito, ex art. 2033 c.c., della domanda originariamente qualificata come azione di ingiustificato arricchimento, ex art. 2041 c.c., quando i fatti dedotti in giudizio dalle parti siano rimasti pacificamente acclarati e non modificati.
Cass. civ. n. 24007/2017
Nel giudizio di appello, la discussione orale ha ad oggetto, in linea di principio, l’intero tema della controversia e, pertanto, ove il collegio intenda, all'esito di tale udienza, procedere soltanto all’esame di questioni specifiche, occorre che detta limitazione risulti espressamente. (Nella specie, relativa a procedimento instaurato, in prime cure, anteriormente al 30 aprile 1995, la S.C. ha ritenuto che il giudice d’appello aveva correttamente deciso sul merito del gravame, in assenza di puntuali espressioni ricavabili dal verbale di udienza, che deponessero per una riserva limitata alla sola decisione sull’istanza di ricusazione proposta in data antecedente all'udienza medesima).
Cass. civ. n. 8708/2017
La non contestazione dei fatti non costituisce prova legale, bensì un mero elemento di prova, sicché il giudice di appello, ove nuovamente investito dell'accertamento dei medesimi con specifico motivo di impugnazione, è chiamato a compiere una valutazione discrezionale di tutto il materiale probatorio ritualmente acquisito, senza essere vincolato alla condotta processuale tenuta dal convenuto nel primo grado del giudizio.
Cass. civ. n. 4638/2017
In materia di giudizio di gravame innanzi alla corte d’appello, la richiesta di discussione orale della causa innanzi al collegio, ai sensi dell’art. 352, comma 2, c.p.c., deve essere proposta all’atto della precisazione delle conclusioni nonché necessariamente riproposta al presidente della corte, alla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica, non essendo sufficiente la mera reiterazione in sede di comparsa conclusionale e di memorie di replica.
Cass. civ. n. 352/2017
La sentenza d'appello, anche se confermativa, si sostituisce totalmente a quella di primo grado, sicché il giudice del gravame che confermi la decisione impugnata, la cui conclusione sia conforme a diritto, sulla base di ragioni ed argomentazioni diverse da quelle addotte dal giudice di prime cure, non viola alcun principio di diritto; la portata della decisione va, quindi, interpretata secondo i criteri ed i limiti della nuova motivazione della sentenza di appello.
Cass. civ. n. 13425/2016
In sede di impugnazione, non rileva né l'omessa pronuncia su di un'eccezione di inammissibilità, né l'omessa motivazione su tale eccezione, atteso che solo l'effettiva esistenza dell'inammissibilità denunciata sarebbe idonea a determinare la decisione del giudice del gravame che, accogliendo le richieste in relazione alle quali l'eccezione è stata formulata, l'ha implicitamente rigettata.
Cass. civ. n. 11805/2016
In tema di qualificazione giuridica dei fatti oggetto di controversia, quando la parte agisce prospettando condotte astrattamente compatibili con la fattispecie prevista dall'art. 2051 c.c., la loro riconduzione, operata dal giudice di primo grado, all'art. 2043 c.c., non vincola il giudice d'appello nel potere di riqualificazione giuridica dei fatti costitutivi della pretesa azionata.
Cass. civ. n. 20125/2015
Qualora il giudice d'appello dissenta dalle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio nominato in secondo grado e accolga quelle del consulente tecnico d'ufficio designato in primo grado, deve enunciare le ragioni della scelta, contestando le contrastanti argomentazioni della seconda consulenza.
Cass. civ. n. 20124/2015
L'applicazione al giudizio di appello della disciplina di cui all'art. 281-sexies c.p.c. è stata prevista dall'art. 352, comma 6, c.p.c., come novellato dall'art. 27 della legge 12 novembre 2011 n. 183, con decorrenza 1° febbraio 2012, sicché, in difetto di ulteriori specificazioni da parte della norma novellatrice, la disposizione "de qua" trova applicazione a tutti i giudizi di appello pendenti alla suddetta data.
Cass. civ. n. 19122/2015
In caso di accoglimento parziale del gravame, il giudice di appello può compensare, in tutto o in parte, le spese, ma non anche porle, per il residuo, a carico della parte risultata comunque vittoriosa, sebbene in misura inferiore a quella stabilita in primo grado, posto che il principio della soccombenza va applicato tenendo conto dell'esito complessivo della lite.
Cass. civ. n. 16213/2015
La diversa qualificazione giuridica del rapporto controverso da parte del giudice d'appello rispetto a quanto ritenuto dal giudice di primo grado non costituisce vizio di extrapetizione, rientrando tale potere-dovere nelle attribuzioni del giudice dell'impugnazione, senza necessità, quindi, di specifica impugnazione o doglianza di parte, purché egli operi nell'ambito delle questioni riproposte con il gravame e lasci inalterati il "petitum" e la "causa petendi", non introducendo nel tema controverso nuovi elementi di fatto.
Cass. civ. n. 661/2015
Il riferimento "alle questioni trattate" integra motivazione adeguata e ragionevole del provvedimento di compensazione delle spese del giudizio di appello, anche nella prospettiva più rigorosa introdotta dalla legge 28 dicembre 2005, n. 263. (In applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha ritenuto corretta l'espressione utilizzata dalla corte territoriale per dare rilievo all'oggetto del giudizio di secondo grado, limitato alla rideterminazione delle spese della controversia, già di per sé priva di particolare complessità giuridica, e in presenza di un esito del giudizio solo parzialmente favorevole al ricorrente).
Cass. civ. n. 26908/2014
Il giudice di appello che riformi in parte la sentenza impugnata, indipendentemente da una specifica richiesta dell'appellante, il quale abbia invece domandato nelle sue conclusioni la sola riforma integrale della sentenza, non viola il principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato di cui all'art. 112 cod. proc. civ., in quanto il "petitum" immediato dell'impugnazione è la riforma della sentenza, mentre l'ampiezza di detta riforma dipende dall'esito dello scrutinio degli specifici motivi di appello proposti.
Cass. civ. n. 25509/2014
Al fine di assolvere l'onere di adeguatezza della motivazione, il giudice di appello non è tenuto ad esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione così da doversi ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse.
Cass. civ. n. 22558/2014
Stante la natura devolutiva del giudizio di appello, la corte di merito che pronunci su una questione che non risulta essere stata fatta oggetto di impugnazione, neppure implicitamente, incorre nel vizio di extrapetizione e la decisione deve essere cassata senza rinvio, risolvendosi tale vizio in un eccesso di potere giurisdizionale.
Cass. civ. n. 4078/2014
Il principio di omnicomprensività della liquidazione del danno non patrimoniale alla persona comporta la valutazione complessiva dei pregiudizi subiti, con la conseguenza che il giudice d'appello, sollecitato a rivalutare l'adeguatezza della somma globalmente riconosciuta, per l'assunta insufficienza della liquidazione di un determinato tipo di pregiudizio, può riconsiderare anche le ulteriori voci di cui il danno non patrimoniale si compone, in funzione della verifica della congruità della liquidazione complessiva operata dal giudice di primo grado, senza che il riequilibrio tra le varie voci di cui si compone il danno non patrimoniale implichi una "reformatio in peius" della sentenza, o un vizio di ultrapetizione.
Cass. civ. n. 24163/2013
Nell'ipotesi di appello contro sentenza non definitiva, il giudice del gravame deve limitare il proprio esame alla materia che ha formato oggetto della decisione di primo grado e non può estenderlo alle questioni e ai profili della causa per i quali vi sia stata riserva di decisione.
Cass. civ. n. 23226/2013
Il potere del giudice d'appello di procedere d'ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il corrispondente onere deve essere attribuito e ripartito in ragione dell'esito complessivo della lite, mentre in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d'impugnazione.
Cass. civ. n. 9693/2013
Poiché ogni statuizione di merito comporta una pronuncia implicita sulla giurisdizione, il giudice dell'impugnazione non può riesaminare d'ufficio quest'ultima, in assenza di specifico gravame sul punto, né le parti possono limitarsi a sollecitare in tal senso il giudice, rimanendo irrilevante, pertanto, che nella sentenza d'appello la questione di giurisdizione sia stata egualmente trattata.
Cass. civ. n. 9161/2013
L'effetto sostitutivo della sentenza d'appello, la quale confermi integralmente o riformi parzialmente la decisione di primo grado, comporta che, ove l'esecuzione non sia ancora iniziata, essa dovrà intraprendersi sulla base della pronuncia di secondo grado, mentre, se l'esecuzione sia già stata promossa in virtù del primo titolo esecutivo, la stessa proseguirà sulla base delle statuizioni ivi contenute che abbiano trovato conferma in sede di impugnazione.
Cass. civ. n. 2955/2013
L'appello costituisce un mezzo di impugnazione che, attuando il principio del doppio grado di giudizio, si conclude con una sentenza destinata a sostituirsi a quella di primo grado - purché investa il merito del rapporto controverso - ad ogni effetto e, dunque, anche a quelli esecutivi, sicché la cassazione della sentenza di secondo grado non fa rivivere l'efficacia di quella di primo grado, indipendentemente dal fatto che la stessa fosse stata confermata o riformata in appello.
Cass. civ. n. 10617/2012
Sebbene sia consentito al giudice d'appello qualificare il contratto oggetto del giudizio in modo diverso rispetto a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, tale attività gli è vietata se, per pervenire alla nuova qualificazione debba prendere in esame fatti nuovi e non dedotti dalle parti, né rilevati dal giudice di primo grado. Pertanto, una volta che un contratto di garanzia sia stato qualificato come fideiussione tipica dal giudice di primo grado, è viziata da ultrapetizione la sentenza con la quale il giudice d'appello lo qualifichi come contratto autonomo di garanzia, facendo leva sul contenuto di alcune clausole contrattuali non considerate dal giudice di prime cure.
Cass. civ. n. 7272/2012
Quando l'attore abbia indicato esattamente e senza incertezze la somma richiesta a titolo di risarcimento del danno, il giudice di merito non può pronunciare condanna per un importo superiore; tuttavia, ove la condanna sia pronunciata dal giudice d'appello, l'importo massimo della stessa sarà dato dalla somma indicata dall'attore nell'atto di citazione di primo grado, maggiorato della rivalutazione calcolata fino al momento della decisione del gravame. Ne consegue che, ove l'attore vittorioso intenda impugnare la sentenza d'appello, invocando una maggiore liquidazione del danno, il suo ricorso sarà ammissibile solo ove la somma pretesa non ecceda l'importo indicato in citazione, debitamente rivalutato come sopra.
Cass. civ. n. 24339/2010
Il potere-dovere del giudice di qualificazione della domanda nei gradi successivi al primo va coordinato con i principi propri del sistema delle impugnazioni, sicché deve ritenersi precluso al giudice dell'appello di mutare d'ufficio - violando il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato - la qualificazione ritenuta dal primo giudice in mancanza di gravame sul punto ed in presenza, quindi, del giudicato formatosi su tale qualificazione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di appello che, nel pronunciare in ordine alla domanda di impugnativa di licenziamento proposta da un giornalista, pur in assenza di un'espressa censura da parte dell'appellante circa la qualificazione dell'atto di risoluzione del rapporto quale atto di recesso operata dal primo giudice, aveva mutato tale qualificazione inquadrando detta domanda nello schema della risoluzione automatica del rapporto di lavoro sulla base di una previsione contrattuale collettiva).
Cass. civ. n. 17013/2010
In tema di poteri - doveri del giudice d'appello, quando dal complesso delle deduzioni e delle conclusioni contenute nell'atto di appello risulti la volontà di sottoporre l'intera controversia al giudice dell'impugnazione, questi è tenuto a riesaminare anche quelle parti della sentenza di primo grado che non abbiano, a differenza di altre, formato oggetto di specifica trattazione nel suddetto atto, in quanto comunque coinvolte nell'integrale impugnazione della prima pronuncia.
Cass. civ. n. 15383/2010
Non incorre nel vizio di extrapetizione il giudice d'appello il quale dia alla domanda od all'eccezione una qualificazione giuridica diversa da quella adottata dal giudice di primo grado, e mai prospettata dalla parti, essendo compito del giudice (anche d'appello) individuare correttamente la legge applicabile, con l'unico limite rappresentato dall'impossibilità di immutare l'effetto giuridico che la parte ha inteso conseguire. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto esente dal vizio di extrapetizione la sentenza d'appello che aveva qualificato come "datio in solutum" il rapporto giuridico dedotto in giudizio, qualificato invece dal giudice di primo grado come compensazione di crediti reciproci).
Cass. civ. n. 15360/2010
In tema di regolamento delle spese di lite, qualora una sentenza d'appello riformi parzialmente una sentenza di primo grado, che abbia rigettato integralmente la domanda o le domande della parte attrice con gravame delle spese a carico di quest'ultima, confermandola nel resto senza provvedere con un'espressa statuizione sulle spese del giudizio di primo grado, la statuizione di conferma del giudice d'appello non può essere considerata come implicitamente confermativa della statuizione sulle spese di primo grado, risolvendosi altrimenti nell'imposizione delle spese a totale carico della parte parzialmente vittoriosa, ma deve ritenersi che la sentenza di secondo grado abbia omesso di pronunciare sulle spese del giudizio di primo grado. Ove, invece, la riforma parziale abbia riguardato una decisione di primo grado che aveva accolto la domanda o le domande, condannando alle spese la parte convenuta, e si sia concretata nel rigetto parziale dell'unica domanda o nel rigetto di alcune domande, la conferma nel resto della sentenza di primo grado bene può essere intesa come implicita valutazione da parte del giudice d'appello nel senso che il ridotto accoglimento dell'unica domanda o di alcune domande comunque non integra ragione per compensare in tutto od in parte le spese, sì da giustificare che esse restino a carico della parte convenuta.
Cass. civ. n. 10622/2010
In materia di liquidazione delle spese giudiziali, il giudice di appello che rigetti il gravame nei suoi aspetti di merito, non può, in assenza di uno specifico motivo in ordine alla decisione sulle spese processuali, modificare il contenuto della statuizione di condanna al pagamento di tali spese assunta dal giudice di primo grado, compensandole, attesi i limiti dell'effetto devolutivo dell'appello, alla cui applicabilità non è di ostacolo il carattere accessorio del capo sulle spese, che resta pur sempre autonomo.
Cass. civ. n. 20652/2009
In tema di giudizio di appello, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, come il principio del "tantum devolutum quantum appellatum", non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonché in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all'applicazione di una norma giuridica, diverse da quelle invocate dall'istante. Inoltre, non incorre nella violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato il giudice d'appello che, rimanendo nell'ambito del "petitum" e della "causa petendi", confermi la decisione impugnata sulla base di ragioni diverse da quelle adottate dal giudice di primo grado o formulate dalle parti, mettendo in rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice.
Cass. civ. n. 16128/2009
Il giudice di appello non può riconoscere gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sulle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., ove il danneggiato non abbia proposto in appello specifica domanda in tal senso, benché detti accessori siano stati chiesti in primo grado, dovendosi ritenere, ai sensi dell'art. 346 c.p.c., rinunciate le domande ed eccezioni non espressamente riproposte in grado di appello.
Cass. civ. n. 14622/2009
In tema di azione di danni, poiché i "fatti" rilevanti per l'affermazione di responsabilità ex art. 2051 c.c. sono diversi da quelli necessari per proclamarla ex art. 2043 c.c., qualora il danneggiato soccombente in primo grado non si dolga in appello della mancata applicazione dell'art. 2051 c.c., ma censuri la sentenza impugnata soltanto per avere escluso la responsabilità del convenuto per difetto di colpa ai sensi dell'art. 2043 c.c., non è consentito al giudice di appello - ciò essendogli impedito dai limiti di devoluzione dell'impugnazione (art. 346 c.p.c.), altrimenti configurandosi il vizio di ultrapetizione - prescindere dall'indagine sull'elemento soggettivo dell'illecito ed affermare la responsabilità del convenuto in base alla sola considerazione del nesso eziologico tra cosa e danno ed alla mancanza di prova del fortuito.
Cass. civ. n. 1604/2008
In tema di impugnazioni, la sentenza d'appello, anche se confermativa, si sostituisce totalmente alla sentenza di primo grado, onde il giudice d'appello ben può in dispositivo confermare la decisione impugnata ed in motivazione enunciare, a sostegno di tale statuizione, ragioni ed argomentazioni diverse da quelle addotte dal giudice di primo grado, senza che sia per questo configurabile una contraddittorietà tra il dispositivo e la motivazione della sentenza d'appello.
Cass. civ. n. 13441/2007
Il principio secondo cui la portata precettiva di una sentenza va individuata con riferimento non solo al dispositivo, ma anche alla motivazione, trova applicazione tutte le volte in cui il giudice abbia pronunciato una sentenza di merito (di accertamento o di condanna) il cui dispositivo, in conseguenza della indeterminatezza o incompletezza del suo contenuto precettivo, si presti ad una integrazione, dando la prevalenza alla situazione contenuta in una delle indicate parti del provvedimento da interpretare come unica statuizione. (Nella specie la sentenza d'appello, confermata dalla S.C., in motivazione aveva chiaramente accolto la domanda di condanna di parte convenuta al pagamento del corrispettivo di un contratto di appalto, respingendo la domanda di risoluzione del contratto formulata in corso di causa).
Cass. civ. n. 11673/2007
L'obbligo di motivazione della sentenza di appello non si estende a tutte le potenziali ricostruzioni del fatto che possano suffragare o contraddire la soluzione adottata con la decisione di primo grado, ma solo a quelle, ritenute decisive, che siano state prospettate dalle parti, ovvero che siano immediatamente correlate alle emergenze istruttorie.
Cass. civ. n. 9244/2007
Nell'ordinario giudizio di cognizione, la portata precettiva della sentenza deve essere individuata tenendo conto non soltanto del dispositivo ma anche della motivazione, cosicché, in assenza di un vero e proprio contrasto tra dispositivo e motivazione, deve ritenersi prevalente la statuizione contenuta in una di tali parti del provvedimento, da interpretare in base all'unica statuizione che, in realtà, esso contiene. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell'enunciato principio, ha ritenuto insussistente la contraddizione dedotta con il ricorso in ordine alla sentenza impugnata laddove, in motivazione, si era affermato che dall'esito del giudizio conseguiva la compensazione delle spese del doppio grado in ragione della metà con la condanna dell'attrice a rimborsare alla controparte la rimanente metà, nel mentre, in dispositivo, si era provveduto, per un verso, a dichiarare compensate tra le parti le spese del doppio grado e, per altro verso, era stata pronunciata la condanna della ricorrente al rimborso della metà delle spese in favore della parte vittoriosa, risultando evidente, in via interpretativa, sulla scorta della combinazione tra motivazione e dispositivo, che la statuizione finale dovesse intendersi nel senso della compensazione delle spese complessive nella misura della metà e della condanna a carico della parte soccombente alla refusione dell'altra metà a vantaggio della parte vittoriosa).
Cass. civ. n. 91/2007
Nel procedimento d'appello, stante l'esigenza di concentrare le attività assertive e probatorie negli atti introduttivi, il giudice, esaurite le attività preliminari di cui agli artt. 350 e 351 c.p.c., ove non disponga atti istruttori e ritenga la causa matura per la decisione, già in prima udienza può compiere gli atti che preludono alla decisione, invitando le parti a precisare le conclusioni definitive, senza che, prima di passare alla fase di rimessione in decisione, vi sia spazio per la necessaria fissazione di un'udienza per la trattazione della causa e di un'altra per le deduzioni istruttorie.
Cass. civ. n. 19937/2004
La decisione dell'impugnazione sulla questione principale può comportare la modificazione, in virtù del cosiddetto «effetto espansivo interno» anche della questione dipendente (nella specie, riguardante gli accessori del credito), pur se autonoma e non investita da specifica censura, tale «modificabilità» dei capi di sentenza autonomi ma dipendenti da altro capo, costituendo un'eccezione al principio della formazione del giudicato in mancanza di impugnazione, va applicata con estremo rigore, dovendosi perciò escludere che l'impugnazione della statuizione sulla questione principale rimetta in ogni caso in discussione la decisione sulla questione dipendente, attribuendo perciò sempre al giudice dell'impugnazione il potere di deciderla nuovamente e autonomamente, posto che ciò potrà e dovrà accadere solo ove sia imposto dal tenore della decisione relativa all'impugnazione principale, ossia quando tale ultima decisione si ponga in contrasto con quella sulla questione dipendente. In tal caso, la direzione e i limiti dell'intervento consentito al giudice dell'impugnazione sulla statuizione dipendente non colpita da impugnazione non potranno che dedursi, con estremo rigore, delle necessità di coerenza imposte dalla decisione sulla questione principale e dai motivi posti a sostegno della medesima.
Cass. civ. n. 12098/2004
Qualora la sentenza di appello (riportante solo parzialmente le conclusioni delle parti) si limiti a confermare, in tutto o in parte, la sentenza di primo grado impugnata, senza motivare il rigetto delle conclusioni regolarmente rese dalle parti, (ma non trascritte nell'epigrafe della sentenza stessa), è configurabile vizio di motivazione, e non nullità per omessa pronuncia su alcune delle domande.
Cass. civ. n. 10965/2004
Poiché i poteri del giudice di appello vanno determinati con esclusivo riferimento alle iniziative delle parti, in assenza di impugnazione incidentale della parte parzialmente vittoriosa, la decisione del giudice d'appello non può essere più sfavorevole all'appellante e più favorevole all'appellato di quanto non sia stata la sentenza impugnata e non può, quindi, dare luogo alla reformatio in peius in danno dello stesso appellante. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto viziata la pronuncia di appello che, in una causa di risarcimento danni da scontro di veicoli in cui la sentenza di primo grado aveva liquidato i danni sulla base della presunzione di pari responsabilità tra i conducenti dei veicoli, a fronte di un appello proposto solo dall'attore parzialmente soccombente sul punto dell'affermata pari responsabilità e dell'insufficiente liquidazione del danno, ed in difetto di impugnazione incidentale da parte del convenuto, aveva affermato che la responsabilità del sinistro era da imputare esclusivamente alla condotta colposa del convenuto, liquidando però in favore dell'attore una somma minore rispetto all'intero danno come quantificato in primo grado).
Cass. civ. n. 18618/2003
L'omessa fissazione, nel giudizio d'appello, dell'udienza di discussione orale, pur ritualmente richiesta dalla parte ai sensi dell'art. 352 c.p.c., non comporta necessariamente la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa, atteso che l'art. 360, n. 4, c.p.c., nel consentire la denuncia di vizi di attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela l'interesse all'astratta regolarità dell'attività giudiziaria, ma garantisce solo l'eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato error in procedendo, onde, poiché la discussione della causa nel giudizio d'appello ha una funzione meramente illustrativa delle posizioni già assunte e delle tesi già svolte nei precedenti atti difensivi e non è costitutiva delle difese scritte di cui all'art. 190 c.p.c., per configurare una lesione del diritto di difesa non basta affermare, genericamente, che la mancata discussione ha impedito al ricorrente di esporre meglio la propria linea difensiva, ma è necessario indicare quali siano gli specifici aspetti che la discussione avrebbe consentito di evidenziare o di approfondire, colmando lacune e integrando gli argomenti ed i rilievi già contenuti nei precedenti atti difensivi.
Cass. civ. n. 3248/2003
Nell'ipotesi in cui il giudice dell'impugnazione, interpretata la sentenza impugnata, rigetti il proposto gravame confermando la suddetta sentenza siccome interpretata, nell'individuazione del contenuto precettivo di tale sentenza (anche ai fini dell'efficacia preclusiva del relativo giudicato) non potrà prescindersi dalla portata ad essa attribuita dal giudice dell'impugnazione. (Nella specie la pronuncia di rigetto del giudice di primo grado è stata interpretata dal giudice d'appello come pronuncia di inammissibilità e come tale confermata. La S.C. ha rigettato il ricorso proposto avverso la sentenza d'appello in mancanza di specifica e valida impugnazione dell'interpretazione adottata dal giudice di appello, rilevando, tra l'altro, che non sussisteva un interesse del ricorrente ad evitare che si formasse il giudicato sulla sentenza di rigetto del primo giudice — confermata dal secondo — atteso che a tale sentenza, secondo l'interpretazione del giudice dell'impugnazione, doveva attribuirsi natura processuale).
Cass. civ. n. 5078/2001
In un processo a litisconsorzio necessario (nella specie, di opposizione di terzo all'esecuzione), nell'ipotesi in cui la sentenza di primo grado sia stata pronunciata nei confronti di tutte le parti, ma in contumacia di alcuna di esse, senza che il giudice di primo grado abbia deciso espressamente la questione pregiudiziale della validità della notifica dell'atto introduttivo alle parti non costituitesi, tale questione deve costituire oggetto di impugnazione, non rientrando nei poteri del giudice d'appello di rilevare d'ufficio che la notifica era nulla e pronunciare l'annullamento della sentenza.
Cass. civ. n. 10690/1999
Allorché l'atto d'appello si risolva nella reiterazione di argomentazioni già motivatamente disattese in primo grado, anche la semplice condivisione delle osservazioni del primo giudice da parte del giudice del gravame vale a soddisfare il requisito della motivazione di cui all'art. 132 n. 4 c.p.c.
Cass. civ. n. 9597/1998
Il giudice d'appello può dare al rapporto in contestazione una qualificazione giuridica diversa da quella data dal giudice di primo grado o prospettata dalle parti, avendo egli il potere dovere di inquadrare nell'esatta disciplina giuridica gli atti e i fatti che formano oggetto della controversia, anche in mancanza di una specifica impugnazione e indipendentemente dalle argomentazioni delle parti, purché nell'ambito delle questioni riproposte col gravame e col limite di lasciare inalterati il petitum e la causa petendi e di non introdurre nel tema controverso nuovi elementi di fatto. (Nel caso di specie la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza d'appello che aveva fondato la responsabilità sulla clausola generale dell'art. 2043 c.c., mentre in primo grado si era ritenuta sussistente una responsabilità per danno cagionato da cose in custodia a norma dell'art. 2051 c.c.
Cass. civ. n. 10933/1997
Il giudice ha l'obbligo di rilevare d'ufficio l'esistenza di una norma di legge idonea ad escludere, alla stregua delle circostanze di fatto già allegate ed acquisite agli atti di causa, il diritto vantato dalla parte, e ciò anche in grado di appello, senza che su tale obbligo possa esplicare rilievo la circostanza che in primo grado le questioni controverse abbiano investito altri e diversi profili di possibile infondatezza della pretesa in contestazione e che la statuizione conclusiva di detto grado si sia limitata solo a tali diversi profili, atteso che la disciplina legale inerente al fatto giuridico costitutivo del diritto è di per sé sottoposta al giudice di grado superiore, senza che vi ostino i limiti dell'effetto devolutivo dell'appello.