(massima n. 1)
Il riconoscimento ad un lavoratore subordinato della qualifica di dirigente a prescindere della corrispondenza della stessa alle mansioni effettivamente svolte e la successiva stipulazione con lo stesso di una clausola di durata minima del rapporto non possono ritenersi in contrasto con norme imperative (o con l'ordine pubblico o il buon costume) neanche se i relativi atti sono adottati da una società cooperativa che, trovandosi in difficoltà economiche, sia stata diffidata dall'organo di vigilanza a tenere una più oculata amministrazione e, in particolare a non procedere a nuove assunzioni, in quanto questa circostanza non limita l'autonomia della cooperativa stessa come soggetto privato e non incide, quindi, sulla volontà degli atti compiuti dai suoi organi. D'altra parte, la concreta situazione dell'impresa (e in particolare il collocamento in Cassa integrazione di gran parte del personale), può incidere sulla convenienza per la stessa del patto sulla stabilità del rapporto, e quindi sui motivi di tale patto ma non sulla sua causa, sempre riconducibile a quella del rapporto di lavoro subordinato (scambio tra retribuzione e prestazione di lavoro).