La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 40753 del 29 settembre 2016, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Trieste aveva confermato la sentenza di primo grado che aveva condannato un medico per il reato di “rifiuto di atti d’ufficio”, di cui all’art. 328 codice penale, per avere, in qualità di dirigente medico dipendente di un’azienda sanitaria, in servizio presso il Pronto Soccorso, con mansioni di medico di guardia, omesso di visitare una paziente in codice verde “che si era presentata presso il Pronto Soccorso lamentando un dolore al braccio sinistro in conseguenza di una caduta accidentale in bagno”.
Nel caso di specie, in particolare, il medico, “nonostante il reiterato invito fattogli dall’infermiera di sottoporre a visita la paziente per una probabile frattura alla spalla (…) non prestava le dovute cure ‘perché a quell’ora si era da poco messo a riposare’”.
Stando così le cose, la Corte d’appello procedeva alla condanna, evidenziando “come il delitto di cui all’art. 328 cod. pen. sia integrato anche se le condizioni di salute del paziente – per cui si è realizzato l’atto omissivo – non siano poi risultate gravi in concreto o che l’atto omesso non abbia provocato l’aggravamento di esse”, in quanto si tratta di un reato “la cui realizzazione lede, oltre all’interesse del privato danneggiato dall’omissione o dal ritardo dell’atto amministrativo dovuto, anche l’interesse pubblico al buon andamento ed alla trasparenza della pubblica amministrazione”.
Il medico, ritenendo la sentenza ingiusta, proponeva ricorso per Cassazione, in quanto la Corte d’appello avrebbe fondato il proprio giudizio di colpevolezza “sulla base di una ricostruzione solo parziale dei fatti” e il medico non avrebbe “omesso la visita della paziente”, ma ne avrebbe “soltanto disposto il differimento”.
Secondo il ricorrente, dunque, la condotta del ricorrente non aveva rilevanza penale, “non essendo rinvenibile alcuna norma che ponga in capo al medico l’obbligo giuridico (la cui violazione configuri l’ipotesi sanzionata come omissione d’atti d’ufficio) di visitare immediatamente, o in un tempo ridotto o nei rispetto di una tempistica predeterminata e correlata al caso concreto, il paziente che acceda al Pronto Soccorso con attribuzione del codice verde”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, rigettando il relativo ricorso.
Osservava la Cassazione, infatti, come “in tema di rifiuto di atti di ufficio, il carattere di urgenza dell’atto ricorre nel caso del medico in servizio di guardia che sia richiesto di prestare il proprio intervento da personale infermieristico e medico con insistenti sollecitazioni, non rilevando che il paziente non abbia corso alcun pericolo concreto per effetto della condotta omissiva”.
Di conseguenza, secondo la Cassazione, la Corte d’appello aveva dato corretta applicazione a tale principio, “non essendo revocabile in dubbio che la persona che si presenti al Pronto Soccorso, lamentando un disturbo, abbia il pieno diritto – cui corrisponde un correlativo dovere del sanitario di turno – ad essere sottoposto a visita medica, laddove l’assegnazione del codice di triage all’atto dell’accettazione vale soltanto a definire un ordine di visita fra più pazienti in attesa, ma non ad esentare il predetto sanitario dal dare corso alla visita del paziente la cui patologia sia valutata, ad un primo screening del personale paramedico, non grave”.
Pertanto, secondo la Cassazione, costituiva “preciso dovere del medico di turno presso il Pronto Soccorso (…) verificare senza indugi la gravità della situazione e formulare una prima diagnosi, così da scongiurare patologie di intensità tale da richiedere un intervento sanitario tempestivo e non dilazionabile al giorno successivo”.
Ciò considerato, la Corte riteneva che il fatto fosse stato correttamente qualificato ai sensi dell’art. 328 cod. pen., avendo il medico “rifiutato un atto sanitario, che aveva il dovere di porre in essere quale medico di turno del Pronto Soccorso, atto richiesto con insistenza dal personale infermieristico, in una situazione di oggettivo rischio per la paziente, in considerazione dell’età e dell’intensità del dolore da ella riferito”.
Alla luce di tali circostanze, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal medico, condannando il medesimo al pagamento delle spese di procedimento.