Il sistema delineato dal codice al verificarsi di un evento interruttivo prevede che, se il processo non è proseguito dalla parte colpita dall'evento, possono attivarsi le altre parti, ovviamente se hanno interesse alla continuazione del giudizio e ad evitarne l'estinzione, ripristinando dunque il contraddittorio nei confronti della parte rimasta inerte o del suo
successore universale.
La legittimazione attiva a porre in essere la
riassunzione del processo compete a tutte le parti diverse da quella colpita dall'evento, sebbene contumaci.
Legittimati passivi, invece, sono coloro che debbono costituirsi per proseguire il processo (così il secondo comma della norma in esame).
Pertanto, il destinatario della
notificazione sarà individuato caso per caso, dovendosi tuttavia tenere presente che, anche quando la parte colpita dall'evento si fosse in origine costituita per mezzo di un difensore, quest’ultimo comunque non potrebbe essere il destinatario della nuova notificazione, perché la sua dichiarazione dell'evento ne ha fatto cessare la relativa qualità.
Nel caso in cui la parte interessata dall’evento interruttivo sia rimasta contumace, verrà in sostanza chiamato in giudizio un soggetto diverso, nella persona del suo successore; quest’ultimo ha certamente il diritto di vedersi notificare l'atto di riassunzione per poi eventualmente scegliere se costituirsi o rimanere a sua volta contumace.
Un particolare problema che ci si è posti è stato quello di individuare innanzi a quale organo il processo debba essere riassunto quando l'interruzione abbia riguardato un giudizio di competenza collegiale, e più precisamente se l'istanza di riassunzione debba essere rivolta al
giudice istruttore, nonostante l'interruzione sia stata dichiarata dal collegio.
Infatti, nella norma in esame manca, a differenza che per la prosecuzione del giudizio ex
art. 302 del c.p.c., l'individuazione del giudice al quale l'istanza va rivolta, e se ciò non può creare alcun problema quando il processo interrotto pende innanzi ad un giudice monocratico (al quale l'istanza va proposta), lo stesso non può dirsi quando si tratti di un giudice collegiale.
Una soluzione potrebbe essere quella secondo cui la riassunzione debba essere comunque perfezionata innanzi al giudice istruttore, il quale avrà il compito di verificare la regolare costituzione delle parti, per poi immediatamente rimetterle innanzi al
collegio. In tal senso si argomenta dall’applicazione analogica dell'art. 302, che individua nel giudice istruttore (ed in carenza nel presidente del tribunale) l'organo cui va indirizzata l'istanza per la fissazione dell'udienza di prosecuzione del giudizio.
Altra soluzione è, invece, quella della riassunzione diretta innanzi al collegio, il quale sarebbe chiamato a svolgere compiti a sé tendenzialmente estranei, ossia la verifica della regolare
costituzione delle parti. Questa soluzione trova il proprio fondamento in ragioni di economia processuale, in quanto si eviterebbe una riassunzione dinanzi al giudice istruttore, necessariamente prodromica alla rimessione al collegio.
Secondo il combinato disposto degli artt. 110 e 111 c.p.c., venuta meno una delle parti originarie del processo, questo non può continuare che ad istanza o nei confronti di chi gli succede a titolo universale.
Il successore subentra anche se la
res litigiosa sia stata trasferita ad altri a titolo particolare.
Peraltro, non sempre è facile stabilire, in caso di morte della parte che abbia lasciato
testamento, quale sia la posizione dei singoli nominati in esso, e chi fra loro, in quanto successore universale, debba subentrare al
de cuius nel processo (chi debba prenderne la qualifica di parte).
Si afferma in giurisprudenza che il decesso di una delle parti nel corso del giudizio di primo grado comporta la necessità della prosecuzione del procedimento nei confronti di tutti gli eredi, litisconsorti necessari (per l'inscindibilità del rapporto processuale) tanto nel grado di giudizio non ancora esaurito quanto in quello di appello.
Pertanto, nel caso in cui il processo non sia stato riassunto nei confronti di tutti i litisconsorti necessari, il giudice deve ordinare l'integrazione del
contraddittorio.
Qualora, poi, sia mancata l'integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli eredi della parte defunta, nel termine perentorio assegnato dal giudice, questi deve pronunciare l'
estinzione del giudizio.
Il primo comma della norma in esame pone in capo alla parte che voglia riassumente il giudizio l’onere di chiedere la fissazione dell'udienza, dovendo richiedere che ricorso e decreto vengano notificati a coloro che debbono costituirsi per proseguirlo.
L'istanza di riassunzione va depositata presso la cancelleria del giudice precedentemente adito, il quale provvede sulla stessa con
decreto, con cui fissa l'udienza per la prosecuzione del processo ed il termine per la notificazione.
Problema particolarmente delicato è quello della puntuale identificazione delle attività da compiersi nell'ambito del termine per evitare l'estinzione del giudizio, in quanto dal tenore letterale della norma non risulta chiaro se nel termine dei tre mesi debba perfezionarsi la riassunzione o sia piuttosto sufficiente il deposito del ricorso presso la
cancelleria del giudice competente (a nulla rilevando che il decreto del giudice medesimo sia notificato alla controparte quando il termine sia ormai trascorso).
L'
art. 305 del c.p.c. in realtà non pretende che nel termine trimestrale sia anche notificato alla controparte il decreto di fissazione di udienza, in quanto si finirebbe col gravare la parte diligente anche di una attività che rientra nei compiti del giudice.
Ciò induce a leggere l'art. 305 nel senso di ritenere tempestiva la riassunzione che, nel termine trimestrale, si sia perfezionata col mero deposito dell'istanza.
Le ulteriori attività avranno l’effetto di perfezionare la riassunzione stessa e consentire l'effettiva prosecuzione del processo.
In ordine alla forma dell'atto di riassunzione, deve osservarsi quanto segue.
Gli artt. 299 e 300 c.p.c. prevedono che il processo interrotto e non proseguito ai sensi dell'art. 302, possa riprendere il suo corso per mezzo di un atto definito di
citazione in riassunzione.
L'
art. 125 delle disp. att. c.p.c., sotto l'ampia rubrica della “
riassunzione della causa”, dispone al primo comma che “
salvo che dalla legge sia disposto altrimenti, la riassunzione della causa è fatta con comparsa...”, mentre precisa al penultimo comma che “
se prima della riassunzione il giudice istruttore abbia tenuto l'udienza di prima comparizione, e la causa debba essere riassunta davanti allo stesso giudice, le parti debbono essere citate a comparire in una udienza d'istruzione. Se il giudice istruttore già designato non fa più parte del tribunale o della sezione, la parte che provvede alla riassunzione deve preliminarmente chiedere la sostituzione con ricorso al presidente del tribunale o della sezione”.
Dalla lettura di tale norma se ne desume che tre sono le forme espressamente previste dalla legge per la riassunzione del processo, il che comporta una non semplice opera dell'interprete volta ad individuare l'atto che in concreto necessita per la corretta riattivazione del processo e per scongiurare le sanzioni processuali che eventualmente conseguano alla scelta sbagliata.
Ebbene, si ritiene di poter accogliere la tesi secondo cui gli artt. 299, 300 e 301 operano quando il processo non è stato formalmente interrotto nonostante si sia verificato un evento potenzialmente idoneo a determinare tale effetto.
Quando, invece, il giudice di merito abbia formalmente dichiarato interrotto il processo, resta applicabile solamente il disposto dell'art. 303.
In concreto, le forme della citazione in riassunzione sono utili quando, non essendo stato già dichiarato interrotto il processo, l'evento interruttivo intervenga tra un'udienza e l'altra.
Quando, invece, il processo sia stato formalmente dichiarato interrotto, e, dunque, manchi una udienza utile a proseguire il giudizio con una citazione in riassunzione, la parte estranea all'evento dovrà azionare le forme dell'art. 303 e, dunque, provvedere con ricorso, utile a far fissare una nuova udienza dal giudice di merito. Il ricorso ed il pedissequo decreto saranno poi notificati all'altra parte.
Il legislatore fornisce poche indicazioni sul contenuto dell'atto di ricorso; ciò che è certo è che l'istanza deve esprimere la volontà di riattivare un procedimento quiescente.
Non è necessaria una nuova
procura alle liti, ma è sufficiente quella anteriormente conferita, trattandosi della prosecuzione della fase precedente, nell'ambito del medesimo grado di giudizio.
Ai sensi dell'art. 125, 3° co., disp. att., l'atto di riassunzione, col pedissequo decreto, è notificato a norma dell'
art. 170 del c.p.c., ed alle parti non costituite deve essere notificato personalmente.
Per la notifica "personale" non è necessario che l'atto sia consegnato a mani proprie della persona cui è diretto, ma è sufficiente che avvenga in uno dei luoghi indicati dagli artt. 139 e 140, ed anche presso il domiciliatario ai sensi del successivo
art. 141 del c.p.c..
L'atto di riassunzione del giudizio non notificato al suo destinatario ovvero ad altra persona a lui collegata, deve ritenersi inesistente e, quindi, insuscettibile di sanatoria, ma ciò non osta a che il processo interrotto venga ripreso con un successivo atto di impulso della parte che sia ancora in termini.
A norma del combinato disposto degli artt. 170 e 302, ultima parte, è valida la notificazione dell'atto di riassunzione del processo interrotto effettuata mediante consegna di una sola copia al procuratore, anche se costituito per più parti.
Il secondo comma della norma in esame prevede che, in caso di morte della parte, la notificazione del ricorso, entro un anno dall'evento, possa essere fatta collettivamente ed impersonalmente agli eredi, nell'ultimo domicilio del defunto.
La possibilità di notificare l'atto di riassunzione del processo interrotto per morte del convenuto attraverso la speciale forma di notificazione prevista dall'art. 303, 2° co. (collettivamente e impersonalmente agli eredi, nell'ultimo domicilio del defunto), sussiste sia nel caso in cui il convenuto fosse già costituito al momento del decesso, sia nell'ipotesi in cui egli non fosse costituito.
Per ultimo domicilio del defunto deve intendersi il suo domicilio reale e non quello eletto per il giudizio, il quale cessa con il perfezionamento dell'interruzione.
Decorso l'anno dalla morte della parte, il ricorso in riassunzione del processo interrotto per tale evento deve essere notificato non già collettivamente ed impersonalmente agli eredi nell'ultimo domicilio del defunto, bensì a ciascuno di essi singolarmente, nella sua veste di
litisconsorte necessario.
La forma di notificazione agevolata agli eredi della parte defunta, prevista dall'art. 303, 2° co., sulla base della presunzione della sussistenza di un rapporto di fatto con l'ultimo domicilio del defunto, non può infatti essere utilizzata oltre il periodo stabilito dalla legge, decorso il quale tale presunzione viene meno.
Il destinatario della notificazione dell'atto di riassunzione si deve costituire in giudizio, a pena di
contumacia (art. 303, 4° co.).
Il successore dovrà, a pena di sentirsi dichiarare contumace, “costituirsi a mezzo di procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, ... depositando in cancelleria il proprio fascicolo contenente la comparsa di cui all'
art. 167 del c.p.c.”.
Meno coerente è la previsione dell'art. 303, 4° co., quando pretende di applicarsi anche se l'evento interruttivo non ha condotto alla necessità di sostituire la parte colpita da tale evento (è questo il caso in cui l'interruzione si sia verificata per impedimento dell'avvocato, o, peggio, quando si sia trattato di integrare la capacità del soggetto.
In tali occasioni la rigida formula dell'art. 303, 4° co., va applicata con una certa elasticità, almeno idonea ad ammettere che la parte colpita dall'evento e che si sia vista notificare l'atto di riassunzione possa costituirsi nuovamente in giudizio senza che le sia a tal fine indispensabile anche il deposito della comparsa di risposta ex art. 167.
La costituzione deve avvenire innanzi all'organo giudiziale che ha dichiarato l'interruzione, ossia davanti al giudice istruttore precedentemente nominato se l'interruzione è avvenuta in fase istruttoria, oppure innanzi al collegio se è stato quest'ultimo a dichiarare l'interruzione.