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Articolo 1141 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Mutamento della detenzione in possesso

Dispositivo dell'art. 1141 Codice Civile

Si presume il possesso in colui che esercita il potere di fatto, quando non si prova che ha cominciato a esercitarlo semplicemente come detenzione.

Se alcuno ha cominciato ad avere la detenzione, non può acquistare il possesso finché il titolo non venga a essere mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il possessore. Ciò vale anche per i successori a titolo universale.

Ratio Legis

La detenzione si differenzia dal possesso per il diverso elemento soggettivo che la connota, rappresentato da un semplice animus detinendi e non da un animus rem sibi habendi. Se, però, alla persona fa semplicemente capo la detenzione della cosa, ciò può ugualmente consentire di mutare il proprio contegno psicologico verso la cosa medesima, esprimendo la volontà di possederla.
A questo scopo la disposizione impone un cambiamento del titolo che lega il possessore e chi detiene la cosa.
Esso può derivare dall'intervento di un terzo (es.: il trasferimento del diritto oggetto del possesso a diversa persona), o da un comportamento oppositivo di chi la detenga e inizi a comportarsi come possessore della stessa.
Se viene in essere tale mutamento, si parla di interversione nel possesso (interversio possessionis); a tale figura giuridica è anche riconducibile il passaggio dall'esercizio di un potere di fatto corrispondente ad un diritto reale meno ampio, all'esercizio di un potere di fatto corrispondente al diritto di proprietà.

Brocardi

Animus detinendi
Corpore possidere
Interversio possessionis
Nemo sibi ipse causam possessionis mutare potest
Possessio animo domini
Possessio animo retenta

Spiegazione dell'art. 1141 Codice Civile

Abolizione della presunzione di possesso a titolo di proprietà

Com'è noto, il primo comma dell'art. 687 del codice del 1865 fissava due presunzioni: a) che il possesso fosse esercitato in nome proprio; b) che esso fosse esercitato a titolo di proprietà. Di queste, la nuova legge ha mantenuto soltanto la prima, eliminando invece la presunzione secondo cui il possesso è a titolo di proprietà, e ciò giustamente, poiché, anche a prescindere dal rilievo che vi siano ipotesi in cui l'ammettere una tale presunzione sarebbe del tutto irrazionale (ad es. nei riguardi di chi esercita di fatto una servitù), non c’è ragione per favorire a tal punto il possessore, essendo logico, al contrario, che ad esso incomba l'onere di provare il titolo del suo possesso.


Portata della presunzione di possesso in nome proprio

La presunzione che il possesso sia in nome proprio, anziché in nome altrui, non dispensa naturalmente dal provare l'esercizio del potere di fatto: essa concerne soltanto la direzione dell'elemento intenzionale.


Interversio possessionis

Il capoverso dell'articolo ha riprodotto, migliorandone la forma e coordinandola con i principi vigenti in materia di interversio possessio-nis, la disposizione contenuta nel capoverso dell'art. 687.

Esso non parla più di presunzione che il possesso in nome altrui continui ad essere tale, ma con maggiore esattezza dichiara che il detentore non può acquistare il possesso se non abbia avuto luogo l’ interversione del titolo.

L'aver collocato fra le disposizioni generali sul possesso una tale dichiarazione è una cosa opportuna anche dal punto di vista sistematico, trattandosi di norma che trova applicazione a tutta la materia del possesso e che non c'era quindi ragione per enunciare soltanto con riferimento all'usucapione. Sarebbe stato però, dal lato formale, desiderabile un miglior coordinamento con l' art. 1164 del c.c., che ha riprodotto gli art. 1215-1216 del vecchio codice, sebbene ormai il principio da essi fissato potesse ricavarsi dall’ art. 1141, in ogni modo sarebbe stato opportuno che in entrambe le norme, cosi come nell'art. 1102 capov. che contiene una disposizione analoga, fosse usata la medesima espressione.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

534 In alcuni casi può sorgere dubbio se colui che esercita il potere di fatto abbia l'intenzione di esercitarlo per sè o per altri, se sia cioè possessore o detentore. L'art. 1141 del c.c., primo comma, pone al riguardo la presunzione di possesso, suscettiva di prova contraria. La norma diverge da quella che dettava l'art. 687, primo comma, del codice anteriore, il quale stabiliva la presunzione che ciascuno possedesse «per sè e a titolo di proprietà». Mi è sembrato irrazionale riprodurre quest'ultima presunzione, per cui verrebbe a invertirsi a favore del possessore l'onere della prova, mentre è logico che al possessore incomba l'onere di provare il titolo del suo possesso. Sulle orme del diritto romano è riaffermato nel secondo comma dell'art. 1141 il principio che il detentore non può trasformare la detenzione in possesso, finché il titolo per cui esercita sulla cosa il potere di fatto non venga a essere mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il possessore. Con tale disposizione, corrispondente nella sostanza all'art. 2116 del codice del 1865, si segnano i limiti in cui opera l'elemento subiettivo nel possesso.

Massime relative all'art. 1141 Codice Civile

Cass. civ. n. 29594/2021

In un contratto ad effetti obbligatori, la "traditio" del bene non configura la trasmissione del suo possesso ma l'insorgenza di una mera detenzione, sebbene qualificata, salvo che intervenga una "interversio possessionis", mediante la manifestazione esterna, diretta contro il proprietario/possessore, della volontà di esercizio del possesso "uti dominus", atteso che il possesso costituisce una situazione di fatto, non trasmissibile, di per sé, con atto negoziale separatamente dal trasferimento del diritto corrispondente al suo esercizio, sicché non opera la presunzione del possesso utile "ad usucapionem", previsto dall'art. 1141 c.c., quando la relazione con il bene derivi da un atto o da un fatto del proprietario non corrispondente al trasferimento del diritto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, ravvisando l'esistenza di un contratto di comodato, aveva escluso che l'utilizzo esclusivo del bene ed il compimento di atti di amministrazione, per la conservazione ed il miglioramento delle sue condizioni, integrasse un atto di interversione del possesso nei confronti del proprietario, e successivamente dei suoi eredi, idoneo al mutamento del titolo). (Rigetta, CORTE D'APPELLO PALERMO, 18/05/2016).

Cass. civ. n. 26521/2020

Qualora un contratto di enfiteusi stipulato in luogo di un precedente affitto agrario sia affetto da nullità, nondimeno può valere a fondare il possesso utile per l'usucapione del bene, ogni qualvolta il rapporto instauratosi da lì in avanti tra l'"accipiens" e la "res tradita" sia sorretto dall'"animus rem sibi habendi", ossia dalla riferibilità del potere di fatto esercitato sul fondo alla pretesa titolarità di un diritto reale, anziché ai diritti derivanti da un mero rapporto obbligatorio. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza d'appello, che aveva trascurato di valutare che il contratto di enfiteusi concluso fra le parti, ancorché invalido ed inidoneo a produrre effetti giuridici, era suscettibile di valere quale prova della mutata volontà del soggetto nella disponibilità del fondo di possederlo, non più come semplice affittuario, ma come enfiteuta). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 13/06/2018).

Cass. civ. n. 27411/2019

La presunzione di possesso utile "ad usucapionem", di cui all'art. 1141 c.c., non opera quando la relazione con il bene non consegua ad un atto volontario di apprensione, ma derivi da un iniziale atto o fatto del proprietario-possessore, come nell'ipotesi della mera convivenza nell'immobile con chi possiede il bene; in tal caso, la detenzione può mutare in possesso soltanto con un atto di interversione, consistente in una manifestazione esteriore, rivolta contro il possessore, affinché questi possa rendersi conto dell'avvenuto mutamento, da cui si desuma che il detentore abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui ed abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio. Tale accertamento realizza un'indagine di fatto, rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, purché risulti logica e congruamente motivata. (Rigetta, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 28/05/2015).

Cass. civ. n. 17376/2018

....; l'interversione nel possesso non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia possibile desumere che il detentore abbia iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa esclusivamente in nome proprio e non più in nome altrui, e detta manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell'avvenuto mutamento e della concreta opposizione al suo possesso.

Cass. civ. n. 12080/2018

Il comodato precario di un bene immobile costituisce detenzione, non quindi possesso "ad usucapionem", tanto in favore del comodatario quanto dei familiari con lo stesso conviventi, con la conseguenza che il comodatario che si oppone alla richiesta di risoluzione del comodato sostenendo di aver usucapito il bene non può limitarsi a provare il potere di fatto sull'immobile, ma deve dimostrare l'avvenuta interversione del possesso, cioè il compimento di attività materiali in opposizione al proprietario concedente. (Nella fattispecie, la S.C. ha confermato la decisione della corte territoriale che aveva negato l'avvenuto perfezionamento dell'usucapione in un caso nel quale una comodataria era subentrata "ex lege" al marito nel precedente rapporto di mezzadria e aveva detenuto il fondo assieme ai familiari conviventi con il tacito consenso dei proprietari, senza mai compiere atti in contrasto con il diritto di questi ultimi).

Cass. civ. n. 10289/2018

In tema di occupazione illegittima, premesso che la condotta illecita della P.A. incidente sul diritto di proprietà non può comportare, quale che ne sia la forma di manifestazione (occupazione usurpativa, acquisitiva o appropriativa, vie di fatto) l'acquisizione del fondo, nei casi in cui il potere di fatto sulla cosa sia esercitato inizialmente dalla P.A. come detenzione – in presenza di validi provvedimenti amministrativi (dichiarazione di p.u., decreto di occupazione d'urgenza, ecc.) –, occorre l'allegazione e la prova da parte della P.A. della trasformazione della detenzione in possesso utile "ad usucapionem", ex art. 1141, comma 2, c.c., cioè il compimento di idonee attività materiali di opposizione specificamente rivolte contro il proprietario-possessore, non essendo sufficienti né il prolungarsi della detenzione né il compimento di atti corrispondenti all'esercizio del possesso che di per sé denunciano unicamente un abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene. (Nella specie, la P.A. aveva invocato a fondamento dell'"animus possidendi" un titolo convenzionale ad effetti obbligatori come la promessa di donazione, cui peraltro non era seguita la formalizzazione della donazione, titolo cui poteva al più riconnettersi un effetto traslativo della detenzione che non autorizzava l'alterazione dello stato di fatto, con conseguente insussistenza del possesso utile ai fini dell'usucapione).

Cass. civ. n. 16412/2017

L'invalidità, per difetto dei prescritti requisiti di forma, dell'atto o del negozio in virtù del quale è stato consegnato un bene non vale ad escludere la rilevanza di detto atto quale prova di una detenzione qualificata del bene medesimo, perciò inidonea all'acquisto della relativa proprietà per usucapione, salva la dimostrazione del suo mutamento in possesso, ex art. 1141, comma 2, c.c.. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, qualificato quale mero detentore il concessionario, in virtù di un accordo tacito - per fatti concludenti ed in assenza di una convenzionale formale - di un bene comunale, aveva rigettato la domanda di usucapione relativa a tale bene, in assenza di prova dell'avvenuta interversione del possesso).

Cass. civ. n. 8213/2016

La mera mancata riconsegna del bene al comodante, nonostante le reiterate richieste di questi, a seguito di estinzione del comodato è inidonea a determinare l'interversione della detenzione in possesso, traducendosi nell'inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita, suscettibile, in sé, di integrare un'ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale all'obbligo restitutorio gravante per legge sul comodatario.

Cass. civ. n. 7821/2015

Non costituisce atto di interversione della detenzione in possesso, ai sensi dell'art. 1141, secondo comma, cod. civ., la destinazione di un immobile da parte del detentore ad esercizio di culto, trattandosi di attività compatibile con l'appartenenza del bene a privati che, come previsto dall'art. 831, secondo comma, cod. civ., non manifesta in modo inequivocabile e riconoscibile dall'avente diritto pretese dominicali sul bene trascendenti i limiti della detenzione ed incompatibili con il possesso del titolare della cosa.

Cass. civ. n. 21690/2014

La presunzione di possesso utile "ad usucapionem", di cui all'art. 1141 cod. civ., non opera quando la relazione con il bene derivi non da un atto materiale di apprensione della "res", ma da un atto o da un fatto del proprietario a beneficio del detentore, nella specie un contratto di comodato, poiché in tal caso l'attività del soggetto che dispone della cosa non corrisponde all'esercizio di un diritto reale, non essendo svolta in opposizione al proprietario. Ne consegue che la detenzione di un bene immobile a titolo di comodato precario può mutare in possesso solamente all'esito di un atto d'interversione idoneo a provare con il compimento di idonee attività materiali il possesso utile "ad usucapionem" in opposizione al proprietario concedente.

Cass. civ. n. 8115/2014

L'apposizione di un lucchetto che impedisce l'accesso all'immobile non è idonea all'interversione del possesso, essendo un fatto compatibile con la tutela della detenzione, che non muta il titolo contro il possessore, se a lui non opposto per escluderne il possesso "solo animo".

Cass. civ. n. 27584/2013

Ai fini dell'interversione del possesso, di cui all'art. 1141, secondo comma, c.c., l'edificazione di un fabbricato sul terreno ricevuto in detenzione, espressamente autorizzata dal proprietario del suolo, non costituisce un'attività posta in essere "contro" il possessore, e non può, conseguentemente, essere invocata dal detentore quale atto di "opposizione" idoneo a mutare il titolo del rapporto con la cosa.

Cass. civ. n. 26984/2013

Quando è dimostrato il potere di fatto, pubblico e indisturbato, esercitato sulla cosa per il tempo necessario ad usucapirla, ne deriva, a norma dell'art. 1141, primo comma, cod. civ., la presunzione che esso integri il possesso; per conseguenza, incombe alla parte, che invece correla detto potere alla detenzione, provare il suo assunto, in mancanza dovendosi ritenere l'esistenza della prova della "possessio ad usucapionem". (Nella specie, in applicazione del principio affermato, la S.C. ha riconosciuto nella coltivazione di un terreno, con messa a dimora di piante, l'esercizio di un potere di fatto sulla cosa corrispondente a quello del proprietario, ponendo perciò a carico del convenuto l'onere di dimostrare la mera detenzione).

Cass. civ. n. 15877/2013

Poiché il comodatario, quale detentore della cosa comodata, non può acquistare il possesso "ad usucapionem" senza prima avere mutato, mediante una "interversio possessionis", la sua detenzione in possesso, deve ritenersi che l'intenzione, manifestata da chi eserciti un potere di fatto su di un bene, di stipulare per iscritto un contratto di comodato con il proprietario del bene stesso sia incompatibile con la sussistenza del possesso utile ai fini dell'usucapione, in quanto contiene, ad un tempo, l'esplicito riconoscimento del diritto altrui e l'esclusione dell'intenzione di possedere per conto e in nome proprio.

Cass. civ. n. 5037/2013

L'art. 1141, secondo comma, c.c., nello stabilire che il detentore può acquistare il possesso mediante un atto di opposizione da lui compiuto contro il possessore, si riferisce al detentore in senso proprio o qualificato, giacché l'opposizione al possessore, quale tecnica d'interversione del possesso, presuppone una detenzione originaria fondata su un titolo derivante dallo stesso possessore. Pertanto, nel caso di chi non detenga il bene o non ne sia detentore qualificato, il riconoscimento del diritto di proprietà alieno, che egli manifesti attraverso una richiesta, rivolta al proprietario e rimasta senza esito, di ottenere la concessione del bene in godimento, segna il momento fino al quale è senz'altro da escludere l'"animus possidendi", ma non toglie che successivamente lo stesso soggetto possa impossessarsi della "res" attraverso atti di apprensione che, per l'assenza di una pregressa detenzione derivata dal possessore, determinano la presunzione di possesso di cui al primo comma dell'art. 1141 c.c.

Cass. civ. n. 14593/2011

La presunzione del possesso in colui che esercita un potere di fatto, a norma dell'art. 1141 c.c., non opera quando la relazione con il bene non consegua ad un atto volontario d'apprensione, ma derivi da un iniziale atto o fatto del proprietario-possessore. In tal caso, per la trasformazione della detenzione in possesso occorre un mutamento del titolo che non può aver luogo mediante un mero atto di volizione interna, ma deve risultare dal compimento di idonee attività materiali di specifica opposizione al proprietario-possessore, quale, ad esempio, l'arbitrario rifiuto della restituzione del bene; non sono, pertanto, sufficienti atti corrispondenti all'esercizio del possesso, che di per sé denunciano unicamente un abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene.

Cass. civ. n. 5419/2011

L'art. 1141 del c.c. non consente al detentore di trasformarsi in possessore mediante una sua interna determinazione di volontà, ma richiede, per il mutamento del titolo, o l'intervento di "una causa proveniente da un terzo", per tale dovendosi intendere qualsiasi atto di trasferimento del diritto idoneo a legittimare il possesso, indipendentemente dalla perfezione, validità, efficacia dell'atto medesimo, compresa l'ipotesi di acquisto da parte del titolare solo apparente, oppure l'opposizione del detentore contro il possessore, opposizione che può aver luogo sia giudizialmente che extragiudizialmente e che consiste nel rendere noto al possessore, in termini inequivoci e contestando il di lui diritto, l'intenzione di tenere la cosa come propria. Lo stabilire se, in conseguenza di un atto negoziale, ancorché invalido, al detentore di un immobile sia stato da un terzo trasferito il possesso del bene, costituisce un'indagine di fatto, riservata al giudice di merito, i cui apprezzamenti e valutazioni sono sindacabili in sede di legittimità soltanto per illogicità o inadeguatezza della motivazione.

Cass. civ. n. 21252/2007

Ai fini del mutamento della detenzione in possesso, chi abbia iniziato il godimento del bene a titolo di detenzione non può acquistarne il possesso finché il titolo non venga mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta nei confronti del possessore; quest'ultimo mutamento richiede, in particolare, il compimento di uno o più atti estrinseci, dai quali sia possibile desumere la modificata relazione di fatto con la cosa detenuta, attraverso la negazione dell'altrui possesso e l'affermazione del proprio. (Nella fattispecie, la Corte ha negato il riconoscimento dell'acquisto della proprietà di un immobile al concessionario in uso gratuito dello stesso per aver fruito del bene con modalità compatibili con il titolo detentivo).

Cass. civ. n. 9090/2007

Ai fini del mutamento della detenzione in possesso, l'opposizione del detentore nei confronti del possessore, richiesta dal secondo comma dell'art. 1141 c.c., non è necessaria qualora il mutamento del titolo scaturisca da un atto dello stesso possessore a beneficio del detentore. (Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto che il mutamento della detenzione in possesso si era verificato per avere il proprietario, sia pure con atto nullo per difetto di forma, donato il bene al conduttore e questi accettato, considerando tale momento utile ai fini del decorso del termine per l'usucapione).

Cass. civ. n. 26228/2006

Il fatto «proveniente dal terzo» che, ai sensi dell'art. 1141, secondo comma, c.c., può costituire causa idonea ad operare il mutamento della detenzione in possesso non può consistere in un mero comportamento materiale, ma deve consistere in un atto che, indipendentemente dalla sua validità ed efficacia, sia diretto a trasferire al detentore il diritto corrispondente al possesso da questi vantato. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza della Corte di appello che aveva accolto la domanda di usucapione di un fabbricato adibito in passato a stazione ferroviaria ritenendo che il detentore, che in precedenza lo occupava per ragioni di servizio, ne avesse acquisito il possesso in forza dell'atto con cui l'ente gestore della ferrovia aveva dismesso la linea, senza richiedere il rilascio dell'abitazione).

Cass. civ. n. 12968/2006

La interversione della detenzione in possesso può avvenire anche attraverso il compimento di attività materiali, se esse manifestano in modo inequivocabile e riconoscibile dall'avente diritto l'intenzione del detentore di esercitare il potere sulla cosa esclusivamente nomine proprio, vantando per sé il diritto corrispondente al possesso in contrapposizione con quello del titolare della cosa.

Cass. civ. n. 5551/2005

La presunzione di possesso utile ad usucapionem di cui all'art. 1141 c.c. non opera quando la relazione con la cosa consegua non ad un atto volontario d'apprensione, ma ad un atto o ad un fatto del proprietario possessore, poiché l'attività del soggetto che dispone della cosa (configurabile come semplice detenzione o precario) non corrisponde all'esercizio di un diritto reale, non essendo svolta in opposizione al proprietario. In tal caso la detenzione non qualificata di un bene immobile può mutare in possesso solamente all'esito di un atto d'interversione idoneo ad escludere che il persistente godimento sia fondato sul consenso, sia pure implicito, del proprietario concedente. (Principio affermato con riferimento a domanda d'accertamento d'acquisto per usucapione d'immobile goduto in comodato precario per ragioni di servizio e non restituito al proprietario dopo la cessazione dell'attività oggetto del rapporto lavorativo, dalla Corte Cass. osservandosi che nel caso il mutamento dell'originaria detenzione in possesso non poteva con certezza ed in modo inequivoco desumersi, come viceversa sostenuto dal ricorrente, meramente dalla mancata restituzione delle chiavi, dal ricovero dato nell'immobile — peraltro solamente in alcuni locali — ad animali per un tempo limitato, dal tenere in loco un cane «alla corda»).

Cass. civ. n. 18360/2004

L'attività svolta su una cosa per tolleranza di chi ha la facoltà di impedirla non costituisce, ai sensi dell'art. 1144 c.c., una situazione possessoria, sicché colui che la esercita non può giovarsi della presunzione di possesso utile ad usucapionem di cui all'art. 1141, comma primo, c.c., che non opera quando la relazione con la cosa non consegua ad un atto volontario di apprensione, potendo il detentore non qualificato (per mancanza di titolo alla detenzione) divenire possessore soltanto qualora ponga in essere un atto di interversione della detenzione in possesso ai sensi dell'art. 1141, secondo comma, c.c.

Cass. civ. n. 12232/2002

La presunzione di possesso è ricollegata dall'art. 1141 c.c. ad un potere di fatto sulla cosa che si manifesta in attività corrispondenti all'esercizio della proprietà (o di altro diritto reale); tuttavia tale presunzione non opera in favore di chi si trovi con la cosa in una relazione materiale che si svolge in nome del possessore e per sua volontà. Ne consegue che in tali casi il soggetto che, assumendo di essere possessore, voglia tutelare in giudizio tale situazione, deve allegare e provare atti idonei ad integrare una interversione del possesso, a dimostrazione dell'avvenuto mutamento dell'originario animus detinendi in animus possidendi.

Cass. civ. n. 7337/2002

L'interversione nel possesso non può aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia consentito desumere che il detentore abbia cessato d'esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui e abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio, con correlata sostituzione al precedente animus detinendi dell'animus rem sibi habendi; tale manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell'avvenuto mutamento e quindi tradursi in atti ai quali possa riconoscersi il carattere di una concreta opposizione all'esercizio del possesso da parte sua. A tal fine sono inidonei atti che si traducano nell'inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita (verificandosi in questo caso una ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale) ovvero si traducano in meri atti di esercizio del possesso (verificandosi in tal caso una ipotesi di abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene).

Cass. civ. n. 13104/2000

Non costituisce titolo idoneo a mutare la detenzione in possesso, e pertanto non può configurare la «causa proveniente dal terzo», contemplata dall'art. 1141 c.c., una comunicazione della P.A. al soggetto detentore concernente il condono edilizio, perché tale atto non è neppure astrattamente idoneo a trasferire un diritto sul bene che legittimi l'interversio possessionis sul medesimo.

Cass. civ. n. 11286/1998

Dimostrato il potere di fatto, pubblico ed indisturbato, esercitato sulla cosa per il tempo necessario ad usucapirla, ne deriva, a norma del comma primo dell'art. 1141 c.c., la presunzione che esso integri il possesso ed incombe alla parte che invece lo correla alla detenzione provare il suo assunto, in mancanza dovendosi ritenere l'esistenza della prova della possessio ad usucapionem.

Cass. civ. n. 4698/1987

Il possesso, secondo la dizione testuale dell'art. 1141 del codice civile, si presume in chi esercita il potere di fatto sulla cosa, sia cioè in relazione di contiguità fisica con la stessa sicché detta presunzione opera a vantaggio di chi è in relazione diretta ed immediata con la res ovvero con l'esercizio di un diritto reale diverso dalla proprietà, ma non anche di chi è in rapporto mediato con il bene ovvero non esercita direttamente il diritto reale su cosa altrui, dovendosi, in tal caso, accertare di volta in volta se effettivamente sussista l'elemento dell'animus possidendi e gravando il relativo onere probatorio sulla parte che invoca il possesso per fruirne gli effetti.

Cass. civ. n. 3721/1985

La prova contraria alla presunzione iuris tantum stabilita dal primo comma dell'art. 1141 c.c. — che presume il possesso di colui che esercita il potere di fatto, ove non si provi che l'esercizio di questo sia cominciato come mera detenzione — può essere costituita anche da presunzioni semplici e persino da una sola presunzione, purché grave e precisa; né, in materia di prova per presunzioni semplici, occorre che la relazione tra fatto noto e fatto ignoto da provare abbia il carattere dell'assoluta necessità, essendo invece sufficiente quello della prevalente probabilità alla stregua della comune esperienza (id quod plerunque accidit). (Nella specie, l'impugnata sentenza — confermata dalla S.C..— aveva valorizzato, ai fini della prova di cui al primo comma dell'art. 1141 c.c., la circostanza che il soggetto si fosse curato della denuncia di successione e del pagamento delle relative imposte per incarico e nell'interesse degli eredi proprietari del fondo da lui occupato).

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Anonimo chiede
domenica 18/04/2021 - Toscana
“Quesito su enfiteusi.
Buonasera Avvocati,
Abbiamo una causa in corso per sfratto su un immobile (ex canonica).
Nel 1991 quando siamo entrati nell'immobile, lo stesso era in condizioni di assoluto degrado (mancanza di bagno, impianto elettrico, fosse biologiche, ecc.). Dal 1999 con un contratto di locazione paghiamo regolarmente un affitto e ci siamo occupati della manutenzione ordinaria e straordinaria. Abbiamo quindi migliorato (restaurato) l'immobile con ingenti costi, essendosi il proprietario sempre disinteressato di qualsiasi intervento di manutenzione. Approfondendo da "non esperti" la situazione, abbiamo appreso del diritto di enfiteusi e quindi la nostra domanda è: abbiamo acquisito tale diritto? Vorrei allegare delle informazioni reperite su internet e avere conferma della loro validità e consistenza giuridica.
Grazie”
Consulenza legale i 28/04/2021
L’enfiteusi, disciplinata dagli artt. 957 e ss. del codice civile, è un diritto reale su cosa altrui, che si caratterizza essenzialmente per il fatto che, a fronte del godimento del fondo (in proposito, l’art. 959 c.c. attribuisce all'enfiteuta ha gli stessi diritti che avrebbe il proprietario sui frutti del fondo, sul tesoro e relativamente alle utilizzazioni del sottosuolo), l’enfiteuta ha l'obbligo di migliorare il fondo e di pagare al concedente un canone periodico (art. 960 c.c.).
Come previsto dall’art. 1350, n. 2 c.c., la costituzione del diritto di enfiteusi deve farsi in forma scritta, a pena di nullità, ed è soggetta a trascrizione ai sensi del n. 2 dell’art. 2643 c.c.
Nel nostro caso, il godimento dell’immobile, iniziato da tempo risalente (non è chiaro a quale titolo), è stato formalizzato come contratto di locazione ad uso abitativo, nel quale peraltro - conformemente a quanto avviene in questo tipo di contratti - non è previsto alcun obbligo di migliorare l’immobile; anzi, si vieta espressamente al conduttore di effettuare lavori di qualsiasi tipo senza la preventiva autorizzazione scritta del locatore.
Naturalmente, il diritto dell’enfiteuta, così come gli altri diritti reali, può essere acquistato per usucapione, ovvero per effetto del possesso sulla cosa, esercitato per il periodo di tempo prescritto dalla legge (che nel caso dei beni immobili è di venti anni, ex art. 1158 c.c.).
Al riguardo, occorre fare chiarezza su cosa si intenda per possesso e quale sia la differenza con la semplice detenzione della cosa: questo perché, se per usucapire un diritto reale è necessario il possesso, nella locazione il conduttore non ha il possesso, bensì la detenzione del bene.
Ora, per possesso, ai sensi dell’art. 1140 c.c., si intende il potere sulla cosa, che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Il possesso, dunque, si compone di due elementi: un elemento oggettivo (c.d. corpus possessionis), costituito appunto dal potere di fatto sulla cosa, e un elemento soggettivo (c.d. animus possidendi), ovvero l’intenzione di tenere la cosa come propria mediante l'attività corrispondente all'esercizio della proprietà, o di altro diritto reale.
Proprio l’animus distingue il possesso (utile ai fini dell’usucapione) dalla detenzione, che è appunto una relazione con la cosa, in cui manca l’intento di comportarsi come proprietario, o come titolare di altro diritto reale.
Alla luce di quanto sin qui esposto, può il conduttore, che detiene - non possiede - la cosa in forza di un contratto di locazione, usucapire la proprietà o altro diritto reale sulla cosa stessa?
La risposta è contenuta nell’art. 1141 c.c., che disciplina la c.d. interversione del titolo del possesso: ai sensi del secondo comma della norma, se qualcuno ha cominciato ad avere la detenzione, non può acquistare il possesso finché il titolo non venga a essere mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il possessore.
Tale principio è stato illustrato e ribadito anche recentemente da Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 5333/2016: “secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v'è ragione di discostarsi, l'art. 1141 c.c. non consente al detentore di trasformarsi in possessore mediante una sua interna determinazione di volontà, ma richiede, per il mutamento del titolo, o l'intervento di "una causa proveniente da un terzo", per tale dovendosi intendere qualsiasi atto di trasferimento del diritto idoneo a legittimare il possesso, indipendentemente dalla perfezione, validità, efficacia dell'atto medesimo (compresa l'ipotesi di acquisto da parte del titolare solo apparente), oppure l'opposizione del detentore contro il possessore, opposizione che può aver luogo sia giudizialmente che extragiudizialmente e che consiste nel rendere noto al possessore, in termini inequivoci e contestando il di lui diritto, l'intenzione di tenere la cosa come propria [...]. Questa Corte ha peraltro precisato che l'interversione nel possesso non può aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia consentito desumere che il detentore abbia cessato d'esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui e abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio, con correlata sostituzione al precedente "animus detinendi" dell'animus rem sibi habendi"; tale manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell'avvenuto mutamento, e quindi tradursi in atti ai quali possa riconoscersi il carattere di una concreta opposizione all'esercizio del possesso da parte sua. A tal fine sono inidonei atti che si traducano nell'inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita (verificandosi in questo caso una ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale) ovvero si traducano in meri atti di esercizio del possesso (verificandosi in tal caso una ipotesi di abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene)”.
Nel nostro caso, pertanto, appare difficile sostenere la tesi di un acquisto per usucapione del diritto dell'enfiteuta.