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Articolo 741 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Collazione di assegnazioni varie

Dispositivo dell'art. 741 Codice Civile

È soggetto a collazione ciò che il defunto ha speso a favore dei suoi discendenti per assegnazioni fatte a causa di matrimonio(1), per avviarli all'esercizio di una attività produttiva o professionale(2), per soddisfare premi relativi a contratti di assicurazione sulla vita(3) [1919, 1923 c.c.] a loro favore o per pagare i loro debiti.

Note

(1) Sono tali quelle che eccedono notevolmente la misura ordinaria, anche in considerazione delle condizioni economiche del donante. Tali spese sono soggette a collazione in base al loro valore nominale, oltre agli interessi di legge dall'apertura della successione.
(2) Deve trattarsi di spese, diverse da quelle di educazione e mantenimento, che eccedono notevolmente la misura ordinaria, anche in considerazione delle condizioni economiche del donante.
(3) Tali donazioni sono considerate indirette ed assumono la forma del contratto a favore di terzo.
Se il defunto mette a disposizione delle somme affinchè l'erede paghi il premio assicurativo la donazione è, invece, diretta.
Tale previsione si ritiene estendibile per via analogica al coniuge.

Ratio Legis

La collazione opera anche in relazione alle donazioni effettuate dal donante per far fronte ad esigenze particolari del donatario, in quanto queste sembrano costituire un'anticipazione di eredità.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 741 Codice Civile

C. Conti n. 29583/2021

L'obbligo di collazione previsto dall'art. 741 c.c. relativamente a ciò che il defunto ha speso a favore dei suoi discendenti, per soddisfare, tra l'altro, premi relativi a contratti sulla vita a loro favore, riguarda tanto l'ipotesi dell'assicurazione stipulata dal discendente sulla propria vita, "sub specie" di pagamento del debito altrui, quanto quella di assicurazione sulla vita del discendente (o del "de cuius"), che rientra nello schema della donazione indiretta, quale contratto a favore di terzo. Peraltro, giacché il capitale assicurato può rivelarsi, di fatto, inferiore ai premi - che costituiscono, in linea di principio, l'oggetto del conferimento ex art. 2923, comma 2, c.c. - l'obbligo di collazione va precisato nel senso che, indipendentemente dalla natura cd. tradizionale o finanziaria della polizza, il conseguente conferimento riguarda la minore somma tra l'ammontare dei premi pagati ed il capitale, non potendo la collazione avere ad oggetto che il vantaggio conseguito dal beneficiario (o dai suoi discendenti), sul quale grava l'onere della relativa prova.

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Consulenze legali
relative all'articolo 741 Codice Civile

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B. B. chiede
lunedì 11/11/2024
“Buonasera, vorrei capire meglio in cosa consistono "le assegnazioni fatte per il matrimonio", che sono soggette a collazione.
Potrebbe farmi degli esempi? Mio padre ha consegnato un appartamento a mio fratello x andarci ad abitare (quindi ci ha preso la residenza) con la moglie al momento del loro matrimonio, poi la donazione di quel appartamento dal notaio gliela ha fatta anni dopo. La donazione dell'appartamento rientra nella riunione fittizia, MA gli affitti dalla consegna del appartamento x il matrimonio, fino alla data della donazione dal notaio, sono soggetti a collazione?”
Consulenza legale i 17/11/2024
La norma nella quale si fa menzione delle “assegnazioni fatte a causa di matrimonio”, assoggettandole a collazione, è l’art. 741 c.c., il quale elenca in modo non tassativo una serie di spese.
Si tratta, in linea generale, delle c.d. donazioni di sistemazione, siano esse dirette o indirette (a seconda che il denaro sia versato o meno direttamente al discendente), le quali costituiscono liberalità, con conseguente obbligo di collazione, allorchè eccedano il normale obbligo di mantenere ed istruire la prole.

Per meglio delineare la portata di tale norma occorre coordinare la stessa con il successivo art. 742 del c.c., il quale, al contrario, si preoccupa di precisare quali spese vanno in ogni caso escluse da collazione.
Così, argomentando da questa seconda norma, la giurisprudenza ha qualificato come non sono soggette a collazione le spese per il mantenimento del figlio che versi in stato di bisogno così come le attribuzioni o elargizioni patrimoniali effettuate senza alcun corrispettivo in favore di persona convivente, ove non sia accertato che le stesse siano state poste in essere per spirito di liberalità (ovvero con la consapevolezza di arricchire il beneficiario), ma in adempimento delle obbligazioni nascenti dalla coabitazione o dal legame parentale (in tal senso si è di recente espressa Cass. civ. Sez. II con ordinanza n. 18814 del 04.07.2023).

Ebbene, trattandosi di definizione abbastanza generica, in genere è il giudice che, nell’esercizio del suo potere discrezionale, deve valutare la natura del rapporto sottostante le attribuzioni, onde accertare se la causa di esse debba ritenersi meramente gratuita ovvero se le stesse costituiscano mero adempimento degli obblighi nascenti dal particolare rapporto familiare sussistente tra le parti.
Per quanto concerne il particolare tipo di attribuzione a cui ci si intende riferire nel caso di specie, ovvero la messa a disposizione del figlio e del di lui coniuge di un immobile di proprietà del padre, onde poter valutare se questa debba farsi rientrare o meno tra quelle assegnazioni soggette a collazione di cui all’art. 741 c.c. occorre preliminarmente dare una esatta qualificazione giuridica al rapporto che si è venuto ad instaurare tra le parti (padre e figlio), rapporto che si ritiene sia da ricondurre a tutti gli effetti ad un contratto di comodato.

In diverse occasioni la giurisprudenza è stata chiamata a pronunciarsi proprio su situazioni di questo tipo, ovvero di utilizzo gratuito di un immobile da parte di uno soltanto dei futuri eredi e di possibile rilevanza del comodato in sede successoria, giungendo alla conclusione che il godimento di un immobile a titolo gratuito debba inquadrarsi esclusivamente nella figura contrattuale del comodato, il quale si caratterizza per la predeterminazione della durata del contratto e per l’obbligo di restituzione dell’immobile, aspetti questi che non ricorrono nel contratto di donazione.

Costituisce, infatti, orientamento consolidato della Suprema Corte di Cassazione quello secondo cui l’arricchimento derivante dalla donazione non può essere identificato con il vantaggio che il comodatario trae dall’uso personale e gratuito della cosa comodata, non costituendo questo il risultato finale dell’atto posto in essere dalle parti, come nel caso della donazione, ma il contenuto tipico del contratto stesso (cfr. Cass. 23.11.2006 n. 24866; Cass. 09.08.2016 n. 16803; Cass. 16.11.2017 n. 27259 e, da ultimo, Cass. civ. Sez. II, ord. 12.04.2019 n. 10349).
Da tale diversità se ne fa discendere l’insussistenza nel contratto di comodato del c.d. animus donandi, requisito essenziale di ogni donazione, sia essa diretta che indiretta.

Non può negarsi che accanto a questa, che costituisce la tesi tradizionale e più diffusa, si è sviluppata un’altra corrente di pensiero secondo cui il comodato costituirebbe una liberalità indiretta, criticando la tesi che ricollega l’impoverimento di un soggetto (il donante) soltanto al dare e non anche al fare (cfr. nella giurisprudenza di merito App. Milano 17.12.2004, mentre in dottrina Gianola e Fusaro).
Si è fatto osservare che il bene immobile oggetto di comodato potrebbe essere utilizzato in maniera diversa dal comodante e che privarsi del godimento del bene determina già un lucro cessante.

In considerazione di ciò, si è giunti alla conclusione che un elemento che permette con molta probabilità di distinguere nel caso concreto se trattasi di semplice comodato a titolo di cortesia o di liberalità indiretta è proprio la durata del contratto (che per essere donativo deve essere stato posto in essere per un tempo considerevole) e che, ricorrendo l’ipotesi della liberalità non donativa mediante comodato, oggetto della stessa deve proprio considerarsi la somma di denaro, riferita al momento dell’apertura della successione, e corrispondente all’insieme dei canoni che il comodante avrebbe percepito ove avesse locato il bene per quel periodo, secondo il rispettivo valore di mercato.

Ora, a prescindere dal fatto che trattasi di una tesi che, almeno per il momento, non sembra trovare l’appoggio della prevalente giurisprudenza di legittimità (il che induce a sconsigliare di avventurarsi in un giudizio volto a pretendere la collazione di quelle somme pari ai canoni di locazione non percepiti dal padre), nel caso in esame la precarietà di quel rapporto di comodato (in assenza della quale si potrebbe pensare all’intenzione di mascherare una donazione indiretta) risulta confermata dalla circostanza, abbastanza palese, che l’immobile che ne costituiva l’oggetto è stato dopo qualche anno donato dal padre allo stesso comodatario.


F. F. chiede
lunedì 18/09/2023
“Il codice di riferimento della consulenza è Q202334456

Ricorro ancora al vostro parere per fugare ogni dubbio.
Il quadro di riferimento.
- Primo matrimonio -1966. Due figli Geraldina, nata nel 1967 e Federico nel 1970.
- Secondo matrimonio – 2005. Comunione dei beni. Un figlio, Lorenzo, nato nel 2001.
- Pensionamento 01.01.2006. Liquidazione: Tfr e risarcimento € 300.000,00 Tribunale di Siena dicembre 2005 per danni morali. Importo complessivo di € 550.000,00 circa, utilizzati per la stipula della polizza Bussola - € 150.000 -, contraente e assicurata la moglie, il resto per alcuni investimenti intestati al marito e le somme rimanenti versati nel conto corrente cointestato.
- I successivi versamenti dei premi, che hanno portano a € 325.000,00 circa il valore della Bussola, sono stati effettuati, per non subire ulteriori danni, dopo le crisi del 2008 e 2012, con somme risparmiate in precedenza o percepite dal marito, prima con lo stipendio e poi la pensione.
- Nella sua comparsa di costituzione all’interno della causa di separazione giudiziaria in corso, la moglie scrive: "le somme accantonate con la Bussola in effetti sono destinate all'istruzione del figlio Lorenzo, che in conformità a quanto disposto dall'art. 186, comma 1 lett. C, le ha utilizzate per pagare le spese degli studi universitari come da prospetto che si allega. In buona sostanza le somme depositate nella Bussola, ricadenti nella comunione, sono state utilizzate per finanziare l'istruzione del figlio"

Le domande
- In base a quanto dichiarato negli atti depositati, cioè “ricadenti nella comunione” e “utilizzate per finanziare l’istruzione del figlio” si può sostenere che la Bussola non ha carattere previdenziale, visto che per quattro anni, 2020, 2021, 2022 e 2023 è stata utilizzata per gli studi del figlio e per le esigenze della famiglia?

Leggo nel vostro parere: “Qualunque pretesa sulle somme così investite potrà al più essere fatta valere in sede successoria, considerato che i premi pagati per la stipula della polizza assicurativa configurano una donazione e, pertanto, potranno essere assoggettati a collazione.”

-Si tratta della “sede successoria” relativa alla mia morte?
-Se la risposta è affermativa, chi dovrà collazionare alla massa ereditaria, la moglie o il figlio? Ed ove dovesse essere il figlio, solo per l'importo della stipula (Euro 150.000,00) o per il maggior importo di Euro 320.000,00, quale donazione indiretta avuta dalla madre previa intestazione della polizza?
Grazie
Un cordiale saluto”
Consulenza legale i 26/09/2023
Il caso già prospettato con il quesito 34456 viene adesso arricchito con un ulteriore particolare, ovvero il riferimento ad un precedente matrimonio, a seguito del quale sono nati due figli, i quali in futuro rientreranno nella categoria dei legittimari (circostanza di cui si terrà conto in questa consulenza).
Si è detto nella precedente consulenza che, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, le polizze vita, nelle quali uno solo dei coniugi figuri come contraente, vanno considerate come beni personali e, pertanto, non possono farsi rientrare nella comunione legale dei beni.
Conseguenza pratica di tale orientamento è che, in sede di scioglimento del vincolo coniugale, le somme così investite non potranno farsi rientrare in quella massa comune che dovrà costituire oggetto di divisione in parti eguali tra i coniugi.

A rendere ancora più difficile la situazione vi è la circostanza che la moglie, originaria contraente della polizza, con una operazione negoziale del tutto legittima (come si è spiegato nella precedente consulenza) ha ceduto la propria posizione contrattuale al figlio, divenendo costui l’attuale contraente della polizza.
Il figlio adesso, in quanto contraente, ha tutto il diritto di effettuare riscatti parziali, non facendo altro in tal modo che esercitare il suo diritto di richiedere in anticipo una parte del valore fino a quel momento maturato dalla polizza vita (sembra evidente che con il ridursi del valore di riscatto e della riserva matematica, anche le prestazioni assicurate verranno proporzionalmente diminuite).

Stando così le cose, dunque, come è stato già suggerito in occasione della precedente consulenza, l’unico strumento giuridico a cui si può ricorrere per far valere in qualche modo i propri interessi è quello della “collazione ereditaria”, la quale nella fattispecie in esame viene in considerazione sotto diversi profili.
Infatti, sebbene sia convinzione comune quella secondo cui le polizze assicurative sulla vita debbano considerarsi completamente al di fuori del fenomeno successorio, va detto che in realtà si tratta di affermazione solo parzialmente vera, in quanto ciò che non inciderà sulla successione sarà unicamente la somma che l’assicurazione pagherà al beneficiario della stessa.
Assumono, invece, in ogni caso rilevanza ai fini successori le somme versate all’assicurazione per pagare la polizza.

In tal senso la prima norma che deve essere presa in considerazione è l’art. 1920 del c.c., dalla lettura della quale si ricava che il beneficiario è titolare di un diritto proprio sulla somma assicurata che gli deriva dalla designazione che viene fatta da colui il quale ha stipulato la polizza assicurativa.
Da ciò, correttamente, se ne fa derivare che la somma destinata al beneficiario della polizza assicurativa non deve essere calcolata né per la formazione dell’asse ereditario né, quindi, per la determinazione della quota disponibile o delle quote di riserva.

Tuttavia, altra norma che va presa in esame è l’art. 741 c.c., il quale stabilisce che è soggetto a collazione ciò che il defunto ha speso a favore dei suoi discendenti per soddisfare premi relativi a contratti di assicurazione sulla vita.
In buona sostanza si tratterebbe di esborsi che, in considerazione della specifica causale, devono essere concepiti come anticipazioni di eredità e che, in forza dei principi propri della collazione, devono essere conferiti ai coeredi e che devono essere calcolati ai fini della determinazione della massa ereditaria.
Indubbiamente si tratta di un elemento normativo di sicura rilevanza, considerata la particolare diffusione di questo strumento assicurativo, proprio nella ferma convinzione che tutte le somme inerenti questa operazione assicurativa siano al di fuori del fenomeno successorio.
Va altresì sottolineato che sebbene la norma sopra citata faccia unicamente riferimento ai discendenti, costituisce opinione pacifica quella secondo cui essa debba trovare applicazione anche con riferimento alla figura del coniuge, trattandosi di soggetto che rientra a pieno titolo, ex art. 536 c.c., tra i c.d. legittimari, ovvero tra coloro che si intendono con la collazione tutelare.

Facendo adesso applicazione dei suddetti principi al caso in esame, possono prospettarsi le seguenti situazioni:

A) Alla morte del padre, saranno i figli di prime nozze Geraldina e Federico a poter far valere il loro diritto di chiedere la collazione di tutte le somme di cui il de cuius era titolare esclusivo e che, malgrado ciò, ha deciso di investire per la stipula di quella polizza di cui la moglie è divenuta contraente assicurato.
Infatti, alla base di tale forma di investimento deve individuarsi un contratto a favore di terzo (ove il terzo beneficiario non può che essere la moglie- contraente), il quale costituisce un tipico caso di negozio giuridico capace di produrre un arricchimento indiretto di chi ne è beneficiario.

B) In caso, invece, di premorienza della moglie, sarà il coniuge superstite a poter far valere il diritto di chiedere la collazione delle somme investite nella polizza vita, considerato che di tali somme si è alla fine arricchito il figlio in forza della cessione contrattuale avvenuta nel corso dell’anno 2020 (oggetto di collazione dovrà essere la somma di € 320.000).

A fronte dell’esercizio di tale diritto, il figlio, da parte sua, potrà legittimamente opporre, fornendone adeguata prova, la circostanza che di quelle somme una parte è stata di fatto utilizzata per la sua istruzione, chiedendone l’esclusione dalla collazione ereditaria in conformità a quanto prescritto dalla lettera c) dell’art. 186 c.c., norma che fa rientrare tali spese tra gli obblighi gravanti sui beni della comunione.

Chiaramente si tratta per il momento di mere ipotesi, considerato che nessuno degli eventi a cui sopra si è fatto riferimento si è verificato e che, prima di allora, la situazione potrebbe certamente mutare per effetto di trasferimenti patrimoniali che medio tempore potrebbero essere posti in essere.

M. P. chiede
venerdì 25/02/2022 - Sardegna
“Mia moglie ha assistito e curato l'anziana madre per 13 anni e fino al decesso a 96 anni, giorno e notte per 365 gg /anno e per sdebitarsi la de cuius ha stipulato nel 2009 una assicurazione sulla sua vita beneficiaria mia moglie, che ha incassato alla fine dello scorso anno. Ora i coeredi che hanno chiesto gli estratti conto hanno trovato la movimentazione e rivendicano l'importo del premio da apportare alla massa. Come deve comportarsi mia moglie per difendersi da questa rivendicazione? In alternativa può chiedere le venga riconosciuto il lavoro svolto per 13 anni? Tutti gli altri figli si sono scaricati del problema e addirittura un'altra figlia che con lei conviveva da venti anni , gratuitamente nell'abitazione della de cuius, la ha abbandonata andando a vivere lontano.
Grazie anticipatamente.”
Consulenza legale i 03/03/2022
Dall’esposizione dei fatti che viene fatta nel quesito, si ritiene che il modo migliore per contrastare le pretese dei coeredi sia quello di portare avanti la tesi della c.d. liberalità d’uso.
Si tratta di una particolare forma di liberalità, che trova il suo fondamento normativo nel secondo comma dell’art. 770 del c.c., rubricato “Donazione rimuneratoria”, e che si viene a configurare tutte le volte in cui il genitore, in considerazione dei servizi resi dal figlio, attenendosi ai costumi sociali in uso, abbia fatto un dono al suo discendente.

Presupposto essenziale della liberalità d’uso è che la stessa sia di modico valore e comunque proporzionata al servizio ricevuto, dovendosi altrimenti configurare una donazione rimuneratoria, assoggettabile come tale a collazione.
Infatti, la differenza tra liberalità d’uso e donazione rimuneratoria (prevista dal primo comma dell’art. 770 c.c.), consiste nella circostanza che in quest’ultima il donante, al preciso fine di ringraziare il donatario, gli devolve qualcosa, senza però che il valore della donazione sia proporzionato o comunque correlato al servizio reso.

Pertanto, può dirsi che, se l'importo donato è proporzionale al servizio reso (ovvero se il figlio ha percepito quanto avrebbe percepito una badante per prestargli la medesima assistenza), si è di fronte ad una liberalità d'uso, non assoggettabile a collazione; se, invece, l'importo è sproporzionato al servizio reso, si configura una donazione rimuneratoria, che, a differenza delle liberalità d'uso, è assoggettabile a collazione.

Un altro aspetto rilevante di cui tener conto, qualora ci si decidesse a seguire la soluzione della liberalità d'uso, è che, non essendo questa forma di liberalità considerata dalla legge equiparabile alla donazione, non può neppure ritenersi soggetta al rispetto, sotto pena di nullità, della forma dell’atto pubblico, come invece imposto dall'art. 782 del c.c. nel caso di donazioni dirette di somme di denaro e che non siano di modico valore.

E’ bene precisare, tuttavia, che la costruzione giuridica che viene proposta può costituire soltanto un estremo rimedio per tentare di dissuadere gli altri eredi dal portare avanti una causa volta al recupero alla massa ereditaria dei premi assicurativi, e ciò perché, purtroppo, è la stessa legge, ed in particolare l’art. 741 c.c., a sancire la collazione di ciò che il defunto ha speso a favore dei suoi discendenti “…per soddisfare premi relativi a contratti di assicurazione sulla vita a loro favore…”.
Anche la Corte di Cassazione ha già da molto tempo chiarito che le polizze sulla vita, nelle quali sia designato come beneficiario un soggetto terzo, non legato da vincolo di mantenimento, sono configurabili come “donazioni indirette” a favore dei beneficiari delle polizze stesse, in quanto il pagamento del premio costituisce il negozio mezzo (contratto di assicurazione) per conseguire gli effetti del negozio fine (donazione).

Va a questo proposito posto in evidenza quanto precisato dalla S.C. con sentenza n. 29853 depositata il 22/10/2021, e di cui si suggerisce di tener conto qualora dovesse insorgere una controversia giudiziaria con gli altri eredi.
Nelle polizze vita in genere può accadere che il capitale assicurato risulti di fatto inferiore ai premi nel tempo versati, che costituiscono l’oggetto del conferimento ex art. 2923, comma 2, c.c.
Ciò comporta, secondo la S.C., che l’obbligo di collazione, cioè del conferimento della donazione fatta dal defunto nei confronti di un legittimario per il calcolo della massa ereditaria, va assolto mediante conferimento della minor somma tra l’ammontare dei premi pagati e il capitale, non potendo la collazione avere per oggetto che il vantaggio conseguito dal discendente.

Purtroppo, è bene prendere coscienza del fatto che morale e diritto non sempre vanno di pari passo e che, per quanto possa essere eticamente biasimevole la condotta noncurante di un figlio che si disinteressa del proprio genitore, la circostanza che uno solo dei figli si sia occupato in via esclusiva del genitore anziano o malato, non incide sulle quote del patrimonio ereditario e non gli dà il diritto di pretendere una quota maggiore dello stesso.
Si tenga presente, infatti, che a carico dei figli grava l’obbligo di prestare gli alimenti in favore dei propri genitori (ex art. 433 n. 2 c.c.) e l’obbligo di prestare agli stessi assistenza; sotto quest’ultimo profilo costituisce perfino reato l’abbandono di una persona incapace di provvedere a se stessa, per malattia o per vecchiaia, o per altra causa, della quale si debba avere cura (tale fattispecie di reato è punita, ex art. 591 comma 4 c.p., con la reclusione da 6 mesi a 5 anni e le pene sono aumentate se il fatto è commesso dal figlio).

Pertanto, a meno che non conduca ad un buon esito la tesi della liberalità d'uso, è impensabile che si possa avere diritto ad una retribuzione per aver assolto ad obblighi imposti dalla stessa legge, con la conseguenza che se il genitore intende “ricompensare” il figlio che si è preso cura di lui, può farlo tramite testamento, con il quale disporre in suo esclusivo favore della quota disponibile del patrimonio ereditario.

Michele T. chiede
mercoledì 08/04/2020 - Veneto
“Mio padre è morto alla fine di febbraio 2020, era già vedovo e siamo due figli. Mio fratello a sua volta ha 3 figli.
Il patrimonio comprende beni mobili (arredamento), una automobile, 22900 euro sul conto corrente e 4 polizze vita, 3 identiche che presumiamo avere come beneficiari i tre nipoti e una della quale al momento non conosciamo i beneficiari ma sospetto, per i rapporti che avevamo, che sia intestata o ai nipoti o a mio fratello.
Ho ricevuto lo storico dei movimenti bancari.
Il notaio di fiducia di mio padre dice, a voce, che ha in custodia un testamento dove il de cuius lascia il contenuto dell'appartamento, nel quale viveva in affitto, ai nipoti con il vincolo che non vada venduto a rigattieri. Il testamento non è stato ancora pubblicato.
Vorrei sapere se, secondo voi, vi sono possibilità di applicare la collazione ai premi assicurativi a suo tempo versati dal defunto ex art. 741 cc (risultano effettuati tra il 2018 e il 2019) e se per fare questo eventualmente fosse necessario/indispensabile/utile la accettazione di eredità da parte di fratello e nipoti. grazie.”
Consulenza legale i 15/04/2020
Il richiamo che nel quesito viene correttamente fatto all’art. 741 c.c. deve essere anche coordinato con quanto disposto all’art. 1920 del c.c..
Quest’ultima norma, dopo aver attribuito piena validità giuridica all’assicurazione sulla vita contratta in favore di un terzo e dopo aver disposto che la designazione del beneficiario può anche costituire oggetto di una disposizione testamentaria, precisa all’ultimo comma che, per effetto della designazione, il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione.

In conseguenza di tale disposizione, tutte le somme che a seguito del decesso dell’assicurato verranno corrisposte dall’assicurazione al beneficiario o ai beneficiari non rientrano nell’asse ereditario, non sono soggette ad imposta di successione e non vanno computate per determinare la quota degli eredi o per calcolare se vi sia stata o meno lesione di legittima.

Ciò, invece, non vale per l’ammontare dei premi pagati dallo stesso de cuius, i quali, proprio per effetto di quanto disposto all’art. 741 c.c., sono assoggettati a collazione e, quindi, si imputano nell’asse ereditario, al fine di poter correttamente determinare la quota di riserva e la quota di c.d. disponibile.

Per quanto concerne l’operatività dell’istituto giuridico della collazione, occorre fare riferimento a quanto disposto dall’art. 737 del c.c., rubricato “Soggetti tenuti alla collazione”, in cui si legge che sono tenuti a collazione, salvo che ne siano dispensati, i figli, i loro discendenti ed il coniuge del de cuius.
La stessa norma, però, dispone che essi sono tenuti a conferire ai coeredi, il che presuppone l’esistenza di una comunione ereditaria, la quale si realizza solo a seguito dell’accettazione dell’eredità, espressa o tacita, da parte di coloro che sono obbligati alla collazione.

Quindi, rispondendo alla domanda posta, può dirsi che per far valere la collazione di ciò che il de cuius ha speso in premi assicurativi in favore del fratello e dei nipoti (figli del fratello), è indispensabile che gli stessi accettino l’eredità, poiché soltanto in tal modo potranno assumere la qualità di coeredi.
A seguito dell’insorgere della comunione ereditaria, quanto donato deve essere conferito indipendentemente da una specifica domanda in tal senso da parte dei condividenti (così di recente Cass. n. 8510/2018), incombendo eventualmente su coloro che sono tenuti a collazione e che intendono eccepire un fatto ostativo alla stessa, fornire la relativa prova nei confronti di tutti gli altri condividenti.

Si consideri che il diritto alla collazione verso un coerede si configura come un diritto di credito, in quanto tale soggetto a prescrizione estintiva decennale.

Infine, si ritiene opportuno fare un’ultima considerazione: qualora il de cuius avesse leso la quota di riserva di uno dei figli, colui il quale ha subito la lesione avrà, ovviamente, tutto il diritto, per reintegrare la sua quota, di chiedere la riduzione delle donazioni e delle disposizioni lesive, a prescindere dal fatto che gli eventuali beneficiari delle donazioni abbiano accettato o meno l’eredità.
Al fine di poter stabilire se vi è stata o meno lesione di legittima occorre determinare con esattezza la porzione disponibile, ossia quella parte di patrimonio di cui il defunto poteva liberamente disporre, ciò che va fatto seguendo il disposto dell’art. 556 del c.c., secondo cui occorre formare una massa di tutti i beni che appartengono al defunto al momento della morte, a cui vanno detratti i debiti e riuniti fittiziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, tra cui rientreranno anche i premi assicurativi ex art. 809 del c.c..



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