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Articolo 3 Testo unico edilizia

(D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380)

[Aggiornato al 10/10/2024]

Definizioni degli interventi edilizi

Dispositivo dell'art. 3 Testo unico edilizia

1. Ai fini del presente testo unico si intendono per:

  1. a) "interventi di manutenzione ordinaria", gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti;
  2. b) "interventi di manutenzione straordinaria", le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso. Nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione d'uso. Nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono comprese anche le modifiche ai prospetti degli edifici legittimamente realizzati necessarie per mantenere o acquisire l'agibilità dell'edificio ovvero per l'accesso allo stesso, che non pregiudichino il decoro architettonico dell'edificio, purché l'intervento risulti conforme alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia e non abbia ad oggetto immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42(1);
  3. c) "interventi di restauro e di risanamento conservativo", gli interventi edilizi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d'uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio;
  4. d) "interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilità, per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico. L'intervento puo' prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142 del medesimo codice, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria(1);
  5. e) "interventi di nuova costruzione", quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti. Sono comunque da considerarsi tali:
  6. e.1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6);
  7. e.2) gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal comune;
  8. e.3) la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato;
  9. e.4) l'installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione;
  10. e.5) l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o delle tende e delle unità abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione, e loro pertinenze e accessori, che siano collocate, anche in via continuativa, in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, che non posseggano alcun collegamento di natura permanente al terreno e presentino le caratteristiche dimensionali e tecnico-costruttive previste dalle normative regionali di settore ove esistenti(2);
  11. e.6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale;
  12. e.7) la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato;
  13. f) gli "interventi di ristrutturazione urbanistica", quelli rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale.

2. Le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi. Resta ferma la definizione di restauro prevista dall'articolo 34 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490.

Note

(1) Le lettere b) e d) del comma 1 della presente disposizione sono state modificate dall'art. 10, comma 1, lett. b) del D.L. 16 luglio 2020, n. 76. La lettera d) è stata successivamente modificata dal D. L. 1 marzo 2022, n. 17, convertito con modificazioni dalla L. 27 aprile 2022, n. 34, e dal D. L. 17 maggio 2022, n. 50, convertito con modificazioni dalla L. 15 luglio 2022, n. 91.
(2) La Corte Costituzionale, con sentenza 9 giugno - 24 luglio 2015, n. 189, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 41, comma 4, del D. L. 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98 che ha modificato la lettera e.5), comma 1, del presente articolo, relativamente alle parole "ancorché siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti".

Spiegazione dell'art. 3 Testo unico edilizia

La norma in esame definisce e classifica i vari tipi di interventi edilizi e, quindi, costituisce uno dei punti cardine del Testo Unico, poiché solo la corretta qualificazione dell’intervento consente di individuare il titolo abilitativo eventualmente richiesto (permesso di costruire, SCIA ecc.), nonché soprattutto le sanzioni applicabili.
Infatti, il Testo Unico prevede diverse misure sanzionatorie, che spaziano dalle sanzioni pecuniarie a quelle demolitorie, fino ad arrivare alle sanzioni penali (disciplinate dal Titolo IV del Testo Unico), graduate a seconda della gravità dell’abuso.

L’elenco delle tipologie di intervento è strutturato in ordine crescente, a partire da quelli meno invasivi e volti a conservare l’esistente (lettere a, b, c e d), fino ad arrivare ai più innovativi e più incisivi sul territorio, ossia la nuova costruzione e la ristrutturazione urbanistica (lettere e, con le relative esemplificazioni, ed f).

Si tratta di definizioni che sono immediatamente prevalenti sugli strumenti urbanistici generali e sui regolamenti edilizi e che riguardano non solo gli edifici residenziali, ma qualsiasi manufatto edilizio, come si deduce dai riferimenti ad attività produttive di cui alla lettera e).

Tanto chiarito in via generale, si può passare alla sintetica illustrazione delle singole categorie:

a) manutenzione ordinaria: sono opere edilizie incidenti solo sulle finiture degli edifici e sugli impianti tecnologici esistenti, al fine di rinnovarli o sostituirli, senza realizzare nuovi manufatti.
La manutenzione ordinaria, visto lo scarso impatto urbanistico, è libera, cioè non richiede il previo rilascio di titolo abilitativo, ed è gratuita, ossia non comporta il pagamento di contributi o oneri.
Un decisivo contributo chiarificatore sulle opere comprese nella definizione in discorso è stato dato dal D.M. 02 marzo 2018 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, recante “Approvazione del glossario contenente l’elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222”.
La manutenzione ordinaria compare al primo punto del glossario, includendo ad esempio la riparazione, sostituzione, rinnovamento di pavimentazione, intonaci, serramenti, impianti elettrici (nn. 1- 25, allegato 1 al D.M. 02 marzo 2018).

b) manutenzione straordinaria: la definizione tradizionale di tale intervento comprende le opere che interessino anche parti strutturali degli edifici, purché attuate nel rispetto degli elementi tipologici strutturali e formali della loro originaria edificazione.
Negli anni, però, la nozione si è progressivamente ampliata, fino ad abbracciare il frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari, purché venga mantenuta la volumetria complessiva e la destinazione d’uso.
Con il decreto semplificazioni del 2020 (D.L. n. 76/2020, convertito in L. n. 120/2020) sono state incluse anche le modifiche ai prospetti degli edifici, ma solo quelle necessarie ai fini dell’agibilità dell’edificio e per l’accesso allo stesso ed a condizione di non pregiudicarne il decoro architettonico.
Tale novità, tuttavia, riguarda solo gli immobili non vincolati ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Il riferimento contenuto nell’ultimo periodo della lettera b) agli “edifici legittimamente realizzati” costituisce un’esplicitazione del consolidato principio secondo cui le opere riconducibili alla categoria della manutenzione straordinaria (o, comunque, tutte le opere di tipo conservativo) effettuate su manufatti abusivi non sanati né condonati ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente.

c) restauro e risanamento conservativo: si tratta dell’insieme di opere edilizie rivolte a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità, sia mediante il ripristino degli elementi costitutivi del fabbricato, sia mediante l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio.
La difficoltà più rilevante, soprattutto per i risvolti sul piano sanzionatorio, è operare una distinzione rispetto alla ristrutturazione edilizia, posto che le opere eseguibili sono in gran parte comuni.
L’elemento discriminate viene individuato, piuttosto che nella qualità, nella finalità degli interventi, essendo il risanamento indirizzato al recupero architettonico e funzionale dell'organismo edilizio preesistente, mentre la ristrutturazione alla sua trasformazione.
In sostanza, bisogna avere riguardo all'effetto prodotto dal complesso dalle opere edilizie, con particolare attenzione alla conservazione formale e funzionale del manufatto pre-esistente e alla eventuale generazione di un maggiore carico urbanistico.

d) ristrutturazione edilizia: come accennato al punto precedente, rientrano nella nozione di ristrutturazione edilizia tutte le opere volte a trasformare un organismo edilizio, sia quelle che ne conservano gli elementi costitutivi, sia quelle che intervengono in modo radicale, con la sua completa demolizione e ricostruzione.
Il presupposto fondamentale che la distingue dalla nuova costruzione è l’esistenza di un patrimonio edilizio, sul quale l’insieme degli interventi va ad incidere, pur conservandone le caratteristiche architettoniche più rilevanti.
La norma è stata oggetto nel tempo di varie modifiche, che hanno via via ampliato la definizione di ristrutturazione, soprattutto per quanto riguarda l’ipotesi di demolizione e ricostruzione.
Tali interventi normativi hanno consentito di superare sia la tradizionale nozione di ristrutturazione, che richiedeva che il nuovo edificio fosse fedele a quello pre-esistente, sia l’orientamento della giurisprudenza amministrativa che riconduceva la ricostruzione di ruderi alla nuova costruzione, attesa la mancanza di un organismo edilizio dotato almeno di mura perimetrali, strutture di copertura ed orizzontali.

Il decreto “semplificazioni” del 2020 (D.L. n. 76/2020, convertito in L. n. 120/2020) ha introdotto diverse novità nel testo della lettera d) dell’articolo in commento, che sono state oggetto di importanti indicazioni interpretative illustrate nella Circolare congiunta del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti e del Ministero della Pubblica Funzione del 02.12.2020.
Anzitutto, il riferimento ai semplici interventi di “demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica” è stato sostituito con la più articolata previsione per cui rientrano nella ristrutturazione edilizia “gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico”.
Pertanto, la nuova definizione di ristrutturazione disconosce la giurisprudenza amministrativa che richiedeva che il nuovo edificio presentasse una qualche continuità con quello preesistente, conservandone perlomeno le caratteristiche planivolumetriche e architettoniche.
A seguito dell’ultima novella, rientra oggi nella ristrutturazione qualsiasi intervento di demolizione e ricostruzione, indipendentemente dalla circostanza che il nuovo edificio presenti caratteristiche molto differenti rispetto al precedente.
Il concetto di “caratteristica tipologica”, come chiarito nella detta circolare ministeriale, non corrisponde a quello di destinazione d’uso, bensì si riferisce agli elementi architettonici e funzionali del fabbricato, individuandone quei caratteri essenziali che ne consentono la qualificazione in base alla tipologia edilizia (p.es. costruzione rurale, capannone industriale, edificio scolastico, edificio residenziale etc).

Un'ulteriore novità è costituita dall’ammissibilità di due ipotesi nelle quali sono ammessi incrementi volumetrici nell’ambito degli interventi di demolizione e ricostruzione, fino ad ora esclusa dalla giurisprudenza amministrativa.
La prima riguarda l'aumento della volumetria giustificato dalla necessità dell’adeguamento dell’edificio alla normativa antisismica o alla normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico.
La seconda possibilità di apportare incrementi alla volumetria dell’edificio preesistente deriva, invece, dall’espressa salvezza delle previsioni legislative e degli strumenti urbanistici che contemplino siffatti incrementi per finalità di rigenerazione urbana.
La circolare ministeriale sopra menzionata ha precisato, però, che tale deroga non deve considerarsi estesa a qualsiasi disposizione che consenta incrementi volumetrici (p.es. in funzione premiale o incentivante), ma soltanto per le ipotesi in cui questi siano strumentali a obiettivi di rigenerazione urbana, da intendersi come riferita a qualunque tipologia di interventi edilizi che, senza prevedere nuove edificazioni, siano intesi al recupero e alla riqualificazione di aree urbane e/o immobili in condizioni di dismissione o degrado.

A tale ampliamento della definizione di ristrutturazione, tuttavia, fa da contraltare un rafforzamento della tutela degli edifici tutelati ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai quali vengono tendenzialmente equiparati quelli ubicati nelle zone omogenee A e in quelle ad esse assimilabili in base ai piani urbanistici comunali, nonché nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico.
In passato, infatti, per qualificare come ristrutturazione, e non come nuova costruzione, la demolizione e ricostruzione di tali edifici era richiesto solo il rispetto della sagoma originaria, mentre oggi è necessario il mantenimento di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, oltre a non poter attuare incrementi di volumetria.
In ogni caso, per le zone A e quelle ad esse assimilabili sono fatte salve le previsioni legislative regionali e degli strumenti urbanistici generali ed attuativi, che consentano interventi di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione anche con limiti meno stringenti di quelli individuati dall’articolo in commento.

e) nuova costruzione: per questa categoria il Legislatore ha scelto di dare una definizione in negativo, disponendo che tutte le trasformazioni del territorio che non siano classificabili ai sensi delle lettere precedenti debbano essere ricomprese nella nozione di nuova costruzione.
Per ovviare alle difficoltà interpretative che tale metodo di classificazione può generare, la norma stessa fornisce alcuni esempi, non tassativi, che includono i casi più dubbi oggetto di dibattito dottrinale e giurisprudenziale nel regime precedente.
Degne di nota sono le opere di cui alla lettera e.5), ossia i manufatti leggeri, anche prefabbricati, destinati a soddisfare esigenze non meramente temporanee.
Infatti, la precarietà di un’opera a fini edilizi è data non dalla facile amovibilità della struttura, bensì dall’uso che ne viene fatto, che deve essere destinato soltanto a soddisfare una necessità contingente.
Al contrario, se le opere sono dirette al soddisfacimento di esigenze stabili e permanenti, deve escludersi la natura precaria dell'opera, indipendentemente dai materiali utilizzati e dalla tecnica costruttiva applicata.
Infine, per quanto concerne la lettera e.6), si nota che la nozione di pertinenza in materia edilizia è più ristretta di quella civilistica, in quanto si riferisce non a tutte le opere poste a servizio del bene principale, bensì ai soli manufatti di dimensioni tanto modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono da potersi considerare sostanzialmente irrilevanti sotto il profilo edilizio.

f) ristrutturazione edilizia: l’ultima tipologia disciplinata dall’art. 3 differisce dalle precedenti poiché la ristrutturazione non interessa un singolo immobile, ma consiste in una serie di interventi finalizzati a dare una nuova conformazione ad un’intera area del territorio comunale.
In breve, con la ristrutturazione urbanistica si intende sostituire, mediante un insieme sistematico di opere edilizie, l’esistente tessuto urbanistico con uno nuovo che presenta anche una diversa fisionomia.

Massime relative all'art. 3 Testo unico edilizia

Cass. civ. n. 11883/2019

In tema di appalto di ristrutturazione di edificio di proprietà del committente, la circostanza che la concessione edilizia sia rilasciata dopo la stipula del contratto e persino dopo l'inizio dei lavori, non è causa di nullità del contratto, se comunque la stessa sia stata ottenuta prima della ultimazione dei lavori medesimi e, quindi, della realizzazione dell'opera, atteso che il momento storico rilevante per la verifica della nullità del negozio per difetto di un elemento essenziale della fattispecie quale la concessione edilizia, è quello del trasferimento dei diritti reali su edifici o loro parti, effetto che nell'appalto di edificio su terreno di proprietà del committente si realizza, per l'appunto, con il completamento dell'opera in virtù di accessione, ex art. 934 c.c.. (Rigetta, Corte d'appello Perugia, 28 giugno 2016).

Cons. Stato n. 1480/2019

Il rilascio del permesso di costruire per la realizzazione di una tettoia è necessario solo quando, per le sue caratteristiche costruttive, essa sia idonea ad alterare la sagoma dell'edificio; l'installazione della tettoia è invece sottratta al regime del permesso di costruire ove la sua conformazione e le ridotte dimensioni ne rendano evidente e riconoscibile la finalità di mero arredo e di riparo e protezione dell'immobile cui accedono.

Cons. Stato n. 1406/2019

A differenza della nozione civilistica di pertinenza, ai fini edilizi il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio ma anche sfornito di un autonomo valore di mercato e non incida sul "carico urbanistico"mediante la creazione di un "nuovo volume".

Cons. Stato n. 5541/2018

Un'opera può definirsi un pergolato quando si tratti di un manufatto leggero, amovibile e non infisso al pavimento, non solo privo di qualsiasi elemento in muratura da qualsiasi lato, ma caratterizzato dalla assenza di una copertura anche parziale con materiali di qualsiasi natura, e avente nella parte superiore gli elementi indispensabili per sorreggere le piante che servano per ombreggiare: in altri termini, la pergola è configurabile esclusivamente quando vi sia una impalcatura di sostegno per piante rampicanti e viti. (Conferma Tar Lazio Roma, n. 174 del 2018)

Cons. Stato n. 4728/2017

Con riferimento alla ristrutturazione edilizia cd. ricostruttiva l'unico limite previsto è quello della identità di volumetria, rispetto al manufatto demolito, salve innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, e ad eccezione degli immobili sottoposti a vincolo ex D.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali), per i quali è altresì prescritto il rispetto della medesima sagoma di quello preesistente (Riforma della sentenza del T.a.r. Piemonte, sez. II, n. 1410/2016).

Cons. Stato n. 3742/2017

In tema di lottizzazione abusiva l'interesse protetto dalla norma dell'art. 30 D.P.R. n. 380/2001 (T.U. Edilizia) è, in sintesi, quello di garantire un ordinato sviluppo urbanistico del tessuto urbano, in coerenza con le scelte pianificatorie dell'amministrazione (Riforma della sentenza dei T.a.r. Campania, Napoli, sez. Il, 2 dicembre 2015, n. 5547).

Cons. Stato n. 2348/2017

Occorre il titolo edilizio per la realizzazione di nuovi manufatti, quand'anche sotto il profilo civilistico essi si possano qualificare come pertinenze.

La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica.

Cons. Stato n. 1619/2016

La natura di opera "precaria"(non soggetta al titolo abilitativo) riposa non nelle caratteristiche costruttive ma piuttosto in un elemento di tipo funzionale, connesso al carattere dell'utilizzo della stessa.

La struttura in alluminio anodizzato destinata ad ospitare tende retrattili in materiale plastico (quale mero elemento di arredo del terrazzo su cui insiste) non integra un intervento di nuova costruzione soggetto al rilascio del permesso di costruire, categoria nella quale rientrano quelli che realizzano una "trasformazione edilizia e urbanistica del territorio" ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 10 T.U. 6 giugno 2001 n. 380, tenendo presente che l'opera principale non è la struttura in sé, ma la tenda, quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzata ad una migliore fruizione dello spazio esterno dell'unità abitativa, e che, considerata in tale contesto, la struttura in alluminio anodizzato si qualifica in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all'estensione della tenda la quale, poi, integrata alla struttura portante, non vale a configurare una "nuova costruzione", atteso che essa è in materiale plastico e retrattile, onde non presenta caratteristiche tali da costituire un organismo edilizio rilevante, comportante trasformazione del territorio.

La struttura in alluminio anodizzato destinata ad ospitare tende retrattili in materiale plastico (quale mero elemento di arredo del terrazzo su cui insiste) non rientra nella nozione di ristrutturazione ai sensi dell'art. 3 lett d) T.U. 6 giugno 2001 n. 380.

La struttura in alluminio anodizzato destinata ad ospitare tende retrattili in materiale plastico - che si connota per il fatto di essere "tamponata sui due lati liberi da lastre di vetro mobili a "pacchetto", munite di supporti che manualmente scorrono in appositi binari e da vetro fisso (timpano) inseriti nelle strutture di alluminio anodizzato" - costituisce "nuova costruzione", risultando idoneo a determinare una trasformazione urbanistico ed edilizia del territorio, soggetta al permesso di costruire.

Cons. Stato n. 1763/2015

Ai sensi dell'art. 3 comma 1 lett. d), T.U. dell'edilizia, approvato con D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, l'elemento che, in materia edilizia, contraddistingue in linea generale la ristrutturazione dalla nuova edificazione deve rinvenirsi nella già avvenuta trasformazione del territorio, mediante una edificazione di cui si conservi la struttura fisica, sia pure con la sovrapposizione di un insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita, ma in quest'ultimo caso con ricostruzione, se non fedele (per effetto della modifica apportata al cit. t.u. dal D.L. 27 dicembre 2002, n. 301), comunque rispettosa della volumetria e della sagoma della costruzione preesistente.

Corte cost. n. 35/2015

Devono essere restituiti al rimettente gli atti relativi alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 17, comma 1, della legge della Regione Lombardia 18 aprile 2012, n. 7, impugnato, in riferimento all'art. 136, comma primo, Cost. e all'art. 1 della Legge Costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, in relazione al giudicato formatosi con la sentenza n. 309 del 2011 ; nonché all'art. 117, comma terzo, Cost., in relazione all'art. 3, comma 1, lett. d ), del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e all'art. 97 Cost., nella parte in cui prevede che, "al fine di tutelare il legittimo affidamento dei soggetti interessati, i permessi di costruire rilasciati alla data del 30 novembre 2011", data di pubblicazione della sentenza citata, "nonché le denunce di inizio attività esecutive alla medesima data devono considerarsi titoli validi ed efficaci fino al momento della dichiarazione di fine lavori, a condizione che la comunicazione di inizio lavori risulti protocollata entro il 30 aprile 2012". Infatti, successivamente all'ordinanza di rimessione è stato pubblicato il D.L. n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della L. n. 98 del 2013, il cui art. 30 ha modificato, tra l'altro, l'art. 3, comma 1, lett. d ), del D.P.R. n. 380 del 2001, espungendo dalla definizione della ristrutturazione edilizia l'obbligo di rispetto della sagoma precedente. Pertanto, alla luce del sopravvenuto mutamento del quadro normativo sopra descritto, che ha investito specificamente il parametro interposto, gli atti devono essere rimessi al giudice a quo affinché proceda ad una nuova valutazione della rilevanza e dei termini della questione. - Sull'art. 30 del D.L. n. 69 dei 2013 - convertito, con modifiche, dalla legge n. 98 del 2013.

Corte cost. n. 259/2014

Non è fondata, nei sensi di cui in motivazione, la q.l.c. dell'art. 11, commi 1 e 2, L. Reg. Veneto 29 novembre 2013 n. 32, censurato, in riferimento all'art. 117, comma 2, lett. s), Cost., nella parte in cui consentirebbe, in relazione alle modifiche aventi ad oggetto beni immobili sottoposti a vincoli ai sensi D.L. 22 gennaio 2004 n. 42, interventi di ristrutturazione edilizia che non rispettino il limite della sagoma dell'edificio preesistente, in violazione della potestà esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali e del principio fondamentale di governo del territorio contenuto nell'art. 3, comma 1, lett. d), D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380. Il testo attuale dell'art. 3, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 380 del 2001, come risultante dalle modifiche apportate dall'art. 30 D.L. n. 69 del 2013, oltre ad aver eliminato il riferimento all'obbligo di rispetto della sagoma nella definizione degli interventi di ristrutturazione edilizia, ha mantenuto fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi D.L. 22 gennaio 2004 n. 42, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente. Il silenzio della L. Reg. impugnata sul punto non può che essere interpretato nel senso della vigenza della disposizione statale citata e, quindi, nei senso che la disposizione statale in materia di obbligo di rispetto della sagoma preesistente nelle ristrutturazioni aventi ad oggetto beni culturali vincolati è necessariamente operativa anche nell'ambito regionale (sent. n. 29, 153 del 2006, 271 del 2009, 18 del 2013).

Non è fondata la q.l.c. dell'art. 11, commi 1 e 2, L. Reg. Veneto 29 novembre 2013 n. 32, censurato, in riferimento all'art. 117, comma 3, Cost., nella parte in cui consente, in relazione alle modifiche aventi ad oggetto beni immobili sottoposti a vincoli ai sensi D.L. 22 gennaio 2004 n. 42, interventi di ristrutturazione edilizia che non rispettino il limite della sagoma dell'edificio preesistente, con conseguente asserita violazione della potestà esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali e del principio fondamentale di governo del territorio contenuto nell'art. 3, comma 1, lett. d), D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380. A seguito del recente intervento legislativo di cui all'art. 30 D.L. 21 giugno 2013 n. 69, conv., con modificazioni, in L. 9 agosto 2013 n. 98, che ha apportato una serie di modifiche al D.P.R. n. 380 del 2001, la normativa statale non contiene più, in relazione alla definizione della ristrutturazione edilizia, l'obbligo di rispetto della sagoma precedente, ma solo quello di rispetto del volume. In considerazione del riparto di competenze in materia di governo del territorio, la modifica della norma statale contenente il principio fondamentale, fa sì che le disposizioni della L. Reg. censurata si presentino piuttosto come l'attuazione, anziché la violazione, della normativa statale di riferimento (sent. n. 303 del 2003, 309 del 2011, 102, 139 del 2013).

Cons. Stato n. 5662/2014

L'art. 3, comma 1, lett. d) D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 riconduce la nozione di ristrutturazione edilizia alla finalità di recupero del patrimonio esistente: per cui, nei casi in cui ricorra la demolizione parziale o totale dell'edificio, la ricostruzione che voglia ascriversi nelle ipotesi di ristrutturazione edilizia deve rispettare le linee essenziali della sagoma; l'identità della complessiva volumetria del fabbricato, e la copertura dell'area di sedime, senza alcuna variazione rispetto all'originario edificio. Qualora tali parametri non risultino rispettati, l'intervento deve essere qualificato come "nuova costruzione" e sottoposto alla disciplina prevista in materia di nuove edificazioni.

Cons. Stato n. 5187/2014

L'art. 3 ultimo comma, D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, nella parte in cui afferma che le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi, va interpretato nel senso che la normativa urbanistica comunale non può dare agli interventi una classificazione diversa da quella ivi stabilita, né traslare i medesimi dall'una all'altra tipologia, e non anche che, in sede di piani esecutivi, non può definire le modalità quali-quantitative degli interventi, e quindi anche limitare, ad esempio, il numero di piani realizzabili, tanto più quando l'intervento s'inserisce in un piano inteso al risanamento di un contesto urbano secondo linee filologiche di recupero dei caratteri storico-architettonici, e quindi anche al fine di ripristinare un armonico sviluppo di una schiera edilizia.

Cons. Stato n. 4214/2012

La nuova costruzione è un intervento edilizio che implica una stabile, ancorché non irreversibile, trasformazione urbanistico edilizia del territorio preordinata a soddisfare esigenze a carattere permanente del committente sotto il profilo funzionale e della destinazione dell'immobile.

Cass. pen. n. 42190/2010

Ai sensi dell'art. 3, comma primo lett. e5), del D.P.R. n. 380/2001, sono considerati interventi di nuova costruzione, la cui realizzazione deve essere assentata mediante il permesso di costruire, la installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere utilizzate quali abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee. Fattispecie: sequestro preventivo di un gazebo con struttura portante lignea allo spirare del termine stagionale.

Cons. Stato n. 4795/2010

L'individuazione della lottizzazione abusiva presuppone l'accertamento di una serie di elementi, accertamento che implica indagini complesse che impongono la necessaria partecipazione dei soggetti interessati al relativo procedimento, per cui deve essere consentita ad essi la proposizione delle rispettive osservazioni e deduzioni: ciò anche se al provvedimento di cui all'art. 18 della L. n. 47/1985 deve comunque riconoscersi una indubbia natura vincolata, atteso che stesso deve essere preceduto dal mero accertamento della realtà materiale ed è destinato ad incidere, con funzioni di qualificazione giuridica, su di essa con provvedimenti che potranno poi comportare l'adozione di successivi provvedimenti di acquisizione delle aree lottizzate. Pertanto, il provvedimento che dispone la sospensione di opere ritenute preordinate alla lottizzazione abusiva è illegittimo se non preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento.

L'ipotesi di lottizzazione abusiva è ravvisabile solamente quando sussistono elementi precisi ed univoci da cui possa ricavarsi oggettivamente l'intento di asservire all'edificazione un'area non urbanizzata. Pertanto, è il illegittimo provvedimento che dispone la sospensione di opere preordinate alla lottizzazione abusiva qualora il Comune non abbia svolto alcuna istruttoria, e, conseguentemente, non abbia operato valutazioni autonome sull'esistenza della lottizzazione abusiva e soprattutto sulla sussistenza di quegli indizi rivelatori che costituiscono prova della cosiddetta lottizzazione negoziale, adeguandosi supinamente al provvedimento del giudice penale.

Ai fini dell'accertamento della sussistenza del presupposto di cui all'art. 18 della L. n. 47/1985 non è sufficiente il mero riscontro del frazionamento di un terreno collegato a plurime vendite, ma sussiste anche la necessità di acquisire un sufficiente quadro indiziario dal quale sia possibile desumere in maniera non equivoca la destinazione a scopo edificatorio degli atti posti in essere dalle parti, giustificandosi l'adozione del provvedimento repressivo anche a fronte della dimostrazione della sussistenza di almeno uno degli elementi precisi e univoci (quali le dimensioni e il numero dei lotti, la natura del terreno, l'eventuale revisione di opere di urbanizzazione e dalla loro destinazione a scopo edificatorio).

Cons. Stato n. 4801/2010

A norma dell'art. 3, primo comma lett. e) del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 costituiscono interventi di nuova costruzione, tra gli altri, la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6), gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal comune, la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato, in combinato disposto con il successivo art. 10, il quale assoggetta a permesso di costruire tutti gli interventi di nuova costruzione.

Cass. pen. n. 22229/2010

La sostituzione del tetto può rientrare tra gli interventi di manutenzione straordinaria (art. 3, comma primo, lett. b), D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), in quanto tali non soggetti a permesso di costruire, purché non venga modificata la quota d'imposta o alterato lo stato dei luoghi né planimetricamente né quantitativamente rispetto alle superfici ed ai volumi preesistenti. (Nella specie la Corte ha escluso che l'intervento potesse rientrarvi, essendo stato accertato l'aumento dell'altezza del fabbricato e la modifica della sagoma).

Cass. pen. n. 20363/2010

Integra il reato di lottizzazione abusiva l'artificiosa suddivisione dell'attività edificatoria complessiva, attuata mediante il conseguimento di titoli abilitativi per le singole opere edilizie che concorrono a realizzarla, in quanto, ai fini dell'individuazione del titolo abilitativo necessario per la sua realizzazione, l'intervento edilizio deve essere considerato unitariamente nel suo complesso, senza possibilità di scindere e considerare separatamente le sue componenti.

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Consulenze legali
relative all'articolo 3 Testo unico edilizia

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

M. B. chiede
mercoledì 03/08/2022 - Toscana
“Il caso in oggetto è quello di un unico edificio di mia proprietà che si trova in stato di abbandono da molti anni (classificato C/2), ricadente in zona agricola e situato in un’area identificata, dagli strumenti urbanistici comunali, ad altissima pericolosità idrogeologica (G3 e G4), per il quale è stato richiesto un intervento di demolizione e ricostruzione di pari volumetria, con diversa sagoma, prospetti, sedime, caratteristiche tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilità, per l'istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L'ufficio tecnico comunale ha inquadrato il progetto con il seguente titolo edilizio previsto dalla LR Toscana N. 65/2014 art. 134 lettera l): Sostituzione edilizia: "gli interventi di sostituzione edilizia, intesi come interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti, eseguiti anche con contestuale incremento di volumetria complessiva, diversi da quelli di cui alla lettera h). Tali interventi non determinano modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale e non rendono necessari interventi, se non di adeguamento delle opere di urbanizzazione. Essi possono comportare una diversa collocazione dell'edificio ricostruito rispetto a quello preesistente." La L.R. della Toscana n. 65/2014 con art. 134 lett. l) individua un’ulteriore categoria quella della sostituzione edilizia per demolizione e ricostruzione che non è citata nel DPR 380/2001.
Pertanto si chiede se il titolo di sostituzione edilizia previsto dalla LR Toscana 65/2014 art. 134 lettera l) può essere inquadrato nell’art. 3 c.1 lett. d) del DPR 380/2001 come già confermato nella consulenza legale n. Q202230997 del 14.05.2022.
Inoltre si chiede se il testo qui di seguito trova correttezza giuridica al fine del completamento della pratica edilizia summenzionata:
“Demolizione edificio esistente e contestuale ricostruzione edificio residenziale nel territorio della Regione Toscana la consistenza dell’intervento e le sue caratteristiche, fermi restando i connotati che lo collocano nell’ambito della definizione statale, trova riscontro nell’art. 134 comma 1 let. l). Pertanto secondo la normativa nazionale l’intervento edilizio si configura come una ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3 comma 1 lett.d) del dpr380 volto alla ricostruzione di un edificio legittimamente esistente e sulla ricostruzione con diversa collocazione in conformità all’art. 10 comma 1 lett. b) n. 2 del d.l. n. 76/2020 convertito con l. n.120/2020, nel caso specifico necessaria in ragione della particolare conformazione del terreno e della pericolosità idrogeologica”
A riguardo vi chiedo di poter avere la vostra consulenza legale in carta intestata e firmata ( anche in formato digitale).”
Consulenza legale i 05/09/2022
In risposta al quesito, va chiarito che le definizioni individuate dal Testo unico edilizia a livello nazionale possono essere oggetto di successivi interventi regionali che vadano a specificare tali categorie generali, fermo restando il sistema sanzionatorio previsto dal Testo Unico.
Tale facoltà è stata appunto utilizzata, tra le altre, anche dalla Regione Toscana nel delineare la nozione di sostituzione edilizia di cui all’art. 134 lett. l), L.R. n. 65/2014.

Tanto premesso, si nota che l’art. 3 del Testo Unico configura la nuova costruzione come categoria residuale, comprendendovi tutti gli interventi “di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti”.
La sua caratteristica fondamentale, comunque, è quella di costituire un organismo edilizio nuovo che determini un non trascurabile aumento del carico urbanistico.
La nozione di ristrutturazione edilizia, invece, sempre riferendosi al Testo Unico nazionale e tenendo presente che essa ha visto un progressivo allargamento grazie alle riforme intervenute negli ultimi anni, presenta come tratto distintivo il fatto che i lavori vanno ad intervenire -anche in modo radicale- su un fabbricato esistente, di cui sono note le caratteristiche e la consistenza (tale condizione, peraltro, è imprescindibile quando si intenda effettuare il ripristino di edifici, o di parti di essi, crollati o demoliti).

Tale carattere fondamentale si ritrova anche nella nozione di “sostituzione edilizia” elaborata dalla legislazione regionale della Toscana, che consiste appunto nella demolizione e ricostruzione di edifici esistenti, eseguita anche con contestuale incremento di volumetria complessiva, diversa dalla “ristrutturazione edilizia ricostruttiva” prevista dalla lettera h) dello stesso articolo 134. Tali interventi, inoltre, non devono determinare la “modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale e non rendono necessari interventi, se non di adeguamento delle opere di urbanizzazione. Essi possono comportare una diversa collocazione dell'edificio ricostruito rispetto a quello preesistente”.
Si conferma, quindi, quanto già scritto nel precedente parere, circa la possibilità di ricondurre i lavori, ai fini dell’accesso al cosiddetto “superbonus”, alla categoria generale della ristrutturazione edilizia disciplinata dal Testo Unico.

Per quanto riguarda, inoltre, il testo proposto nel quesito, sarebbe opportuno inserire le modifiche formali che seguono, utili a inquadrare in modo più preciso il caso:
L’intervento prevede la demolizione di un edificio esistente catastalmente classificato come C2 e ricadente in zona agricola, con contestuale ricostruzione di edificio residenziale, nel territorio della Regione Toscana.
Quanto alla consistenza dell’intervento e alle sue caratteristiche, il progetto prevede il mantenimento della volumetria originaria, ma la modifica di sagoma, prospetti, sedime, caratteristiche tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilità, per l'istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico, comunque riconducibile alla sostituzione edilizia disciplinata dall’art. 134, comma 1, lettera l), L.R. Toscana n. 65/2014.
Tali connotati, in ogni caso, se riportati alla legislazione nazionale, collocano i lavori nell’ambito della ristrutturazione edilizia come definita dall’art. 3, comma 1 lett.d), T.U. Edilizia, posto che l’intervento è volto alla ricostruzione di un edificio legittimamente esistente con diversa collocazione in conformità all’art. 10 comma 1 lett. b) n. 2 del d.l. n. 76/2020 convertito con l. n.120/2020, nel caso specifico necessaria in ragione della particolare conformazione del terreno e della pericolosità idrogeologica.

M. P. chiede
sabato 09/07/2022 - Toscana
“Buongiorno, sono un Geometra e Vi scrivo da XXX: il problema che sto affrontando in questi giorni è il seguente: il comma 5 bis dell’art. 28 della L. 34 del 27/04/2022 è andato a modificare (e ad ampliare) il concetto espresso all’articolo 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 380/2001, nonché a modificare l’articolo 10, comma 1, lettera c), dello stesso D.P.R.: in sostanza, la nuova "ampliata" definizione del concetto di "ristrutturazione edilizia" permette ad un mio cliente di demolire una vecchia capanna posta nel giardino della sua casa (in zona vincolata ai sensi dell'art. 142 del Codice del Paesaggio), e di ricostruirla con le agevolazioni fiscali del sismabonus.
Il nostro comune rifiuta la mia SCIA (alternativa al Permesso di Costruire - da noi prevista ai sensi dell'art. 134 della L.R. n. 65/2014) in quanto ci risponde che fa fede la disciplina urbanistica vigente al momento di approvazione del Piano Operativo (lo strumento di Pianificazione Comunale) ossia vigente al settembre 2021, e nessuna legge sovraordinata o successiva ha rilevanza (per loro).
La legge dello Stato, sovraordinata e successiva a quelle del Comune e della Regione, in assenza di normative di aggiornamento da parte della Regione che esercita il potere legislativo in materia Urbanistica, ha valore? Oppure, come mi asserisce il Direttore del nostro Servizio Edilizia, non ha alcun valore?
Vi ringrazio...

Consulenza legale i 27/07/2022
In primo luogo, è necessario considerare le caratteristiche e i limiti della disciplina urbanistica dell’area, come emergenti dalle norme di piano inviate a corredo del quesito approvate il 30 settembre 2021.
L’immobile è inserito in zona TR.A8 “Versanti agricoli terrazzati”, con la specificazione che tale sistema territoriale costituisce una specificità locale ed una testimonianza materiale della cultura rurale, da tutelare integralmente nei suoi elementi costitutivi: materiali e tecniche costruttive, tipologie colturali, regimazione delle acque e difesa del suolo.
La finalità di tale disciplina è quella di garantire il mantenimento ed il recupero degli elementi costitutivi del tessuto agricolo, con vari limiti quanto agli interventi ammessi e alle loro caratteristiche.
In particolare, è possibile eseguire quella che viene chiamata “ristrutturazione edilizia ricostruttiva”; vi sono, inoltre, specifiche soglie oltre le quali non sono consentiti incrementi volumetrici, mentre è del tutto vietata la costruzione di nuovi edifici ad uso abitativo.

Quanto alle definizioni degli interventi edilizi, invece, si ricorda che la normativa nazionale stabilisce la classificazione delle categorie generali di interventi edilizi, lasciando comunque spazio a eventuali specificazioni da parte della legislazione regionale.
La Toscana ha colto questa occasione, definendo i concetti di ristrutturazione edilizia ricostruttiva e sostituzione edilizia, che si distinguono in sintesi con riguardo alla “fedeltà” dell’immobile risultante dall’intervento edilizio con quello pre-esistente.
Tali qualificazioni hanno subito nel tempo varie modificazioni sia a livello regionale e sia a livello nazionale, alcune di queste successive all’approvazione dello strumento urbanistico sopra richiamato.
Di qui le problematiche relative al coordinamento delle varie fonti normative, che però vengono risolte dall’art. 3, comma 2, primo periodo, T.U. Edilizia, ai sensi del quale “le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi”.
In proposito, la giurisprudenza ha chiarito che l'art. 3 ultimo comma, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, nella parte in cui afferma che le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi, va interpretato nel senso che la normativa urbanistica comunale non può dare agli interventi una classificazione diversa da quella ivi stabilita, né traslare i medesimi dall'una all'altra tipologia, e non anche che, in sede di piani esecutivi, non può definire le modalità quali-quantitative degli interventi, e quindi anche limitare, ad esempio, il numero di piani realizzabili, tanto più quando l'intervento s'inserisce in un piano inteso al risanamento di un contesto urbano secondo linee filologiche di recupero dei caratteri storico-architettonici, e quindi anche al fine di ripristinare un armonico sviluppo di una schiera edilizia (Consiglio di Stato, sez. IV, 21 ottobre 2014, n. 5187).
Nel nostro caso, dunque, pare che gli interventi edilizi oggi rientranti nella nozione di “ristrutturazione ricostruttiva” possano essere eseguiti nella zona in discorso, nel rispetto dei limiti quantitativi e qualitativi previsti dal Piano Operativo.

Alberto R. chiede
sabato 23/01/2021 - Veneto
“Buonasera,
Sto realizzando un fabbricato dopo aver demolito il preesistente, una villetta del 1964 composta da due unità abitative funzionalmente indipendenti con due ingressi carrai autonomi. Il nuovo fabbricato avrà la stessa cubatura del precede, il richiamo marcato alle stesse linee architettoniche ( espressamente volute dalla sovraintendenza ) ma un piano in più ed un sedime traslato di circa 5 mt.
Il poco volume in più è solo quello concesso in forma premiale in quanto previsto dal "piano casa ".
Tengo a precisare che tutte le costruzioni anche di recente ristrutturazione nel raggio di almeno un Km hanno almeno tre piani fuori terra come questa che sto realizzando, cioè, si inserisce e si adegua alle altre costruzioni perfettamente.
La zona è la penisola di Sirmione sul lago di Garda, non nel centro storico (zona A) ma a circa metà penisola (zona B), sottoposta a vincolo paesaggistico.
La costruzione sarà necessariamente antisismica ( zona sismica 2 ) e la classe energetica sarà A.
l'inizio della pratica edilizia risale al Luglio 2016. (persa quindi la possibilità di accedere al sismabonus ), avuta l'autorizzazione sismica ed il PERMESSO DI COSTRUIRE.
I lavori sono iniziati a fine 2019 e ad oggi tutta la struttura al grezzo è completata.
Nel permesso di costruire ed in tutti gli atti ( progetto, fatture ecc. ) l'operazione è classificata: NUOVO FABBRICATO PLURIFAMILIARE PREVIA DEMOLIZIONE DELL'ESISTENTE.
Mi è sempre stato detto che comunque il mio caso è di una RISTRUTTURAZIONE EDILIZIA, dimostrata anche dal fatto che gli oneri sarebbero stati di importo superiore
perchè in parte già considerati dal fabbricato preesistente e che la dicitura di Nuovo Fabbricato è una libertà descrittiva del funzionario del comune.
A questo punto, dopo aver studiato tutte le direttive ed in particolare l'art. 3 del testo Unico per l'edilizia mi sorge il dubbio che non sia una licenza poetica del funzionario,
ma che l'edificio sia proprio considerato come un NUOVO FABBRICATO, il che escluderebbe la possibilità di accedere ad un qualsiasi incentivo fiscale.
Ho letto con attenzione la nuova modifica alla definizione di "Ristutturazione Edilizia", ma non sono sicuro di aver capito bene. il pezzo successivo è un copia incolla dell'articolo sopra citato che però mi sembra in contraddizione con letture successive in merito allo stesso argomento.
In ogni caso, per le zone A e quelle ad esse assimilabili sono fatte salve le previsioni legislative regionali e degli strumenti urbanistici generali ed attuativi, che consentano interventi di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione anche con limiti meno stringenti di quelli individuati dall’articolo in commento.

Gradirei un suo commento e se possibile un chiarimento in merito alla classificazione dell'intervento descritto.

Chiedo inoltre se l’AUTORIZZAZIONE SISMICA non sia un documento quantomeno più “completo” ed esaustivo nell’asseverare l’intervento edilizio in corso dal punto di vista di miglioramento sismico dato che si è in zona sismica 2.
L’ingegnere responsabile del progetto statico, non ha presentato il richiesto modello B adducendo al fatto che l’inizio della pratica è stata presentata nel luglio 2016. In realtà è solo iniziato l’iter che è durato molti mesi e che i lavori sono iniziati solo nel 2019 .
Allego una circolare che dice chiaramente che L’asseverazione dello stato di fatto doveva essere consegnata contestualmente all’inizio della pratica edilizia ma “comunque entro l’inizio dei lavori “
Questo ai fini del “sisma bonus” .
Non potrò accedervi pur avendo realizzato una struttura totalmente antisismica .
Chiedo se non ci sia la possibilità di fare un ricorso ?”
Consulenza legale i 29/01/2021
Va preliminarmente chiarito che l’intervento in questione è stato autorizzato presumibilmente nel corso del 2019, o, comunque, prima che intervenissero le ultime modifiche al T.U. Edilizia introdotte dal D.L. n. 76/2020, convertito in L. n. 120/2020.
Pertanto, tali novità normative sostanzialmente non interessano le opere oggetto del quesito, che sono state già autorizzate dal Comune alla luce della disciplina vigente al momento del rilascio del permesso di costruire in ossequio al principio tempus regit actum.
Inoltre, il Comune non può oggi mettere in discussione il titolo abilitativo già rilasciato facendo leva sulla circostanza che sia recentemente cambiata rispetto al passato la definizione di ristrutturazione edilizia (anche se, a quanto si legge nel quesito, la P.A. nel caso specifico non ha mosso alcuna contestazione).
Si precisa poi che, al fine di comprendere in quale categoria (tra nuova costruzione e ristrutturazione edilizia) vadano inquadrati i lavori, si deve confrontare quanto progettato e autorizzato con la classificazione degli interventi edilizi prevista dalla normativa ratione temporis applicabile, indipendentemente da eventuali “licenze poetiche” del funzionario Comunale.

Tanto chiarito, per quanto qui ci occupa il vecchio testo dell’art. 3, T.U. Edilizia comprendeva nella definizione di ristrutturazione edilizia gli interventi di demolizione e ricostruzione nei quali fosse prevista per il nuovo edificio la conservazione della stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica.
Anche secondo la giurisprudenza appartengono alla ristrutturazione edilizia gli interventi consistenti nella demolizione e ricostruzione parziale o totale di un edificio nel rispetto della volumetria preesistente, eccezion fatta per le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica (T.A.R. Milano, sez. II, 20 luglio 2018, n. 1776).
Al contrario, la demolizione e la realizzazione di un fabbricato con volumetria eccedente quella l'originaria determina la realizzazione di una nuova costruzione (T.A.R. Firenze, sez. III, 08 luglio 2019, n. 1033).
Per gli immobili vincolati -come quello di specie- ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio, era inoltre imposto anche l’ulteriore limite del rispetto della medesima sagoma dell'edificio preesistente.

Sulla base di quanto esposto nel quesito (lo scrivente, infatti, non è in possesso il permesso di costruire), sembra dunque che i lavori in questione non possano essere qualificati come ristrutturazione, bensì come nuova costruzione, in quanto l’aumento volumetrico non pare finalizzato ad adeguare l’edificio alla normativa antisismica e non sembra essere stata mantenuta nemmeno la sagoma del fabbricato originario.
Per quanto riguarda il commento alla definizione di ristrutturazione edilizia riportato nella richiesta di parere, si sottolinea che esso si riferisce alla nuova e più recente definizione normativa e che l’inciso “fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici” non è un’aggiunta fatta dall’interprete, ma è contenuto nel testo della norma.
Tale specificazione, comunque, si riferisce alle zone a ed a quelle ad esse assimilabili, mentre l’immobile oggetto del quesito pare rientrare a pieno titolo tra quelli vincolati ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Per quanto riguarda l’applicabilità del cosiddetto “sisma bonus” previsto dall’art. 16, comma 1 bis, L. n. 232/2016, si rileva che esso è previsto per gli interventi di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente le cui procedure autorizzatorie sono iniziate dopo il 01.01.2017.
L’Agenzia delle Entrate nelle risposte agli interpelli rivolti dai contribuenti ha sempre mantenuto costante il proprio orientamento, escludendo che tale particolare agevolazione fiscale possa essere applicata agli interventi che abbiano iniziato il proprio iter procedimentale prima del 2017, anche se il titolo edilizio sia stato rilasciato dopo tale data (Agenzia delle Entrate, risposta 25 ottobre 2019, n. 431 e 11 gennaio 2021 n. 36).
L’unica eccezione riguarda il caso in cui gli interventi finalizzati alla riduzione del rischio sismico non fossero previsti nel progetto originario, ma che siano stati aggiunti solo in seguito e abbiano seguito un successivo ed autonomo procedimento iniziato dopo il 1 gennaio 2017 (Agenzia delle Entrate, risposta 11 gennaio 2021 n. 36).
Nel nostro caso, quindi, le indicazioni dell’Ingegnere incaricato erano corrette anche alla luce dell’interpretazione costante dell’Agenzia delle Entrate.
Sennonché, con l’ultima legge di bilancio del 30.12.2020 (L. n. 178/2020) il suddetto articolo 16, comma 1 bis, è stato in parte rimaneggiato nella parte relativa ai requisiti temporali di applicazione del bonus, che oggi recita “le cui procedure autorizzatorie sono iniziate dopo la data di entrata in vigore della presente disposizione ovvero per i quali sia stato rilasciato il titolo edilizio”.
Tale modifica, secondo le prime e –per ovvi motivi- sommarie interpretazioni, costituirebbe un’apertura all’accesso al beneficio fiscale anche per tutte le situazioni in cui il procedimento finalizzato al rilascio del titolo edilizio sia iniziato prima del 01.01.2017, ma si sia concluso dopo tale data.
Tuttavia, si nota che, come sopra accennato, l’agevolazione in parola è accordata soltanto per gli interventi di cui all’articolo 16 bis, comma 1, lettera i), T.U.I.R., ossia i lavori finalizzati all’adozione di misure antisismiche con particolare riguardo all'esecuzione di opere per la messa in sicurezza statica del patrimonio edilizio esistente.
Pertanto, sembra che gli interventi di demolizione e ricostruzione possano essere considerati, ai fini che qui ci occupano, soltanto se siano qualificabili come ristrutturazione edilizia e non come nuova costruzione, posto che a rigore solo la prima interessa il patrimonio edilizio esistente.
Nella fattispecie, inoltre, non viene in aiuto nemmeno la nuova definizione di ristrutturazione introdotta con il decreto semplificazioni del 2020, che ha decisamente ampliato l’ambito di applicazione relativo a tale intervento edilizio ma solo per gli immobili non soggetti a vincoli ai sensi del Codice del paesaggio.
In tale ultimo caso, infatti, affinché la demolizione e ricostruzione venga ricompresa nella ristrutturazione edilizia e non nella nuova costruzione, è necessario il mantenimento di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria.
Nel nostro caso tali requisiti paiono non ricorrere, con la conseguenza che non sembra allo stato possibile ottenere il beneficio fiscale in discorso.
In ogni caso, viste le importanti riforme che hanno interessato sia la normativa sul “sisma bonus”, sia le definizioni degli interventi edilizi, al fine di fugare ogni dubbio potrebbe essere opportuno chiedere un ulteriore chiarimento anche alla Agenzia delle Entrate mediante la procedura di interpello.

Alessandro R. chiede
domenica 03/01/2021 - Trentino-Alto Adige
“Buongiorno. Devo effettuare una ristrutturazione di un edificio che sfocia nella fascia di rispetto della ferrovia per 3 metri sui 30 previsti. L'intervento iniziale prevedeva un aumento di volume in altezza (senza avvicinamento ai binari) e ho dovuto aprire una richiesta di nulla osta a RFI in cui mi hanno chiesto 3 perizie e 400 euro di pratica. Mi hanno risposto dopo 12 mesi (con danno dovuto alla attesa) chiedendomi una servitù perpetua sulla casa con clausole inammissibili e spese notarili a carico mio.
Ho deciso di rivedere il progetto e di mantenere il volume effettua do solo coibentazione, rifacimento tetto e realizzazione serramenti e poggiolo che non va oltre la linea del tetto per prevenire avvicinamenti). Mi attendo che anche in questo caso voglia o altri soldi e di dover attendere un altro anno.
Ho visto che il DL semplificazioni n.76 16/07/2020 articolo 10 prevede alcune agevolazioni e tolleranze sulle distanze, se ho capito bene prevede anche aumenti di volume in altezza. Volevo sapere se posso fare leva su questo per avviare i lavori senza rimanere bloccato da RFI o dover cedere alla servitù solamente per una ristrutturazione conservativa. Potete farmi chiarezza?
Quanto mi chiedereste per farmi una consulenza legale per sbloccare la situazione quanto prima, sono fermo da 15 mesi e la cosa mi sta creando problemi. Posso chiedere un risarcimento per i tempi eccessivi di risposta? In caso potremmo concordare una percentuale sul risarcimento.
Grazie”
Consulenza legale i 13/01/2021
In primo luogo, è opportuno fornire alcune precisazioni in merito al contenuto ed alla portata delle novità apportate al T.U. Edilizia da parte del D.L. n 76/2020, convertito in L. n. 120/2020, in tema di ristrutturazione e di tolleranze costruttive.

La nozione di ristrutturazione è stata rivista ed ampliata con particolare riferimento agli interventi di demolizione e ricostruzione, che possono oggi comportare -senza “sconfinare” nella nuova costruzione- anche la modifica rispetto al fabbricato pre-esistente di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, nonché le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico (art. 3 T.U. Edilizia).
Si nota che tale nuova nozione di ristrutturazione, tuttavia, non vale per gli edifici vincolati ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio e per quelli compresi nelle zone A e assimilate, per i quali invece il Decreto semplificazioni ha rafforzato le tutele.

Sono state poi portate alcune importanti innovazioni relative agli aumenti di volumetria, che sono oggi ammessi non solo per l’adeguamento alla normativa antisismica, ma anche per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico, superando i precedenti indirizzi giurisprudenziali che escludevano tali interventi dalla nozione di ristrutturazione (Circolare congiunta del Mit e del Ministero della Funzione Pubblica del 02.12.2020).

Inoltre, la novella fa salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici che contemplino la possibilità di incrementi volumetrici per finalità di “rigenerazione urbana”, da intendersi come riferita a qualunque tipologia di interventi edilizi che, senza prevedere nuove edificazioni, siano intesi al recupero e alla riqualificazione di aree urbane e/o immobili in condizioni di dismissione o degrado (Circolare congiunta del Mit e del Ministero della Funzione Pubblica del 02.12.2020).

Altre novità riguardano l’ipotesi di demolizione e ricostruzione di edifici preesistenti ubicati rispetto ad altri immobili in posizione tale da non rispettare le norme in materia di distanze (art. 2 bis T.U. Edilizia).
In tal caso l’intervento è comunque ammesso anche qualora non sia possibile la modifica dell’originaria area di sedime, a condizione che l’edificio pre-esistente sia stato legittimamente realizzato.
È possibile, inoltre, sfruttare gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento, anche fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito, purché sia sempre rispettata la distanza preesistente.
La disposizione si riferisce ad esempio agli incentivi attribuiti in forza di norme di “piano casa” ovvero aventi natura premiale per interventi di riqualificazione (Circolare congiunta del Mit e del Ministero della Funzione Pubblica del 02.12.2020).

Tanto chiarito, si nota che la riforma apportata con il Decreto semplificazioni riguarda soprattutto gli interventi di demolizione e ricostruzione e non pare quindi rilevare nel caso di specie, dato che i lavori oggetto del quesito prevedevano inizialmente la sopralevazione e nell’attuale progetto la coibentazione dell’edificio, il rifacimento del tetto e la realizzazione di serramenti e di un poggiolo.
Le stesse considerazioni valgono per la nuova definizione delle tolleranze costruttive (art. 34 bis T.U. Edilizia), ossia delle lievi difformità tra il progetto approvato e l’organismo edilizio in concreto realizzato.
Inoltre, nel nostro caso ciò che rileva non è la possibilità o meno di ricomprendere i lavori nella nozione di ristrutturazione edilizia, quanto piuttosto se sussista la necessità di ottenere da RFI l’autorizzazione concernente la presenza di una fascia di rispetto dalla linea ferroviaria.

Al riguardo, si precisa che l’art. 49, D.P.R. n. 753/1980, pone un vincolo di inedificabilità relativa, sancendo il divieto di costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie lungo i tracciati delle linee ferroviarie ad una distanza, da misurarsi in proiezione orizzontale, minore di metri trenta dal limite della zona di occupazione della più vicina rotaia.
Secondo la giurisprudenza, il detto art. 49 è applicabile non solo all'erezione di un manufatto nuovo, ma anche alle modifiche a manufatti esistenti che limitano la visuale (T.A.R. Venezia, sez. III, 08 marzo 2012, n. 333).
La norma è posta a tutela della sicurezza e dell'incolumità pubblica e si applica a manufatti di qualsiasi specie, senza distinzione tra il carattere privato o pubblico delle strutture e senza attribuire rilevanza alcuna, alla destinazione a servizio pubblico dell'opera da realizzarsi (T.A.R. Milano, sez. II, 13 ottobre 2015, n. 2157).
È consentita, comunque, una deroga a tale divieto quando la sicurezza pubblica, la conservazione delle ferrovie, la natura dei terreni e le particolari circostanze locali lo consentano, previa autorizzazione ai sensi dell’art. 60, D.P.R. n. 753/1980.

Nel caso specifico, si rileva che il nuovo progetto, pur non prevedendo più alcun ampliamento del fabbricato, va comunque ad incidere sull’esterno dell’edificio e, pertanto, pare sconsigliabile procedere senza interpellare l’Autorità preposta al vincolo.
È possibile, comunque, che, vista la ridotta entità dell’intervento, vengano richiesti adempimenti meno gravosi rispetto all’accettazione della servitù imposta in precedenza.
Dalla documentazione inviata a corredo del quesito si apprende che RFI ha già indicato la procedura da seguire, che –stando a quanto assicurato dal funzionario responsabile- dovrebbe avere tempi più brevi rispetto all’iter.
In questa fase, dunque, pare opportuno seguire le istruzioni ricevute, con la possibilità, qualora il procedimento si prolunghi eccessivamente, di avvalersi del rimedio del ricorso avverso il silenzio di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a..
Tale azione, infatti, è specificamente prevista al fine di costringere la pubblica amministrazione a concludere i procedimenti di sua competenza con l’emanazione di un provvedimento espresso, con la possibilità eventualmente anche di chiedere il risarcimento danni ai sensi dell’art. art. 2 bis della legge sul proc. amministrativo, L. n. 241/1990.


Gaetano S. chiede
lunedì 05/10/2020 - Lazio
“Buonasera,

Sto pensando di far installare sul mio balcone delle vetrate panoramiche, per poter fruire del balcone anche d'inverno. Il balcone è aperto (esposto all'aria) frontalmente e sul lato destro. L'intenzione è di impiegare le vetrate su parte del lato frontale ed a destra, collegando poi il lato frontale alla facciata dell'appartamento sempre con vetrate panoramiche. In questo modo una parte del balcone resterebbe sempre così com'è, non chiusa (neanche temporaneamente) da vetrate panoramiche.

Ho letto che sono completamente apribili e smontabili. L'intenzione è di utilizzarle solo nel periodo freddo, come effettiva protezione dal vento ed altri agenti atmosferici. Lo spazio chiuso che si verrebbe a creare avrebbe carattere unicamente temporaneo, per l'inverno.

Sono interessato a capire come mi devo muovere per le autorizzazioni necessarie.
Che genere di documento deve essere presentato al comune? Oppure questa casistica descritta può rientrare nella categoria di edilizia libera, magari come pergotenda?

Per ciò che riguarda il condominio, non è specificato nulla al riguardo nel regolamento condominiale.”
Consulenza legale i 09/10/2020
Il quesito non è di immediata soluzione, posto che per il tipo di opere in oggetto non è agevole individuare il limite entro il quale esse possano essere fatte rientrare nell’edilizia libera, considerato anche che non sono note allo scrivente le specifiche disposizioni del regolamento edilizio comunale.
Si cercherà, comunque, di arrivare a una risposta sulla base delle norme di riferimento applicabili e dei principi elaborati dalla giurisprudenza in casi analoghi, tenendo però conto che le sentenze –per ovvi motivi- non riescono a tenere il passo nella classificazione di tutte le nuove soluzioni costruttive disponibili sul mercato.

Nella fattispecie potrebbe astrattamente venire in rilievo la categoria di cui all’art. 3, c. 1, lettera e quinquies, T.U. Edilizia, degli “elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici”.
In particolare, secondo il glossario contenente l'elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera predisposto con D.M. 02 marzo 2018, tale tipologia di opere comprende: “tenda, tenda a pergola, pergotenda, copertura leggera di arredo” e “elemento divisorio verticale non in muratura, anche di tipo ornamentale e similare”.
Per quanto qui interessa, vengono qualificati "pergotenda" i manufatti la cui opera principale sia costituita non dalla struttura in sé, ma dalla tenda, quale elemento di protezione dal sole o dagli agenti atmosferici, con la conseguenza che la struttura deve qualificarsi in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all'estensione della tenda; non è invece configurabile una pergotenda se la struttura principale è solida e permanente e, soprattutto, tale da determinare una evidente variazione di sagoma e prospetto dell'edificio (Consiglio di Stato , sez. IV , 01 luglio 2019 , n. 4472; Consiglio di Stato, sez. VI, 27 aprile 2016, n. 1619, che riguardava due pergotende, una in plastica e alluminio e una in vetro e alluminio, giudicate rispettivamente come non abusiva e abusiva).

Bisogna, inoltre, considerare che i pannelli in vetro avrebbero la funzione di chiudere un balcone esistente e che, in materia urbanistica, il presupposto per l'esistenza di un volume edilizio è costituito dalla costruzione di almeno un piano di base e di due superfici verticali contigue (T.A.R. Lecce, sez. I, 26 gennaio 2018, n. 107; T.A.R. Pescara, sez. I, 01 luglio 2015, n. 276).
Secondo la giurisprudenza, la chiusura totale o parziale di un elemento edilizio aperto verso l'esterno, quale un terrazzo, un balcone o un portico, dà luogo a un elemento diverso, la veranda, che comporta una trasformazione in termini di volume, superficie e sagoma dell'edificio cui appartiene, la cui realizzazione è soggetta a permesso di costruire (Consiglio di Stato, sez. II, 12 febbraio 2020, n. 1092; Consiglio di Stato sez. VI, 04 ottobre 2019, n. 6720).
Quanto sopra viene affermato indipendentemente dai materiali utilizzati e anche quando le strutture siano completamente richiudibili, come ad esempio i pannelli in vetro e alluminio richiudibili a “pacchetto” (Consiglio di Stato, sez. VI, 9 ottobre 2018, n. 5801; TAR Roma, sez. II bis, 23 gennaio 2020, n. 911; T.A.R. Firenze, sez. III, 11 gennaio 2019, n. 64; T.A.R. Napoli, sez. IV, 22 maggio 2017, n. 2714; T.A.R. Napoli, sez. IV, 15 gennaio 2015, n. 259).

Infatti, secondo il “Regolamento edilizio tipo” (recepito da parte della Regione Lazio con D.G.R. 19 maggio 2017 n. 243), la veranda è stata definita come "Locale o spazio coperto avente le caratteristiche di loggiato, balcone, terrazza o portico, chiuso sui lati da superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili".
Il fatto che si tratti di una struttura amovibile, quindi, non è sufficiente di per sé a classificare un opera come precaria, in quanto il carattere precario di un manufatto deve essere valutato avendo riguardo all'uso cui lo stesso è destinato, nel senso che, se le opere sono dirette al soddisfacimento di esigenze stabili e permanenti, deve escludersi la natura precaria dell'opera, a prescindere dai materiali utilizzati e dalla tecnica costruttiva applicata (Consiglio di Stato, sez. II, 19 marzo 2020, n. 1951).

Due sentenze molto recenti sono da segnalare, in quanto si occupano di casi molto simili a quello di specie.
La prima è una sentenza del TAR Palermo, secondo cui perché la chiusura di verande o/e balconi con strutture precarie non necessiti del permesso di costruire, è indispensabile che a seguito dei lavori lo spazio che viene chiuso mantenga lo stesso tipo di utilizzo e non sia trasformato in parte aggiuntiva dell'appartamento a cui accede (T.A.R. Palermo, sez. II, 30 giugno 2020, n. 1321).
Tale decisione, però, si riferisce a disposizioni di una legge regionale di una Regione a statuto speciale e, quindi, potrebbe dare vita a un orientamento “locale” non immediatamente applicabile in via generale.
La seconda è una sentenza del TAR Torino relativa alla chiusura di due balconi con pannelli in plexiglass non accostati tra loro e scorrevoli su guide e senza montanti laterali.
Il Tribunale non ha preso posizione sull’assentibilità o meno dell’opera, ma ha annullato l’ordine di demolizione emesso dal Comune in quanto non era stata verificata la presenza di strutture portanti, ancorché leggere, inamovibili (T.A.R. Torino, sez. II, 07 gennaio 2020, n. 18).
Da tutto quanto sopra, si può concludere che, per qualificare l’opera all’interno dell’edilizia libera, non sia sufficiente constatare che si tratta di vetrate amovibili, ma è necessario che non vi siano strutture di supporto solide e permanenti, perché in tal caso si realizzerebbe una chiusura del balcone idonea a conferire a tale locale la qualità di vero e proprio “volume”.
Secondo quanto affermato nel quesito sembra che non sia prevista l’installazione di infissi e, quindi, tali vetrate parrebbero per questa ragione rientrare nell’edilizia libera.
Tuttavia, si rileva che si tratta di un materiale (vetro), che per sua natura è “solido” e che non sono previsti spazi tra l’una e l’altra vetrata e questo espone, comunque, al rischio di vedersi sollevare contestazioni da parte del Comune.
È indispensabile, quindi, verificare le specifiche previsioni del regolamento edilizio comunale, che potrebbero essere fondamentali per dare un orientamento decisivo per inquadrare la questione.


Gabriele P. chiede
giovedì 22/11/2018 - Abruzzo
“Due fabbricati, in luogo scosceso, corrispondenti ad altrettante Unità Immobiliari Urbane, sono di epoca remota, in parte adiacenti, a contatto, indipendenti, ciascuno unifamiliare, con un proprio accesso.
Le loro origini sono avvenute in tempi diversi. La loro disposizione geometricamente é ad elle maiuscola “L”. L’asse longitudinale del secondo, è perpendicolare a quello longitudinale del primo, con due pareti esterne in continuità, di entrambi, corrispondenti al segmento maggiore della “L”. Ad essi si aggiunge un manufatto, corpo annesso.
Sono stati oggetto di CONCESSIONE EDILIZIA per RISTRUTTURAZIONE – AMPLIAMENTO.
I rilevanti lavori, interventi edilizi, sono consistiti nella DEMOLIZIONE ABUSIVA, seguita dalla CONCESSIONE in SANATORIA, PALIFICAZIONE E MICROPALIFICAZIONE, IMPONENTI SCAVI di SBANCAMENTO, sino al di sotto della quota del piano stradale, VARIANTE e realizzazione di Cinque piani fuori terra, triplicando quello iniziale di entrambi, ed uno interrato.
Le 21 Unità Immobiliari Urbane formatesi, sono censite nelle Categorie, per abitazioni di tipo civile, uffici e studi privati, rimesse autorimesse, negozi e botteghe, magazzini e locali di deposito, insistenti su un nuovo fondo, lotto libero, generatosi.
Dei due corpi di fabbrica originari, remoti, sono stati lasciati, in piedi, in tutto tre pareti esterne nude, rasate, di cui due sono in continuità, ed una di queste ultime è vicina al fabbricato del sottoscritto, da cui é separata da una piccola intercapedine, quest’ultima appartenente in proporzioni diverse a ciascuno dei confinanti.
Il sottoscritto, sulla base delle argomentazioni sopra riportate e della foto allegate alla presente lettera, chiede cortesemente a Codesta Spett/le Redazione le Sue Preg.me informazioni legali, per conoscere se l’intervento edilizio effettuato, abbia determinato i suoi effetti di Conservazione (Ristrutturazione) o Trasformazione (Nuova costruzione), del territorio.
Ne resta in attesa. Ringrazia e Distintamente saluta

Consulenza legale i 05/12/2018
Il parere che si è chiamati a formulare investe l’esatta individuazione e determinazione, almeno secondo il pensiero di questa Redazione, dei concetti di ristrutturazione e nuova costruzione.
Per fare ciò occorre indubbiamente iniziare dall’esame del dato normativo, e più precisamente dall’art. 3 del DPR 380/2001 (Testo unico edilizia), come modificato nel corso del tempo, il quale ci fornisce la definizione dei diversi tipi di interventi edilizi.
A parte le lettere a), b) e c) del primo comma, quelle che qui ci interessano sono le lettere d) ed e), relative rispettivamente agli “interventi di ristrutturazione edilizia” ed agli “interventi di nuova costruzione”.

Ristrutturazione edilizia: vengono definiti tali quegli interventi consistenti in un insieme sistematico di opere che possono portare alla trasformazione di un organismo edilizio in altro organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
La medesima lettera d) si preoccupa anche di individuare quali tipologie di opere debbano farsi rientrare nel concetto di ristrutturazione edilizia, qualificando come tali, ma con una elencazione che sicuramente non può ritenersi tassativa, i seguenti interventi:
  1. Ripristino o sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio
  2. Eliminazione, modifica o inserimento di nuovi elementi ed impianti
  3. Demolizione dell’intero organismo edilizio e successiva ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente.

Con specifico riferimento a quest’ultimo punto, il vincolo della volumetria sembra non sussistere nei seguenti casi:
3.a: se in fase di ricostruzione diviene necessario eseguire delle opere di adeguamento alla normativa antisismica, che escono fuori dalla volumetria originaria;
3.b: se si tratta di ripristinare, mediante ricostruzione, interi edifici o parti di essi già crollati (per i quali, dunque, non si poteva più parlare di volumetria), purchè sussista la possibilità sotto un profilo prettamente tecnico di accertarne la preesistente consistenza.
L’analisi testuale di questa lettera della norma ci porta ad una prima considerazione: è possibile far rientrare nel concetto di “ristrutturazione” anche la realizzazione di un organismo edilizio in tutto diverso per sagoma, forma e struttura da quello preesistente, ma con un vincolo ben preciso, ossia che l’organismo ricostruito abbia nel suo insieme la stessa volumetria del precedente.
Prova ne è il fatto che sotto la voce “ristrutturazione” si possono far rientrare anche le ricostruzioni di fabbricati interamente demoliti o crollati (c.d. ruderi), purchè si riesca a dar prova di quale fosse la loro preesistente consistenza, indubbiamente in vista sempre del fine ultimo della norma, che è quello del rispetto della volumetria originaria.

Nuova costruzione: di questa tipologia di attività si occupa, come prima accennato, la lettera e) del comma 1 dell’art. 3 T.U., classificando come tali tutte quelle opere residuali (cioè non ricadenti nelle precedenti definizioni) che abbiano come effetto quello della trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio.
Si ritiene che sia quest’ultimo il concetto fondamentale da prendere a riferimento per poter parlare di nuova costruzione, ossia che dagli interventi posti in essere ne consegua una modificazione dell’assetto urbanistico ed edilizio della porzione di territorio interessata.
In particolare, può dirsi che si è in presenza di una trasformazione urbanistica tutte le volte in cui vengono realizzate delle opere che trasformano in modo permanente il suolo modificando le caratteristiche agronomiche del terreno, per aumentarne la portanza e lo sgrondo delle acque (massicciate, impermeabilizzazioni, ecc.), mentre si assiste a trasformazione edilizia del territorio ogni qualvolta vengono poste in essere addizioni volumetriche agli edifici esistenti, con conseguente modificazione della originaria superficie fondiaria.
Solo per inciso va precisato che altra cosa ancora sono gli interventi di ristrutturazione urbanistica, ossia tutte quelle opere con le quali si mira a sostituire l’esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, che possono anche comportare la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale.

Alla definizione per così dire generica del concetto di “interventi di nuova costruzione”, il legislatore ha poi voluto aggiungere delle ulteriori specificazioni, precisando (almeno per quello che qui ci interessa) che in ogni caso deve qualificarsi come nuova costruzione “l’ampliamento dei manufatti edilizi esistenti all’esterno della sagoma esistente” (così si legge alla lettera e.1).

Ebbene, applicando i principi normativi sopra esposti alla fattispecie che ci riguarda, e alla luce in particolare delle rappresentazioni fotografiche fatte pervenire a questa Redazione giuridica, si ritiene che non possano sussistere dubbi sulla qualificazione di nuova costruzione del manufatto che è venuto fuori dalle opere di demolizione e ricostruzione del preesistente.
Il nuovo edificio, infatti, presenta una volumetria, tecnicamente accertabile, superiore all’edificio primitivo, ed inoltre, risultando il nuovo manufatto ampliato all’esterno della sagoma esistente e occupando così una superficie diversa da quella originaria, ha necessariamente comportato una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio interessato, almeno secondo la definizione che prima è stata data di tali concetti.

Quindi, seppure il legislatore abbia voluto eliminare il riferimento del rispetto della sagoma per gli interventi di demolizione e successiva ricostruzione, resta pur sempre quale limite indefettibile quello del rispetto della volumetria originaria.
Di ciò sembra esserne stata convinta anche la giurisprudenza meno recente, tra cui, oltre a quelle citate nel testo del quesito, si possono segnalare: Consiglio di Stato n. 4077/2015; Consiglio di Stato Sez. IV 12 maggio 2014 n. 2397; Consiglio di Stato Sez. IV 30,03,2013 n. 2972; Consiglio di Stato Sez. IV n. 5822 del 6 dicembre 2013 (scarso rilievo si ritiene che possa avere la circolare dell’Agenzia delle entrate citata, la quale può svolgere un certo peso sotto il profilo prettamente fiscale).
Dall’esame delle decisioni sopra richiamate si desume che, in linea generale, l’elemento che contraddistingue la ristrutturazione dalla nuova edificazione deve rinvenirsi nella già avvenuta trasformazione del territorio, mediante una edificazione di cui si conservi la struttura fisica ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita, ma in quest’ultimo caso con ricostruzione se non fedele, comunque rispettosa della volumetria e della sagoma della costruzione preesistente (ovviamente il limite della sagoma risulta ormai anacronistico).

Diverso, invece, è l’orientamento giurisprudenziale diffusosi ancora più di recente, da ultimo proprio con la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione IV n. 6278 del 07.11.2018.
In particolare, oltre a tale ultima sentenza, si ritiene interessante riportare anche l’orientamento espresso dal T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I n. 916 del 26.09.2018, la cui massima sembra deporre a favore della tesi della nuova costruzione, ma dal cui esame complessivo, invece, se ne deduce un pensiero diverso.
Si legge nella massima che, con riferimento all’ipotesi di ristrutturazione ricostruttiva, è richiesta oltre alla preesistenza certa del fabbricato identificabile nelle sue componenti strutturali, la c.d. demoricostruzione, identità di volumetria e di sagoma, in difetto di che si deve parlare di nuova costruzione, con conseguente applicabilità anche delle norme sulle distanze e la necessità della concessione edilizia.

Passando poi alla lettura integrale della sentenza, ci si accorge che il T.A.R., nel delineare le varie modifiche normative che hanno interessato nel corso del tempo il TU edilizia (ed in particolare l’art. 3), ha voluto distinguere due diversi tipi di ristrutturazione edilizia, ovvero:
  1. quella contemplata dalla prima parte dell’art. 3 comma 1 lettera d), definita intervento conservativo o risanamento conservativo o restauro conservativo, che può comportare anche l’inserimento di nuovi volumi o modifiche della sagoma
  2. quella che si definisce “intervento ricostruttivo”, attuata mediante demolizione e ricostruzione, ma che deve avvenire nel rispetto del volume e della sagoma dell’edificio preesistente.
Tale distinzione spiegherebbe la ragione per cui, nel caso di specie, sono stati mantenuti soltanto tre muri del vecchio edificio, ovvero per far sì che le opere poste in essere potessero qualificarsi come di intervento o restauro conservativo e non ricostruttivo, con possibilità di inserire “legittimamente” nuovi volumi o modifiche della sagoma.

Tutto ciò, a parere di chi scrive, si pone in contraddizione con quanto abbastanza chiaramente è stato espresso dallo stesso legislatore alla lettera e) del TU, sia laddove parla di trasformazione edilizia in generale, sia ancora più dettagliatamente alla lettera e.1), ove precisa che si ha comunque nuova costruzione in presenza dell’ampliamento di manufatti esistenti all’esterno della sagoma esistente.
Questo, tuttavia, resta un parere ed una opinione personale, che non può in alcun modo ignorare il più recente orientamento della giurisprudenza amministrativa sulla materia.

Infine, si vuole concludere citando una sentenza del TAR Lazio Roma Sez. II quater, n. 10729/2018 del 06.11.2018 (anch’essa recentissima), che sembra proprio avvalorare la tesi qui sostenuta della nuova costruzione, nella cui massima si legge:
Il criterio discretivo tra l’intervento di demolizione e ricostruzione e la nuova costruzione è costituito proprio, nel primo caso dall’assenza di variazioni del volume, dell’altezza e della sagoma dell’edificio, per cui, in assenza di tali indefettibili e precise condizioni si deve parlare di intervento equiparabile a nuova costruzione, da assoggettarsi alle regole proprie della corrispondente attività edilizia; in particolare si raccomanda di considerare con rigore i predetti criteri, specie a seguito dell’ampliamento della categoria della demolizione e ricostruzione operata dal D.lgs. n. 301 del 2002 dato che, proprio perché non vi è più il limite della fedele ricostruzione, si richiede la conservazione delle caratteristiche fondamentali dell’edificio preesistente, nel senso che debbono essere presenti gli elementi fondamentali, in particolare per i volumi, per cui la ristrutturazione edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova costruzione, deve conservare le caratteristiche fondamentali dell’edificio preesistente e la successiva ricostruzione dell’edificio deve riprodurre le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma, superfici e volumi” (nel caso di specie la ristrutturazione ha riguardato un palazzo sventrato di cui era rimasta in piedi solo una parete laterale, situazione per certi versi simile a quella che ci occupa).

A questo punto, si ritiene che una svolta definitiva alla questione potrebbe esser data soltanto da una interpretazione autentica della norma, nella speranza che si possa così definitivamente chiarire ciò che il legislatore ha realmente voluto esprimere con i concetti di “ristrutturazione” e “nuova costruzione”.

Luciano T. chiede
sabato 25/11/2017 - Sicilia
“Vorrei sapere se sussiste l'obbligo di destinare a parcheggio un'area del proprio fabbricato, nel caso in cui venga effettuata una demolizione e ricostruzione della stessa cubatura, mantenendo invariata la sagoma. L'edificio esistente è ubicato in zona B del P.R.G.”
Consulenza legale i 06/12/2017
Per rispondere al quesito da lei posto, occorre, innanzitutto, chiarire le nozioni di "intervento di ristrutturazione edilizia" e di "intervento di nuova costruzione", al fine di stabilire se, nel caso di specie, possa ritenersi o meno applicabile la legge n. 122 del 1989.

L'art. 3, lettera d) del D.P.R. n. 380/2001 (T.U. Edilizia), definisce "interventi di ristrutturazione edilizia" quegli interventi volti "trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente", compresi quelli "consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente" (fatte salve le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica e quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purchè sia possibile accertarne la preesistente consistenza).

Quanto, invece, alla nozione di "interventi di nuova costruzione", l'art. 3, lett. e) del D.P.R. n. 380/2001, stabilisce che essi siano rappresentati da quegli interventi di "trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti" (precisando, altresì, degli interventi che devono considerarsi, in ogni caso, di "nuova costruzione", ma che, ai fini che qui interessano, non è il caso di approfondire).

Ebbene, nel caso di specie, l'intervento da lei descritto (demolizione e costruzione della stessa cubatura, mantenendo invariata la sagoma), pare potersi pacificamente considerare "intervento di ristrutturazione edilizia" (salvo che l'intervento stesso non sia finalizzato all'adeguamento dell'edificio alla normativa antisismica etc.).

Di conseguenza, dovendosi l'intervento qualificare come "ristrutturazione edilizia", non si ritiene che trovi applicazione il vincolo di destinazione a parcheggio di cui alla legge n. 122 del 1989.

L'art. 2 di quest'ultima disposizione, infatti, stabilisce espressamente che solo nelle "nuove costruzioni" e nelle "aree di pertinenza" delle stesse, "debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione".

Alberto M. chiede
martedì 19/09/2017 - Marche
“Sto completando la ristrutturazione di un fabbricato urbano, ricavandone due unità immobiliari di cui una a destinazione abitativa e l'altra commerciale. Nelle more della ristrutturazione, ed in via informale, ho prospettato al Dirigente del servizio comunale competente il mio interesse a realizzare un terrazzo a tasca all'interno dell'unità immobiliare a destinazione abitativa, e ciò anche dopo aver preso atto che a 50 metri di distanza, nella stessa via, è stato autorizzato e realizzato pochi anni or sono un terrazzo a tasca nell'ambito di una ristrutturazione di un fabbricato a destinazione abitativa. Il Dirigente mi ha comunicato, nell'ambito dell'incontro informale di cui sopra, che qualora avessi inoltrato domanda di autorizzazione alla realizzazione del terrazzo a tasca detta domanda sarebbe stata rigettata in quanto i terrazzi a tasca non vengono più autorizzati dal Comune (e ciò indipendentemente dalle caratteristiche architettoniche e dalle misure, assolute e relative, del terrazzo). Precisato che il terrazzo a tasca autorizzato è stato realizzato in pendenza della stessa normativa urbanistica comunale ad oggi in vigore (e che quindi interessa la mia opera di ristrutturazione) e che il Piano Particolareggiato comunale non prevede divieti relativamente ai terrazzi di cui trattasi, domando se sia legittimo un eventuale rigetto tout court da parte del Comune di una mia eventuale domanda di autorizzazione alla realizzazione di un terrazzo a tasca.”
Consulenza legale i 26/09/2017
Prima di iniziare una qualsiasi attività edilizia è necessario conoscere a quale categoria appartiene il tipo di intervento che si vuole eseguire, poiché sussistono differenti regole ed obblighi a cui adempiere.
Intanto, ciò che deve essere tenuto presente è che per tutto l’iter volto all’ottenimento dei necessari titoli edilizi varranno le regole generali che riguardano il procedimento amministrativo, ossia le norme contenute nella Legge n. 241 del 1990.

Ciò posto, va a questo punto sinteticamente detto che, sotto il profilo della tipologia degli interventi, occorre distinguere tra:
  • Attività a edilizia libera, per la quale non è necessario alcun titolo abilitativo, permesso o comunicazione (salvo particolari disposizioni comunali);
  • Attività che necessita di semplice comunicazione di inizio lavori, la quale può anche essere inviata telematicamente per i Comuni che prevedono questa modalità;
  • Attività che necessita di SCIA o di permesso di costruire, nella quale vanno fatti rientrare tutti i lavori di manutenzione straordinaria e di restauro e risanamento conservativo relativo a parti strutturali dell’edificio, ristrutturazione, nuova costruzione.

Ovviamente, l’interrogativo che subito ci si pone è quello di come riuscire a stabilire in quale tipologia di attività possa farsi rientrare l’intervento edilizio che si intende realizzare, ed a tale interrogativo può rispondersi dicendo che il corretto riferimento normativo lo si può rinvenire nel c.d. Testo unico dell'edilizia, e più precisamente all’art. 3 del D.P.R. n. 380/01, contenente appunto la definizione degli interventi edilizi.

Ora, escludendo sin da subito che si versi nel caso di specie in ipotesi di lavori di manutenzione ordinaria (non potendo ovviamente considerarsi tale la realizzazione di una terrazza a tasca), va osservato che la norma sopra citata qualifica come lavori di manutenzione straordinaria “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, ….. Nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione d' uso”.

Da una semplice lettura di tale norma, dunque, può chiaramente dedursi che potranno qualificarsi come lavori di manutenzione straordinaria quei lavori volti a realizzare delle modifiche alla struttura originaria di un edificio (lavori dunque di una certa entità, non semplici riparazioni), quali sono sicuramente i lavori fatti per coprire una terrazza o per ricavare una terrazza a tasca demolendo una parte del tetto.

Sotto il profilo dei titoli edilizi richiesti, per tale tipologia di interventi sarà necessaria la c.d. SCIA (Segnalazione certificata di inizio attività), la quale da giugno 2017 può anche essere utilizzata per una serie di interventi per i quali prima era prevista la Dia sostitutiva del permesso di costruire.
Essa deve essere presentata presso lo sportello unico dell'edilizia del Comune ove si trova l'immobile, corredata da documenti (redatti da tecnici abilitati) che attestino la sussistenza dei requisiti e certifichino la conformità dei lavori da eseguire con le normative nazionali e locali (regolamenti edilizi, normative di sicurezza, igienico sanitarie, etc.).

Il modello per presentare la SCIA è unico in tutta Italia e dal mese di giugno di quest’anno dovrebbe perfino essere messo a disposizione sul sito istituzionale di ogni Comune per essere scaricato e presentato telematicamente, con eventuale indicazione del domicilio digitale del richiedente.
La presentazione deve essere UNICA (Scia Unica), valida anche per eventuali altre comunicazioni, attestazioni ed asseverazioni che fossero necessarie; non può essere richiesta documentazione ulteriore non prevista né tanto meno quella già in possesso degli uffici.

Inoltre, secondo le novità introdotte dal D.lgs.126/2016, alla presentazione deve seguire il rilascio di una ricevuta che vale come comunicazione di “AVVIO DEL PROCEDIMENTO” e come certificazione della data dalla quale partono i vari termini (nella fattispecie quello del silenzio-assenso).
L'attività edilizia può essere iniziata subito dopo la presentazione della Scia; nei successivi 30 giorni, ex art. 19 commi 3 e 6 bis della Legge 241/1990, lo sportello dell'edilizia esegue una serie di verifiche, a seguito delle quali, se viene riscontrata l'assenza di una o piu' delle condizioni stabilite oppure la violazione dei regolamenti edilizi locali o delle normative edilizie, l'ufficio provvede a notificare all'interessato un ordine “MOTIVATO” di rimuovere o modificare i lavori fino ad allora eventualmente eseguiti, concedendo a tal fine un termine massimo di 30 giorni per la rimozione e/o modifica.

Qualora, invece, si abbia il decorso del suddetto termine con il silenzio dell'ufficio comunale, i lavori si intendono approvati (silenzio-assenso), e l'ufficio può intervenire solo in caso di pericolo di danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, la salute, la sicurezza pubblica o la difesa nazionale.
L’ufficio può, inoltre, anche oltre i suddetti termini, annullare il provvedimento nei casi di accertata illegittimità previsti dalla legge (art. 21 octies e 21 nonies Legge 241/1990).

La Scia ha efficacia per tre anni dalla presentazione e se i lavori non sono ultimati deve esserne presentata una nuova.
Si tenga conto che ex art. 6 ter della Legge 241/1990, la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili, mentre è concessa agli interessati la facoltà di sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Codice del processo amministrativo).

Pertanto, ciò che può consigliarsi è di affidarsi ad un tecnico, il quale si occuperà di presentare la SCIA, a seguito della quale si potrà dare inizio ai lavori, lavori che potranno essere sospesi solo con provvedimento motivato da parte del Comune interessato.

Contro tale provvedimento, che dovrà essere adeguatamente motivato, sarà così possibile esperire i normali rimedi giurisdizionali, e ciò qualora si ravvisi la sussistenza dei presupposti necessari per la sua impugnabilità in sede amministrativa.


Anonimo chiede
martedì 11/07/2017 - Friuli-Venezia
“Buongiorno!
Cortesemente si espone quanto segue:
Ho recentemente ereditato da mio padre un fabbricato che in origine era una stalla con annessa concimaia di 15 metri quadri ubicata fuori dal centro urbano in zona agricola,edificata nel 1964 in assenza di concessione edilizia (allora il comune non era dotato di piani regolatori).
Nel 1980 a seguito sisma, con regolare concessione edilizia il fabbricato è stato ristrutturato sempre a uso stalla con regolare emissione certificato di agibilità.
Nel 1985 mio padre smise di allevare le mucche e con regolare concessione edilizia dietro pagamento dei relativi oneri (Buccalossi ecc.) converti la stalla in civile abitazione con regolare certificato di abitabilità.
Orbene ora io vorrei ristrutturare questa concimaia costruita nel 1964,accatastata nel 2015 come deposito e adibita a legnaia ma non vorrei che presentando la relativa documentazione il comune mi avanzasse qualche pretesa urbanistica visto che non vi è traccia alcuna nei pregressi titoli,considerato la limitata area e il nesso pertinenziale e le regole di allora.
Premesso questo, visto che la allora stalla ha avuto l' agibilità questa non presuppone anche l'esistenza della pertinente concimaia ai sensi art.233-236 r.d.27/07/1934 n.1965 (altrimenti veniva negata l'agibilità) e che quindi il comune non poteva non sapere,tuttora la zona è agricola ed in linea generale sono ammessi depositi tettoie gazebi ecc..è sanabile eventualmente la cosa?”
Consulenza legale i 18/07/2017
Il punto nodale della questione posta deve intanto individuarsi nella regola, che la giurisprudenza e la pratica hanno derivato dal succedersi della disciplina urbanistica nel tempo (la legge n. 1150 del 1942 e la legge-ponte n. 765 del 1967), secondo cui soltanto a decorrere dal primo settembre 1967, in seguito alla entrata in vigore della cosiddetta legge-ponte n. 765 del 1967, sussiste l’obbligo generalizzato di preventivo titolo edilizio autorizzatorio per la realizzazione di opere in qualsiasi parte del territorio comunale; prima di quella data, ai sensi dell’art. 31 della legge n. 1150 del 17.08.1942, sussisteva l’obbligo di previa licenza solo per edificare nei centri abitati o nelle zone di espansione previste dal piano regolatore generale.

Pertanto, se sono stati realizzati senza titolo interventi edilizi in area posta al di fuori del centro abitato, in un momento storico in cui nessuna norma comunale prevedeva la necessità del titolo abilitativo fuori del centro abitato, non è configurabile alcun abuso edilizio e quindi tali opere devono ritenersi legittime e non può essere irrogata la sanzione della demolizione.

Ciò posto, costituisce anche principio consolidato nella giurisprudenza amministrativa quello secondo cui il soggetto che vuol far valere il carattere non abusivo di un’opera deducendone la realizzazione in epoca antecedente all’entrata in vigore delle disposizioni che hanno introdotto l’obbligo di munirsi di titolo abilitativo, non può limitarsi ad allegare tale circostanza ma deve fornire, perlomeno, un principio di prova in ordine al tempo di ultimazione dell’opera stessa (cfr. TAR Campania Napoli, sez. VI, 03.12.2014, n. 6321; TAR Piemonte, sez. I, 18.10.2012, n. 1112).

Quanto sopra, dunque, per dire che qualsiasi iniziativa privata, volta alla regolarizzazione urbanistica di un immobile costruito prima del 1967, presuppone che il privato riesca a dar prova della realizzazione di tale immobile prima di questa data.

Nel caso di specie si ritiene che una simile prova possa esser data oltre che dal titolo di provenienza dell’immobile stesso (ossia la denuncia di successione) e dal successivo atto di divisione (ove la concimaia viene dichiarata come costruita ante ’67), anche dal titolo abilitativo del 1980 (ovvero la concessione edilizia con la quale si è ottenuto il permesso di ristrutturare la stalla, tenuto conto che l’art. 233 RD n. 1965/1934 imponeva l’obbligo di dotare di una concimaia le stalle rurali per bovini ed equini, adibite a più di due capi adulti, obbligo peraltro punito con una sanzione amministrativa), nonché da una eventuale planimetria allegata al regolamento edilizio dell’epoca, che si potrebbe tentare di recuperare.

Una volta riusciti a dare prova della esistenza della concimaia in data antecedente al 1967, occorre valutare, questa volta con l’ausilio di un tecnico di propria fiducia, se:
  1. richiedere un permesso di costruire in sanatoria, relativo alla ristrutturazione e all’ampliamento della concimaia mediante innalzamento delle pareti laterali e realizzazione della copertura, e ciò considerato lo stato attuale della concimaia, la quale presenta già le pareti laterali alzate ed il tetto chiuso mediante struttura leggera.
Alla concessione di tale permesso potrebbe solo ostare un eventuale Regolamento edilizio Comunale dell’epoca, il quale avrebbe potuto prescrivere la preventiva autorizzazione del Sindaco per la realizzazione di qualsiasi opera edilizia nel territorio comunale (e dunque non solo all’interno del centro abitato), ma questa sembra un’ipotesi da scartare, considerato che tale problema non è stato sollevato in occasione della regolarizzazione urbanistica della stalla, realizzata in pari data.
Su tale possibilità si ritiene interessante segnalare la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) n. 00642/2015, che si allega.
  1. chiedere un permesso a realizzare un intervento di nuova costruzione, ed in particolare si suggerisce la realizzazione di un deposito di merci o di materiale ex art. 3 lettera e.7) del DPR 380/2001.

Si tenga conto che ai sensi dell’art. 17 comma 3 del DPR 380/2001 il contributo di costruzione non è dovuto per gli interventi da realizzare nelle zone agricole, e tale sembra essere la destinazione del terreno ove si trova la concimaia.

Potrebbe al più valutarsi la possibilità tecnica di avvalersi della segnalazione certificata di inizio attività in alternativa al permesso di costruire prevista dall’art. 23 DPR 380/2001, essendo questa consentita per gli interventi di ristrutturazione di cui all'articolo 10, comma 1, lettera c), ossia per gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, e tale potrebbe considerarsi la realizzazione di un deposito in luogo dell’originaria concimaia, considerato che già quest’ultima risulta denunciata al catasto come C2 dall’anno 2015.

Trattasi comunque, come accennato, di valutazioni che si ritiene opportuno rimettere alla competenza di un tecnico, anche in termini di esatta individuazione dei costi da sopportare per le diverse soluzioni proposte.

P. S. chiede
lunedì 12/02/2024
“Gentile studio Brocardi,

Mi rivolgo a voi per ottenere assistenza legale riguardo a una questione di proprietà legata all'acquisto di un immobile nel dicembre 2021. L'immobile è parte di un casale risalente ai primi del 900, suddiviso in varie porzioni.

Nel 2004, un individuo identificato come "G." acquista una porzione del casale, comprensiva di una corte, identificata al catasto come ente urbano, particella catastale sulla quale insiste anche il fabbricato, e effettua una separazione creando due immobili separati (piano terra e primo piano/mansarda), ma senza specificare la separazione della corte nel progetto di costruzione. Successivamente, nel 2007, l'immobile al piano terra viene venduto e trasferito al signor "D." dal tribunale fallimentare nel 2014. L'immobile al primo piano e mansarda viene venduto nel 2011, rimanendo però disabitato, e acquisito da me nel 2021.

Il problema sorge poiché il signor "D.", approfittando anche della vacanza al piano superiore, si è appropriato della corte, costruendo illegalmente delle baracche e chiudendo l'accesso. Inoltre, parte della corte è occupata da baracche di un altro inquilino del complesso senza titolo di proprietà.

Nel mio rogito, la corte è menzionata nei confini dell'appartamento come "corte comune." Desidero comprendere se, in quanto proprietario dell'immobile collegato a questa corte. In caso affermativo, vorrei sapere come procedere legalmente.

Posso diffidare il signor "D." per occupazione della corte comune e l'altro vicino per aver occupato un'area su cui non ha alcun diritto? Come posso evitare che entrambi rivendichino diritti di usucapione, considerando che vivono nell'edificio dal 2008 e 2014?

Ringrazio anticipatamente per la vostra consulenza e rimango a disposizione per ulteriori dettagli o documenti necessari, quali l'atto di trasferimento del signor "G." e i precedenti fino ai primi del 900 che dimostrano l'acquisto della porzione di casale e del terreno poi trasformato in ente urbano, tutti i passaggi di proprietà successivi e i decreti di trasferimento e le visure catastali”
Consulenza legale i 20/02/2024
L’esame dei documenti e dei titoli inviati a questa Redazione induce a dover ritenere che la corte comune di cui si discute non possa farsi rientrare nell’oggetto del contratto di compravendita stipulato da colui che pone il quesito.
Da tale atto, infatti, risulta specificamente descritto quale oggetto di vendita l’appartamento sviluppantesi sui piani primo e secondo, identificato con le particelle indicate nel prosieguo dell’atto, le quali individuano il solo immobile ad uso abitativo.
Non viene indicata e, conseguentemente, non risulta trasferita alcuna particella catastale volta ad individuare la corte comune.
La sola circostanza che di tale “corte comune” se ne faccia menzione al fine della individuazione dei confini catastali non può essere assunta quale elemento sufficiente per dare prova della volontà delle parti di trasferire un diritto di comproprietà anche su di essa.

Solo un elemento avrebbe potuto consentire di avallare la tesi dell’acquisto di un diritto di comproprietà anche sulla corte comune, ovvero l’indicazione in atti anche della particella identificante tale corte e la specificazione del trasferimento di essa, in comproprietà con gli altri aventi diritto.
In assenza di tale clausola, si ritiene che si abbiano scarse speranze di poter avanzare alcuna pretesa.
Anche la visura catastale inviata a questa Redazione fa riferimento ad una particella catastale, la n. 277 del foglio 31, avente natura di ente urbano, di cui non si ha alcun riscontro nel proprio titolo di acquisto, ove invece vengono indicate le particelle 80 sub 10 e 277 sub 2 (graffate) del foglio 31, entrambe relative all’appartamento in tale atto descritto quale bene trasferito.

Quanto fin qui detto vale esclusivamente sotto il profilo del diritto di proprietà, mentre un discorso diverso può essere fatto per ciò che concerne l’occupazione indiscriminata di quella corte con beni e materiali di diversa natura, al punto tale da impedirne o rendere difficoltoso l’accesso, beni appartenenti perfino a soggetti che non possono vantare alcun diritto sulla stessa.
In particolare, se su tale corte è stato da sempre esercitato un diritto di accesso per raggiungere il proprio appartamento, è ben possibile agire a tutela di tale diritto, integrante a tutti gli effetti una servitù attiva di passaggio in favore dell’immobile di cui si è proprietari.
Può, dunque, preliminarmente procedersi con una diffida stragiudiziale indirizzata a coloro che occupano la corte con quei materiali, fissando loro un termine per asportare ogni bene ivi posto, in contrasto con quella che è la destinazione naturale dell’area.

In caso di inottemperanza a tale richiesta, si dovrà necessariamente fare ricorso all’autorità giudiziaria territorialmente competente, esperendo l’azione a tal fine prevista dall’art. 1079 c.c.
Tale norma, disciplinante la c.d. azione confessoria, consente a colui che se ne avvale di chiedere al giudice sia l’accertamento del diritto (anche l’avvenuto acquisto della servitù per usucapione) che la condanna del convenuto (o dei convenuti) a cessare eventuali impedimenti e turbative che ne impediscano il normale esercizio, oltre alla rimessione delle cose in pristino allorchè, come in questo caso, vi sia stata alterazione dello stato dei luoghi.
Il conseguimento di una pronuncia in tal senso costituisce titolo esecutivo per chiedere al giudice dell’esecuzione misure idonee a far cessare le turbative o le molestie denunziate.

Sotto il profilo urbanistico, invece, è ben possibile denunciare alle competenti autorità l’abuso edilizio perpetrato dai proprietari di quei materiali, ed in particolare da coloro che vi hanno collocato le baracche.
Si tenga presente, infatti, che secondo quanto disposto dall’art. 3 comma 1 lett. e.5 del Testo unico edilizia, sono da qualificare come interventi di nuova costruzione e, dunque, di trasformazione edilizia e urbanistica dl territorio (per il quale si rende necessario il permesso di costruire) “…l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o delle tende e delle unità abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione…”


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