Il caso sottoposto all’esame del TAR Lazio riguardava il ricorso proposto da alcuni soggetti nei confronti del Comune di Pomezia, volto ad ottenere l’annullamento del provvedimento con cui l'ente aveva rigettato l’esposto avente ad oggetto l’accertamento del carattere abusivo di una pergotenda realizzata dalla società in questione.
Nello specifico, i ricorrenti avevano agito in giudizio in qualità di residenti in un edificio confinante con la sede della società, che svolgeva attività di somministrazione di cibi e bevande (caffetteria).
I ricorrenti, in particolare, avevano lamentato il fatto che la società in questione si era vista negare l’autorizzazione all’installazione di una veranda sul cortile esterno ma che, nonostante ciò, la stessa aveva proceduto all’installazione e al completamento del manufatto stesso, “consistente in una struttura fissa sorretta da pali in metallo, ancorati al suolo, di lunghezza pari a circa 18 metri e per una superficie complessiva di circa 80 mq, a copertura dell’intero perimetro del cortile”.
I ricorrenti evidenziavano, inoltre, di aver presentato tre esposti al Comune, a seguito dei quali la veranda, dopo essere stata posta sotto sequestro, era stata “rimossa, parzialmente reinstallata, nuovamente rimossa e infine definitivamente ripristinata (…), con le medesime caratteristiche tecniche, strutturali, volumetriche ed estetiche, con installazione di finestre con scorrevoli in plastica trasparente o PVC e con una copertura di raccordo con il muro perimetrale”.
I ricorrenti avevano, pertanto, presentato un’ulteriore esposto al Comune, il quale, tuttavia, era stato disatteso, in quanto l’Amministrazione aveva ritenuto di dover ricondurre il manufatto abusivo realizzato dalla società “nell’ambito dell’attività edilizia libera”.
Conseguentemente, i ricorrenti si erano visti costretti a ricorrere dinanzi al TAR, chiedendo, altresì, la condanna del Comune ad adottare gli opportuni provvedimenti nei confronti della società, “previo accertamento dell’abuso edilizio commesso”.
Il TAR Lazio riteneva, in effetti, di dover aderire alle considerazioni svolte dai ricorrenti, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Osservava il TAR, in primo luogo, che i ricorrenti avevano avuto legittimazione ed interesse a contestare la realizzazione della pergotenda installata dalla società, essendo “innegabile e non contestabile” la “prossimità spaziale” che intercorreva tra le proprietà ed essendo, altresì, evidente la “capacità invasiva della struttura”, la quale appariva idonea a pregiudicare il godimento, da parte dei ricorrenti, delle rispettive proprietà.
Evidenziava il TAR, infatti, che, dalle fotografie prodotte in atti, la pergotenda, di non modesta entità, era stata costruita in aderenza al fabbricato ed era idonea a “a ridurre lo spazio visivo degli abitanti dei piani immediatamente sovrastanti e posti lateralmente rispetto alla costruzione”.
Passando al merito della questione, il TAR osservava come il Consiglio di Stato (da ultimo, con la sentenza n. 306 del 25 gennaio 2017), aveva “puntualmente perimetrato l’ambito di riconoscibilità della c.d. attività edilizia libera, soprattutto con riferimento alle c.d. strutture amovibili”.
Chiariva il TAR, in proposito, che la “pergotenda”, essendo una “struttura destinata a rendere meglio vivibili gli spazi esterni delle unità abitative (terrazzi o giardini) e installabile al fine, quindi, di soddisfare esigenze non precarie”, costituisce “un elemento di migliore fruizione dello spazio esterno, stabile e duraturo”.
Secondo il TAR, inoltre, tale costruzione, “non costituisce un’opera edilizia soggetta al previo rilascio del titolo abilitativo”, dal momento che, ai sensi degli artt. 3 e 10 del D.P.R. n. 380 del 2001, sono soggetti al rilascio del permesso di costruire solamente gli “interventi di nuova costruzione”, che determinino una “trasformazione edilizia e urbanistica del territorio”, mentre una struttura leggera, come la pergotenda, “destinata ad ospitare tende retrattili in materiale plastico non integra tali caratteristiche”.
Tuttavia, secondo il Consiglio di Stato, per potersi propriamente parlare di “pergotenda”, è necessario che “l’opera principale sia costituita non dalla struttura in sé, ma dalla tenda, quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzata ad una migliore fruizione dello spazio esterno dell’unità abitativa”.
Di conseguenza, a detta del Consiglio, per aversi realmente una pergotenda e non una costruzione edilizia che necessita di permesso di costruire, è necessario che la struttura rappresenti un “mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda”.
Per potersi parlare di “pergotenda”, inoltre, è necessario che la tenda stessa sia “in materiale plastico e retrattile”, in modo tale che la stessa non si presenti di consistenza e rilevanza tale da poter essere considerata una componente edilizia di copertura o di tamponatura di una costruzione.
Ebbene, nel caso di specie, il TAR, anche alla luce delle risultanze della consulenza tecnica espletata in corso di causa, riteneva che il manufatto oggetto di contestazione non rappresentasse una “pergotenda” ma che lo stesso avesse le caratteristiche proprie di una “nuova costruzione”, in considerazione degli elementi tecnici che caratterizzavano l’opera.
Di conseguenza, secondo il TAR, le censure mosse dai ricorrenti dovevano ritenersi fondate e il Comune di Pomezia avrebbe dovuto provvedere a completare il procedimento di accertamento e verifica della compatibilità o meno del manufatto con la normativa di settore.