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Articolo 11 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447)

[Aggiornato al 30/11/2024]

Competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati

Dispositivo dell'art. 11 Codice di procedura penale

1. I procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato, che secondo le norme di questo capo sarebbero attribuiti alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d'appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni o le esercitava al momento del fatto, sono di competenza del giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte di appello determinato dalla legge(1)(2).

2. Se nel distretto determinato ai sensi del comma 1 il magistrato stesso è venuto ad esercitare le proprie funzioni in un momento successivo a quello del fatto, è competente il giudice che ha sede nel capoluogo del diverso distretto di corte d'appello determinato ai sensi del medesimo comma 1.

3. I procedimenti connessi a quelli in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato sono di competenza del medesimo giudice individuato a norma del comma 1.

Note

(1) Articolo così modificato dall'art. 1 della L. 2 dicembre 1998, n 420. Anteriormente alla modifica dell'articolo era a competente a giudicare la responsabilità di un magistrato l'ufficio giudiziario, ugualmente competente per materia, del distretto di corte d'appello limitrofo. Successivamente, al fine di evitare competenze reciproche tra uffici giudiziari, veniva superato tale criterio con l'introduzione della tabella che predeterminava il distretto di corte d'appello competente.
(2) Cfr. disp. att. art. 1.

Ratio Legis

*La ratio legis è da rinvenire nella necessità di individuare un ufficio giudiziario competente a giudicare la responsabilità dei magistrati evitando che si creino competenze reciproche tra gli uffici giudiziari. Il legislatore ha infatti voluto assicurare la totale indipendenza del giudice per garantire la serenità del giudizio. Per tali ragioni è stato superato il criterio in base al quale l'ufficio competente fosse quello appartenente al distretto di corte d'appello limitrofo.

Brocardi

Nemo iudex in causa propria

Spiegazione dell'art. 11 Codice di procedura penale

Esistono vari deroghe alle normali regole di determinazione della competenza per territorio, ognuna con la propria ratio.

La deroga di cui al presente articolo si spiega con la necessità di assicurare una certa imparzialità di giudizio qualora venga in rilievo un procedimento in cui sia coinvolto, a vario titolo, un magistrato.

Innanzitutto, per applicarsi la norma in commento, il magistrato deve essere imputato, persona offesa o danneggiata del reato. In secondo luogo, la competenza spetterebbe, di regola, all'ufficio giudiziario ricompreso nel distretto di corte d'appello in cui l magistrato coinvolto svolge le proprie funzioni, o le svolgeva al momento del fatto.

Qualora sussistano i due presupposti di cui sopra, la competenza per tali procedimenti spetta al giudice ugualmente competente per materia che abbia sede nel capoluogo del distretto di corte d'appello determinato dalla legge, in base ad una tabella incentrata sul criterio della circolaritàIn tal guisa si evitano le competenze incrociate.

Le regole suillustrate valgono anche nelle ipotesi in cui vi siano procedimenti connessi ex art. 12 a quelli in cui il magistrato è coinvolto.

Massime relative all'art. 11 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 21128/2018

In tema di competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati, l'operatività dell'art. 11 cod. proc. pen. è subordinata alla condizione che il magistrato assuma formalmente la qualità di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso ricorressero gli estremi per applicare l'art. 11 cod. proc. pen. in un procedimento penale per diffamazione nel quale i minori persone offese erano stati rappresentati, ai fini della costituzione di parte civile, dal solo padre e non anche dalla madre che era magistrato in servizio nel distretto di Corte d'appello sede del processo).

Cass. pen. n. 55084/2016

In tema di competenza nei procedimenti riguardanti i magistrati, la disciplina stabilita dall'art. 11 cod. proc. pen. ha natura eccezionale, limitata alle ipotesi in cui un magistrato assume la qualità di indagato, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato; ne consegue che essa è riferita soltanto alla fase delle indagini preliminari e al procedimento di cognizione e non ammette interpretazioni estensive o analogiche, che ne consentano l'applicazione anche nella fase esecutiva. (In applicazione del principio la Corte ha annullato l'ordinanza di affidamento in prova al servizio sociale, che aveva individuato la competenza del magistrato di sorveglianza ai sensi dell'art. 11 cod. proc. pen.).

Cass. pen. n. 26563/2014

La speciale competenza stabilita dall'art. 11, comma terzo, c.p.p. per i procedimenti connessi a quello riguardante magistrati ha natura di competenza per territorio ed è, pertanto, rilevabile, ai sensi dell'art. 21, comma secondo, c.p.p., prima della conclusione della udienza preliminare o, se questa manchi, entro il termine previsto dall'art. 491, comma primo, c.p.p..

Cass. pen. n. 13296/2014

Ai fini della determinazione della competenza relativa a procedimenti connessi a quelli riguardanti magistrati, si applicano le regole ordinarie, e non invece la disposizione di cui all'art. 11, comma terzo, c.p.p., quando il procedimento connesso è ancora in fase di indagini e quello relativo ad appartenenti all'ordine giudiziario è stato definito con archiviazione, perché tale vicenda determina il venir meno del rapporto di connessione. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto che, una volta intervenuta l'archiviazione del procedimento riguardante magistrati, l'A.G. originariamente incompetente per il procedimento connesso non poteva essere più privata della trattazione di quest'ultimo).

Cass. pen. n. 24146/2011

In tema di revisione, la regola secondo cui, in caso di annullamento dell'ordinanza di inammissibilità della richiesta, la Corte di cassazione rinvia il giudizio ad una diversa Corte di Appello, individuata ai sensi dell'art. 11 dello stesso codice, non si applica nel processo penale militare dopo la soppressione delle sezioni distaccate di Corte d'Appello di Verona e Napoli attuata con la L. n. 244 del 2007. (Nella specie la Corte, annullando l'ordinanza di inammissibilità della Corte d'Appello militare di Roma, ha rinviato il giudizio di revisione ad altra sezione di quest'ultima in composizione diversa rispetto alla soppressa sezione distaccata di Napoli quale giudice della originaria sentenza impugnata).

Cass. pen. n. 15583/2011

In tema di competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati, l'operatività dell'art. 11 c.p.p. è subordinata alla condizione che il magistrato, nel procedimento penale, assuma formalmente la qualità di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato.

Cass. pen. n. 46349/2008

In tema di competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati, il regime derogatorio previsto dall'art. 11 c.p.p. trova applicazione anche per l'individuazione del giudice competente a decidere sulla richiesta di distruzione, a tutela della riservatezza, della documentazione riguardante le intercettazioni non più necessaria per il procedimento ai sensi dell'art. 269, comma secondo, c.p.p.

Cass. pen. n. 46098/2008

In tema di competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati, la deroga alle regole ordinarie opera, nel caso il magistrato assuma la qualità di danneggiato dal reato, indipendentemente dalla circostanza che si sia costituito parte civile nel relativo procedimento.

Cass. pen. n. 292/2005

La deroga alle regole generali della competenza per territorio nei procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di indagato, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato, si applica anche al magistrato onorario il cui incarico sia connotato dalla stabilità, e cioè dalla continuatività riconosciuta formalmente per un arco temporale significativo, in quanto questa, essendo sufficiente a radicarlo istituzionalmente nel plesso territoriale di riferimento, potrebbe ingenerare il sospetto, stante il rapporto di colleganza e di normale frequentazione tra magistrati della medesima circoscrizione, di un non imparziale esercizio della giurisdizione dei suoi confronti. (Fattispecie relativa a processo nel quale un vice pretore onorario aveva assunto la qualità di persona offesa dal reato e per il quale, in applicazione del principio sopra enunciato, la Corte ha ritenuto l'applicabilità della regola derogatoria, annullando entrambe le sentenze di merito).

La speciale competenza stabilita dall'art. 11 c.p.p. per i procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di indagato, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato ha natura funzionale, e non semplicemente territoriale, con conseguente rilevabilità, anche di ufficio, del relativo vizio in ogni stato e grado del procedimento.

Cass. pen. n. 31721/2004

La particolare disciplina prevista nell'ipotesi di procedimento in cui un magistrato assuma la qualità di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato presuppone l'esercizio effettivo, da parte del magistrato, delle funzioni giudiziarie, avuto riguardo alla ratio della previsione di cui all'art. 11 c.p.p., che è quella di impedire che l'esercizio concreto di quelle funzioni, possa costituire motivo di condizionamento tale da pregiudicare l'imparzialità del giudice territorialmente competente, secondo le norme ordinarie, a conoscere del procedimento; ne deriva che detta efficacia pregiudizievole non può riconnettersi all'ipotesi in cui il magistrato, parte del procedimento, svolga attività di assistente di studio presso sedi istituzionali diverse da quelle di giurisdizione ordinaria. (In applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto inapplicabile la disciplina derogatoria dell'art. 11 c.p.p., in quanto trattavasi di magistrato che svolgeva attività di assistente di studio presso la Corte costituzionale).

Cass. pen. n. 45248/2003

La speciale competenza stabilita dall'art. 11 c.p.p. per i procedimenti riguardanti i magistrati ha natura di competenza funzionale e non di competenza per territorio. Essa pertanto può essere eccepita o rilevata, anche di ufficio, in qualsiasi stato e grado del procedimento ai sensi dell'art. 21, comma 1, c.p.p.

Cass. pen. n. 30568/2003

La disciplina dettata dall'art. 11 c.p.p. in materia di competenza per i procedimenti riguardanti magistrati trova applicazione anche con riguardo ai giudici di pace, essendo a costoro attribuito, sia pure per il periodo di tempo indicato nel decreto di nomina, il pieno e stabile esercizio della funzione giudiziaria.

Cass. pen. n. 4697/2002

L'eccezione di incompetenza per territorio nei procedimenti riguardanti magistrati deve essere proposta entro la fase degli atti preliminari al giudizio, ai sensi dell'art. 21, comma 2, del codice di rito, e non dopo che il giudizio sia stato incardinato e abbia avuto inizio, atteso che la verifica della preclusione alla sua proposizione, non riguardando la persona del giudice, bensì l'ufficio giudiziario e il suo collegamento con la cognizione del reato, va compiuta, per una ragionevole scelta del legislatore, in limine judicii.

Cass. pen. n. 27741/2001

In tema di procedimenti connessi a quelli in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta a indagini, di imputato, di persona offesa o danneggiata, la competenza si radica secondo i criteri di cui all'art. 11 c.p.p., e, in ragione del principio della perpetuatio competentiae, non ha rilievo la circostanza che il procedimento relativo al magistrato, la cui pendenza aveva determinato lo spostamento della competenza, venga successivamente archiviato.

Cass. pen. n. 24837/2001

La disciplina dettata dall'art. 11 c.p.p. in materia di competenza per i procedimenti riguardanti magistrati trova applicazione anche con riguardo ai giudici di pace, attesa, in particolare, la non episodicità delle funzioni giudiziarie da questi esercitate.

Cass. pen. n. 9834/2000

La speciale competenza stabilita dall'art. 11 c.p.p. per i procedimenti riguardanti i magistrati ha natura non di competenza funzionale ma di competenza per territorio. Essa non può pertanto essere eccepita o rilevata dopo il termine di cui all'art. 491 c.p.p., neppure se la possibilità di prioporre l'eccezione sorga successivamente nel corso del dibattimento.

Cass. pen. n. 3481/2000

La disciplina dettata dall'art. 11 c.p.p. in materia di competenza per i procedimenti riguardanti magistrati trova applicazione anche con riguardo ai componenti privati chiamati a far parte, ai sensi dell'art. 2 del R.D.L. 20 luglio 1934 n. 1404, del tribunale per i minorenni.

Cass. pen. n. 7124/1999

Avuto riguardo alla ratio della disciplina dettata dall'art. 11 c.p.p., che è essenzialmente quella di eliminare presso l'opinione pubblica qualsiasi sospetto di parzialità determinato dal rapporto di colleganza e dalla normale frequentazione tra magistrati operanti in uffici giudiziari del medesimo distretto di corte d'appello, e tenuto conto del fatto che i magistrati onorari, ai sensi tanto dell'abrogato art. 32 dell'Ordinamento giudiziario quanto del vigente art. 42 quinquies del medesimo ordinamento, durano in carica per un periodo di tre anni, con possibilità di rinnovo, è da ritenere che anche nel caso di procedimenti riguardanti i suddetti magistrati (nella specie trattavasi di vice pretore onorario) debba trovare applicazione il citato art. 11 c.p.p. e debbasi quindi dar luogo allo spostamento di competenza da esso previsto.

Cass. pen. n. 5371/1999

In tema di competenza per il giudizio di revisione, il rinvio di cui all'art. 1 legge 23 novembre 1998 n. 405 ai criteri di cui all'art. 11 c.p.p. comporta la individuazione di tale competenza con riferimento a quella stabilita per i procedimenti riguardanti i magistrati e quindi alla disciplina prevista dalla norma richiamata, con le sue eventuali successive modifiche, ma senza riferimento alle disposizioni transitorie, le quali trovano applicazione esclusivamente con riguardo ai suddetti procedimenti relativi a soggetti appartenenti all'ordine giudiziario. Conseguentemente, nella individuazione del giudice competente per la revisione, non ha rilievo se la data del commesso reato sia anteriore alla data di entrata in vigore della legge sopra richiamata.

Cass. pen. n. 5082/1999

La cognizione dei procedimenti di revisione relativi a condanne inflitte per reati consumati in data anteriore all'entrata in vigore della legge n. 420 del 1998 spetta alla corte di appello individuata dall'art. 11 c.p.p. nella sua formulazione originaria e, quindi, alla corte di appello del distretto posto alla minore distanza chilometrica, ferroviaria o marittima (art. 1 att. c.p.p.), dal distretto in cui si trova l'organo che aveva emesso la sentenza o il decreto di condanna cui la domanda di revisione si riferisce. (La S.C. ha osservato che le modifiche apportate all'art. 11 c.p.p. ad opera della legge n. 420 del 1998 ed il relativo regime transitorio, si applicano anche ai fini della individuazione del giudice competente per la revisione, atteso il richiamo che all'art. 11 effettua l'art. 633 c.p.p. a seguito della modifica subita ad opera della di poco antecedente legge n. 405 del 1998).

Cass. pen. n. 4999/1999

La domanda di revisione avanzata prima dell'entrata in vigore della legge 2 dicembre 1998 n. 420, modificativa dell'art. 11 c.p.p., va attribuita alla competenza della corte d'appello individuata ai sensi della previgente formulazione del citato art. 11, richiamato dall'art. 633, comma 1, c.p.p., precedentemente a sua volta modificato, con l'introduzione del suddetto richiamo, dall'art. 1 della legge 23 novembre 1998 n. 405.

Cass. pen. n. 3766/1999

La disciplina dettata dall'art. 11 c.p.p. si applica anche nel caso in cui un magistrato, addetto alla Corte di appello, sia imputato o persona offesa da un reato in ordine al quale la stessa Corte di appello è chiamata a decidere. E ciò ancorché il giudizio di primo grado sia stato regolarmente celebrato davanti al giudice naturale, individuato secondo le regole generali, non sussistendo a quel momento per il magistrato interessato le condizioni di cui al medesimo art. 11 c.p.p. (Nell'enunciare il principio di cui in massima, la S.C. ha osservato che nella specie si determina una ipotesi di rimessione automatica, in quanto la legge individua una sorta di incompatibilità riguardante non già la persona di un giudice, bensì l'intero ufficio giudiziario che, secondo le regole generali sulla competenza territoriale, sarebbe competente a decidere. In tale prospettiva, ha soggiunto la Corte, non può aver rilievo il principio della perpetuatio iurisdictionis, essendo esso destinato a soccombere davanti al più importante valore della terzietà ed imparzialità del giudice).

Cass. pen. n. 667/1999

La normativa contenuta nell'art. 11 c.p.p. in deroga all'ordinaria disciplina della competenza per territorio, presuppone, per la sua applicazione, che venga contestato, a carico o in danno del magistrato, un fatto di rilevanza penale, anche se ne conseguano soltanto misure di sicurezza, come nei casi previsti dagli artt. 49 e 115 c.p., e non può essere estesa ai casi in cui la condotta del magistrato, fuori dall'ipotesi di concorso, abbia inconsapevolmente fornito l'occasione o il mezzo per l'azione criminosa da altri commessa e non rivolta contro di lui, o addirittura abbia materialmente realizzato il reato per errore determinato dal colpevole. (Fattispecie relativa a contestazione, a carico di curatore fallimentare, di truffa realizzata mediante induzione in errore del giudice delegato e di abuso di ufficio posto materialmente in essere dal giudice medesimo perché da lui ingannato).

Cass. pen. n. 6183/1999

In materia di competenza per territorio, la connessione con procedimenti riguardanti magistrati, che determina lo spostamento della competenza ai sensi dell'art. 11 c.p.p., resta ferma per tutte le fasi successive del giudizio, anche nel caso in cui venga meno la connessione tra reati ravvisata nella fase delle indagini preliminari per intervenuta archiviazione nei confronti del solo magistrato indagato.

Cass. pen. n. 1333/1996

Lo spostamento della competenza per territorio, previsto dal comma 2 dell'art. 11 c.p.p. per i procedimenti connessi a quello che riguarda un magistrato (sia questi indagato o imputato, persona offesa o danneggiata dal reato) permane anche nel caso di successiva archiviazione nei confronti del magistrato stesso.

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relative all'articolo 11 Codice di procedura penale

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Antonino B. chiede
giovedì 09/02/2017 - Sardegna
“Un magistrato di Brescia viene inquisito per anni dalla procura di Venezia per il reato di abuso di ufficio. All'ennesima opposizione all'archiviazione il GIP rubrica il reato in lesioni colpose ed invita il PM a procedere in tal senso. A questo punto il PM si spoglia del fascicolo e lo invia alla procura di Belluno perchè il reato sarebbe stato consumato in quella circoscrizione. Si tratta di decisione corretta?”
Consulenza legale i 11/02/2017
Il reato di abuso di ufficio (art. 323 c.p.) punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nell’esercizio delle sue funzioni, “intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto”.

Il nostro codice di procedura penale prevede che – laddove ad assumere le qualità di indagato, imputato o di persona offesa dal reato sia un magistrato e che la competenza a procedere per tali fatti sia del distretto a cui appartiene lo stesso magistrato –, occorra guardare alla tabella A contenuta nelle norme di attuazione del c.p.p. Tale tabella infatti stabilisce la competenza per territorio per lo svolgimento delle indagini necessarie qualora sia coinvolto (in ogni veste) un magistrato. Ciò, naturalmente, nell’ottica di imparzialità nello svolgimento delle indagini.

Fatta questa necessaria premessa, nel caso di specie era corretta l’individuazione della Procura di Venezia allo svolgimento delle indagini nei confronti di un magistrato di stanza a Brescia. La norma prevede che il giudice competente sia individuato in quello che ha sede nel capoluogo di un diverso distretto di Corte d'Appello indicato dalla legge: non pare invero possibile la trasmissione degli atti alla Procura di Belluno, in quanto la competenza è di tipo distrettuale (radicata pertanto a Venezia).

Per dovere di completezza, si sottolinea come il termine entro il quale può essere sollevata l'eccezione di incompetenza per i procedimenti relativi ai magistrati sia una conseguenza della natura da riconoscersi alla competenza attribuita ex art. 11 c.p.p. A tal proposito vi sono due distinti orientamenti:
1. il primo ritiene che si tratti di una semplice deroga alla competenza per territorio: il termine è quindi da individuarsi in base all'art. 21, comma 2 c.p.p. (così, ex multis, C. Cass., sez. VI, 18/4/2002 n. 25279; sez. IV, 6/12/2001 n. 4697);
2. ben diverse sono le conseguenze qualora si attribuisca all’art. 11 c.p.p. valenza di competenza funzionale: in tal caso, infatti, il vizio, che determina una nullità assoluta, sarebbe rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento (e così C. Cass., SS. UU., 15/12/2004 n. 292; sez. I, 22/10/2003 n. 45248).
Senza dubbio, quest’ultima interpretazione appare preferibile, soprattutto tenendo conto della ratio di garanzia di terzietà e imparzialità del giudice individuato ai sensi dell’art. 11 c.p.p. e della tabella allegata alle disposizioni di attuazione. Sul punto, però, tuttora la questione rimane aperta, posto che la Cassazione non ha ancora ritenuto di affrontare la questione della natura della competenza succitata.

Potrebbe invero essere possibile che il Pubblico Ministero della Procura di Venezia abbia ritenuto di inviare gli atti alla procura di Belluno in quanto non ritenga ravvisabile il reato di abuso di ufficio ma un diverso reato che veda quale autore dello stesso il magistrato nella veste di privato cittadino (il che fa sorgere la competenza per territorio "ordinaria" ai sensi dell’art. 8 c.p.p.).

SERGIO C. chiede
martedì 10/01/2017 - Emilia-Romagna
“Ho intenzione di ricorrere ex legge 13 aprile 1988, n. 117, in materia di risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati, così come modificata dalla legge 18 del 27/2/15.Dopo un lunghissimo iter giudiziario in una causa per risarcimento danni che mi ha visto vincitore in primo grado, ma soccombente in appello, ho proposto ricorso per cassazione che ha accolto lo stesso cassando la sentenza di appello con rinvio della causa ad altra sezione della stessa C.A. affinchè la stessa decidesse la controversia uniformandosi ai principi di diritto enunciati nella sentenza.
Poiché controparte,nel frattempo,aveva cambiato assetto sociale trasformandosi in S.r.l. da S.p.A. e si era posta anni prima in liquidazione e senza alcun patrimonio da attaccare, ho ritenuto non conveniente riassumere la causa.E' possibile che ciò mi precluda la possibilità di ricorrere contro i madornali "errori" dei giudi di appello?”
Consulenza legale i 13/01/2017
Va detto subito che all'interrogativo che si pone deve darsi risposta negativa, e ciò per ragioni sia di carattere sostanziale che procedurale, tutte riconducibili in generale alla considerazione che la disposizione sulla responsabilità civile dei magistrati è stata strutturata in maniera tale da salvaguardare la libertà di giudizio.

Come è noto la responsabilità civile dei magistrati, regolata dalle norme correttamente richiamate nel quesito, è disciplinata secondo un sistema di c.d. responsabilità indiretta per dolo o colpa grave, in quanto unico responsabile è considerato lo Stato, dovendo l'azione risarcitoria essere proposta nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Il sistema delineato dalla Legge 117/1988 dedica una particolare attenzione a quelli che vengono individuati come elementi costitutivi dell'illecito, sia sul piano oggettivo che su quello soggettivo.

Dal punto di vista oggettivo, l'illecito viene delimitato escludendo con ampia formula "l'attività di interpretazione di norme di diritto" e "quella di valutazione del fatto e delle prove" (cfr. art. 2 co. 2 legge 117/1988 nella sua nuova formulazione).
Da sempre, in effetti, la Corte di Cassazione ha costantemente interpretato tali attività come veri e propri elementi negativi dell'illecito (ossia elementi che escludono la configurabilità dell'illecito, cfr. Cass. Sez. III N. 22539 del 20.10.2006), con la conseguenza che il loro esercizio non può dar luogo in nessun caso a responsabilità del magistrato.
Trattasi di una clausola c.d. di salvaguardia, la quale non tollera letture riduttive perchè trova la sua ratio nel carattere fortemente valutativo dell'attività giudiziaria e, come precisato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 18 del 19/01/1989, attuativa della garanzia costituzionale dell'indipendenza del Giudice e, con essa, del giudizio (Cass. Sez. III sent. 25123 del 27/11/2006).

Dal punto di vista soggettivo, invece, come chiaramene dispone lo stesso testo legislativo, la responsabilità sussiste a titolo di dolo o colpa grave; a tal fine lo stesso legislatore all'art. 2 co. 3 della summenzionata legge si preoccupa di dettare una definizione molto puntuale e tassativa delle ipotesi di colpa grave, riconducendola ai soli casi di:
  • grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;
  • affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;
  • negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;
  • emissione di un provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.
Come può chiaramente notarsi, il legislatore italiano, nell'operare un bilanciamento tra la tutela dei diritti di coloro che siano stati lesi o ritengano di essere stati lesi nell'esercizio della funzione giurisdizionale e le fondamentali garanzie di cui al Titolo IV della Parte II della Costituzione (riconducibili a loro volta al principio della separazione dei poteri) ha mostrato di privilegiare queste ultime, introducendo un sistema rigido e di difficile applicazione concreta.

In particolare, la difficoltà maggiore nel tentare di far valere una lesione dei propri diritti si ravvisa nella esclusione delle attività di interpretazione del diritto e di valutazione dei fatti dall'elemento oggettivo dell'illecito, rischiandosi con tale esclusione di vanificare ogni possibilità di tutela, come dimostrano la prassi applicativa e gli stessi orientamenti della giurisprudenza di legittimità.

Dall'altro lato, in effetti, deve pur riconoscersi che l'eventuale configurazione di una responsabilità del giudice per colpa grave o dolo anche con riferimento alle attività di interpretazione del diritto e valutazione dei fatti si tradurrebbe di fatto in un sindacato sull'applicazione del diritto e, dunque, in una vera e propria revisione del processo, vanificando lo stesso effetto di cosa giudicata della decisione.

Nel caso che si propone, peraltro, a parte la difficoltà di far valere i presupposti di carattere oggettivo e soggettivo di cui si è detto sopra, che obiettivamente si ritiene non possano prima facie dirsi sussistenti, una ipotetica lesione di diritti è già esclusa in radice dalla circostanza che ai probabili errori del giudice di appello si è posto rimedio a seguito del giudizio in cassazione.

Nè potrebbe obiettarsi che nel frattempo si è vanificato il proprio diritto di dare concreta attuazione alla sentenza emessa in proprio favore per avere la controparte cambiato assetto sociale e "distratto" eventuali beni da poter aggredire, in quanto l'ordinamento giuridico appresta una serie di rimedi per ovviare ad inconvenienti di tal genere (a puro titolo esemplificativo si può pensare ad un ricorso allo strumento processuale del sequestro conservativo).

Dal punto di vista prettamente processuale, invece, al quesito va data risposta negativa sulla scorta di quanto chiaramente disposto dall'art. 4 comma 2 della Legge 117/1988, nella parte in cui dispone che l'azione di risarcimento del danno contro lo Stato può essere esercitata soltanto quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento (di cui ci si duole) ovvero, se tali rimedi non sono previsti, quando sia esaurito il grado del procedimento nell'ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno.
Nel caso di specie il presupposto richiesto chiaramente difetta, avendo la Corte di Cassazione offerto lo strumento per rivedere la sentenza per effetto della quale si lamenta una lesione dei propri diritti, strumento di cui si è liberamente deciso di non avvalersi.