(massima n. 1)
La disciplina dettata dall'art. 11 c.p.p. si applica anche nel caso in cui un magistrato, addetto alla Corte di appello, sia imputato o persona offesa da un reato in ordine al quale la stessa Corte di appello è chiamata a decidere. E ciò ancorché il giudizio di primo grado sia stato regolarmente celebrato davanti al giudice naturale, individuato secondo le regole generali, non sussistendo a quel momento per il magistrato interessato le condizioni di cui al medesimo art. 11 c.p.p. (Nell'enunciare il principio di cui in massima, la S.C. ha osservato che nella specie si determina una ipotesi di rimessione automatica, in quanto la legge individua una sorta di incompatibilità riguardante non già la persona di un giudice, bensì l'intero ufficio giudiziario che, secondo le regole generali sulla competenza territoriale, sarebbe competente a decidere. In tale prospettiva, ha soggiunto la Corte, non può aver rilievo il principio della perpetuatio iurisdictionis, essendo esso destinato a soccombere davanti al più importante valore della terzietà ed imparzialità del giudice).