(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)
183 Una diversa sistemazione è stata proposta per l'art. 379 del progetto definitivo —
art. 371 del c.c. — concernente i provvedimenti circa l'educazione del minore e l'amministrazione dei beni. Movendosi dal concetto che principale cura del giudice tutelare deve essere quella della persona del minore, si è richiesto di considerare i provvedimenti relativi alla persona del minore prima di quelli riguardanti l'amministrazione del patrimonio. Trovandosi giusto il rilievo è stata mutata la formulazione dell'articolo del progetto, in guisa da mettere in evidenza che il giudice deve deliberare in ogni caso sulla educazione e istruzione, determinando la spesa annua a tal fine. Non è stata fatta, invece, menzione delle ipotesi relative all'alienazione dei beni mobili deperibili e al soddisfacirneeto dei debiti dei minore, perché si è considerato che sarebbe inceppante e dannoso attendere l'autorizzazione del giudice per la vendita dei beni mobili deperibili, data la urgenza con cui vi si deve provvedere. Per quanto concerne i debiti, è stato già chiarito nella relazione al progetto definitivo (n. 365) che il pagamento dei debiti liquidi ed esigibili, eseguito con normali mezzi, costituisce un dovere giuridico che non ha bisogno di autorizzazione. Per quanto concerne, infine, la ipotesi riguardante la continuazione o la cessazione dell'esercizio dell'impresa, prevista nell'art. 382 del progetto definitivo, va rilevato che su questo punto esiste una differenza sostanziale fra la norma del progetto e quella che è stata suggerita. Il progetto, conformemente al vecchio codice, stabiliva come regola l'alienazione o la liquidazione dell'impresa, senza escludere la possibilità, in casi eccezionali, di ottenere l'autorizzazione a continuare l'esercizio. Viceversa, secondo la formula proposta, il giudice dovrebbe in ogni caso adottare una deliberazione al riguardo, disponendo, di regola, la continuazione dell'esercizio dell'impresa e permettendone la liquidazione solo se sia impossibile o non conveniente proseguire la gestione. Da un punto di vista politico economico, nell'interesse generale della produzione, non v'ha dubbio sull'opportunità di evitare rovinose e affrettate liquidazioni, e perciò il testo dispone che l'autorità giudiziaria, trovandosi di fronte all'esercizio di una impresa, deliberi sulla convenienza della continuazione o della liquidazione. Ma non si è aderito pienamente al concetto che la continuazione dell'esercizio debba essere la regola e la liquidazione l'eccezione, in quanto ciò sarebbe, fra l'altro, contrario al nostro sistema legislativo, secondo cui l'esercizio del commercio nell'interesse del minore ha carattere del tutto straordinario. L'organo tutelare potrà contemperare, in base all'esame concreto delle circostanze, la tutela spettante agli interessi patrimoniali del minore col principio che l'attività produttiva, essendo funzione di interesse nazionale, deve essere conservata e agevolata. Pertanto nell'art. 371, n. 3, si stabilisce che ove il giudice tutelare stimi evidentemente utile per il minore la continuazione dell'esercizio dell'impresa commerciale, il tutore deve chiedere l'autorizzazione del tribunale. A quest'ultimo si è voluto attribuire la competenza a provvedere, in conformita a quanto si dispone per i minori sottoposti alla patria potestà, salva la facoltà del giudice tutelare di consentire l'esercizio provvisorio dell'impresa in pendenza della deliberazione del tribunale. Non sono state menzionate, accanto alle aziende commerciali, quelle agrarie, porcile, mentre si giustifica la necessità dell'autorizzazione all'esercizio delle prime, in conseguenza dei rischi che ne derivano, per le aziende agrarie sarebbe fuori di luogo l'intervento abilitativo dell'autorità.