Cass. civ. n. 3647/2023
L'esenzione dal fallimento dell'imprenditore agricolo, che eserciti anche attività di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli, postula la dimostrazione della sussistenza delle condizioni per ricondurre tale attività nell'ambito di quelle connesse, di cui all'art. 2135, comma 3, c.c. e, in particolare, che essa abbia come oggetto prevalente prodotti propri e non ceduti o coltivati da terzi; l'onere della prova di tali condizioni va posto a carico di chi le invochi, in ossequio all'art. 2697, comma 2, c.c.
Cass. civ. n. 2162/2023
Ai fini della nozione di impresa agricola desumibile dall'art. 2135 c.c., rilevante ai fini dell'esenzione dalla dichiarazione di fallimento, l'attività di produzione di energia mediante l'utilizzo di biomasse può essere inclusa tra le attività connesse ad attività agricola prevalente ex art 1, comma 423, della l. n. 266 del 2005, ove siano rispettati i limiti quantitativi dell'energia prodotta stabiliti dalla legge, dovendo comunque procedersi all'indagine sull'origine delle biomasse e sul rapporto tra produzione agricola e produzione di energia, dovendosi così interpretare il chiaro dato letterale dell'art. 14, comma 13 quater, del d. lgs. n. 99 del 2004, che espressamente si riferisce solo alla produzione delle biomasse e non alla produzione di energia mediante biomasse.
Cass. civ. n. 5342/2019
Risulta soggetta a fallimento l'impresa agricola costituita in forma societaria, quando risulti accertato in sede di merito l'esercizio in concreto di attività commerciale, in misura prevalente sull'attività agricola contemplata in via esclusiva dall'oggetto sociale, nonostante la sopravvenuta cessazione dell'attività commerciale al momento del deposito della domanda di fallimento nei suoi confronti.
Cass. civ. n. 2933/2019
In tema di inquadramento delle aziende a fini previdenziali, le cooperative svolgenti attività di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli acquisiti da terzi possono essere qualificate agricole, ai sensi dell'art. 2135 c.c., a condizione che esercitino la loro attività prevalentemente nei confronti dei soci o con prodotti derivanti dai fondi da questi ultimi coltivati.
Cass. civ. n. 5391/2018
La nuova formulazione dell'art. 2135 c.c. ha ampliato la nozione di imprenditore agricolo, rilevante ai fini dell'inquadramento previdenziale nonché della tutela assicurativa (come desumibile dal rinvio alla norma citata operato dall'art. 207 del T.U. n. 1124 del 1965), in quanto, richiamando le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico, ha ricompreso tra quelle complementari anche le attività che non presentano una connessione necessaria tra produzione e utilizzazione del fondo, ma unicamente un collegamento funzionale e meramente strumentale con il terreno. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto essere agricola, e conseguentemente che sussistesse l'occasione di lavoro necessaria a ricomprendere l'infortunio nella tutela assicurativa, una attività di allevamento equino finalizzata alla riproduzione).
Cass. civ. n. 11707/2013
In relazione all'inquadramento nel settore agricolo ai fini previdenziali, l'elencazione delle attività connesse contenuta nel secondo comma dell'art. 2135 cod. civ. (nel testo vigente anteriormente alla riforma operata ex art. 1, d. lgs. 18 maggio 2001, n. 228, applicabile "ratione temporis") è meramente esemplificativa, potendosi avere, oltre alle tipiche attività connesse menzionate dalla norma, anche attività atipiche, quali ad esempio la tenuta della contabilità, dietro corrispettivo annuo, per imprese agricole associate.
Cass. civ. n. 15333/2011
L'allevamento di cavalli da polo non rientra nell'esercizio normale dell'agricoltura ai sensi dell'art. 2135 cod. civ. e, per la sua autonomia rispetto allo sfruttamento del terreno, non presenta alcun collegamento con l'utilizzazione del fondo secondo la pratica agricola e zootecnica. Ne consegue che la controversia avente ad oggetto la restituzione di un fondo ceduto in affitto per la suddetta attività non può qualificarsi affitto agrario ma concerne, invece, un normale rapporto locativo devoluto alla competenza del tribunale ordinario e non delle sezioni specializzate agrarie.
Cass. civ. n. 6853/2011
A norma dell'art. 2135 c.c. — nel testo, "ratione temporis" applicabile, anteriore alla novella di cui al d.l.vo 18 maggio 2001, n. 228 — è qualificabile come attività agricola quella diretta alla coltivazione del fondo e costituente forma di sfruttamento del fattore terra, sia pure con l'ausilio delle moderne tecnologie, nonché quella connessa a tale coltivazione, che si inserisca nel ciclo dell'economia agricola; ha, invece, carattere commerciale o industriale ed è, quindi, soggetta al fallimento, se esercitata sotto forma di impresa grande e media, quell'attività che, oltre ad essere idonea a soddisfare esigenze connesse alla produzione agricola, risponda a scopi commerciali o industriali e realizzi utilità del tutto indipendenti dall'impresa agricola o, comunque, prevalenti rispetto ad essa. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto correttamente e congruamente motivata la decisione della corte territoriale che aveva qualificato come commerciale e, quindi, soggetta a fallimento, l'attività dell'associazione di cerealicoltori che, oltre a non svolgere in via diretta alcuna attività propriamente agricola, raccoglieva in modo sistematico, con personale ed ausiliari, i mezzi finanziari per i propri associati, anticipando ad essi i contributi pubblici e commercializzando in proprio partite di grano e concimi).
Cass. civ. n. 8086/2010
In tema di IVA, ai fini dell'applicabilità del regime speciale previsto dall'art. 34 del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633 per i produttori agricoli, il criterio della provenienza prevalente dei prodotti dalla coltivazione del fondo, enunciato dall'art. 2135 c.c. con riguardo alle attività connesse, trova applicazione solo alle annualità successive all'entrata in vigore del d.l.vo 18 maggio 2001, n. 228 che ha modificato l'art. 2135 cit., mentre per le annualità precedenti si applica il testo originario della disposizione, che qualificava come imprenditore agricolo chi esercitasse un'attività diretta alla coltivazione del fondo, facendo, dunque, esclusivo riferimento alla natura dell'attività svolta.
Cass. civ. n. 11630/2007
Ai fini dell'individuazione della nozione di allevamento di bestiame, il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alla nozione di imprenditore agricolo delineata dall'art. 2135 c.c., nel testo precedente alla riforma introdotta dall'art. 1 del D.L.vo n. 228 del 2001 appare pienamente applicabile alla norma di cui all'art. 2 della legge n. 9 del 1963, ai fini del diritto del coltivatore diretto, dedito all'allevamento di bestiame, all'assicurazione di invalidità e vecchiaia, costituendo l'allevamento del bestiame, in entrambi i casi, specificazione di un particolare tipo di attività alla quale, per la sua caratterizzazione agricola, l'ordinamento giuridico attribuisce una speciale disciplina, codicistica per l'impresa agricola, previdenziale per il coltivatore diretto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione della corte territoriale che, sul presupposto che l'allevamento del bestiame avesse natura agricola solo se collegato con rapporto di complementarietà e subordinazione con la coltivazione del fondo, aveva ritenuto l'attività diretta alla riproduzione e all'allevamento dei cavalli da corsa non qualificabile come attività agricola, richiedendo un complesso di conoscenze tecniche in settore sostanzialmente estraneo a quello propriamente agricolo).
Cass. civ. n. 17251/2002
La nozione di imprenditore agricolo contenuta nell'art. 2135 c.c. (nel testo precedente alla novella di cui al D.L.vo n. 228 del 2001), alla quale occorre necessariamente fare riferimento per il richiamo contenuto nell'art. 1 legge fall. (Imprese soggette al fallimento), presuppone che l'attività economica sia svolta con la terra o sulla terra e che l'organizzazione aziendale ruoti attorno al “fattore terra”. Ne consegue che il riferimento al solo ciclo biologico del prodotto (pur se esatto dal punto di vista tecnico) non esaurisce il tema d'indagine devoluto al giudice di merito per l'accertamento, ai fini della soggezione al fallimento, della natura dell'impresa (la S.C. ha così cassato la sentenza che aveva ritenuto che l'attività di ortoflorovivaistica potesse essere qualificata agricola, non in base alla coltivazione diretta del fondo, bensì in relazione al fatto che la produzione dipende da un ciclo biologico che, nonostante le tecniche di perfezionamento, non è mai controllabile e, rispetto al quale, il fondo può ridursi a sede dell'attività produttiva).
Cass. civ. n. 10527/1998
A norma dell'art. 2135 c.c., l'attività di allevamento del bestiame può considerarsi agricola e, come tale, non assoggettabile a fallimento, ancorché svolta con l'ausilio di tecniche moderne, quando si presenta in collegamento funzionale con il fondo, nel senso che trae occasione o forza dallo sfruttamento del fondo stesso, mentre qualora tale attività, per le dimensioni, l'ubicazione e le modalità di esercizio, si configuri come autonoma rispetto ai fini dell'azienda agricola - come nel caso in cui il terreno funga soltanto da luogo di stazionamento degli animali - si è in presenza di impresa industriale. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto correttamente e congruamente motivata la decisione della Corte territoriale che aveva qualificato come commerciale e, quindi, soggetta a fallimento, l'attività di allevatore di conigli, sulla scorta di una serie di elementi, quali le caratteristiche dell'allevamento e del capannone all'uopo costruito, le dimensioni dello stesso, il numero e la sistemazione delle gabbie impiegate, i quantitativi di mangime acquistati, la circostanza che l'imprenditore di cui si trattava fosse conosciuto a livello internazionale quale allevatore di conigli da pelliccia - e non da carne - la produzione ed il conferimento di numerosissime pelli, l'ingente entità del passivo accumulato, non addebitabile ai costi di conduzione del fondo).