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Articolo 2135 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Imprenditore agricolo

Dispositivo dell'art. 2135 Codice Civile

È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse [2082, 2083].

Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine(1).

Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge [2557](2).

Note

(1) L'elencazione delle attività contenuta nel secondo comma è da ritenersi meramente esemplificativa, potendosi avere oltre a quelle elencate anche altre attività atipiche.
(2) Articolo così sostituito dall'art. 1, comma 1 D. Lgs. 18 maggio 2001, n. 228.


Ratio Legis

La norma delinea i caratteri dell'impresa agricola (imprenditore agricolo), destinataria di una disciplina semplificata rispetto a quella riguardante l'imprenditore commerciale, nonché di taluni benefici di natura fiscale. La ragione della scelta legislativa di differenziare l'imprenditore agricolo da quello commerciale stava nella convinzione, peraltro del tutto inattuale, per cui l'organizzazione dell'impresa agricola si basi prevalentemente sull'utilizzo del fondo, non richiedendo particolari investimenti per l'acquisto di fattori produttivi secondari.

Spiegazione dell'art. 2135 Codice Civile

Il d.lgs. 228/2001 ha significativamente ampliato e modificato i presupposti affinché una data attività d’impresa possa essere qualificata come impresa agricola.
Nello specifico, la norma non pone più al centro della fattispecie le sole attività svolte sul “fondo”, ricomprendendovi tutte le attività che in generale risultino dirette allo sviluppo e alla cura di un ciclo biologico di tipo animale o vegetale, a prescindere dall’utilizzo effettivo del fondo.
Tra le attività agricole principali vi rientrano tutte quelle attività di coltivazione o di allevamento che comportino un accrescimento funzionale del periodo di vita di un vegetale o di un animale. Non vi può rientrare invece l'attività di caccia.
Alle attività principali la norma affianca le attività agricole per connessione, definite quali attività che possono avere ad oggetto:
  1. la manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco, o dall'allevamento di animali
  2. la fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità.

Affinché tali attività, normalmente qualificabili come attività commerciali, possano rientrare nell’alveo delle attività agricole connesse è tuttavia indispensabile verificare la sussistenza dei seguenti requisiti:
  1. connessione soggettiva: vi deve essere identità tra il soggetto che esercita le attività principali e le attività secondarie
  2. connessione oggettiva: le attività secondarie devono riguardare i beni prodotti dall’attività principale e/o servirsi degli strumenti utilizzati nel contesto delle attività principali
  3. prevalenza: i prodotti e/o gli strumenti utilizzati devono essere riferibili prevalentemente all’attività principale
Il requisito della prevalenza può essere accertato sulla base di una valutazione:
  • quantitativa: confrontando il numero dei beni provenienti dalle attività principali e dei beni acquistati da terzi, se si tratta di beni appartenenti alla medesima categoria merceologica
  • qualitativa: confrontando il valore dei beni provenienti dalle attività principali e dei beni acquistati da terzi, se si tratta di beni tra loro non fungibili

L'imprenditore agricolo, pur riconducibile alla figura dell'imprenditore in generale, soggiace ad uno statuto semplificato rispetto all’imprenditore commerciale. L’imprenditore agricolo non ha infatti l’obbligo di tenuta delle scritture contabili e non è soggetto alla liquidazione giudiziale, né può accedere agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza (fatta eccezione per il concordato minore e la liquidazione controllata).

Massime relative all'art. 2135 Codice Civile

Cass. civ. n. 3647/2023

L'esenzione dal fallimento dell'imprenditore agricolo, che eserciti anche attività di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli, postula la dimostrazione della sussistenza delle condizioni per ricondurre tale attività nell'ambito di quelle connesse, di cui all'art. 2135, comma 3, c.c. e, in particolare, che essa abbia come oggetto prevalente prodotti propri e non ceduti o coltivati da terzi; l'onere della prova di tali condizioni va posto a carico di chi le invochi, in ossequio all'art. 2697, comma 2, c.c.

Cass. civ. n. 2162/2023

Ai fini della nozione di impresa agricola desumibile dall'art. 2135 c.c., rilevante ai fini dell'esenzione dalla dichiarazione di fallimento, l'attività di produzione di energia mediante l'utilizzo di biomasse può essere inclusa tra le attività connesse ad attività agricola prevalente ex art 1, comma 423, della l. n. 266 del 2005, ove siano rispettati i limiti quantitativi dell'energia prodotta stabiliti dalla legge, dovendo comunque procedersi all'indagine sull'origine delle biomasse e sul rapporto tra produzione agricola e produzione di energia, dovendosi così interpretare il chiaro dato letterale dell'art. 14, comma 13 quater, del d. lgs. n. 99 del 2004, che espressamente si riferisce solo alla produzione delle biomasse e non alla produzione di energia mediante biomasse.

Cass. civ. n. 5342/2019

Risulta soggetta a fallimento l'impresa agricola costituita in forma societaria, quando risulti accertato in sede di merito l'esercizio in concreto di attività commerciale, in misura prevalente sull'attività agricola contemplata in via esclusiva dall'oggetto sociale, nonostante la sopravvenuta cessazione dell'attività commerciale al momento del deposito della domanda di fallimento nei suoi confronti.

Cass. civ. n. 2933/2019

In tema di inquadramento delle aziende a fini previdenziali, le cooperative svolgenti attività di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli acquisiti da terzi possono essere qualificate agricole, ai sensi dell'art. 2135 c.c., a condizione che esercitino la loro attività prevalentemente nei confronti dei soci o con prodotti derivanti dai fondi da questi ultimi coltivati.

Cass. civ. n. 5391/2018

La nuova formulazione dell'art. 2135 c.c. ha ampliato la nozione di imprenditore agricolo, rilevante ai fini dell'inquadramento previdenziale nonché della tutela assicurativa (come desumibile dal rinvio alla norma citata operato dall'art. 207 del T.U. n. 1124 del 1965), in quanto, richiamando le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico, ha ricompreso tra quelle complementari anche le attività che non presentano una connessione necessaria tra produzione e utilizzazione del fondo, ma unicamente un collegamento funzionale e meramente strumentale con il terreno. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto essere agricola, e conseguentemente che sussistesse l'occasione di lavoro necessaria a ricomprendere l'infortunio nella tutela assicurativa, una attività di allevamento equino finalizzata alla riproduzione).

Cass. civ. n. 11707/2013

In relazione all'inquadramento nel settore agricolo ai fini previdenziali, l'elencazione delle attività connesse contenuta nel secondo comma dell'art. 2135 cod. civ. (nel testo vigente anteriormente alla riforma operata ex art. 1, d. lgs. 18 maggio 2001, n. 228, applicabile "ratione temporis") è meramente esemplificativa, potendosi avere, oltre alle tipiche attività connesse menzionate dalla norma, anche attività atipiche, quali ad esempio la tenuta della contabilità, dietro corrispettivo annuo, per imprese agricole associate.

Cass. civ. n. 15333/2011

L'allevamento di cavalli da polo non rientra nell'esercizio normale dell'agricoltura ai sensi dell'art. 2135 cod. civ. e, per la sua autonomia rispetto allo sfruttamento del terreno, non presenta alcun collegamento con l'utilizzazione del fondo secondo la pratica agricola e zootecnica. Ne consegue che la controversia avente ad oggetto la restituzione di un fondo ceduto in affitto per la suddetta attività non può qualificarsi affitto agrario ma concerne, invece, un normale rapporto locativo devoluto alla competenza del tribunale ordinario e non delle sezioni specializzate agrarie.

Cass. civ. n. 6853/2011

A norma dell'art. 2135 c.c. — nel testo, "ratione temporis" applicabile, anteriore alla novella di cui al d.l.vo 18 maggio 2001, n. 228 — è qualificabile come attività agricola quella diretta alla coltivazione del fondo e costituente forma di sfruttamento del fattore terra, sia pure con l'ausilio delle moderne tecnologie, nonché quella connessa a tale coltivazione, che si inserisca nel ciclo dell'economia agricola; ha, invece, carattere commerciale o industriale ed è, quindi, soggetta al fallimento, se esercitata sotto forma di impresa grande e media, quell'attività che, oltre ad essere idonea a soddisfare esigenze connesse alla produzione agricola, risponda a scopi commerciali o industriali e realizzi utilità del tutto indipendenti dall'impresa agricola o, comunque, prevalenti rispetto ad essa. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto correttamente e congruamente motivata la decisione della corte territoriale che aveva qualificato come commerciale e, quindi, soggetta a fallimento, l'attività dell'associazione di cerealicoltori che, oltre a non svolgere in via diretta alcuna attività propriamente agricola, raccoglieva in modo sistematico, con personale ed ausiliari, i mezzi finanziari per i propri associati, anticipando ad essi i contributi pubblici e commercializzando in proprio partite di grano e concimi).

Cass. civ. n. 8086/2010

In tema di IVA, ai fini dell'applicabilità del regime speciale previsto dall'art. 34 del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633 per i produttori agricoli, il criterio della provenienza prevalente dei prodotti dalla coltivazione del fondo, enunciato dall'art. 2135 c.c. con riguardo alle attività connesse, trova applicazione solo alle annualità successive all'entrata in vigore del d.l.vo 18 maggio 2001, n. 228 che ha modificato l'art. 2135 cit., mentre per le annualità precedenti si applica il testo originario della disposizione, che qualificava come imprenditore agricolo chi esercitasse un'attività diretta alla coltivazione del fondo, facendo, dunque, esclusivo riferimento alla natura dell'attività svolta.

Cass. civ. n. 11630/2007

Ai fini dell'individuazione della nozione di allevamento di bestiame, il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alla nozione di imprenditore agricolo delineata dall'art. 2135 c.c., nel testo precedente alla riforma introdotta dall'art. 1 del D.L.vo n. 228 del 2001 appare pienamente applicabile alla norma di cui all'art. 2 della legge n. 9 del 1963, ai fini del diritto del coltivatore diretto, dedito all'allevamento di bestiame, all'assicurazione di invalidità e vecchiaia, costituendo l'allevamento del bestiame, in entrambi i casi, specificazione di un particolare tipo di attività alla quale, per la sua caratterizzazione agricola, l'ordinamento giuridico attribuisce una speciale disciplina, codicistica per l'impresa agricola, previdenziale per il coltivatore diretto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione della corte territoriale che, sul presupposto che l'allevamento del bestiame avesse natura agricola solo se collegato con rapporto di complementarietà e subordinazione con la coltivazione del fondo, aveva ritenuto l'attività diretta alla riproduzione e all'allevamento dei cavalli da corsa non qualificabile come attività agricola, richiedendo un complesso di conoscenze tecniche in settore sostanzialmente estraneo a quello propriamente agricolo).

Cass. civ. n. 17251/2002

La nozione di imprenditore agricolo contenuta nell'art. 2135 c.c. (nel testo precedente alla novella di cui al D.L.vo n. 228 del 2001), alla quale occorre necessariamente fare riferimento per il richiamo contenuto nell'art. 1 legge fall. (Imprese soggette al fallimento), presuppone che l'attività economica sia svolta con la terra o sulla terra e che l'organizzazione aziendale ruoti attorno al “fattore terra”. Ne consegue che il riferimento al solo ciclo biologico del prodotto (pur se esatto dal punto di vista tecnico) non esaurisce il tema d'indagine devoluto al giudice di merito per l'accertamento, ai fini della soggezione al fallimento, della natura dell'impresa (la S.C. ha così cassato la sentenza che aveva ritenuto che l'attività di ortoflorovivaistica potesse essere qualificata agricola, non in base alla coltivazione diretta del fondo, bensì in relazione al fatto che la produzione dipende da un ciclo biologico che, nonostante le tecniche di perfezionamento, non è mai controllabile e, rispetto al quale, il fondo può ridursi a sede dell'attività produttiva).

Cass. civ. n. 10527/1998

A norma dell'art. 2135 c.c., l'attività di allevamento del bestiame può considerarsi agricola e, come tale, non assoggettabile a fallimento, ancorché svolta con l'ausilio di tecniche moderne, quando si presenta in collegamento funzionale con il fondo, nel senso che trae occasione o forza dallo sfruttamento del fondo stesso, mentre qualora tale attività, per le dimensioni, l'ubicazione e le modalità di esercizio, si configuri come autonoma rispetto ai fini dell'azienda agricola - come nel caso in cui il terreno funga soltanto da luogo di stazionamento degli animali - si è in presenza di impresa industriale. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto correttamente e congruamente motivata la decisione della Corte territoriale che aveva qualificato come commerciale e, quindi, soggetta a fallimento, l'attività di allevatore di conigli, sulla scorta di una serie di elementi, quali le caratteristiche dell'allevamento e del capannone all'uopo costruito, le dimensioni dello stesso, il numero e la sistemazione delle gabbie impiegate, i quantitativi di mangime acquistati, la circostanza che l'imprenditore di cui si trattava fosse conosciuto a livello internazionale quale allevatore di conigli da pelliccia - e non da carne - la produzione ed il conferimento di numerosissime pelli, l'ingente entità del passivo accumulato, non addebitabile ai costi di conduzione del fondo).

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Consulenze legali
relative all'articolo 2135 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

F. C. chiede
venerdì 22/11/2024
“Signori
ho ricevuta la vostra consulenza Q202440163 sul diritto di prelazione dei confinanti e vi rigrazio io novataduenne.
Vorrei ora sapere se la legge di prelazione agraria art 8 legge 590 vale solo per terreni coltivati, ossia arati per produrre ad es. patate, pomidoro, grano, oppure anche per boschi cedui adibiti a pascolo per bovini
ed anche per boschi castagnali di castagneti fruttiferi.
Tutto questo mi serve anche per essere un bravo committente per un eventuale avvocato.
Pazienza verso ‘un debole’ che dovrebbe essere protetto da legge divina ed umana.
Salute e saluti.”
Consulenza legale i 02/12/2024
Come abbiamo visto nella precedente consulenza, il diritto di prelazione agraria previsto dalla L. 590/1965 è stato successivamente esteso - per effetto dell’art. 7 della L. 817/1971 - anche ad altre categorie di soggetti, tra i quali, per quanto qui specificamente interessa:
Per entrambi è richiesto il doppio requisito della proprietà di terreni confinanti con i fondi offerti in vendita e del non insediamento, sugli stessi, di mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti o enfiteuti coltivatori diretti.

Al fine di stabilire quali attività costituiscano il presupposto per l’applicazione della normativa in esame, possiamo fare riferimento all’art. 2135 c.c.
Tale disposizione definisce l’imprenditore agricolo come colui che esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.
La norma prosegue specificando che “per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine”.
Dunque, alla nozione di agricoltura possono essere ricondotte non solo la coltivazione vera e propria del fondo, ma anche l’allevamento di animali e la selvicoltura.
Quanto alle “attività connesse”, di cui parla la norma, si tratta di quelle “dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.

Alla luce di quanto sopra, si ritiene che anche le attività indicate nel quesito rientrino nel genus dell’attività agricola e che, quindi, il loro esercizio possa costituire presupposto per l’applicazione della disciplina sulla prelazione agraria.

Massimo Z. chiede
lunedì 22/07/2019 - Piemonte
“Buongiorno, come titolare di impresa immobiliare ho presentato domanda al comune di (omissis) per la costruzione di una pensione per cani su un terreno agricolo. Ho ottenuto i permessi da ASL e superato i vincoli ambientali ma infine il comune ha bocciato la richiesta in quanto il soggetto richiedente non aveva la corretta qualifica di imprenditore agricolo. Faccio presente che la pensione per cani è un attività commerciale di servizi che per sua natura deve essere svolta su un terreno agricolo . Ora cercando di superare questo ostacolo ho rifatto la domanda a nome di mia moglie iscrivendola con PIVA agricola ( con specifica di coltivatrice di piante da frutta) in camera di commercio anche se al momento la pIVA è inattiva. Il comune mi chiede a questo punto di comprovare i requisiti del richiedente...dovrò quindi renderla attiva. Probabilmente però il reddito prodotto come imprenditrice agricola non le permetterà di mantenere tale qualifica. Mi chiedo se una volta attivata la pIVA il comune dovrà rilasciare il permesso e qual'ora il reddito non potrà far mantenere la qualifica di agricolo ci potranno essere dei risvolti sulla pensione costruita. Inoltre può il comune vincolare in questo modo questo tipo di attività ? Grazie. cordiali saluti”
Consulenza legale i 30/07/2019
Al fine di rispondere al presente quesito pare opportuno prendere le mosse dall’articolo 2135 del codice civile, il quale stabilisce che l’imprenditore agricolo è colui che esercita le attività di coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali ed attività connesse.

Come si potrebbe già di per sé intuire dalla stessa formulazione letterale della norma, la nozione di imprenditore agricolo è legata perlopiù alla coltivazione del fondo ed ai prodotti che l’allevamento di animali può produrre. La nozione è infatti legata alla produzione, delineando dunque un’attività economica destinata sì all’utilizzo complementare di terreni ed animali, ma per la produzione e la successiva messa in commercio di prodotti agricoli.

Ben altra natura presenta invece una pensione per cani, la quale non sfrutta il fondo in maniera diretta per produrre i prodotti animali (pascolare ecc.), ma semplicemente usa il terreno per consentire agli animali di crescere in un ambiente più rurale, e quindi più adatto alle loro esigenze.

Nei medesimi termini si è espressa la Cassazione, la quale con ordinanza n. 12394/2017 ha stabilito che l’allevamento di cani e gatti non può essere considerato attività agricola. Nell’ambito di un procedimento di regolamento di competenza, la Corte Suprema ha infatti affrontato nuovamente il tema dell’agrarietà dell’attività di allevamento di animali, per affermare, ancora una volta, che tale attività resta esclusa dal novero di quelle agricole, se non è in collegamento funzionale con la coltivazione del fondo. Di qui, il corollario secondo cui esorbita dalla competenza delle Sezioni specializzate agrarie, in favore del giudice ordinario, la controversia avente ad oggetto il godimento di un terreno agricolo concesso per l’allevamento, ricovero ed addestramento di cani e gatti.

Dato atto della mancanza di collegamento funzionale tra le pensioni per cani e la nozione di imprenditore agricolo, pare opportuno precisare che nella normativa regionale piemontese non vi è traccia alcuna di tale requisito. Difatti, né la legge regionale n. 34/1993, né il regolamento 11 novembre 1993, n. 2 (D.C.R. 697/1993 - D.P.G.R. 4359/1993), attuativo della legge suindicata, menzionano tale requisito tra quelli necessari per poter ottenere l’autorizzazione.

Quindi, a meno che non vi sia un particolare regolamento comunale edilizio che richieda la qualità di imprenditore agricolo per via delle particolarità della zona, o per altri motivi di natura urbanistica, si ritiene che tale richiesta sia illegittima.

Ad ogni modo, una volta ottenuta la qualifica e la consequenziale autorizzazione, pare assai arduo che l’Autorità indaghi sul mantenimento dei requisiti, una volta che vi è la documentazione circa il nulla osta richiesto. In ogni caso, una simile conseguenza (la perdita del diritto a gestire la pensione per cani) dovrebbe essere esplicitamente prevista dalla legge, come ad esempio, sempre in relazione all’imprenditore agricolo, la disposizione contenuta nel nuovo comma 4 dell'articolo 2, del D. Lgs. n. 99/2004, che dispone che la perdita dei requisiti di imprenditore agricolo professionale, nei cinque anni dalla data di applicazione delle agevolazioni fiscali ottenute, determina la decadenza delle agevolazioni medesime.

Maria D. chiede
domenica 25/02/2018 - Campania
“Il Comune di ....... con l'approvazione del PUC ha modificato la destinazione urbanistica di un terreno agricolo di Famiglia rendendolo di Servizio Commercio ed Artigianale, quindi edificabile . Tale terreno da oltre cinquant'anni è stato di proprietà di mia Suocera - Coltivatrice Diretta che dal 1974 ha assunto la qualifica di Pensionata Agricola ed oggi all'età di 86 anni è anche destinataria di una pensione di accompagnamento per gravi malattie. Dagli anni 1990 il fondo è stato condotto dalla suocera come impresa agricola, poi, con contratti di fitto, è passato alla sottoscritta e dal 2009, sempre con contratti di fitto, è passato al primo figlio, nipote diretto della Suocera. Non abbiamo versato l' IMU per effetti dei benefici spettanti ai terreni agricoli. Dal 2003 la proprietà del Fondo è così ripartita: 40% a titolo pieno della sottoscritta e 60 % usufruttuaria la suocera e nudo proprietario il marito, primo figlio della Suocera. Il Comune di ........ oggi effettua un'accertamento di valore per IMU non versato nei confronti di mia Suocera per circa 28.000, euro inerenti le annualità 2013 -2014-2015 e 2016. Non abbiamo ricevuto mai comunicazione dirette dal Comune circa il cambiamento di destinazione d'uso del terreno ed al Catasto risulta tuttora terreno agricolo. L'attività agricola di fatto e storicamente è stata sempre espletata dalla Famiglia anche se non regolamentata con Società, ma svolta con ditte individuali in forza di contratti di fitto. L'attuale conduttore ha ricevuto anche sovvenzioni regionali che impegnano il terreno per produzioni agricole nelle annate in esame ed oltre. Possiamo chiedere l'annullamento dell'accertamento?”
Consulenza legale i 01/03/2018
La prima considerazione va fatta con riferimento all’osservazione, contenuta nel testo del quesito, secondo cui non è stata mai ricevuta comunicazione diretta da parte del Comune circa il cambiamento di destinazione d’uso del terreno, il quale al catasto risulta ancora come terreno agricolo.

Purtroppo questa non può essere una valida giustificazione per ritenersi esentati dal pagamento di un tributo, in quanto il presupposto dell’imposizione nasce da un atto amministrativo avente carattere generale ed astratto, il Piano Urbanistico Comunale, il quale si presume entrato nella sfera di conoscibilità dei singoli destinatari, diretti interessati, con la sua sola pubblicazione secondo le forme prescritte dalla legge.

Infatti, accedendo al sito del Comune interessato, è possibile verificare che:
  1. la proposta del PUC, in esito alla relativa delibera di Giunta comunale, è stata pubblicata per 60 giorni consecutivi presso la competente Segreteria comunale, previa notizia del deposito all’albo pretorio, su due quotidiani a diffusione provinciale, sul BURC e sulle mura della città;
  2. la delibera di Consiglio Comunale in forza della quale il PUC è stato adottato, risulta essere stata regolarmente affissa all’Albo pretorio comunale in data 12.09.2012, per rimanervi per quindici giorni consecutivi;
  3. sempre in data 12.09.2012 il Vice Segretario generale rendeva noto con propria nota che presso la Segreteria generale veniva depositata la delibera di Consiglio comunale avente ad oggetto il piano urbanistico comunale, corredata di relativo CD, e comunicava l’indirizzo internet a cui era possibile consultare e scaricare gli elaborati grafici, i documenti e tutti gli allegati del PUC.

Gli adempimenti di cui sopra certamente hanno avuto l’effetto di portare a conoscenza dei diretti interessati il Piano urbanistico comunale.

Fatte queste considerazioni preliminari, vediamo di capire se tali tributi sono effettivamente dovuti o meno, e dunque se vi sono i margini per chiedere ed ottenere l’annullamento degli avvisi di accertamento.

Disciplina fondamentale in materia di IMU è il D.lgs. 504 del 30.12.1992, dettato originariamente in materia di ICI e successivamente applicabile all’IMU, il quale all’art. 7 comma 1 lettera h) dispone che sono esenti da tributo i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina delimitate ai sensi dell'articolo 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984.

Con successiva Circolare n. 9 del 14.06.1993 il Ministero delle Finanze, dopo aver chiarito che non sono interessati dall’esenzione i terreni che possiedono le caratteristiche di area fabbricabile (secondo la definizione che ne dà la lettera b) dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 504/1992[1]), ha precisato che fanno eccezione, per come disposto peraltro nel secondo periodo della predetta lettera b), i terreni di proprietà di coltivatori diretti o di imprenditori agricoli a titolo principale, i quali siano dagli stessi proprietari condotti e sui quali persista l'utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l'esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura ed all'allevamento di animali.

Tali terreni, non potendo essere considerati aree fabbricabili per definizione legislativa, conservano comunque, sussistendo le cennate condizioni, il carattere di terreno agricolo e, quindi, per essi può operare l'esenzione originata dalla loro ubicazione in comuni compresi nell'elenco allegato.

Il problema, però, è un altro, e sta nel fatto che l’imponibilità dei terreni agricoli ai fini ICI ed IMU ha creato grosse controversie e numerosi ostacoli nell’applicazione dell’imposta, non solo per i contribuenti ma anche per gli uffici tributi, avendo formato oggetto di continue variazioni normative

Le numerose modifiche che si sono succedute nel corso degli anni hanno apportato enorme confusione, soprattutto in relazione ai comuni montani, come quello del caso in esame.

Infatti, fino al 2013 i terreni agricoli erano esenti da IMU se il Comune era riconosciuto come Comune montano o di collina secondo l’individuazione che ne veniva fatta dalla Circolare n. 9 del 14 giugno 1993.

A fine 2014 ed a valere per tutto il 2014, con il Decreto interministeriale del 28.11.2014, il Governo ha inteso rivedere la classificazione dei Comuni montani, eliminando i criteri precedentemente esistenti e introducendo come criterio principale l'altitudine del Comune dal livello del mare.

Con successivo DL n. 4 del 24/01/2015 per il 2015, con effetti anche sul 2014, è stata infine ripristinata la classificazione dei comuni montani.

Con la Legge di Stabilità 2016 si è arrivati ad una soluzione definitiva: a decorrere dall'anno 2016 sono stati considerati esenti IMU i terreni agricoli nei comuni presenti nella Circolare del Ministero delle finanze n. 9 del 14 giugno 1993,

In pratica dal 2016 è stata ripristinata la precedente classificazione dei terreni montani secondo la Circolare 9/1993 già utilizzata fino al 2013 (e abbandonata nel 2014 e 2015).

E’ a questa enorme incertezza normativa che, con molta probabilità, sono legati gli avvisi di accertamento per IMU non pagata.

Infatti, se si legge la Guida per il contribuente ai fini del pagamento IMU e TASI messa a disposizione dal Comune interessato nell’anno 2016, nella Sezione “Novità anno 2016” si legge:
TERRENI AGRICOLI
Dall’anno 2016 torna applicabile la normativa vigente fino all’anno 2013 compreso, secondo la quale i terreni agricoli ubicati nel Comune di ….. sono esenti, prima ai fini ICI successivamente ai fini IMU, in quanto il Comune è considerato comune montano o di collina dalla classificazione riportata nella circolare del Dipartimento della Fiscalità locale n. 9 del 14 giugno 1993 ex art. 7 comma 1 lettera h del D.L.vo 30 .12.1992 n. 504. Pertanto i terreni agricoli ubicati nel territorio comunale non sono soggetti a versamento ai fini IMU.”

Data la situazione di estrema incertezza circa l'esistenza del presupposto impositivo, dunque, ciò che si consiglia è di:

  1. recarsi presso il competente ufficio tributi onde verificare se per gli anni interessati sia stata sospesa o meno l’esenzione IMU per i terreni agricoli;
  2. qualora non vi sia stata alcuna sospensione di tale esenzione, impugnare gli avvisi di accertamento, possibilmente con una istanza di annullamento in autotutela, invocando l’applicazione della Circolare MEF n. 9 del 14.06.1993, nella parte in cui estende l’esenzione dal pagamento dell’IMU anche ai terreni di cui all’art. 2 lettera b) del decreto legislativo n. 504/1992, ossia per le aree utilizzabili a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi, ma posseduti e condotti dai soggetti indicati nel comma 1 dell'articolo 9 (ossia coltivatori diretti o imprenditori agricoli che esplicano la loro attività a titolo principale).

Nel caso di specie, infatti, a prescindere dalla titolarità del fondo per come risulta dal 2003, risulta incontestabile che sul terreno interessato sia stata svolta un’attività agricola, essendovi perfino traccia di sovvenzioni ricevute per tale scopo.

Inoltre, l’esenzione può anche invocarsi ex art. 2 comma 1 lettera c) del D.lgs. 504/1992, il quale dispone che in ogni caso si intende come terreno agricolo il terreno adibito all’esercizio delle attività indicate nell’art. 2135 del codice civile.


[1] Tali terreni, indipendentemente dal loro utilizzo e dalle modalità dell'utilizzo medesimo, devono essere tassati non come terreni agricoli bensì come aree edificabili


Alfredo C. chiede
lunedì 23/01/2017 - Lazio
“una srl agricola ha un amministratore imprenditore agricolo, può esserlo anche in una società di persone diventando naturalmente socio.
Grazie e cordiali saluti”
Consulenza legale i 27/01/2017
E’ senz’altro possibile mantenere la qualifica di imprenditore agricolo anche quale socio di una società di persone, ma nel rispetto di determinati requisiti.

Il legislatore italiano ha introdotto infatti nel nostro ordinamento la figura dell'“imprenditore agricolo professionale (IAP)”, che ha sostituito la previgente figura di “imprenditore agricolo a titolo principale”, al fine dell´applicazione della normativa relativa al settore agricolo.
In forza dell’art. 1 del Decreto Legislativo n. 99/2004 lo IAP “è colui il quale, in possesso di conoscenze e competenze professionali ai sensi dell’articolo 5 del regolamento (CE) n. 1257/1999 del Consiglio del 17 maggio 1999, dedichi alle attività agricole di cui all’articolo 2135 del codice civile, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo e ricavi dalle attività medesime almeno il cinquanta per cento del proprio reddito globale da lavoro”.
Sotto il profilo previdenziale, inoltre, il possesso dei requisiti di cui sopra (di tempo e di reddito) è indispensabile per la permanenza nella gestione previdenziale ed assistenziale INPS per l’agricoltura.

L’attività svolta dagli amministratori di società di capitali che operano nel settore agricolo (parrebbe questa, allo stato attuale, la situazione di chi pone il quesito) è idonea a far acquisire ai medesimi la qualifica di imprenditore agricolo professionale; quindi se l’amministratore unico o un componente del consiglio di amministrazione dedica almeno la metà del proprio tempo lavorativo a tale carica e ricavi almeno la metà del proprio reddito di lavoro, raggiunge i requisiti previsti dall’articolo 1 del D. Lgs. n. 99/2004.
A seguito della acquisizione della qualifica di imprenditore agricolo professionale da parte dell’amministratore scattano le condizioni affinché tale qualifica sia acquisita anche dalla società. Nulla vieta, infatti, che il socio o l’amministratore abbia una posizione propria come impresa individuale.

Anche le società di persone possono acquisire la qualifica di imprenditore agricolo professionale: è sempre l’articolo 1 del citato decreto n. 99/2004 che ne ha previsto le condizioni:
a) nel caso di società di persone, qualora almeno un socio sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale (per le società in accomandita la qualifica si riferisce ai soci accomandatari);
b) nel caso di società cooperative, ivi comprese quelle di conduzione di aziende agricole, qualora almeno un quinto dei soci sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale;
c) nel caso di società di capitali, quando almeno un amministratore sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale.

Per tornare al quesito, dunque, è possibile mantenere la qualifica di imprenditore agricolo anche quale socio di società di persone, ma la sua attività “prevalente” – in termini di tempo dedicato ed in termini di reddito prodotto – deve provenire dall’attività agricola.
Ciò comunque, anche se la società, si noti bene, non sia agricola, perché - come già osservato – il socio può avere e mantenere una propria attività imprenditoriale autonoma distinta dalla sua posizione ed attività sociale.

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