Cass. civ. n. 11004/2023
Con riferimento ai segni distintivi, la scissione parziale societaria dà luogo ad una vicenda non meramente organizzativa, ma sostanzialmente traslativa dei beni inclusi nel patrimonio attribuito alla società beneficiaria della scissione, con la conseguenza che, essendo il marchio e la denominazione sociale dei segni distintivi autonomi - avendo il primo la funzione di identificare i prodotti fabbricati o commercializzati od i servizi resi da un imprenditore, la seconda quella di individuare la società come soggetto di diritto - l'attribuzione del marchio non implica anche il trasferimento della denominazione sociale, la quale può essere oggetto di valido trasferimento "inter vivos", anche ove assimilata alla ditta sociale, solo nel caso in cui sia ceduta l'intera azienda, previo espresso consenso dell'alienante.
Cass. civ. n. 6283/2016
In tema di ditta individuale, l'aggiunta di elementi di fantasia nel segno distintivo non esclude la possibilità, per l'imprenditore, di indicare anche una presunta qualità sociale dell'impresa per caratterizzarla e distinguerla dalle altre, senza che ciò implichi anche la sua effettività e, quindi, l'esistenza reale di un sodalizio, ove questo non venga riscontrato sulla base di elementi formali, desumibili dal registro delle imprese, o da indici fattuali che, in base al principio dell'apparenza, facciano presumere l'esistenza di una gestione societaria dell'impresa.
Cass. civ. n. 22350/2015
In tema di marchio, poiché la ditta designa il nome sotto cui l'imprenditore esercita l'impresa, senza avere diretta attinenza con i prodotti fabbricati o venduti o con i servizi resi dall'imprenditore, in ciò distinguendosi dal marchio, è consentito che una impresa inserisca nella propria ditta una parola che già faccia parte del marchio di cui sia titolare altra impresa, anche quando entrambe operino nello stesso mercato, ma non è lecito utilizzare quella parola anche come marchio, in funzione della presentazione immediata, o mediata attraverso forme pubblicitarie, dei prodotti o servizi offerti.
Cass. civ. n. 12136/2013
Il concetto di luogo di esercizio dell'impresa di cui agli artt. 2564 e 2568 cod. civ., ai fini della tutela in caso di confondibilità fra imprese, non va inteso con esagerato valore restrittivo, dovendosi badare anche agli sviluppi potenziali dell'impresa razionalmente prevedibili, nonché alle pratiche difficoltà, che sovente s'incontrano, ad isolare l'espansione di un'impresa in un determinato ambito territoriale. Pertanto, la localizzazione non deve essere intesa secondo un criterio restrittivo, riguardo soltanto all'attività esplicata in un determinato momento, nel luogo di produzione e di commercio, ma facendo anche riferimento alla possibilità di espansione all'intera zona territorialmente al cosiddetto mercato di sbocco, raggiunta dall'attività complessiva dell'impresa.
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In tema di confondibilità della denominazione sociale, il giudice, nel dare attuazione al disposto dell'art. 2564 cod. civ., non incontra alcun limite nell'imporre la modifica necessaria a differenziare la ditta da quella usata da un altro imprenditore eliminandone una parte, restando salva la facoltà dell'impresa di adottare una denominazione diversa, perché non faccia uso del termine o dei termini il cui uso è stato inibito dal giudice.
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La ditta, comunque sia formata, deve contenere, a norma dell'art. 2563, secondo comma, cod. civ., almeno il cognome o la sigla dell'imprenditore, salvo quanto è disposto dal successivo art. 2565. Tuttavia, in base all'art. 2564, primo comma, cod. civ. - applicabile anche all'insegna in virtù dell'art. 2568 cod. civ. - allorché la ditta sia uguale o simile a quella usata da un altro imprenditore e possa creare confusione per l'oggetto dell'impresa e per il luogo in cui questa venga esercitata, essa "deve essere integrata o modificata con indicazione idonee a differenziarla".
Cass. civ. n. 10587/2009
Ai fini della valutazione della possibilità di confusione tra le denominazioni di due società, alla stregua dell'art. 2564 c.c., per l'oggetto delle imprese ed il luogo in cui esse sono esercitate, non è necessario prendere in considerazione le attività effettivamente svolte dalle società, essendo sufficiente il rapporto fra i rispettivi oggetti sociali, risultanti dagli atti costitutivi sottoposti a pubblicità; l'oggetto sociale costituisce, infatti, non solo la sfera di azione tecnica della società, ma anche l'esteriorizzazione della sua potenzialità espressiva ed espansiva, immediatamente percepibile da tutti i soggetti che entrino in rapporto con essa, in forma negoziale o concorrenziale.
Cass. civ. n. 7651/2007
... Ai fini della rilevanza della confondibilità delle denominazioni sociali, alla stregua dell'art. 2564 c.c., inoltre, non devono considerarsi tanto le attività svolte in concreto dalle società che abbiano denominazioni simili, quanto la potenziale concorrenzialità fra di esse, desumibile dall'oggetto sociale, quale espressione dell'ambito complessivo di attività che le società, anche in futuro, potrebbero svolgere nel mercato di riferimento. (Fattispecie nella quale una società richiedeva tutela in base all'anteriorità dell'uso della denominazione «Tranceria ligure» nei confronti di altra, operante nella medesima Regione ed in un settore merceologico similare, che utilizzava la medesima denominazione, poi modificata in «Nuova tranceria ligure» nell'affermare il principio suindicato, la S.C. ha ritenuto correttamente motivata la ritenuta confondibilità delle denominazioni, anche con la modifica apportata dalla seconda società, con la conseguente inibizione a quest'ultima dell'uso del termine «ligure»).
Cass. civ. n. 17004/2004
In tema di segni distintivi dell'impresa, ove il giudice del merito abbia accertato come illegittimo, in ragione della possibilità di confusione con l'attività e i prodotti dell'altra impresa, l'inserimento nella ditta o nella ragione sociale di parole rappresentative del marchio altrui, ben può essere ordinata la modificazione della ditta o della ragione sociale, trovando applicazione l'art. 2564 c.c.
Cass. civ. n. 10728/1994
Ai fini della tutela della ditta o della denominazione sociale accordata dagli artt. 2564 e 2567 c.c., quando si deduca il pericolo di confusione per l'uso fattone da altro imprenditore, così come ai fini della tutela
ex art. 2598 n. 1 c.c. quando tale uso integri altresì concorrenza sleale, è sufficiente che si verifichi una situazione potenzialmente pregiudizievole e cioè la virtuale possibilità di confusione tra le ditte e le denominazioni sociali di due imprenditori, ovvero la astratta idoneità del comportamento tenuto dalla ditta o società concorrente ad incidere negativamente sul profitto che l'imprenditore si propone di ottenere attraverso l'esercizio dell'impresa. In particolare, al fine di valutare la virtuale possibilità di confusione, non è necessario prendere in considerazione le attività effettivamente svolte dalle imprese, essendo sufficiente il raffronto tra i rispettivi oggetti sociali risultanti dagli atti costitutivi sottoposti a pubblicità, poiché l'oggetto sociale costituisce l'esteriorizzazione dell'attività d'impresa in tutto il suo ambito ed in tutta la sua potenzialità espansiva.
Cass. civ. n. 11570/1993
Nell'ambito della tutela del segno distintivo disposta dall'art. 2564 c.c., al fine di stabilire l'esistenza di una potenziale confondibilità delle ditte, per l'oggetto delle imprese e per il luogo in cui esse operano, non è decisivo, ancorché costituisca un necessario presupposto dell'accertamento, il solo esame dell'attuale oggetto sociale e dell'attuale posizione nel mercato, con il conseguente attuale riverbero dell'immagine sulla clientela, occorrendo anche valutare — partendo dall'esame dell'oggetto sociale, ma arricchendolo con la considerazione della sfera di azione tecnica delle imprese interessate, e quindi delle attività complementari e similari che potenzialmente potrebbero coltivare in futuro e che sono da parte del pubblico naturalmente associabili ad una determinata ditta — se da tutto ciò possa sortire il pericolo che la legge intende evitare all'impresa che per prima abbia adottato la ditta simile.
Cass. civ. n. 7601/1993
L'accertamento del giudice del merito, sulla confondibilità (o inconfondibilità) di due ditte o denominazioni sociali adottate da imprese esercenti la medesima attività — che rappresenta un apprezzamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato — va condotto con riferimento al modo concreto in cui, nella prassi del mercato, l'imprenditore è designato, senza che assumano rilievo parti marginali della ditta o denominazione. (Nella specie, la Suprema Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano ritenuto irrilevante, nel giudizio complessivo sulla confondibilità, che la denominazione «L'Altra Radio», adottata da due imprese di radiodiffusione, fosse seguita, per ciascuna di esse, dall'indicazione della rispettiva forma giuridica).
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La società commerciale, che abbia fatto uso di una denominazione sociale senza provvedere all'iscrizione della stessa nel registro delle imprese, è tenuta a modificarla, indipendentemente dall'eventuale preuso, quando altra società abbia iscritto nel detto registro una ditta identica o anche confondibile.
Cass. civ. n. 2740/1993
Ai sensi dell'art. 2564 c.c., nel conflitto tra i titolari di ditte uguali o simili, legittimamente usate per effetto della identità o similarità dei rispettivi cognomi, il giudice può disporre modificazioni, aggiunte o soppressioni, fino alla eliminazione del cognome dalla ditta sorta successivamente, ove quel conflitto sia tale da creare confusione per l'oggetto dell'impresa e per il luogo in cui questa è esercitata.
Cass. civ. n. 8764/1990
Ai fini della tutela della ditta, ai sensi dell'art. 2564 c.c., incombe all'attore, che deduca il pericolo di confusione e chieda l'adozione di modificazioni ed integrazioni alla ditta concorrente, l'onere di provare che egli ha adottato per primo la denominazione sociale e che la denominazione usata dal convenuto è tale da suscitare confusione, per esservi identità nel tipo e nel luogo dell'attività imprenditoriale, mentre spetta al convenuto, il quale deduca che l'identità del tipo di attività si è verificata per un successivo ampliamento di quella dell'attore, fornire la prova di tale circostanza, ai sensi dell'art. 2697, comma secondo, c.c.