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Articolo 2032 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Ratifica dell'interessato

Dispositivo dell'art. 2032 Codice Civile

La ratifica(1) dell'interessato produce, relativamente alla gestione, gli effetti che sarebbero derivati da un mandato,(2) anche se la gestione è stata compiuta da persona che credeva di gestire un affare proprio(3).

Note

(1) L'effetto della ratifica è retroattivo, quindi opera sin da quando è iniziata la gestione. Se per il contratto è richiesta una particolare forma (1350, 1351, 1352 c.c.), la stessa forma deve essere rivestita anche dalla ratifica.
(2) Se la gestione è stata senza rappresentanza (1705 c.c.) la ratifica non rileva nei rapporti verso i terzi ma solo nei rapporti interni tra gestore ed interessato. Se, invece, vi è stata spendita del nome (1704 c.c.) con la ratifica l'interessato subentra nelle posizioni assunte dal gestore.
(3) L'ultima parte della norma allarga l'applicabilità della ratifica rispetto all'istituto della gestione di affari altrui perché prescinde dal requisito della consapevolezza dell'altruità dell'affare (2028 comma 1 c.c.).

Ratio Legis

Con la ratifica si consente all'interessato di fare propri gli effetti della gestione, sia formalmente che sostanzialmente.

Brocardi

Ratihabitio constituet tuum negotium, quod ab initio tuum non erat, sed tua contemplatione gestum
Ratihabitio mandato comparatur
Ratihabitiones negotiorum gestorum ad illa reduci tempora oportet, in quibus contrada sunt
Ratum quis habere non potest, quod ipsius nomine non est gestum

Spiegazione dell'art. 2032 Codice Civile

Della ratifica in generale

Cominciamo con il considerare la ratifica, e chiarire qual è la sua funzione nell'istituto della negotiorum gestio. La ratifica è un istituto di carattere generale ed è ìl comune insegnamento civilistico — dall'atto mediante il quale una persona riconosce come compiuto validamente per sè un negozio conchiuso da un gestore a suo nome. E altresì pacifico che essa non è parte essenziale del ne­gozio sul quale agisce, ma è indipendente da esso, anche se il suo effetto si esplica sul negozio ratificato. Essa è quindi per sua natura un atto essenzialmente unilaterale.

La legge nostra non prescrive, nel caso della gestione, che la ratifica abbia una forma particolare (per cui essa, oltre che espressa, può anche essere tacita); ma poiché costituisce una manifestazione di volontà che produce effetti giuridici, è pacifico in dottrina che essa importa nel ratificante i re­quisiti propri ad atti del genere, cioè capacità d'agire, determinazione e manifestazione della volontà. Pertanto per gli incapaci e per le persone giuridiche sarà necessario l'intervento di un rappresentante.

Riferendoci a quanto abbia o altrove affermato, è appena opportuno chiarire che la ratifica spetta al dominus negotii, non al proprietario della cosa oggetto dell'affare.


Casi nei quali deve intervenire

Un problema centrale in ordine alla ratifica consiste nel deter­minare i casi nei quali essa debba intervenire a convalidare gli atti del gestore.

Generalmente si suoi dire che quando il gestore ha agito in nome dell’interessato (nel caso, cioè, di quella, che si suole chiamare gestione rappresentativa), il negozio da lui conchiuso non produce effetto nei riguardi dell'in­teressato, ma resta in uno stato di pendenza fino a quando non interviene la ratifica di lui, per modo che, se questi non lo ratifichi, il negozio dovrebbe aversi come non fatto.

L'affermazione, esatta per il diritto romano, non trova però base alcuna nel nostro diritto positivo, nel quale gli effetti della gestione e gli obblighi dell'interessato derivano dalla legge e prescindono dalla volontà di quest'ul­timo a meno che questa volontà non si sia concentrata in una preventiva prohibitio. Il fatto che l'affare altrui sia stato utilmente intrapreso costituisce titolo al sorgere di una rappresentanza, che per nascere dalla legge, è, in certo
senso, coattiva.

È quindi chiaro cha la ratifica ci porta di per sè stessa fuori della teoria della gestione degli affari altrui, costituendo, per così dire, una specie istituto sussidiario. I casi in cui essa può avere applicazione sono quelli nei quali la legge non dispone che gli effetti della gestione si riversino automaticamente sull'interessato. Al quale, in questo caso, la legge fornisce un mezzo per fare suoi parimenti gli effetti dell'azione del gestore, servendosi della ratifica. Così, per esempio, se la gestione non sarà stata intrapresa utilmente essa non sarà vincolante per il dominus, il quale cionondimeno potrà farne suoi i risultati risultati ratificandoli.

Così nel caso della prohibitio domini abbiamo visto che non sorgono gli obblighi dell’interessato, il quale potrà peraltro ricorrere alla ratifica per profittare dei risultati di questa illegittima gestione.

Da quanto si è detto appare altresì chiaro che la ratifica di cui parla l’ art. 2032 del c.c. è cosa ben diversa dalla ratifica degli atti annullabili; e ciò per il fatto che anche prima della ratifica il negozio gestorio è in sé e per sè un negozio perfetto. Per cui, mentre nel caso di atti annullabili, si avrà la cosiddetta « ratifica-rinuncia », perché con la ratifica si rinunzia a servirsi del diritto di annullamento, nel caso della gestione abbiamo invece la cosiddetta « ratifica-appropriazione» perché con la ratifica il dominus fa propri i risultati di un negozio che, senza di questa, resterebbe estraneo alcuni problemi, che qui alla sua sfera giuridica.


Problemi che sorgono in tema di ratifica

Queste conclusioni danno luogo ad alcuni problemi, che qui brevemente verranno analizzati.

Innanzitutto, la ricerca della dottrina è svolta nel senso di determi­nare l'indole nel negozio giuridico concluso dal gestore, a nome del dominus, sembra la più accettabile prima che sia seguita la ratifica.

Fra le altre teorie enunciate in proposito la più accettabile appare quella che, partendo dal concetto di indipendenza del negozio di ratifica rispetto al negozio ratificato, ha conchiuso che il negozio giuridico intrapreso dal gestore col terzo esiste già prima della ratifica ed ha una figura giuridica sua propria. Non ci pare, pertanto, esatta la conclusione di coloro che affermano questo negozio nuovo, e annullabile, o un semplice negozio in formazione. II negozio giuridico concluso dal gestore è in sè un negozio perfetto, che in mancanza della ratifica del dominus, provoca effetti giuridici fra il gestore e il terzo, i quali pertanto non possono da esso singolarmente recedere, ma ben possono recedere da esso di comune accordo. Sono solo gli effetti dalla ratifica.

La dottrina, tanto discorde per quanto riguarda il precedente problema, è invece concorde nel ritenere che la morte del gestore non pregiudichi menomamente la facoltà di ratificare che ha il dominus. Questa conclusione, che poggia sull'autorità dei giureconsulti romani, può essere, a nostro avviso, senz'altro accolta.

Più dibattuto è il problema relativo alla morte del dominus prima della ratifica. Pare tuttavia più accettabile l'opinione di chi ritiene che, come prin­cipio, debba ammettersi che gli eredi del dominus possono ratificare come poteva egli stesso, per la ragione che il rapporto giuridico posto in. essere. dal gestore può ritenersi voluto normalmente così per lui come per i suoi eredi. Nel caso, però, che gestore e terzo abbiano conchiuso un negozio per il dominus personalmente, pare indubbio che nessuna efficacia dovrebbe riconoscersi alla ratifica dei suoi eredi.

Naturalmente che ritiene che il negozio gerito sia, prima della ratifica, un rapporto giuridico in via di formazione, non ammette che questo rapporto possa passare agli eredi.

Ratifica, gestione degli affari altrui e procura si pongono, pertanto, nel nostro diritto positivo sullo stesso piano come titoli atti a costituire la rappresentanza.

La ratifica può essere sottoposta a condizione, termine o modo. Non è però ammissibile una ratifica parziale: ciò è evidente se si riflette che una ratifica parziale costituirebbe non già una condizione di efficacia del negozio, ma una creazione di nuovo negozio.


Efficacia della ratifica

Altro problema, che merita particolare esame è quello relativo ana efficacia della ratifica. La comune dottrina riconosce alla ratifica efficacia retroattiva. Natu­ralmente questa retroattività non andrebbe però intesa in senso assoluto, ma troverebbe un limite insuperabile relativamente a quei terzi che, nel periodo che corre fra la gestione dell'affare e la ratifica, abbiano acquistato dal dominus o da chi contrattò col gestore diritti che sarebbero pregiudicati dall'effetto retroattivo della ratifica. Si conchiude, pertanto, che nel conflitto tra il negozio gestorio ed il negozio stipulato con i terzi, questa debba avere la prevalenza su quello.

Il tema merita un esame.

Abbiamo già visto come, a nostro avviso, sia da accogliersi la teoria di chi ritiene essere possibile nella gestione solo il recesso bilaterale dei con­traenti prima della ratifica del dominus. Pertanto, colui che, dopo aver con­trattato col gestore, concede a terzi diritti incompatibili col negozio gestorio in sostanza manifesta con ciò la volontà di recedere dal negozio gestorio.

Ma abbiamo nel contempo visto che questa volontà unilaterale non è la sola efficace, e pertanto pensiamo debba conchiudersi che i negozi con-chiusi medio tempore dal dominus o da chi contrattò col gestore non siano validi. Naturalmente colui che, astretto al vincolo del precedente contratto conchiuso col gestore, avrà contrattato medio tempore con i terzi, dovrà rispon­dere verso di loro in base ai principi generali.


La gestione di un affare che si ritiene improprio

L'articolo in esame dispone che la ratifica dell'interessato produce i suoi effetti anche se la gestione è stata compiuta da persona che credeva di gerire un affare proprio. In altri termini questo articolo ammette la pos­sibilità che la ratifica abbia efficacia nel negozio gestorio, anche se manchi l'animus negotia aliena gerendi.

La norma non aveva riscontro nel vecchio codice, mentre i progetti italo-francese e della Commissione reale introducevano il principio in termini conformi a quelli dell'articolo in esame.

L'articolo sarebbe difficilmente inseribile nella teoria generale della ge­stione d'affari altrui, e non è da considerarsi priva di fondamento la preoccupazione di coloro che (Tumedei), nella Commissione delle Assemblee legislative, affermava che la formulazione di questo articolo poteva introdurre una non desiderabile confusione di concetti.

In effetti non pare dubbio che la ratifica di negozio giuridico che altri ha gestito credendolo proprio non ha nulla a che vedere con l'istituto della gestione. Sí tratta di un istituto giuridico nuovo, dal quale pertanto, è lecito prescindere nella costruzione dommatica della teoria della gestione. La stessa relazione al libro delle obbligazioni ammette ciò implicitamente osservando che in via generale è da ricordare che, per l'art. 871 (2032), ogni caso he fugge dall'ambito della gestione può rientrarvi per effetto della ratifica del dominus . La configurazione legislativa di esso consente, ed è volta al fine di estendere l'operatività della ratifica, finora prevista per il solo caso di ge­stione rappresentativa senza poteri (v. ora art. 1399 di questo codice), anche all' ipotesi di gestione di affari alieni (in senso non tecnico), compiuta senza l'animus negotia aliena gerendi, e pertanto, per definizione, non rappresentativa.


Istituti affini alla gestione

Le cose anzidette permettono agevolmente di distinguere la gestione dagli istituti affini.

Così, non bisogna confondere la gestione d'affari altrui propriamente detta con quella che suole chiamarsi «gestione d'affari impropria». Infatti, nella gestione d'affari propriamente detta il gestore agisce non solo in nome, ma anche nell' interesse del dominus mentre nella gestione impropria il gestore agisce nel proprio interesse. Naturalmente può avvenire che l'interesse proprio del gestore coincida con quello del dominus, e allora sarà possibile a questo ratificare l'operato del gestore.

Così, non bisogna confondere il nostro istituto con la promessa del fatto del terzo. La promessa infatti non ha efficacia nei confronti del terzo, mentre nella gestione il gestore impegna validamente il dominus.

Nè si deve confondere la gestione con gli atti compiuti per conto di chi spetta, perché nella gestione campeggia l'istituto della rappresentanza, che esula invece dall'altro istituto.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 2032 Codice Civile

Cass. civ. n. 12102/2003

Nella gestione di affari non rappresentativa la ratifica non fa subentrare il dominus in luogo del gestore nel rapporto costituito da quest'ultimo in nome proprio con i terzi e i soggetti del rapporto restano quelli originari.

Cass. civ. n. 2932/1978

La ratifica, da parte dell'interessato, della gestione di affari, ai sensi dell'art. 2032 c.c., produce gli effetti che sarebbero derivati da un mandato, ancorché la gestione medesima difetti dei requisiti prescritti dall'ara. 2028 c.c., (nella specie, impossibilità del dominus di provvedere direttamente), trattandosi di requisiti previsti esclusivamente a tutela di detto interessato. L'art. 2032 c.c., nel prevedere la ratifica da parte dell'interessato della gestione d'affari anche nel caso di «gestione compiuta da persona che credeva di gestire un affare proprio», implicitamente consente di configurare la ratifica medesima pure qualora il gestore abbia agito senza indicare il nominativo del dominus.

Cass. civ. n. 199/1974

Nella gestione di affari non rappresentativa, la ratifica del dominus, qualora manchino le condizioni perché si producano gli effetti della negotiorum gestio, non fa subentrare il dominus in luogo del gestore, per cui, rispetto all'azione di adempimento promossa dal terzo, legittimato passivo non è il dominus bensì lo stesso gestore, pur dovendo il primo tenere indenne il secondo, per effetto della ratifica, delle obbligazioni da lui assunte in nome proprio e rimborsargli le spese necessarie od utili con i relativi interessi.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2032 Codice Civile

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M. D. chiede
venerdì 04/10/2024
“Non sto a dire i motivi ma come comproprietario (3 fratelli eredi di casa per ora indivisa ) ho stipulato da solo a favore di mia moglie contratto
di locazione casa in cui già abitavamo ( mi sembra che sia legale in assenza di espressione contraria degli altri coeredi ).
Ho registrato regolarmente il contratto
Potrei fare ora, sempre in assenza di opposizione da parte dei fratelli, un nuovo contratto con decorrenza dalla scadenza del primo per altri 9 anni e registrarlo, in modo da garantirmi per 18 anni la locazione?”
Consulenza legale i 10/10/2024
Principio generale dettato dal nostro ordinamento in tema di comunione (valevole sia nel caso della comunione ordinaria che ereditaria) è quello sancito all’art. 1102 del c.c., nella parte in cui dispone che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purchè “…non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto…”.
Il predetto art. 1102 c.c. deve essere a sua volta coordinato con l’art. 714 del c.c., riferito proprio al caso della comunione ereditaria, ove è detto che non si perde il diritto di chiedere la divisione anche se di uno o più beni ereditari ne abbia goduto soltanto uno degli eredi, norma che implicitamente ammette la possibilità che uno solo dei coeredi possa trovarsi a godere in via esclusiva dell’immobile caduto in successione.

Dal combinato disposto di tali norme la giurisprudenza prevalente ne ha dedotto che finchè gli altri coeredi, o anche uno solo di essi, non faranno formalmente constare il loro dissenso all’uso esclusivo di quell’immobile (uso che in questo caso viene esercitato in via indiretta, avendone la detenzione la conduttrice), colui che lo occupa non sarà tenuto in alcun modo ad indennizzare gli altri per il mancato godimento dello stesso.
Solo dal momento della manifestazione di dissenso all’uso esclusivo, il godimento del bene da parte di uno solo degli eredi diventa privo di alcun titolo giustificativo e, come tale, fonte di danno per gli altri eredi sotto l’aspetto del lucro cessante, per mancata percezione dei frutti civili ritraibili dall’immobile, i quali, per giurisprudenza costante, vanno commisurati al valore figurativo di un ipotetico canone locativo di mercato (così Cass. n. 5504/2012 e Cass. n. 17876/2019).

Ciò posto, sembra evidente che, in mancanza di dissenso da parte degli altri comproprietari, colui che al momento ha il possesso esclusivo dell’immobile possa senza alcun dubbio decidere legittimamente di concederlo in locazione, godendone in tal modo indirettamente.
Del resto, costituisce principio giurisprudenziale pacifico quello secondo cui la locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari deve farsi rientrare nell’ambito della gestione d’affari, il che comporta che, in caso di gestione non rappresentativa (come accade nel caso in esame) il comproprietario non locatore può decidere di ratificare l’operato del gestore d’affari.
La volontà di ratifica non richiede il rispetto di alcuna particolare formalità e, dal momento in cui viene manifestata, attribuisce allo stesso comproprietario non locatore il diritto di esigere dal conduttore, ex art. 1705 co. 2 c.c., espressamente richiamato dall’art. 2032 c.c., la parte, proporzionale alla propria quota di proprietà indivisa, dei canoni locatizi dovuti per il periodo successivo alla ratifica, non potendo riconoscersi a tale atto efficacia retroattiva (cfr. in tal senso Cass. civ. Sez. III n. 25433 del 10.10.2019).

Per quanto concerne la questione della stipula di un nuovo contratto con decorrenza dalla scadenza del primo e per altri 9 anni, il rischio a cui potrebbe andarsi incontro è ovviamente quello di superare il termine novennale, con conseguente qualificazione di tale atto come di straordinaria amministrazione, per il quale si rende in ogni caso necessario il consenso espresso di tutti i comproprietari.

Tuttavia, a parte la banale considerazione che, finchè quel secondo contratto non avrà preso vigore, gli altri comproprietari potrebbero legittimamente manifestare il proprio dissenso allorchè dovessero venirne a conoscenza, in ogni caso in favore della liceità di tale scelta può addursi una lontana sentenza della Corte di Cassazione (Cass. civ. Sez. III n. 89 del 11.01.1974) così massimata:
“Nell’ipotesi di contratto di locazione per il quale sia stata stabilita la durata di nove anni e nel quale si sia inoltre convenuto che, se una delle parti non avrà dato disdetta entro un certo termine anteriore alla scadenza fissata, il contratto stesso sarà tacitamente rinnovato per ulteriori nove anni, sono da ravvisare due distinti rapporti infranovennali, come tali non soggetti all’onere della trascrizione per essere opponibili al terzo acquirente, il quale è tenuto a rispettare il secondo rapporto novennale soltanto se questo è già iniziato al momento dell’acquisto“.

In buona sostanza, secondo questo orientamento della Suprema Corte, risalente ma sempre attuale ed applicabile per analogia al caso in esame, ogni periodo deve essere in se considerato, generando il rinnovo (così come la stipula del nuovo contratto) un nuovo distinto rapporto contrattuale e non un unicum con il precedente, con la conseguenza che i due rapporti contrattuali non possono configurarsi quale atto eccedente l’ordinaria amministrazione.


Marco M. chiede
sabato 06/06/2020 - Trentino-Alto Adige
“Buongiorno,
nel 2019 ho firmato un contratto di affitto per un locale commerciale sito in un'immobile con 3 proprietari ( madre, figlio e figlia ). I proprietari di questo immobili sembravano d'accordo nello stipulare il contratto. Il contratto che ho firmato però aveva come locatari solo 2 proprietari ( figlia e madre ), il terzo, per vari motivi non ha voluto firmare il contratto e non è stato neanche inserito il suo nominativo nel contratto. Ora vuole da me gli arretrati della sua parte di locazione perché dice che deve pagarci le tasse. Io ho chiesto al mio commercialista e mi ha detto che se il suo codice fiscale non è inserito nel contratto lui non è tenuto nè a pagare nè a ricevere niente. Io come devo comportarmi? Devo temere che per questo salti anche il contratto di locazione? p.s: io conosco tutti e tre i proprietari che sono mia madre, mia nonna e mio zio. So che lo zio ora comincia a volere soldi da tutti perché altrimenti ci minaccia di non firmare degli atti notarili sull'eredità. Che per altro è stata, diciamo, estorta a mia nonna e mia madre”
Consulenza legale i 11/06/2020
Il contratto di locazione stipulato è ultranovennale (leggiamo infatti nel documento trasmesso che è stato stipulato per la durata di anni 30).
In base all’art. 1572 del codice civile, “il contratto di locazione per una durata superiore a nove anni è atto eccedente l'ordinaria amministrazione”.
Poiché i proprietari sono più di uno, occorre far riferimento all’art. 1108 del codice civile (in materia di comunione) il quale a sua volta prevede espressamente che è necessario il consenso di tutti i comunisti per le locazioni di durata superiore a nove anni.
Tuttavia, nella giurisprudenza di legittimità è stato affermato il principio secondo cui in caso di violazione di quanto disposto dall’art. 1108 c.c. gli “unici rimedi a favore del comproprietario che non ha prestato il consenso alla locazione ultranovennale dell'intero bene sarebbero di natura risarcitoria, stanti i principi dell'apparenza del diritto, dell'affidamento del terzo e della buona fede" (Cass. n.483 del 2009).
Ciò in quanto vi è una presunzione del consenso del comproprietario che può essere superato solo laddove quest’ultimo dimostri la propria manifestazione di dissenso prima della stipula del contratto.
Quanto sopra è stato affermato anche nella nota sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 11135 del 2012 la quale nel richiamare le precedenti posizioni della giurisprudenza, ha ribadito in primo luogo che un contratto sottoscritto soltanto da uno (o alcuni) dei comproprietari è pienamente valido ed efficace in quanto “la locazione svolge pienamente i suoi effetti anche quando il locatore abbia violato i limiti dei poteri che gli spettano ex art. 1105 c.c., e seguenti del codice civile, essendo sufficiente ai fini della stipula della locazione che abbia la disponibilità della cosa locata”.
In secondo luogo, la Suprema Corte nella medesima pronuncia ha enunciato anche il principio di diritto secondo cui: “La locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari rientra nell'ambito di applicazione della gestione di affari ed è soggetta alle regole di tale istituto, tra le quali quella di cui all'art. 2032 c.c., sicché, nel caso di gestione non rappresentativa, il comproprietario non locatore potrà ratificare l'operato del gestore e, ai sensi dell'art. 1705 c.c., comma 2, applicabile per effetto del richiamo al mandato contenuto nel citato art. 2032 cod. civ., esigere dal conduttore, nel contraddittorio con il comproprietario locatore, la quota dei canoni corrispondente alla quota di proprietà indivisa".

Quanto precede, a livello pratico, comporta che il comproprietario non locatore può ratificare o meno il contratto concluso dagli altri comunisti.
Se lo ratifica, può appunto esigere dal conduttore la parte del canone corrispondente alla sua quota di proprietà indivisa. Se invece non lo ratifica, il comproprietario non ha alcun titolo nei confronti del conduttore per richiedere la corresponsione del canone in quanto soggetto terzo rispetto al contratto.
Infatti, uno dei principi fondamentali in materia di contratti (applicabile ovviamente anche alla locazione) è quello della relatività fissato nell’art. 1372 del codice civile secondo cui il contratto ha forza di legge tra le parti e non produce effetto rispetto ai terzi.

Tutto ciò premesso, in risposta al quesito possiamo quindi affermare quanto segue.

Suo zio non risulta aver manifestato alcun dissenso prima della stipula del contratto di locazione ma non risulta nemmeno che abbia mai provveduto ad alcuna ratifica del medesimo.
Pertanto (fermi i rapporti interni tra i comproprietari anche sotto il profilo risarcitorio) come sopra evidenziato, non può chiedere a Lei la sua quota di canone essendo un soggetto terzo rispetto al contratto.
Né eventuali contrasti oggi sorti tra i proprietari possono inficiare la validità ed efficacia del contratto pregiudicando la Sua posizione di conduttore.
Per inciso, quanto alle “tasse da pagare” segnaliamo la sentenza di Cassazione n.3085 del 2016 la quale ha stabilito che è possibile attribuire ”il reddito derivante dalla concessione in locazione in capo ad alcuni soltanto dei comproprietari che risultino essere effettivi locatari e percettori dei redditi che dalla locazione derivano”.
Detta altrimenti: soltanto il comproprietario locatore che riceve il pagamento del canone di locazione deve dichiarare il reddito percepito e non gli altri comproprietari non locatori.
Pertanto, alla luce di ciò, a fronte di una formale richiesta di pagamento da parte di Suo zio, Lei Potrà rispondere che nulla è dovuto in quanto il canone viene regolarmente corrisposto ai locatori.
Chiaramente, eventuali azioni risarcitorie di Suo zio riguardano esclusivamente i rapporti interni tra i comproprietari dell’immobile.

Chiara D.B. chiede
lunedì 30/09/2019 - Veneto
“in caso di un immobile in comproprietà dato in locazione , se il deposito cauzionale fosse stato versato ad un solo proprietario,può un comproprietario rivendicare la sua quota di deposito in base alla percentuale di proprietà da colui che ha incassato l'intera quota?
se si, se il comproprietario in possesso della 'intera quota del deposito si rifiutasse di versare tale quota al comproprietario che ne fa richiesta, come deve agire il comproprietario per entrare in possesso di tale somma? può fare un'ingiunzione ?
grazie

Consulenza legale i 08/10/2019
Il quesito non specifica se il contratto di locazione sia stato stipulato da uno solo o da entrambi i titolari dell’immobile. In ogni caso, la risposta non cambia, vediamo di seguito il perché.

Innanzitutto occorre distinguere il rapporto comproprietari-inquilino da quello interno tra i due comproprietari (detti anche “comunisti”).
Infatti, si presume – in base alla comune esperienza – che quello tra i due comproprietari che agisce, lo faccia anche in nome e per conto dell’altro: l’inquilino, dunque, è legittimato – in buona fede – a corrispondere la cauzione, o qualunque altra somma dovuta in base al contratto, ad uno solo dei due locatori.

Secondo le regole generali che disciplinano la comunione, l'art. 1105 c.c. dispone che tutti i comunisti abbiano diritto di concorrere nell'amministrazione del bene comune: addirittura un consolidato orientamento giurisprudenziale ritiene che ciascun comproprietario possa locare, singolarmente, il bene.
Come si diceva poc’anzi, la Cassazione sostiene che si presume che il singolo comproprietario agisca con il consenso degli altri comunisti. Ne deriva, ad esempio, che il contratto concluso da uno solo dei comproprietari ed il conduttore è valido ed efficace, sia nei confronti degli altri proprietari che verso l'inquilino, in virtù del principio della tutela dell'affidamento.
Le conclusioni che si possono trarre, tuttavia, in merito ai diritti e doveri dei singoli comunisti sono esattamente gli stessi anche nel caso in cui il contratto di locazione sia stato siglato da tutti e non solamente da uno di loro.

Tornando, dunque, al quesito in analisi, il singolo comproprietario – che abbia o meno ricevuto formalmente il mandato ad agire da parte degli altri – dovrà sempre farlo in nome e per conto degli altri comproprietari e rimettere loro ogni somma cui abbiano diritto pro quota, cauzione compresa.
Se l’unico che ha ricevuto il denaro si rifiuta di farlo oppure ha agito senza previo consenso degli altri comunisti, si esporrà alle loro legittime pretese risarcitorie.

Precisiamo che l'indirizzo giurisprudenziale dominante ravvisa nei rapporti tra comproprietario, in particolare, firmatario del contratto di locazione e gli altri comunisti, la cosiddetta “gestione di affari altrui” disciplinata dall’art. 2028 c.c..
Quest’ultima postula:
- che la gestione sia iniziata in assenza del soggetto interessato, sempre che non vi sia stato espresso divieto (art. 2031 c. 2 c.c.);
- la spontaneità della condotta del gestore che agisce senza esservi obbligato;
- la consapevolezza di gestire un affare altrui;
- infine che l'affare sia stato utilmente iniziato, procurando un vantaggio all'interessato.

La Corte di Cassazione ravvisa nella condotta del comproprietario-locatore proprio la gestione di affari altrui: infatti, se non v'è espresso divieto da parte degli altri, il contratto concluso da uno solo è volto all'arricchimento del patrimonio di tutti i comproprietari.
Nel caso in cui gli altri comunisti decidano di ratificare la condotta del gestore, ai sensi dell'art. 2032 c.c., si producono gli stessi effetti scaturenti dal mandato; trova quindi applicazione l'art. 1705 c. 2 c.c., che consente al mandante di riscuotere direttamente i propri crediti dal debitore: nel caso che ci occupa, la cauzione.
Inoltre, ai sensi dell'art. 2031 c.c., gli interessati devono adempiere alle obbligazioni che il gestore ha assunto: nel caso della locazione, dunque, in capo ai comproprietari vi sono le obbligazioni di consegnare la cosa locata in buono stato di manutenzione, di garantirne il pacifico godimento e via discorrendo (art. 1575 c.c.).

In caso di mancata ratifica, invece, dell'operato del gestore, i comproprietari non hanno titolo, nei confronti del conduttore, per vantare la corresponsione del canone locatizio o della cauzione o di ogni altro emolumento, in quanto sono soggetti terzi rispetto al contratto.
In conclusione, l'orientamento dominante in giurisprudenza, confermato dalla pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione del 4/7/2012 n. 11136, qualifica i rapporti tra comproprietari - firmatari del contratto e non - come rientranti nella fattispecie della gestione di affari altrui.
Le conseguenze sono che gli altri comproprietari possono ratificare l'operato del gestore e pretendere la corresponsione del canone o delle altre somma dovute per contratto pro quota; del pari il conduttore può agire anche nei loro confronti per l'adempimento delle obbligazioni scaturenti dalla locazione.

Per il recupero della parte di cauzione a lui spettante, il comproprietario pretermesso (ovvero escluso dalla gestione) dovrà dapprima avviare un procedimento di mediazione, che è obbligatoria nel caso di controversie riguardante diritti reali (come la proprietà) o la materia locatizia; esperito, poi, eventualmente senza successo questo tentativo egli potrà infine rivolgersi all’Autorità Giudiziaria.
Ad avviso di chi scrive l’ingiunzione di pagamento, invece, potrebbe essere più rischiosa: chi agisce, infatti, con una richiesta di decreto ingiuntivo deve vantare una prova scritta del credito, prova scritta la cui definizione è data dall’art. 634 c.p.c., il cui elenco però non è tassativo.
Pertanto, si potrebbe richiedere al Giudice l’emissione di un’ingiunzione per la restituzione della quota di cauzione di propria spettanza, allegando quale prova scritta il contratto di locazione ed il titolo attestante la proprietà dell’immobile, senza la certezza, però, che il Giudice ravvisi in questi documenti una prova scritta valida ai fini del provvedimento.