AUTORE:
Lorenzo Ardenghi
ANNO ACCADEMICO: 2020
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea Magistrale
ATENEO: Universitą degli Studi di Trento
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
Durante l’esecuzione di un contratto può facilmente accadere che si verifichino degli eventi sopravvenuti, ossia delle circostanze imprevedibili che turbano l’originario equilibrio contrattuale, rendendo il negozio non più corrispondente agli interessi economici delle parti. Il rischio di tali perturbazioni grava in particolar modo sui contratti di durata, i quali prevedono un lasso temporale più o meno lungo tra la conclusione del contratto e il suo termine ultimo di esecuzione.
Il presente elaborato mira ad approfondire i possibili rimedi, tanto legali quanto convenzionali, a disposizione dei contraenti per far fronte all’eccessiva onerosità sopravvenuta, ossia quando si verifica un significativo aggravio del valore di una prestazione rispetto all’altra, o quando la controprestazione subisce un’importante diminuzione del suo valore. Si vuole, quindi, dimostrare come i classici rimedi estintivi (in primis la risoluzione contrattuale prevista all’art. 1467 del Codice Civile) siano ormai ritenuti insufficienti o inidonei a tutelare efficacemente gli interessi delle parti, qualora sopraggiunga un’eccessiva onerosità. Si vuole sottolineare, dunque, la necessità di dotare il nostro ordinamento di validi rimedi di adeguamento contrattuale, ossia strumenti che consentano di mantenere vivo il contratto, adeguandolo alle conseguenze dell’eccessiva onerosità sopravvenuta. In tal senso si pone il d.d.l. 1151/2019, il quale mira a introdurre per le parti, nel caso di eccessiva onerosità, il diritto di richiedere la rinegoziazione o, in caso di mancato accordo, di chiedere in giudizio l’adeguamento delle condizioni contrattuali, al fine di ripristinare l’originaria proporzione tra le prestazioni.
Ormai da anni si discute di un obbligo legale di rinegoziazione fondato sulla buona fede, in quanto, come anticipato, i rimedi esistenti si reputano non più in linea con le esigenze del mercato attuale, che richiede contrattazioni stabili e regole contrattuali certe. Si considera, dunque, non più accettabile che i principali rimedi per fronteggiare l’eccessiva onerosità siano prettamente caducatori; nonostante vi siano parecchie critiche con riguardo soprattutto ai poteri del giudice, ai rimedi per l’inadempimento e al ruolo della buona fede, l’obbligo di rinegoziazione si può configurare come lo strumento più idoneo per tutelare la continuità delle contrattazioni, l’economia processuale e gli stessi contraenti dagli effetti negativi delle sopravvenienze. Tale tesi è sostenuta dalla comparazione con il diritto francese e con alcune normative sovranazionali, quali i PECL, il DCFR e i Principi Unidroit.
In Francia, infatti, nel 2016 si è ottenuta una riforma generale del diritto contrattuale, la quale ha introdotto l’istituto dell’imprévision: svincolandosi dal principio secolare del “pacta sunt servanda”, ora ai contraenti è concesso, in caso di eccessiva onerosità, chiedere la rinegoziazione del contratto, oppure rivolgersi al giudice, al fine di ottenere l’adattamento o lo scioglimento del patto stesso. Questo cambiamento radicale si è ottenuto dall’opportunità di adeguarsi alle previsioni sovranazionali che prevedono, appunto, per la parte svantaggiata dalla sopravvenienza la possibilità di chiedere la rinegoziazione del contratto.
La necessità di rivedere l’apparato rimediale per eccessiva onerosità sopravvenuta è stata amplificata dall’avvento della pandemia da COVID-19. Le misure messe in campo dagli Stati per fronteggiare l’emergenza sanitaria, infatti, hanno inficiato i contratti commerciali: da più parti, in primo luogo dalla Cassazione, è stato evidenziato ancora di più il bisogno di completare il percorso iniziato dal d.d.l. 1151/2019 e, di conseguenza, di introdurre, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, l’obbligo legale di rinegoziazione nell’ordinamento italiano.
Il presente elaborato mira ad approfondire i possibili rimedi, tanto legali quanto convenzionali, a disposizione dei contraenti per far fronte all’eccessiva onerosità sopravvenuta, ossia quando si verifica un significativo aggravio del valore di una prestazione rispetto all’altra, o quando la controprestazione subisce un’importante diminuzione del suo valore. Si vuole, quindi, dimostrare come i classici rimedi estintivi (in primis la risoluzione contrattuale prevista all’art. 1467 del Codice Civile) siano ormai ritenuti insufficienti o inidonei a tutelare efficacemente gli interessi delle parti, qualora sopraggiunga un’eccessiva onerosità. Si vuole sottolineare, dunque, la necessità di dotare il nostro ordinamento di validi rimedi di adeguamento contrattuale, ossia strumenti che consentano di mantenere vivo il contratto, adeguandolo alle conseguenze dell’eccessiva onerosità sopravvenuta. In tal senso si pone il d.d.l. 1151/2019, il quale mira a introdurre per le parti, nel caso di eccessiva onerosità, il diritto di richiedere la rinegoziazione o, in caso di mancato accordo, di chiedere in giudizio l’adeguamento delle condizioni contrattuali, al fine di ripristinare l’originaria proporzione tra le prestazioni.
Ormai da anni si discute di un obbligo legale di rinegoziazione fondato sulla buona fede, in quanto, come anticipato, i rimedi esistenti si reputano non più in linea con le esigenze del mercato attuale, che richiede contrattazioni stabili e regole contrattuali certe. Si considera, dunque, non più accettabile che i principali rimedi per fronteggiare l’eccessiva onerosità siano prettamente caducatori; nonostante vi siano parecchie critiche con riguardo soprattutto ai poteri del giudice, ai rimedi per l’inadempimento e al ruolo della buona fede, l’obbligo di rinegoziazione si può configurare come lo strumento più idoneo per tutelare la continuità delle contrattazioni, l’economia processuale e gli stessi contraenti dagli effetti negativi delle sopravvenienze. Tale tesi è sostenuta dalla comparazione con il diritto francese e con alcune normative sovranazionali, quali i PECL, il DCFR e i Principi Unidroit.
In Francia, infatti, nel 2016 si è ottenuta una riforma generale del diritto contrattuale, la quale ha introdotto l’istituto dell’imprévision: svincolandosi dal principio secolare del “pacta sunt servanda”, ora ai contraenti è concesso, in caso di eccessiva onerosità, chiedere la rinegoziazione del contratto, oppure rivolgersi al giudice, al fine di ottenere l’adattamento o lo scioglimento del patto stesso. Questo cambiamento radicale si è ottenuto dall’opportunità di adeguarsi alle previsioni sovranazionali che prevedono, appunto, per la parte svantaggiata dalla sopravvenienza la possibilità di chiedere la rinegoziazione del contratto.
La necessità di rivedere l’apparato rimediale per eccessiva onerosità sopravvenuta è stata amplificata dall’avvento della pandemia da COVID-19. Le misure messe in campo dagli Stati per fronteggiare l’emergenza sanitaria, infatti, hanno inficiato i contratti commerciali: da più parti, in primo luogo dalla Cassazione, è stato evidenziato ancora di più il bisogno di completare il percorso iniziato dal d.d.l. 1151/2019 e, di conseguenza, di introdurre, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, l’obbligo legale di rinegoziazione nell’ordinamento italiano.