Anche dopo il deposito della sua relazione, il c.t.u. rimane a disposizione del giudice per ulteriori attività (quali ad esempio eventuali chiarimenti sulle risposte rese ex
art. 196 del c.p.c.), ed il suo incarico cessa solo con la definizione del processo.
La norma distingue a seconda che l’attività del consulente si svolga in presenza del
giudice istruttore o meno.
Nel primo caso i risultati delle sue indagini vengono trasfusi in un
processo verbale redatto dal
cancelliere, restando meramente facoltativa e dietro disposizione del giudice la stesura di un elaborato scritto.
Se invece il c.t.u. compie le indagini da solo, senza l'intervento del giudice, la relazione scritta sembra obbligatoria, fatta salva la possibilità, con il consenso del giudice, di riferire in forma orale all'udienza, con relativa trascrizione nel verbale.
In ogni caso, anche se la relazione peritale viene trasfusa nel processo verbale redatto dal cancelliere, essa non acquista efficacia di fede pubblica fino a
querela di falso.
L’art. 15 del DPR 13.02.2001 n. 123, contenente la disciplina del processo civile telematico, prevede una radicale innovazione della forma della relazione, la quale potrà essere inviata per via telematica, come documento informatico sottoscritto con firma digitale, unitamente ai documenti di corredo riportati mediante scansione su supporto elettronico (permane pur sempre l’obbligo di depositare gli originali cartacei in cancelleria).
Nessuna norma positiva prevede un contenuto minimo predeterminato e una particolare tecnica di redazione della consulenza.
L'unica prescrizione di contenuto è quella che qui si ritrova al secondo comma, in cui viene detto che le osservazioni o le istanze formulate dalle parti ex
art. 194 del c.p.c. debbono essere inserite nell'elaborato del c.t.u. (ovvero allegate, se redatte per iscritto); l'omessa menzione di tali osservazioni rende invalida la consulenza solo se configuri una vera e propria violazione del
diritto di difesa.
Malgrado il silenzio della legge, si è tuttavia evidenziata l'opportunità che la relazione contenga la descrizione delle operazioni svolte nelle singole fasi dell'indagine, potendo ciò risultare utile in caso di contestazioni sulla partecipazione o sulla portata delle attività espletate o per delibare su eventuali vizi del
contraddittorio.
Il legislatore della riforma del 2009 ha previsto precise scansioni temporali nel sub procedimento che porta alla fase conclusiva della consulenza tecnica di ufficio; infatti, all'udienza fissata ex
art. 191 del c.p.c., una volta conferito l'incarico al consulente, il giudice istruttore adotta un'
ordinanza con cui:
-
fissa un primo termine al c.t.u. per la trasmissione alle parti del suo elaborato;
-
assegna un secondo termine alle parti al fine di svolgere eventuali osservazioni o deduzioni alla consulenza;
-
fissa un terzo termine al c.t.u. per il deposito della relazione finale, la quale dovrà contenere le osservazioni delle parti ed una sintetica valutazione sui rilievi formulati dalle parti;
-
stabilisce la data in cui si svolgerà l'udienza di prosieguo del giudizio.
La finalità che con tale precisa scansione temporale si intende perseguire è, intanto, quella di garantire la piena realizzazione di un contraddittorio tecnico.
Questa possibilità di dialogo tra il consulente e le parti, assistite dai loro esperti di fiducia, consente di incidere in concreto sul convincimento del c.t.u., in quanto nulla esclude che il consulente, sulla base delle osservazioni critiche delle stesse parti, possa modificare le conclusioni a cui è pervenuto nella sua perizia.
Inoltre, sempre grazie a questa scansione temporale, ci si è prefissi di ridurre e razionalizzare i tempi di espletamento della c.t.u., ossia i tempi occorrenti per l'acquisizione al processo di conoscenze specialistiche.
Per effetto di tale sistema, infatti, già alla udienza successiva al deposito della relazione, il giudice istruttore è posto in grado di esercitare i poteri lui attribuiti ex art. 196 c.p.c., ossia valutare la necessità o l'opportunità di assumere chiarimenti dal c.t.u., disporre accertamenti suppletivi e, se occorre, anche la rinnovazione delle indagini o la sostituzione del consulente.
Gli obiettivi che il legislatore intendeva raggiungere, però, rischiano di essere facilmente vanificati a causa della mancata qualificazione dei predetti termini come perentori, dovendo pertanto essere considerati come ordinatori ex art. 152 comma 2 c.p.c.; da ciò ne consegue non soltanto la loro prorogabilità, ma anche la facoltà per le parti di sollevare censure critiche all'operato del c.t.u. o comunque di produrre osservazioni tecniche di parte in un momento successivo del processo.
Proprio perché si tratta di termini ordinatori, il ritardo nel deposito della consulenza non invalida la stessa, ma, soltanto se ingiustificato, espone il consulente ad una sua possibile sostituzione ex art. 196 c.p.c..
Qualora, invece, sia l’ordinanza del giudice a non fissare i termini, tale mancata fissazione integra un’ipotesi di
nullità della consulenza, poiché posta a presidio del diritto di difesa delle parti; si tratta in particolare di un'ipotesi di nullità relativa, e quindi assoggettata al rigoroso limite preclusivo di cui all’
art. 157 del c.p.c. (suscettibile di sanatoria per
rinnovazione).