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Articolo 1128 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Perimento totale o parziale dell'edificio

Dispositivo dell'art. 1128 Codice Civile

Se l'edificio perisce(1) interamente o per una parte che rappresenti i tre quarti del suo valore, ciascuno dei condomini può richiedere la vendita all'asta del suolo e dei materiali(2), salvo che sia stato diversamente convenuto(3).

Nel caso di perimento di una parte minore, l'assemblea dei condomini delibera [1136] circa la ricostruzione delle parti comuni dell'edificio [1117], e ciascuno è tenuto a concorrervi in proporzione dei suoi diritti sulle parti stesse [1123](4).

L'indennità corrisposta per l'assicurazione relativa alle parti comuni è destinata alla ricostruzione di queste(5).

Il condomino che non intende partecipare alla ricostruzione dell'edificio è tenuto a cedere agli altri condomini i suoi diritti, anche sulle parti di sua esclusiva proprietà(6), secondo la stima che ne sarà fatta, salvo che non preferisca cedere i diritti stessi ad alcuni soltanto dei condomini.

Note

(1) La norma si riferisce esclusivamente al perimento dell'edificio per distruzione accidentale: non è perimento, quindi, la distruzione a scopo di ricostruzione.
(2) I condomini sono, infatti, contitolari del terreno su cui giace l'immobile.
(3) La ratio del primo comma sta nella circostanza che il perimento dei tre quarti o più comporta lo scioglimento del condominio per mancanza di oggetto, permanendo solo la comunione pro indiviso sul suolo.
(4) Il potere conferito ai condomini riguarda solo la ricostruzione delle parti comuni, mentre non può essere deliberata a maggioranza la ricostruzione delle parti di proprietà esclusiva.
(5) Può essere destinata ad altro (o anche divisa pro quota tra i condomini) se non venga deliberata la ricostruzione.
(6) L'obbligo del condomino presuppone che la ricostruzione sia materialmente e giuridicamente possibile e che essa riproduca le precedenti strutture edilizia, senza pregiudicare in concreto il diritto di proprietà esclusiva o condominiale di colui che non intenda partecipare alla ricostruzione.
Si ritiene che il vincolo di trasferimento abbia natura reale e pertanto si trasmetta ai successori a titolo particolare o universale.

Ratio Legis

La disposizione prevede il caso del perimento totale o parziale dell'edificio in condominio, dovuto a motivi che prescindono dalla volontà dei condomini. Se esso riguarda l'immobile nella sua interezza, oppure in misura corrispondente ai tre quarti del suo valore, il condominio può reputarsi venuto meno; rimanendo, quindi, in capo ai condomini la titolarità del suolo o dei materiali, ciascuno di essi può domandarne la vendita all'asta.
Se, invece, esso riguardi una parte minore dell'edificio, i condomini devono farsi carico del ripristino delle sue parti comuni.
Essi decidono, invece, singolarmente in ordine alla ricostruzione delle porzioni del fabbricato in proprietà esclusiva.
Ciò avviene, però, esclusivamente se il perimento non sia di rilevante valore; se, invece, esso riguarda l'edificio in modo più importante, è indispensabile una decisione dell'assemblea dei condomini adottata con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 2.

Spiegazione dell'art. 1128 Codice Civile

Conseguenze che derivano dal perimento totale o parziale dell'edificio

L'ipotesi di perimento dell'edificio appartenente per piani separati a soggetti diversi, per quanto non frequente in giurisprudenza, era stata discussa in dottrina sotto la vigenza del codice vecchio, con l'adozione di diverse soluzioni. Secondo alcuni si sarebbe dovuto dividere il suolo in tante parti quanti i piani ed attribuirne una porzione al proprietario di ciascun piano, secondo altri si sarebbe dovuto vendere il suolo per intero e distribuire il ricavato fra i proprietari dei vari piani, secondo altri ancora ognuno dei proprietari avrebbe potuto costringere gli altri proprietari a riedificare i piani di spettanza di ciascuno, secondo altri, infine, i proprietari dei piani soprastanti al terreno, avrebbero potato costruire le strutture atte a sostenere il o i piani soprastanti, senza poter costringere a costruire il proprietario del pianterreno o dei piani sottostanti.

Il R.D.L. 15 gennaio 1934 n. 56 aveva previsto una norma espressa a tal proposito, che è stata sostanzialmente riprodotta dal nuovo codice. A base di essa sta il principio fondamentale che il suolo è proprietà comune dei proprietari dei vari piani dell'edificio (art. 1125 del c.c.), contro la tesi, sostenuta per il vecchio codice da alcuni, che il suolo fosse proprietà separata del proprietario del pianterreno dell'edificio.

Ciò premesso, il nuovo codice distingue due ipotesi: quella che l'edificio sia perito interamente o per una parte che rappresenti i tre quarti del suo valore, che si avvicina al perimento totale, e quella di perimento di una parte minore. Nella prima ipotesi l'edificio non esiste affatto o non esiste come entità apprezzabile: non restano che il suolo od eventuali materiali, per i quali è dato a ciascun condomino il diritto di chiedere la vendita all'asta, salvo che sia stato diversamente convenuto. È questa la soluzione più razionale: l'idea di dividere in natura il suolo fra i proprietari dei vari piani dell'edificio non soddisfaceva né i singoli interessi, né un interesse collettivo. Nella seconda ipotesi, invece, si considera prevalente l'interesse collettivo alla ricostruzione delle parti comuni dell'edificio, che consente la ricostruzione anche separata dei vari piani appartenenti ai diversi soggetti. Pertanto, se l'assemblea dei condomini, con la maggioranza di cui all’ art. 1136 del c.c., delibera favorevolmente alla ricostruzione delle parti comuni dell'edificio, ciascuno è tenuto a concorrervi in proporzione dei suoi diritti sulle parti stesse.

Da tale onere il partecipante può liberarsi soltanto dichiarandosi pronto a cedere agli altri condomini i suoi diritti, anche sulle parti di sua esclusiva proprietà, e cioè trasferendo i suoi diritti di condomino e di proprietario separato sull'edificio. Tale cessione va fatta, in base a stima, in favore di tutti i condomini, salvo che uno o più dei condomini ed il cedente siano di accordo per una cessione limitata a favore di uno.

Se l'edificio era assicurato, la porzione di indennità correlativa alle parti comuni è destinata alla ricostruzione delle medesime, e su di essa i creditori privilegiati o ipotecari sull'immobile non hanno facoltà di far valere i loro diritti, sempre che essa sia effettivamente utilizzata per la ricostruzione.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

531 Nell'art. 1128 del c.c., che regola il caso di perimento totale o parziale dell'edificio, è riprodotto con lievi varianti l'art. 15 del R. decreto-legge 15 gennaio 1934. In forma più sintetica che negli articoli 17 e 18 del menzionato decreto-legge sono determinate (art. 1130 del c.c.) le attribuzioni dell'amministratore. Esse riguardano precisamente: l'esecuzione delle deliberazioni dell'assemblea e l'osservanza del regolamento di comunione; la disciplina dell'uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell'interesse comune; la riscossione dei contributi e l'erogazione delle spese per la manutenzione ordinaria delle parti comuni e per i servizi suddetti; il compimento degli atti conservativi dei diritti relativi alle parti comuni dell'edificio. Integrando la norma dell'art. 16, secondo comma, del R. decreto-legge 15 gennaio 1934 sulla obbligatorietà della nomina di un amministratore quando il numero dei condomini è superiore a quattro, ho demandato all'autorità giudiziaria tale nomina, su ricorso di uno o più condomini, se non provvede l'assemblea (art. 1129 del c.c., primo comma). Ho poi regolato casi in cui l'amministratore, su ricorso di ciascun condomino, può essere revocato dall'autorità giudiziaria. La revoca può essere pronunciata: se per due anni l'amministratore non ha reso conto della sua gestione; se vi sono fondati sospetti di gravi irregolarità; se, essendogli stato notificato un atto o provvedimento che esorbita dalle sue attribuzioni, non ne abbia dato senza indugio notizia all'assemblea dei condomini (art. 1129, terzo comma). Nel riprodurre le disposizioni dell'art. 20 del R. decreto-legge 15 gennaio 1934 circa la rappresentanza dei condomini, ho sostituito alla formula del secondo comma una formula che amplia l'ambito della rappresentanza conferita all'amministratore nelle liti promosse contro i partecipanti (art. 1131 del c.c., secondo comma). La rappresentanza passiva è infatti estesa a qualunque azione proposta contro i condomini, e pertanto anche alle azioni di carattere reale, purché si riferiscano alle parti comuni dell'edificio. Ho mantenuto (art. 1132 del c.c., primo comma) la disposizione dell'art. 21 del decreto-legge su indicato, che consente ai condomini dissenzienti, nelle deliberazioni relative alle liti, di separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze delle liti stesse per il caso di soccombenza; ma, poiché la separazione di responsabilità non opera nei rapporti esterni, ma soltanto nei rapporti interni, ho riconosciuto al condomino che ha separato la propria responsabilità, il diritto di rivalsa per tutto ciò che abbia dovuto pagare alla parte vittoriosa nel giudizio (art. 1132, secondo comma). Può darsi però che l'esito della lite sia favorevole al condominio e il condomino dissenziente ne tragga vantaggio; in tal caso, se non è possibile ripetere dalla parte soccombente le spese del giudizio, è giusto che egli concorra in queste nei limiti del vantaggio che gli deriva, poiché altrimenti il vantaggio sarebbe da lui realizzato ad esclusivo carico degli altri partecipanti alla comunione (stesso articolo, terzo comma). Ho conservato (art. 1133 del c.c.) la facoltà del condomino, ammessa dall'art. 19 del decreto medesimo, di ricorrere all'assemblea contro i provvedimenti dell'amministratore, senza pregiudizio del ricorso all'autorità giudiziaria contro le deliberazioni dell'assemblea nei casi in cui l'impugnativa è ammessa. Ho infine circoscritto, al fine d'impedire dannose interferenze nell'amministrazione, il diritto di rimborso delle spese che il condomino abbia fatte per le cose comuni senza l'autorizzazione dell'amministratore o dell'assemblea, riconoscendo tale diritto nel solo caso che la spesa abbia carattere di urgenza (art. 1134 del c.c.).

Massime relative all'art. 1128 Codice Civile

Cass. civ. n. 2126/2021

Qualora i condomini agiscano in via petitoria contro un condomino che abbia provveduto alla ricostruzione dell'edificio condominiale parzialmente perito esorbitando dai limiti del suo diritto e chiedano il ripristino, la conseguente condanna giudiziale deve consistere nella eliminazione della situazione provocata dall'illecito utilizzo del bene condominiale e nella riproduzione della situazione dei luoghi modificata o alterata, potendo consistere nell'esecuzione di un quid novi solo qualora il rifacimento puro e semplice sia inidoneo a conseguire il ripristino dello status quo ante, avuto riguardo alla utilità recata dalla cosa prima della modificazione.

In tema di condominio, nel caso in cui l'edificio condominiale sia perito per meno di tre quarti del suo valore, la mancanza della delibera assembleare di ricostruzione delle parti comuni prevista dall'art. 1128, comma 2, c.c. (o, addirittura, l'esistenza di una eventuale delibera contraria) non impedisce ai singoli condomini di ricostruire le loro unità immobiliari di proprietà esclusiva parzialmente perite e, conseguentemente, le parti comuni necessarie a ripristinare l'esistenza ed il godimento di esse, non potendosi negare a chi aveva il diritto di mantenere la sua costruzione sul suolo (quale comproprietario dello stesso ex art 1117 c.c., ovvero, in caso di diversa previsione del titolo, quale titolare di un diritto di superficie) il potere di riedificarla ai sensi dell'art. 1102 c.c., salvi il rispetto delle caratteristiche statico-tecniche preesistenti, in maniera da non impedire agli altri condomini di usare parimenti delle parti comuni secondo il proprio persistente diritto di condominio, e il divieto di attuare innovazioni, per le quali è indispensabile la delibera assembleare ai sensi degli artt. 1120 e 1136 c.c.

Cass. civ. n. 21716/2020

La redazione delle tabelle millesimali, conseguente allo scioglimento della comunione ordinaria derivante dalla ricostruzione, in maniera difforme dal passato, di un edificio andato distrutto, richiede l'unanimità dei consensi, trattandosi non già di individuare un criterio strumentale all'ordinato svolgimento della vita condominiale quanto, piuttosto, di accertare l'entità dei diritti vantati dai singoli (ex) condomini sul nuovo edificio, onde procedere allo scioglimento della comunione su di esso. Ove a tale esito non possa addivenirsi in via stragiudiziale, è specifico compito del giudice, chiamato a frazionare la proprietà indivisa, procedere autonomamente alla fissazione dei criteri sulla scorta dei quali procedere all'uopo. (Rigetta, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 27/04/2018).

Cass. civ. n. 15482/2012

In ipotesi di perimento totale o parziale dell'edificio in condominio, anche inferiore ai tre quarti del suo valore, ciascun condòmino ha il potere di ricostruire le parti comuni del fabbricato, che siano andate distrutte e che siano indispensabili per ripristinare l'esistenza e il godimento del bene di dominio individuale, nell'esercizio non di un diritto di superficie, ma di facoltà inerenti alla proprietà esclusiva ed a quella condominiale, in quanto tali non suscettibili di prescrizione per non uso.

Cass. civ. n. 23333/2006

Nell'ipotesi di perimento dell'edificio in condominio, il rifiuto del condomino a partecipare alla ricostruzione, quale presupposto per ottenere, da parte degli altri condomini, la cessione coattiva della sua quota, ai sensi dell'art. 1128, quarto comma, c.c. — norma applicabile non solo all'ipotesi di perimento totale, ma anche a quella di perimento parziale — deve manifestarsi o nella richiesta di vendita del suolo o in una netta opposizione a ricostruire l'edificio ed a sopportare la relativa spesa, non essendo sufficiente, a tal fine, un comportamento meramente inerte o una semplice divergenza in ordine alle caratteristiche del nuovo edificio. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di merito, che aveva escluso che la volontà del condomino di procedere alla ricostruzione soltanto a condizione che essa fosse conforme all'edificio preesistente e sulla base di un preciso preventivo di spesa integrasse un rifiuto alla ricostruzione, tale da legittimare gli altri condomini alla richiesta di cessione coattiva).

Cass. civ. n. 11201/1996

La distruzione di un edificio fa venir meno il diritto esclusivo dei diversi proprietari sui singoli appartamenti; e dunque sopravvive solo la comunione di proprietà dell'area. Ove — poi — si proceda alla ricostruzione sull'area, non si forma un condominio, ma una comunione sull'edificio realizzato. Il condominio nasce solo quando i comunisti individuano gli appartamenti di proprietà esclusiva di ciascuno di essi, con un'operazione negoziale che assume la portata di una vera e propria divisione, la quale andrà — pertanto — soggetta ad imposta proporzionale di registro e ad I.N.V.I.M.

Cass. civ. n. 10314/1991

Nell'ipotesi di perimento totale di un edificio in condominio, il condominio viene meno e permane soltanto la comunione sul suolo con la conseguenza che nel caso in cui il fabbricato venga ricostruito come era in precedenza, si ripristina il condominio, mentre ove venga ricostruito in maniera diversa ad iniziativa di alcuni soltanto dei condomini, il condominio stesso non rinasce e quanto edificato costituisce invece un'opera realizzata su suolo comune, come tale soggetta alla disciplina della accessione e quindi da attribuire secondo le quote originarie ai comproprietari del suolo (a meno che non se ne chieda, ai sensi dell'art. 2933 c.c., la demolizione).

Cass. civ. n. 3933/1989

Nell'ipotesi di distruzione totale di un edificio in condominio, venendo meno, per mancanza dell'oggetto, sia i diritti reali esclusivi sulle singole porzioni immobiliari sia il condominio, residua un regime di comunione pro indiviso tra gli ex condomini sull'area di risulta in ragione dell'entità della quota a ciascuno di essi appartenente sull'edificio distrutto, con la conseguenza che, in caso di ricostruzione dell'edificio, anche se di volumetria superiore a quella del precedente (nella specie, per realizzazione di una sopraelevazione), per il principio dell'accessione (art. 934 c.c.), ciascuno dei comunisti acquista la proprietà di una quota ideale di esso corrispondente a quella spettantegli sul fondo, a meno che gli effetti dell'accessione, prima del loro verificarsi, non siano esclusi o modificati in conseguenza di accordo tra le parti.

Cass. civ. n. 4414/1977

La facoltà del condomino di richiedere la vendita all'asta del suolo e dei materiali dell'edificio condominiale, attribuita nel caso di perimento dell'edificio in conseguenza di eventi accidentali estranei alla volontà dei proprietari del bene, non compete nelle ipotesi di demolizione dell'edificio liberamente voluta da tutti i condomini, soprattutto quando a determinare la demolizione sia stata la concorde decisione di ricostruire l'edificio. Nel conflitto tra il condomino che vuole ricostruire l'edificio condominiale demolito e il condomino che vi si oppone prevale la volontà del primo, in applicazione estensiva dell'ultimo comma dell'art. 1128 c.c., secondo il quale il condomino che non intende partecipare alla ricostruzione è tenuto a cedere agli altri condomini i suoi diritti anche sulle parti di sua esclusiva proprietà.

Cass. civ. n. 2988/1974

Qualora, perito un edificio condominiale, uno dei condomini proceda di sua esclusiva iniziativa alla ricostruzione secondo le caratteristiche sostanziali del fabbricato preesistente ed in modo da riprodurre le singole unità immobiliari che vi erano comprese, gli altri condomini non possono chiedere la demolizione della costruzione, non trovando applicazione, nei rapporti tra condomini, gli artt. 936 e 938 c.c., ma hanno l'alternativa o di cedere al costruttore le loro quote o di concorrere alle spese di ricostruzione e riavere le loro unità immobiliari. Ove, invece, il condomino occupi il suolo comune di risulta con parte di un edificio diverso, da lui costruito su un'area attigua di sua proprietà esclusiva, non è configurabile l'ipotesi della ricostruzione, e gli altri condomini possono chiedere, a norma dell'art. 2933 c.c., la riduzione in pristino relativamente al suolo comune illegittimamente occupato.

Cass. civ. n. 1663/1974

Sia avuto riguardo al significato letterale che alla ratio delle disposizioni dettate dall'art. 1128, primo e secondo comma, per l'ipotesi di perimetro totale o parziale dell'edificio in condominio, è da ritenere che, mediante esse, siano stati disciplinati — in mancanza di diverse convenzioni tra le parti — solo gli effetti della distruzione totale o parziale per cause estranee alla volontà dei condomini.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1128 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

C. B. chiede
lunedì 09/05/2022 - Campania
“Fabbricato risalente al 1921, originariamente sviluppato su 4 livelli più sottotetto.

Con riferimento allo sviluppo verticale, l’attuale consistenza è inferiore a quella originaria in quanto attualmente sono inesistenti le unità immobiliari del 3° e 4° piano perché distrutte dagli eventi bellici del 1945 (allegata foto del tempo).
Due appartamenti al 3° e 4° piano erano in proprietà esclusiva del ns dante causa, la cui quota di proprietà sull’edificio era del 25%, costituita dai due appartamenti periti e non riscostruiti più un locale commerciale al piano terra, da noi venduto nel 1995.

Siamo ovviamente in possesso dell’atto notarile di acquisizione delle predette unità immobiliari, divisione a seguito di successione ereditaria del 1928, e di tutti gli atti che conducono fino alla dichiarazione di successione presentata da noi attuali eredi nel 1998.
In tale dichiarazione fu inserito il “lastrico solare” (calcolato allora in 150 mq, indicando catasto T, fg 20 e nr. 4, ma non il sub) al di sopra del quale insistevano i livelli distrutti.

A seguito della legge 219/81 (terremoto) le autorità locali avevano autorizzato la demolizione e ricostruzione con restringimento sostanzioso della sagoma.
A seguito di ciò dichiarammo agli altri proprietari che il nuovo fabbricato sarebbe venuto ad appartenere anche a noi in quanto comproprietari di quota del suolo in base al principio dell’accessione. La ricostruzione non fu fatta ed il fabbricato è ancora su due livelli.

Nel 2004 l’assemblea condominiale definì i millesimi dell’edificio computando le superfici utili dello stato di fatto, attribuendo quindi a noi zero millesimi.

Oggi i proprietari sottostanti il lastrico solare sopra citato, ci hanno invitati a partecipare alle spese di manutenzione lastrico solare, forse di rifacimento del tetto e di ogni altra spesa per impedire infiltrazioni di acqua e rendere abitabili le unità sottostanti; chiedono anche la ns autorizzazione per accedere al lastrico solare per il quale non ci sono scale.

La nostra risposta è stata che non siamo interessati a tale manutenzione e che non riteniamo di avere il dovere di partecipare alle spese.

Tale posizione a ns avviso è esatta perché:
1) Siamo solamente titolari di un diritto sull’area di sedime in caso di ricostruzione con sagoma difforme.
2) I nostri millesimi sono pari a zero.
3) Non siamo titolari neppure del diritto a sopraelevare in quanto prescritto (ammesso che fosse tecnicamente possibile).
4) Non avrebbe senso la una ns autorizzazione per accedere al lastrico solare.

Vorremmo il vs parere riguardo a tale ns posizione ed al senso o valore che assume l’indicazione del lastrico solare nella dichiarazione di successione.”
Consulenza legale i 13/05/2022
Ciò che è stato dichiarato in denuncia di successione è valido solo ai fini fiscali per il pagamento delle imposte ipo-catastali e di successione e non rileva ai fini civilistici.
Stante l’evento bellico e l’entrata in vigore del codice civile avvenuta il 19.04.1942, al caso specifico doveva essere all’epoca applicato l’art. 1128 del c.c. il quale disciplina il perimento parziale o totale dell’edificio condominiale. Come ha chiarito la giurisprudenza le facoltà indicate da tale articolo sono imprescrittibili, quindi tale norma coi suoi diritti, ma anche con i suoi obblighi, deve trovare ancora oggi applicazione nel caso descritto.

Essa ci dice che se l’edificio è perito per meno di ¾ del suo valore l’assemblea del condominio delibera la ricostruzione delle parti comuni dell’edificio con le maggioranze di cui al 2° co. dell’art. 1136 del c.c.: si precisa che il lastrico, fino a prova contraria, deve considerarsi bene condominiale ai sensi dell’art. 1117 del c.c., come deve considerarsi bene comune la parte di solaio che divide due piani l'uno all'altro sovrastanti.

Se non si vuole partecipare alla ricostruzione delle parti comuni dell’edificio condominiale, il co 4° dell’art. 1128 del c.c. prevede l’obbligo per il condomino dissenziente di cedere agli altri proprietari i suoi diritti di proprietà anche sulle parti in proprietà esclusiva. Il prezzo della cessione dovrà essere determinato da un perito appositamente nominato.

Si precisa che il condomino, se vuole sottrarsi agli oneri di ricostruzione, non ha altra scelta che quella di cedere ai proprietari (o ad un gruppo di essi) i suoi diritti sull’edificio condominiale: quanto prevede il 4° co. dell’art.1128 del c.c., infatti, è un obbligo e non una mera scelta discrezionale.

Posto che tale obbligo deve trovare attuazione, se gli altri condomini che desiderano rimanere proprietari non intendono accettare la cessione e quindi non intervengono a rogito, è possibile adire l’autorità giudiziaria al fine di ottenere un provvedimento che sostituendosi al rogito notarile ceda coattivamente a loro, ai sensi dell’art. 2932 del c.c., tutti i diritti di proprietà comune ed esclusiva insistenti sull’edificio condominiale.

Se ovviamente non si vuole procedere alla cessione delle proprie ragioni immobiliari l’unica strada e partecipare alle spese di ricostruzione delle parti comuni del fabbricato e quindi del lastrico solare, o comunque delle altre parti comuni dell'edificio che necessitano di ricostruzione o di manutenzione straordinaria.



A. I. chiede
giovedì 31/03/2022 - Lazio
“Nel condominio dove mio padre e mia sorella hanno ciascuno la proprietà di un immobile, per aderire all'opportunità del Superbonus 110% è stato proposto di procedere ad un intervento di demolizione e ricostruzione, motivato dal fatto che i sondaggi effettuati sulla struttura dall'impresa che dovrebbe eseguire i lavori avrebbero dato un esito che si ritiene inadeguato alla sicurezza antisismica, il che ha ovviamente generato forte apprensione tra molti condomini.
L'amministratore, inoltre, ha comunicato di sua iniziativa i risultati dei sondaggi al Comune e ai Vigili del Fuoco.
Tuttavia non c'è unanimità nell'aderire a questa ipotesi di intervento: alcuni proprietari, tra i quali i miei congiunti, hanno riserve sulla completezza e affidabilità dei sondaggi effettuati e non intendono firmare il contratto per i lavori e quindi lasciare libero il proprio immobile per la demolizione.
Viene loro obiettato che lo stato dell'edificio è tale da rientrare nell'ambito dell'art. 1128 c.c. per il quale la maggioranza è sufficiente per stabilire la demolizione.
Le domande a riguardo quindi sono le seguenti:
1. può una campagna di sondaggi, effettuati peraltro da una parte interessata, determinare lo stato di un edificio in maniera tale da superare i diritti di proprietà privata?
2. può l'amministratore del condominio assumere la decisione di comunicare dati riservati relativi alla proprietà senza il consenso preventivo dei proprietari?
3. la delibera assembleare che ha deciso i lavori a maggioranza è stata impugnata per l'assenza di unanimità in merito alla decisione assunta, la mediazione ha avuto esito negativo, si attende la prima udienza: se in queste condizioni la maggioranza firma il contratto per i lavori, impegna anche la minoranza dissenziente alle conseguenze contrattuali? (p.es. penali per recesso in caso di decisione del giudice a favore dell'unanimità, ovvero obbligo a lasciare l'immobile in caso contrario).
Grazie in anticipo per la risposta”
Consulenza legale i 06/04/2022
La giurisprudenza in maniera unanime ha chiarito che la disciplina prevista dall’art.1128 del c.c. si applica nel caso in cui vi sia il perimento totale o parziale dell’edificio. Secondo i giudici si ha il perimento quando si ha il materiale venir meno del bene determinato da fatti o avvenimenti accidentali, cui sia rimasta estranea la volontà dei condomini. La giurisprudenza chiarisce anche che il requisito del perimento richiesto dalla norma in esame si verifica anche quando vi sia la necessità di provvedere alla demolizione dello stabile per evitare crolli dovuti alla sua vetustà che possano creare danni a cose e/o persone. (Cass. Civ.n.4102 del 26.06.1980).

Nel caso specifico, la maggioranza dei condomini ha ritenuto, sulla base di una perizia di parte, che le condizioni dell’edificio siano tali da integrare l’ipotesi del perimento previsto dall’art. 1128 del c.c. e quindi ha deciso a maggioranza di procedere ad una demolizione e ricostruzione dello stabile. La minoranza ha impugnato tale decisione sostenendo che non vi erano i presupposti per procedere ai sensi dell’’art.1128 del c.c.: demolizione che secondo loro poteva essere fatta solo con il consenso unanime di tutti i proprietari.

Purtroppo la vicenda descritta è una classica battaglia tra periti che necessariamente dovrà svolgersi nell’ambito di un giudizio civile (come in effetti sta avvenendo), e in questa sede non è possibile dare un parere su chi ha ragione o torto. Il giudice infatti dovrà necessariamente nominare una consulenza tecnica con la quale si andrà a determinare se le condizioni dell’edificio siano tali da poterlo fare rientrare nel perimetro di applicazione dell’art. 1128 del c.c. Durante le operazioni della consulenza tecnica il perito nominato dal giudice si confronterà con i periti nominati dalle parti contrapposte, e a seguito di tale confronto egli rilascerà un elaborato peritale con il quale renderà edotto il giudicante circa le condizioni in cui versa lo stabile e a seguito di tale parere tecnico il giudice dirà se vi sono le condizioni per giustificare l’applicazione dell’art. 1128 del c.c.

Sicuramente l’edificio versa in condizioni gravose ed esse sono emerse da una perizia commissionata dal condominio: a fronte di ciò bene ha fatto l’amministratore ad attivare gli organi competenti. Si ricorda che l’amministratore è responsabile della custodia delle parti comuni ai sensi dell’art. 2051 del c.c.: se quindi un malaugurato crollo totale o parziale dello stabile dovesse provocare danni a cose o persone, l’amministratore ne risponderebbe civilmente, ma anche eventualmente penalmente in prima persona.

In merito alla efficacia attuale della delibera impugnata, l’art. 1137 del c.c. al suo 3° co. precisa che la proposizione del giudizio teso a richiedere l’annullabilità di una delibera condominiale non ne sospende la sua esecutività, sospensione che può essere disposta solo da una ordinanza della autorità giudiziaria. Come precisa il successivo co.4° la sospensione può essere anche richiesta prima dell’inizio della causa di merito.

Si è sicuri che il collega che sta seguendo direttamente la vicenda oltre alla impugnazione della delibera che dispone la demolizione dell’edificio, abbia anche fatto istanza per richiedere la sospensione della delibera in pendenza del giudizio d'impugnazione, ma finché il giudice non si pronuncerà sul punto la decisione presa dalla maggioranza dei proprietari deve considerarsi pienamente efficace e come tale vincolante per la minoranza dissenziente. In queste condizioni quindi l’amministratore sarebbe obbligato a sottoscrivere tutti i contratti necessari per addivenire alla demolizione dello stabile.

Ciò però non deve destare preoccupazione più del necessario in quanto è molto difficile che si giunga ad eseguire i lavori prima che il giudice si sia pronunciato sulla sospensiva, sia per questioni prettamente tecniche sia perché, stante il quadro descritto, una demolizione dell’edificio aprirebbe l’ipotesi ad importanti conseguenze risarcitorie nel caso in cui i proprietari contrari alla sua demolizione vincessero il contenzioso. Il medesimo discorso si potrebbe fare nel caso in cui la firma del contratto da parte dell’amministratore esponesse la parte contraria alla demolizione e vincitrice della causa di annullamento al pagamento di penali di qualsiasi natura.


VALENTINO R. chiede
mercoledì 15/01/2020 - Campania
“Un palazzo con 5 appartamenti e 1 negozio allo scrivente e 1 negozio all'altro propr. Non c'è condominio. Lo scrivente ha un progetto di rifacimento del palazzo(demoliz. e ricostruz.). L'altro proprietario dice di voler vendere il negozio ad un prezzo, molto più alto del suo valore di mercato, ed invita me a comprarlo a € 70.000 (mentre ne vale appena 20.000) altrimenti non accetta la demolizione e venderà il negozio tramite agenzia. A quel prezzo, pure sino 30.000, non lo comprerà nessuno. Domanda: è decisiva la sua adesione al progetto o se costituisco il condominio, previa vendita di un immobile a mia moglie, così da avere la maggioranza dei millesimi 940 su 1000 e 2 propr. su 3, posso proseguire con il mio progetto di demolizione e ricostruzione senza il suo assenso? il dissenziente potrà avere motivi validi per opporsi e non pagare alcunché? Premetto che gli offrivo il negozio nuovo gratis ma non ha accettato.”
Consulenza legale i 19/01/2020
Il caso prospettato è piuttosto insolito e poco frequente nella pratica. Da quanto ci è dato capire i lavori di demolizione dell’edificio condominiale e di sua ricostruzione non sono necessari per prevenire una situazione di imminente rovina dell’edificio per sua vetustà, o comunque non sono conseguenti ad un parziale o totale crollo dello stabile, ad esempio a seguito di calamità naturali: tali circostanze renderebbero applicabile l’art. 1128 del c.c.

Nel caso descritto siamo di fronte ad una vera e propria demolizione volontaria dell’edificio condominiale che inevitabilmente coinvolge anche le singole unità immobiliari in proprietà esclusiva. Per tale motivo non è possibile ragionare attraverso i consueti istituti condominiali: una decisione di questo tipo non può essere sicuramente presa attraverso una delibera adottata in seno alla assemblea di condominio e votata con le maggioranze di cui all’art. 1136 del c.c. Se ciò fosse possibile, si acconsentirebbe ad una parte dei proprietari di “espropriare” la minoranza dei condomini del loro diritto di proprietà sulle unità immobiliari in condominio!  È utile ricordare che l’art. 42 della Cost. al suo co. 3 dice chiaramente come la proprietà può essere espropriata solo nei casi previsti dalla legge e per la tutela di interessi generali. Solo lo Stato, quindi, può procedere all’esproprio di beni immobili privati: nel nostro ordinamento non è certo riconosciuto al cittadino privato la possibilità di espropriare il negozio o l'appartamento del vicino! E’ chiaro, quindi, che se per assurdo in seno alla assise dei proprietari si adottasse una delibera per mezzo della quale la maggioranza dei condomini decidesse di demolire l’intero edificio, tale delibera sarebbe radicalmente nulla e quindi impugnabile da qualsiasi proprietario, anche da chi per assurdo ha votato a favore della decisione, e tale impugnazione sarebbe proponibile in ogni tempo, anche oltre il rigido termine di cui all’art. 1137del c.c.

Per tale motivo, ad avviso di chi scrive, l’unica strada per realizzare il progetto descritto è quello di predisporre un contratto che deve essere sottoscritto da tutti i proprietari in cui:
  1. si esprima la volontà comune di demolire l’edificio condominiale in tutte le sue parti sia comuni che in proprietà esclusiva;
  2. si descrivano con chiarezza i lavori di ricostruzione e l’ammontare dei costi degli stessi;
  3. sì concordi le modalità con cui suddividere tali costi tra i proprietari.
Ovviamente tale tipo di accordo dovrà essere predisposto dal notaio per atto pubblico o scrittura privata autenticata e si dovrà valutare la possibilità di trascrivere tale accordo nella conservatoria competente. La trascrizione di tale accordo ad avviso di chi scrive è estremamente importante in quanto renderebbe quanto concordato opponibile ad eventuali acquirenti delle unità immobiliari cedute prima dell’inizio dei lavori. Senza trascrizione nei registri immobiliari, infatti, è ben possibile che uno dei proprietari invece che sobbarcarsi le spese per i lavori di ricostruzione decida di vendere la sua proprietà, ma in questo caso la mancata trascrizione del contratto, renderebbe quanto concordato assolutamente inefficace nei confronti del nuovo acquirente, il quale avrebbe tutto il diritto di far bloccare i lavori per evitare che la proprietà appena acquistata venga compromessa.
 
 


Zef L. chiede
lunedì 13/01/2020 - Lombardia
“Per un danno causato da un operaio in un ospedale durante un lavoro (presumibilmente il danno è causato dal operaio _ staccato la spina di un frigo che teneva organi di donazione per spostarla e lavorare dietro, però è un fatto non provato perché può essere pure un qualsiasi dipendente delle altre ditte che per fare male ha computo il danno). Io come subappaltatore non ho ricevuto ancora la causa scritta dal appaltatore.
Domanda ?
Per prevenzione e preparare la mia difesa in caso di chiamata in causa dal committente, che articolo devo consultare oppure ci sono i tempi da rispettare gli entrambi ?
Questo frigo visto l'importanza non aveva nessun allarme attaccato per i casi simili.
E' stato un mio operaio che ha lavorato ma il danno è causato sabato alle 11:30 è stato verificato in questo lunedì verso le 9:00 pero non c'è nessun documento filmico che prova l'accaduto.”
Consulenza legale i 19/01/2020
Il contratto di appalto ed il contratto di subappalto, pur legati da un rapporto di interdipendenza tra loro, sono dotati di piena e distinta autonomia.
Il subappaltatore è autonomo nell'esecuzione delle opere affidategli dal subcommittente, tanto che deve escludersi ogni rapporto diretto tra originario committente e subappaltatori.

Premesso che dal quesito proposto non è chiaro se il danneggiato coincida con il committente o sia terzo anche al rapporto di appalto si rileva quanto segue.

Nel caso in cui il danneggiato sia anche il committente, viene in rilievo l’art. 1228 c.c. secondo il quale “salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell'adempimento dell’obbligazione si vale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro”.
Tra “coloro che si valgono dell’opera di terzi”, infatti, per adempiere la propria obbligazione rientra ovviamente anche l’appaltatore il quale subappalti parte dei lavori affidatigli dal committente. In questo senso si è espressa anche la Cassazione civile sez. III, n. 19389/2016.
Pertanto, se l’appaltatore, per lo svolgimento dell’attività affidatagli dal committente, decide di affidare l’incarico a soggetti terzi (subappaltatore) sarà responsabile per i fatti dannosi realizzati da costoro, volontariamente o a titolo di colpa. Tale responsabilità è di tipo contrattuale e si configura come una sorta di garanzia per il committente, che non ha alcun rapporto con i terzi subappaltatori a cui l’appaltatore sceglie di affidare l’attività. A sua volta il committente potrà fondare un’azione di regresso nei confronti del subappaltatore.

Una previsione analoga si trova nell'art. 2049 c.c. per il caso di danni cagionati a terzi (si parla, in tal caso, di responsabilità extracontrattuale o aquiliana). Secondo tale disposizione, infatti, “i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”.
Tale previsione sarà applicabile al subappaltatore nei confronti dei terzi (quindi, in ipotesi anche la struttura sanitaria proprietaria del frigorifero di cui è stata staccata la spina) per il danno causato dal proprio dipendente.
I terzi danneggiati potranno agire senz'altro nei confronti del subappaltatore in via extracontrattuale, perché in tal caso il subappaltatore ha inciso nel diritto altrui, operando nella sua sfera autonoma di lavoro. Ovviamente la responsabilità del subappaltatore sussiste nei limiti in cui il lavoro svolto dallo stesso subappaltatore sia stato effettivamente autonomo: salvo, cioè, l’ipotesi in cui egli sia stato mero esecutore degli ordini dell’appaltatore oppure il subcommittente si sia di fatto ingerito con singole, specifiche direttive nella esecuzione del contratto.
In particolare, la recente Ordinanza della Corte di Cass. civ., n. 8381/2019 ha riaffermato che: “in tema di appalto, la responsabilità del committente nei riguardi dei terzi risulta configurabile allorquando si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso dall'appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso o quando si versi nella ipotesi di "culpa in eligendo ", la quale ricorre qualora il compimento dell'opera o del servizio siano stati affidati ad un'impresa appaltatrice priva della capacità e dei mezzi tecnici indispensabili per eseguire la prestazione oggetto del contratto senza che si determinino situazioni di pericolo per i terzi; - tali principi valgono anche in materia di subappalto perché il subcommittente risponde nei confronti dei terzi in luogo del subappaltatore, ovvero in via solidale con lui, quando - esorbitando dalla mera sorveglianza sull'opera oggetto del contratto al fine di pervenire alla corrispondenza tra quanto pattuito e quanto viene ad eseguirsi - abbia esercitato una concreta ingerenza sull'attività del subappaltatore al punto da ridurlo al ruolo di mero esecutore ovvero agendo in modo tale da comprimerne parzialmente l'autonomia organizzativa, incidendo anche sull'utilizzazione dei relativi mezzi”.

Pertanto, nel caso di specie si potrà prospettare un’azione del committente-danneggiato nei confronti dell’appaltatore per responsabilità contrattuale ex art. 1228 c.c. e/o un’azione del terzo danneggiato (ospedale-danneggiato) per responsabilità extracontrattuale nei confronti del subappaltatore ex art. 2049 c.c.
In entrambi i casi, si configurerà una responsabilità solidale ex art. 2055 c.c. secondo cui “se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno. Colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall'entità delle conseguenze che ne sono derivate. Nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali”.
Per questo motivo, il committente-danneggiato potrà rivolgersi per l’intero risarcimento nei confronti dell’appaltatore il quale avrà poi diritto di regresso nei confronti del subappaltatore.

Quanto invece all'onere della prova, esso si atteggerà in maniera diversa a seconda che si tratti di responsabilità contrattuale ex art. 1228 c.c o di responsabilità extracontrattuale ex art. 2049 c.c.
In materia di responsabilità contrattuale vige la disposizione dettata dall'art. 1218 c.c., quindi il danneggiato dovrà soltanto provare il titolo da cui deriva l’obbligazione e allegare il danno.
Nella responsabilità extracontrattuale, invece, colui che agisce è tenuto a dimostrare non solo l'esistenza del danno e l'esatto ammontare dello stesso ma finanche la riconducibilità di detto evento ad una condotta imputabile al soggetto contro il quale si agisce (nesso causale). Il danneggiato dovrà provare con manifesta chiarezza l'entità del danno nel suo esatto ammontare e, soprattutto, l'eziologia, il nesso causale che correla la condotta dell'agente all'evento lesivo. Non solo. È richiesto finanche che venga offerta esaustiva prova circa l'elemento soggettivo, e quindi che venga offerta la prova del dolo o quanto meno della colpa grave. La prova della colpa è a carico del danneggiato.

Con riferimento, infine, al fatto che la presenza di organi all'interno del frigorifero e la conseguente importanza di non scollegare la corrente non sia stata segnalata né dal committente-danneggiato né tramite cartelli o altri dispositivi di allarme, si potrebbe configurare anche un concorso di colpa del danneggiato ex art. 1227 c.c. “se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza”.

ANDREA F. chiede
giovedì 12/10/2017 - Toscana
“Buongiorno, purtroppo 3 SETTIMANE fa , un fulmine ha incendiato il tetto condominiale della mia soffitta PRIVATA sopra il mio appartamento.
Il fuoco ha fatto crollare il tetto sopra il solaio che è cascato , tutta la mia casa ed il palazzo sono dichiarati inagibili. La mia casa è semidistrutta , ingenti i danni.
Il mio quesito : è giusto che tutti i condomini paghino in base alle quote millesimali anche il solaio interpiano della soffitta anche se di proprietà esclusiva in quanto il danno è dovuto al crollo del tetto condominiale a causa dell'incendio provocato dal fulmine ?
Devono partecipare anche ai danni per il ripristino dell' impianto elettrico ed idraulico degli impianti che passavano in soffitta e sono bruciati, o solamente al ripristino dell'impianto elettrico in quanto dovrà essere tolto il solaio interpiano per rifarlo e quindi rifatti i punti luce del solaio ? La riverniciatura di tutto l'appartamento e la rimozione e rimontaggio di tutti i mobili ed addirittura i termosifoni e caldaia che la ditta edile ha voluto tagliere per effettuare la demolizione del solaio ?
Il fatto che io vorrei abbassare l'altezza del solaio, avendone la possibilità metrica per ricavarne una soffitta praticabile , naturalmente facendomi carico della differenza di spese e dei miglioramenti pregiudica qualcosa ?
Sentitamente ringrazio sin da adesso”
Consulenza legale i 16/10/2017
Il quesito che si pone trova essenzialmente risposta negli artt. 1117 n. 2, 1125 e 1128 comma 2° c.c.; vediamo come dal coordinamento di tali norme si può giungere ad una soluzione.

Intanto va detto che ai sensi dell’art. 1117 n. 2 c.c. costituisce oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, se il contrario non risulta dal titolo, il sottotetto destinato, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune.

Si definisce sottotetto di un edificio quel vano compreso tra il tetto, ossia la copertura dello stabile, ed il solaio dell’ultimo piano, ossia proprio ciò che in questo caso viene individuato come soffitta.
In verità la natura condominiale del sottotetto è stata lungamente dibattuta in dottrina e giurisprudenza, giungendosi alla conclusione che la valutazione della sua condominialità, in mancanza di indicazioni pattizie, necessita di un’indagine di fatto.
Al riguardo la giurisprudenza ha specificato che il sottotetto è di proprietà condominiale “se risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all'uso comune o all'esercizio di un interesse comune” (Cass. n. 18091/2002).
Si pensi ad esempio al locale che, in ragione delle sue dimensioni, ospita beni o servizi del condominio, quale l’impianto di riscaldamento centralizzato o simili.

Diversamente, è da qualificarsi come pertinenza dell’alloggio sito all’ultimo piano, qualora assolva nei suoi confronti una funzione isolante e protettiva (da caldo, freddo e umidità) tramite la creazione di una camera d’aria, al pari di un’intercapedine; in ragione di queste caratteristiche, è un bene complementare all’unità immobiliare sottostante, non potendo essere utilizzato separatamente dall’alloggio da cui accede (così Cass. 22 marzo 2013, n. 7327; Trib. Pesaro, 10 febbraio 2009; App. Firenze, 4 febbraio 2009; Trib. Milano 16 agosto 2007; C.D.S. 14 settembre 2005 n. 4744; Cass., sez. II, 19 dicembre 2002, n. 18091; Cass., sez. II, 20 giugno 2002, n. 8968).

Ciò posto, a prescindere da un’analisi fattuale, il fatto stesso che nel quesito si dice che trattasi di soffitta privata, lascia chiaramente presumere che non può qualificarsi come bene comune ex art. 1117 n. 2 c.c., ma che debba essere disciplinato alla stessa stregua di una unità immobiliare di proprietà esclusiva, trovandoci indubbiamente in presenza di quelle diverse indicazioni pattizie richiamate dalla medesima norma.

Accertata la proprietà esclusiva del sottotetto, per la sua ricostruzione troverà espressa applicazione l’art. 1125 c.c., norma che pone le spese necessarie per la ricostruzione di soffitti e solaio in parti eguali a carico dei proprietari l’uno all’altro sovrastanti; poiché in questo caso siamo in presenza di un’unica proprietà, sarà l’unico proprietario a doversi far carico di tutte le spese di ricostruzione necessarie, non avendo alcun senso distinguere tra spese per la copertura del pavimento (che gravano sul proprietario del piano superiore) e spese per intonaco, tinta e decorazione del soffitto (che gravano sul proprietario del piano inferiore).

Diverso discorso, invece, va fatto per il tetto condominiale, inteso come copertura dell’edificio, ed espressamente qualificato quale parte comune dell’edificio ex art. 1117 n. 1 c.c.
Per la sua ricostruzione troverà applicazione l’art. 1128 c.c., nella parte in cui prevede che se l’edificio perisce per una parte inferiore a tre quarti del suo valore, l’assemblea dei condomini delibera circa la ricostruzione delle parti comuni; ogni condomino sarà tenuto a concorrere alla ricostruzione in proporzione dei suoi diritti, ossia secondo le tabelle millesimali, ed in particolare secondo la tabella sulle proprietà generali.
La compartecipazione alla spesa ovviamente potrà riguardare solo la ricostruzione del tetto, mentre nessuna pretesa potrà vantarsi in ordine alla contribuzione da parte degli altri condomini alle spese relative a tinteggiatura dell’appartamento, smontaggio e rimontaggio di mobili, caldaia e termosifoni, insomma tutte quelle spese che, pur se dipendenti da una causa esterna (fulmine), attengono esclusivamente alle unità immobiliari di proprietà esclusiva, ossia appartamento e soffitta.

Per quanto concerne gli impianti idrico ed elettrico, sempre ex art. 1117 n. 3 c.c. le relative spese di rifacimento dovranno porsi a carico di tutti i condomini, in proporzione ai loro diritti, ma solo per quella parte di tali impianti che giunge al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale, mentre da tale punto in poi dovranno essere ripristinati a spese del singolo proprietario.
Trattasi di una specificazione introdotta dal legislatore della riforma del condominio, il quale ha in tal modo inteso ridurre il contenzioso in ambito di risarcimento del danno ove si dovesse verificare un guasto, e conseguente danno, di una di queste parti.
Pertanto, avremo che se il danno si è verificato nella parte comune di tali impianti, ossia nelle varie diramazioni che corrono nelle strutture dell’edificio, la competenza alla manutenzione e all’eliminazione del problema è in capo al condominio; se invece il danno è all’interno di un appartamento, l’intervento è a carico del condomino proprietario dell’alloggio (così Cass. 3 settembre 2010, n. 19045; Cass. 17 marzo 2005, n. 5792).

Volendo a questo punto fare un quadro schematico di come debbano essere suddivise le spese di rifacimento, potremmo operare la seguente distinzione:
  1. SPESE A CARICO DEL CONDOMINIO:
  • rifacimento del tetto condominiale
  • ripristino degli impianti elettrico e idrico che corrono lungo le parti comuni dell’edificio (muri condominiali) fino al punto di diramazione alle singole unità immobiliari
  1. SPESE A CARICO DEL PROPRIETARIO DELLA SOFFITTA E DELL’ULTIMO PIANO:
  • ripristino impianto elettrico ed idraulico all’interno di soffitta e appartamento
  • tinteggiatura appartamento e soffitta
  • smontaggio e rimontaggio di mobili, termosifoni e caldaia.

Per quanto concerne, infine, l’intenzione di abbassare l’altezza del solaio per ricavarne una soffitta praticabile, si ritiene che a tal fine occorrerà rifarsi a quanto dispone l’art. 1122 c.c.
Ciò significa che sarà preliminarmente necessario verificare, con l’ausilio di un tecnico, se tali opere siano consentite dalla normativa urbanistica e, in caso positivo, se possano arrecare danno alle parti comuni ovvero determinare pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio.
Qualora non si frapponga alcuno di tali ostacoli, sarà necessario, prima di dare inizio ai relativi lavori, darne preventiva notizia all’amministratore, il quale sarà tenuto a riferirne all’assemblea dei condomini (non occorre alcuna autorizzazione).

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