(massima n. 1)
In tema di azione revocatoria ordinaria, quando essa sia proposta dalla curatela del fallimento di una società per far dichiarare inefficace nei suoi confronti l'atto con cui la fallita, allorché era "in bonis", aveva concesso ipoteca volontaria su un immobile di sua proprietà promesso in vendita, a garanzia del finanziamento ottenuto dal promittente acquirente per poter stipulare il contratto definitivo, poi effettivamente concluso, non integra "mutatio libelli" in appello l'individuazione dell'"eventus damni" non più nella costituzione del vincolo ipotecario sul patrimonio immobiliare della società ma nella perdita, da parte del fallimento e della massa creditoria, del residuo credito, meramente chirografario, derivante dall'intervenuta vendita, atteso che lo scopo della azione revocatoria non è quello, meramente fittizio, di "recuperare" al patrimonio del debitore i beni alienati ma quello di assoggettarli alle azioni (genericamente intese) del creditore danneggiato, sicché la revocatoria dell'atto di costituzione di ipoteca, nella suddetta ipotesi, assicura la "fruttuosità" dell'azione eventualmente esperibile verso la controparte contrattuale della società fallita, una volta rimossa la ragione di preferenza del terzo garantito. (Rigetta, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 24/04/2018).