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Articolo 748 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Miglioramenti, spese e deterioramenti

Dispositivo dell'art. 748 Codice Civile

In tutti i casi(1), si deve dedurre a favore del donatario il valore delle migliorie apportate al fondo nei limiti del loro valore al tempo dell'aperta successione [456, 1150 c.c.](2).

Devono anche computarsi a favore del donatario le spese straordinarie(3) [1150] da lui sostenute per la conservazione della cosa, non cagionate da sua colpa 1150, 1152 c.c.].

Il donatario dal suo canto è obbligato per i deterioramenti che, per sua colpa, hanno diminuito il valore dell'immobile.

Il coerede che conferisce un immobile [746 c.c.] in natura può ritenerne il possesso sino all'effettivo rimborso delle somme che gli sono dovute per spese e miglioramenti [749, 975, 985, 1152, 2040 c.c.].

Note

(1) Sia in caso di collazione per imputazione che in natura.
(2) I miglioramenti vengono computati in base al loro valore, le spese straordinarie in relazione all'importo impiegato.
Al donatario non spetta alcunchè in relazione alle spese ordinarie, in quanto compensate dal godimento che ha del bene stesso.
Le migliorie realizzate dal donante, dopo la donazione, sono oggetto di detrazione, a meno che non costituiscano un'ulteriore donazione, atto a sua volta oggetto di collazione.
(3) Sono spese straordinarie, per esempio, quelle poste in essere per conservare il bene che minaccia il perimento o il crollo.

Ratio Legis

Al donatario, prima che l'obbligo di collazione divenga attuale, si applica la disciplina del possessore di buona fede (v. artt. 1148 e ss. c.c.).

Spiegazione dell'art. 748 Codice Civile

Al momento del conferimento, vanno computate le seguenti variazioni al valore dell’immobile:
a) A favore del donatario, si calcolano le migliorie esistenti al tempo della successione, secondo il loro valore in quel momento. Resta così risolta la questione sorta sotto il vecchio codice: se, cioè, dovesse rimborsarsi il meno tra lo speso e il miglioramento ovvero l’ammontare di quest'ultimo.
b) A favore del donatario vanno calcolate anche le spese straordinarie da lui fatte per la conservazione della cosa, e non cagionate da sua colpa. Su questo punto si è innovato rispetto all’art. #1019# del codice precedente, in quanto questo parlava di spese necessarie, le quali invece, secondo il testo attuale, rimangono a suo carico. Si è pure aggiunta, come causa determinante l’esclusione della rivalsa, la colpa del donatario.
c) Si calcolano, invece, a danno del donatario i deterioramenti derivanti da sua colpa.
Il donatario continua a godere lo ius retentionis, già riconosciutogli dall’art. #1023# del codice del 1865.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 748 Codice Civile

Cass. civ. n. 29247/2020

In tema di collazione ereditaria d'immobili, la pretesa del donatario di dedurre migliorie e spese a norma dell'art. 748 c.c. non integra domanda riconvenzionale, ma semplice eccezione in senso lato, come tale liberamente proponibile e rilevabile anche in grado d'appello, non ampliando il contenuto del giudizio divisorio, atteso che il patrimonio del donante non può comprendere quanto realizzato sul bene dal donatario.

Cass. civ. n. 20041/2016

In tema di scioglimento della comunione ereditaria, la collazione per imputazione di un immobile che, successivamente alla sua alienazione da parte del donatario, ma anteriormente all’apertura della successione, abbia subito un incremento di valore per effetto di una destinazione edificatoria insussistente all'atto dell'alienazione suddetta, va eseguita stimando il valore del bene al momento dell’apertura della successione e, dunque, tenendo conto anche di tale sopravvenuta attitudine urbanistica la quale, non dipendendo da un’attività del donatario o del terzo diretta ad incrementare il valore del bene, né essendo correlativa ad un esborso del donatario o all’arricchimento, corrispondente al valore delle opere realizzate, che il terzo abbia voluto porre in essere in favore di quello, non corrisponde alla finalità che sottende il regime dei miglioramenti della res “donata” e, pertanto, non ne condivide la disciplina.

L'art. 747 cod. civ. stabilisce che la collazione per imputazione si fa avuto riguardo al valore dell'immobile al momento dell'apertura della successione, senza che i beni oggetto della collazione tornino materialmente e giuridicamente a far parte della massa ereditaria, incidendo i medesimi esclusivamente nel computo aritmetico delle quote da attribuire ai singoli coeredi secondo la misura del diritto di ciascuno. Non sono irrilevanti, ai fini del computo di detto valore, i miglioramenti che abbiano interessato l'immobile fino a quel momento. Ai sensi dell'art. 748 cod. civ. va dedotto a favore del donatario il valore delle migliorie apportate al fondo nei limiti del loro valore al tempo dell'aperta successione. Nel caso di alienazione, l'art. 749 cod. civ. dispone che i miglioramenti fatti dall'acquirente debbano essere computati nei termini indicati.

Cass. civ. n. 24150/2015

In tema di collazione ereditaria d'immobili, la pretesa del donatario di dedurre migliorie e spese a norma dell'art. 748 c.c. non integra domanda riconvenzionale, ma semplice eccezione, non ampliando il contenuto del giudizio divisorio, atteso che il patrimonio del donante non può comprendere quanto realizzato sul bene dal donatario.

Cass. civ. n. 649/1991

In tema di collazione ereditaria, fra i miglioramenti apportati all'immobile dal donatario, che, a norma dell'art. 748 c.c., debbono essere detratti dal valore dell'immobile (sicché di essi non può tenersi conto nella riunione fittizia), deve ritenersi compresa l'affrancazione del fondo enfiteutico, sempreché il donatario provi (eventualmente anche a mezzo di presunzioni) di avervi provveduto a propria cura e spese.

Cass. civ. n. 4009/1981

In tema di collazione della divisione ereditaria, l'art. 748 c.c., il quale prevede, in favore del donatario, la deduzione, oltre che delle spese straordinarie, delle migliorie, nei limiti del loro valore al tempo dell'aperta successione, opera tanto con riguardo alle migliorie apportate direttamente dal donatario stesso, quanto con riguardo a quelle apportate da altri, e, quindi, anche dal donante, salva restando, in tale ultima ipotesi, l'eventuale ricorrenza di una successiva liberalità, suscettibile di distinta collazione nel concorso dei prescritti requisiti.

Cass. civ. n. 2453/1976

Il coerede che ha goduto di un immobile del de cuius prima ancora di riceverlo in donazione, ha diritto, nella collazione per imputazione delle rendite relative, alla detrazione — dal valore imputabile — di quanto corrispondentemente da lui sborsato per tributi e spese di manutenzione.

Cass. civ. n. 2621/1974

Il disposto dell'art. 748 c.c., secondo cui, agli effetti della collazione, si deve dedurre in tutti i casi a favore del donatario il valore delle migliorie apportate al fondo, nei limiti del loro valore al tempo dell'aperta successione, è applicabile soltanto quando oggetto della donazione sia stata la proprietà piena dell'immobile, nella quale ipotesi il donatario, come deve essere rimborsato delle spese straordinarie da lui sostenute, così pure deve essere rimborsato delle migliorie apportate (da lui o da altro che abbia sostenuto il fondo), e queste devono essere valutate nei limiti del loro valore al tempo dell'aperta successione, indipendentemente dal minore o maggior costo di esse. Nell'ipotesi in cui, invece, oggetto della donazione sia stata la nuda proprietà con riserva dell'usufrutto al de cuius, il donatario, non avendo, come tale, in nessun caso ancora goduto dell'immobile, e neppure essendo legittimato al possesso di esso, non ha, in tale qualità, alcun titolo per vantare diritto al rimborso di somme per spese o per miglioramenti. Al fine di identificare il concetto di miglioria tenuto presente dall'art. 748 c.c., deve riconoscersi natura di miglioria a quell'opera che si incorpori nel fondo ed aumenti le opere esistenti, ovvero ne migliori l'inefficienza; non può invece riconoscersi natura di miglioria a quell'opera che valga solo a conservare le opere esistenti, minacciate di deperimento o di crollo, giacché in tal caso si tratta piuttosto di spese di straordinaria manutenzione. La miglioria finisce quindi necessariamente per ripercuotersi in un miglioramento della cosa, in un suo aumento, e, quindi, in un aumento del suo valore, con la conseguenza che il valore della miglioria, ai fini dell'art. 748 c.c., non può che coincidere con l'aumento di valore della cosa migliorata.

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Consulenze legali
relative all'articolo 748 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

M.D. chiede
giovedì 07/09/2023
“Buon giorno
Nel 1963 mia zia nubile, sorella di mio padre, con la quale ho convissuto non solo per motivi di studio ma poi fino al mio matrimonio, acquistò un terreno agricolo di corca 26.000 mq. (catastalmente classificato olivetto di IV^ categoria ma di fatto con cica soltanto 30 alberi di olivi ed il resto "incolto produttivo") intestandolo congiuntamente a mio padre in quanto unico fratello. Su tale terreno, anche perchè studente in agraria, ho sempre contribuito sia alle lavorazioni ed a piccole coltrivazioni per uso familiare.
- Già dal 1977 in accordo tra mio padre e mia zia mi fu assegnato, in attesa della stipula di apposito atto notarile, un lotto di terreno su cui iniziai diversi lavori come: scasso di una vecchia vigna inproduttiva, piantumazione di alberi da frutta e di alcuni ulivi.
- Nel 1981, (50% zia e 50% babbo) mi donarono con atto notarile, riservandosi l'usufrutto, il lotto di tale terreno già assegnatomi di circa 5.500 mq. ricoperto da una vecchia vigna abbandonata in quanto inproduttiva ma risultante anch'essa, in catasto, olivetto di IV^ cat. mentre i miei tre fratelli rifiutarono un’identica donazione. Tale rifiuto fu però soltanto verbale.
- Nell'atto di donazione è riportato testualmente:
" Il donante Sig...Antonio dichiara che la quota di immobile da lui donana con il presente atto al proprio figlio Michele .... è soggetta a collazione per imputazione e quindi, il donatario, all'epoca della morte di esso donante, dovrà imputare alla propria quota quanto ricevuto con la presente donazione, salvi i miglioramenti che dal donatario saranno stati eventualmente apportati alla quota di immobile donata dal Sig. .... Antonio".
Dopo l’atto di donazione inizio la costruzione di una casa di abitazione per me e la mia famiglia (era il grande desiderio di mia zia nei miei confronti.
Nel 1994 zia fece atto notarile di donazione del suo 50% di terreno a favore di mio padre che divenne unico proprietario del terreno rimasto ed usufruttuario dei circa 2.500 mq. donatimi.
Nel 2001 muore mia zia ormai nullatenente. Nel 2002 muore mio padre lasciando eredi legittimi la coniuge ed i 4 figli.
Dpo la denuncia di successione iniziarono i dissidi con due fratelli a causa della loro richiesta di pretendere di voler valutare i benefici che avevo avuto per la donazione.
Alla luce di quanto su riportato e soprattutto a quanto riportato nell’atto di donazione relativamente ai miglioramenti apportati dal donatario,
CHIEDO CORTESEMENTE
Se sulla base del diritto, delle decisioni giurisprudenziali e quantaltro, i miei fratelli , oltre la quota di collazione sul terreno donatomi hanno anche diritto ai frutti sui miglioramenti da me apportati al terreno (Impianto frutetto e olivetto) con particolare riferimento alla casa di abitazione e residenza della mia famiglia da me costruita con grande fatica personale, sacrifici e con vari prestiti e mutuo bancario sottoscritto anche dai donanti (padre e zia).
Sarà mia cura effettuare il bonifico postale al più presto.
Ringraziando porgo cordiali saluti”
Consulenza legale i 24/09/2023
La questione che qui si chiede di esaminare trova esplicita disciplina nel codice civile, e più precisamente agli artt. 737 e ss. c.c., relativi appunto alla collazione ereditaria.
In particolare, tra tali norme l’attenzione deve essere focalizzata su quanto disposto agli articoli dal 745 al 748 c.c., i quali dettano le regole che vanno osservate nel caso in cui oggetto di collazione sia un bene immobile nonché la disciplina applicabile ai frutti ed agli interessi.
Dispone intanto l’art. 745 del c.c. che nel caso in cui la cosa oggetto di collazione produca dei frutti, questi non sono dovuti che dal giorno in cui si è aperta la successione.
La ratio della norma sembra evidente:
a) se il donatario dovesse conferire anche i frutti anteriori, e da lui quasi certamente già consumati, a far tempo dalla donazione, questa, invece di arrecargli un vantaggio, si tradurrebbe in un gravissimo danno;
b) quei frutti sarebbero stati ugualmente consumati dal de cuius se non avesse fatto la donazione e, quindi, ugualmente non sarebbero pervenuti agli eredi.

Altra norma di cui occorre tenere particolarmente conto nel caso di specie, tralasciando quelle che disciplinano le forme di collazione per imputazione o in natura, è l’art. 748 c.c., dedicata proprio ai miglioramenti, spese e deterioramenti che riguardano l’immobile donato.
In particolare, tenuto conto del fatto che allorchè il donatario dovesse scegliere la collazione per imputazione occorrerebbe fare riferimento al valore che l’immobile ha al momento dell’apertura della successione (così art. 747 del c.c.), l’art. 748 c.c., per evitare situazioni di disparità, riconosce al medesimo donatario un diritto di credito pari al valore delle migliorie che sono state da lui apportate all’immobile dal momento in cui questo è pervenuto in sua proprietà (secondo quanto si legge in Cass. civ. sent. n. 2621 del 05.10.1974, deve farsi rientrare nel concetto di miglioria qualunque tipo di opera che si incorpori nel bene e ne migliori l’efficienza, traducendosi così in un aumento del suo valore).
Per effetto di tale disposizione, dunque, si viene a realizzare una inversione dell’onere della prova, nel senso che si presumono apportate dal donatario tutte le migliorie effettuate nel periodo intercorrente tra la donazione e l’apertura della successione, purchè sia stato il donatario a gestire il bene (così Cass. civ. sent. n. 4009/1981).
Inoltre, è bene tenere presente che il valore delle migliorie non va calcolato in base alle spese sostenute, bensì prendendo quale parametro di riferimento l’aumento di valore del bene (così Cass. civ. sent. n. 5982 del 17/11/1979).

Particolare importanza, sempre in sede di applicazione di tale norma, assume la tesi fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità per il particolare caso di opere eseguite dal donatario nudo proprietario a sue spese sul bene oggetto di usufrutto (fattispecie perfettamente coincidente con quella in esame).
Più precisamente, secondo Cass. civ. Sez. II sent. n. 2415 del 26.11.2015, se tali opere hanno accresciuto il valore dell’immobile donato per la sola nuda proprietà, le stesse non possono in alcun modo giovare all’usufruttuario o ai suoi eredi, poiché ad esse non corrisponde un credito dell’usufruttuario nei confronti del nudo proprietario.
Viene così a mancare la giustificazione del conferimento, in sede di collazione, del valore corrispondente al bene donato, comprensivo delle opere realizzate dal donatario nudo proprietario a sue spese.

Alla luce dei richiami normativi e giurisprudenziali a cui fin qui si è fatto riferimento, pertanto, si può senza dubbio asserire che i coeredi rimasti esclusi dalla donazione di cui si discute non hanno alcun diritto di pretendere che in sede di collazione si debba tener conto del valore che l’immobile ha al momento dell’apertura della successione, senza nel contempo dedurre da tale valore il credito che in capo allo stesso donatario si è maturato in misura corrispondente al valore delle migliorie.
Ciò vale anche se oggetto della donazione sia stata la sola nuda proprietà del terreno, in quanto la circostanza che il donatario, pur non avendo il possesso dell’immobile, abbia in concreto usufruito dello stesso, apportandovi tutta una serie di migliorie (compresa la costruzione della casa), può al limite far sorgere una semplice questione di prova, incombendo il relativo onere probatorio su colui che si attribuisce la paternità di quelle opere.

Un’ultima precisazione si ritiene doveroso fare: come testualmente disposto dall’art. 745 c.c. sopra richiamato, nulla potrà eccepirsi ad una eventuale richiesta dei coeredi non donatari di dedurre in loro favore un credito pari al valore dei frutti che il bene donato ha prodotto a far data dal giorno in cui si è aperta la successione.
Per la concreta determinazione di tale credito sarà indispensabile rivolgersi ad un tecnico estimatore, possibilmente scelto di comune accordo tra le parti.

R. M. chiede
lunedì 27/03/2023
“Rif. consulenza nr --------- consulenza Q202332991
Salve vorrei ragguagli circa la seguente questione.
Parlando con un notaio in via informale ed amichevole ha fatto alcune considerazioni.
Ha detto che essendo la Figlia donataria in Regime di Comunione di Beni e avendo COINTESTATO l’immobile con il coniuge afferma che sia stata fatta una donazione (indiretta) e ha comportato per tali suddette ragioni che tale donazione sia stata fatta anche a me (l’ha chiamato affine di primo grado) e quindi io e mia moglie (donataria) siamo stati oggetto del 50 % di donazione. Il bene è per tale motivo al 50% mio e al 50% di mia moglie. Ho preso atto di questa novità (pensavo che il bene donato fosse esclusivamente di mia moglie).
Ho poi chiesto:
Come andrebbe dunque collazionato l’immobile per imputazione, tutto o la metà visto quanto affermato prima (se è vero che sono stato oggetto di donazione e l’immobile è mio al 50% …..).
Ha detto che per quanto riguarda la Collazione immobile ( INVECE ) va considerata nella Massa ereditaria la Percentuale di Valore dell’immobile acquistato per intero.
Considerata la cifra di 295.000 € (costo dell’immobile finale), e avendo messo la differenza di 30.000 €, la donazione era di 265.720 €, per colmare devo, Una volta RIVALUTATO l’immobile alla data dell’atto della successione TOGLIERE solo la percentuale suddetta. Ossia il 10 %.
Ergo se il nuovo valore stimato all’apertura successione dell’immobile è 360.000 €, posso togliere del mio soltanto 36.000 € e portare nella massa il controvalore immobile di 324.000 € . Mi sembra un po' penalizzante per me per la seguente ragione.
Il mutuo da me acceso 50.000 € è servito si per colmare la differenza tra il prezzo richiesto e la somma donata ma è altresì vero che tra onorario agenzia ( 10.500 € ) spese notarile, compromesso rogito e bolli.
Sono stai spesi ulteriori 8.400 € per cui la somma che dovrebbe essere (credo) considerata è 48900 e non 30.000 e quindi la percentuale da decurtare nella collazione dovrebbe essere una percentuale più alta ossia di circa il 18 % o quantomeno decurtare in tutto o in parte di tali spese (50 % ).
Inoltre CHIEDO A VOI ( mi sembra di aver letto su qualche articolo che devono essere considerate anche tutte le spese sostenute per l’immobile) AVENDO OPERATO UNA COMPLETA RISTRUTTURAZIONE dell’immobile che ha richiesto per metterlo completamente a norma (elettrica e tutti gli impianti) nonché efficientamento energetico che è salito di 2 classi e altro uno esborso per una spesa complessiva a mio carico di oltre 75.000 €. Come andrebbe considerata tale spesa da me sopportata?
Sarebbe impensabile che la normativa non tutelasse il coniuge da tutte le somme da lui sostenute.
Per quanto detto all’inizio (cointestazione e comunione) questo può pregiudicare la restituzione delle somme sostenute?
Chi di norma si occupa di fare gli opportuni calcoli, un perito, il Notaio ?

In attesa vostra risposta
Cordiali Saluti”
Consulenza legale i 03/04/2023
Prima di cercare di dare una risposta a quanto viene chiesto, si rende necessario fare un po’ di chiarezza.
Nel quesito si fa riferimento ad un “valore stimato dell’immobile alla data di apertura della successione”, quantificandolo in euro 360.000, e ciò sebbene, di fatto, non vi sia stata alcuna apertura della successione.
Si ricorda che nei quesiti precedentemente posti, ed in particolare nel primo quesito 32654, veniva espressamente detto che la suocera, la cui successione dovrebbe venire in considerazione, è a tutt’oggi viva ed ha un’età pari ad anni 88.
Pertanto, si ritiene che sia impossibile quantificare un valore stimato dell’immobile alla data di apertura della successione, perché ancora tale evento non si è potuto realizzare.

Fatta questa precisazione, per quanto concerne l’altro elemento di novità introdotto con il quesito in esame (ovvero la circostanza che l’immobile acquistato con la somma di denaro trasferita dalla suocera alla figlia è caduto in regime di comunione legale dei beni tra la figlia donataria ed il di lei marito, il quale a sua volta ha contribuito all’acquisto con un esborso di euro 30.000), va osservato quanto segue.
In entrambe le precedenti consulenze si è detto che se la somma di denaro donata non riesce a coprire per intero il valore dell’immobile acquistato, nel momento in cui si andrà ad aprire la successione del donante le strade da seguire sono due, e precisamente una prima che considera come oggetto di donazione la somma di denaro e una seconda che fa consistere l’oggetto della liberalità nella percentuale di proprietà del bene acquistato con la provvista fornita dal donante.
Nella consulenza 32991 è stato anche precisato che, in considerazione del fatto che ad oggi non si è ancora aperta la successione del donante, non è possibile aderire alla seconda tesi, in quanto non si può attualizzare il valore della quota di immobile acquistato con la somma donata di euro 265.000.
Tali considerazioni valgono a prescindere dal fatto che l’immobile sia entrato nel patrimonio di entrambi i coniugi, per averlo acquistato in regime di comunione legale dei beni, ovvero nel patrimonio della sola figlia donataria.

In ogni caso, volendo prescindere da quanto sopra osservato e volendo invece ipotizzare che vi sia stata l’apertura della successione della donante, nessun obbligo di collazione ricade sul coniuge della figlia donataria, e ciò per le seguenti ragioni:
a) ai sensi di quanto espressamente disposto dal primo comma dell’art. 737 del c.c. soggetti tenuti alla collazione sono soltanto i figli ed i loro discendenti nonché il coniuge del de cuius (non vi è compreso, dunque, il marito della donataria, qualificato correttamente dal notaio come affine di primo grado della futura de cuius);
b) l’obbligo di collazione nasce soltanto se, a seguito di accettazione dell’eredità della donante, si acquista la qualità di coeredi (anche tale presupposto si ricava dal primo comma dello stesso art. 737 c.c., nella parte in cui si dice che i soggetti obbligati alla collazione devono conferire “ai coeredi”).

Da ciò se ne deve dedurre che sul coniuge della donataria in ogni caso non può incombere alcun onere di collazione, semmai lo stesso potrà essere legittimato passivamente in una eventuale azione di riduzione che l’altra sorella potrebbe decidere di esperire, se lesa nella propria quota di riserva.
In considerazione sia di quanto appena detto sia del fatto, che si reputa essenziale, che non si è ancora aperta la successione della donante, si continua a ribadire che la soluzione più corretta ed equa da portare avanti, in un eventuale futuro incontro con l’altra parte, è quella di effettuare una rivalutazione delle somme di denaro di cui le figlie ad oggi hanno beneficiato.

Per quanto concerne, infine, la questione delle spese sostenute nel frattempo dalla donataria e dal di lei coniuge per migliorare l’immobile acquistato con la somma ricevuta dalla madre (spese per le quali è stato anche contratto un mutuo pari ad euro 50.000), non vi è motivo di temere che tali spese vadano perdute.
Qualora, infatti, si dovesse arrivare ad una collazione per imputazione, imputando alla massa ereditaria il valore in percentuale di quell’immobile, sarà possibile fare ricorso a quanto previsto dall’art. 748 c.c., norma che prende in considerazione proprio l’ipotesi di eventuali miglioramenti, deterioramenti e spese relative all’immobile.
Tale norma dispone che va comunque dedotto in favore del donatario il valore delle migliorie apportate, ma sempre facendo riferimento al valore che l’immobile ha acquistato per effetto di tali migliorie alla data di apertura della successione.

Certamente, non possono farsi rientrare tra le spese da portare in deduzione quelle sostenute per onorario di agenzia, spese notarili, compromesso, rogito e bolli, non avendo dette spese contribuito ad accrescere il valore dell’immobile.
Neppure può farsi rientrare tra le spese contemplate dall’art. 748 c.c. la somma di euro 50.000 presa a mutuo per “colmare la differenza tra il prezzo richiesto e la somma donata”, e ciò perché la collazione per imputazione andrà fatta in misura percentuale al valore della quota di immobile che con la somma donata si è riuscito ad acquistare.

M. M. chiede
venerdì 10/02/2023 - Sicilia
“Tizio muore il 19 maggio 2021 lasciando tre figli.
Ad una figlia (A) è stato donato in data 2 novembre 1995 un immobile allo stato rustico del valore di 40 milioni di lire con dispensa da collazione per un mezzo da Tizio e per l'altro mezzo dalla moglie deceduta nel 2004 , l'immobile posto al primo piano disponeva di un terrazzo a livello di circa 75 mq accessibile solo dalla persiana del suo appartamento e catastalmente compreso nella stessa particella ( non è mai stato una particella a se stante). Adesso l'immobile che è stato definito a spese della figlia ha un valore di circa 85000 euro.

Ad un'altra figlia (B) tra il 25 gennaio e l'8 febbraio 2007 Tizio ha pagato un debito per 27.000 euro in qualità di garante e per il quale risultano le ricevute bancarie.
Ad un terzo figlio (C), che fino alla morte viveva con Tizio, non ha dato niente che risulta.
Tizio alla data di morte era proprietario per 2/3 di un immobile posto al piano terra dello stesso edificio dove si trova il bene donato alla figlia A del valore di circa 100.000 euro e dei 2/3 del terrazzo soprastante l'edificio del valore di circa 20.000 euro (terrazzo di copertura dell'edificio).
B e C avviano una mediazione per lesione di legittima e per contestare la proprietà esclusiva del terrazzo a livello adiacente l'appartamento nei confronti della sorella A e nell'incontro preliminare, avvenuto dopo diversi rinvii, hanno dichiarato di non volere tentare la mediazione.
1) Contestano la proprietà del terrazzo a livello, unica particella con la casa e da cui unicamente si accede già così al momento della donazione e del quale Tizio non aveva mai reclamato nulla durante la sua vita, sostenendo che nell'atto di donazione è indicato che i donanti, Tizio e la moglie, nel frattempo deceduta (maggio 2004) si erano riservati la proprietà del terrazzo di copertura dell'edificio, riporto le parole esatte indicate nell'atto di donazione:
La donazione è proceduta con la comproprietà pro-quota del suolo delle fondazioni dei muri perimetrali dell'ingresso della scala di accesso ai piani superiori della cisterna e del relativo impianto autoclave (realizzati nella corte antistante l'edificio) e di tutte le altre parti ed impianti che per legge destinazione uso o consuetudine sono comuni tra i condomini di un o stesso fabbricato ma con le seguenti precisazioni e riserve:
_ la porzione di corte antistante l'edificio destinata in parte a stradella è condominiale
- la porzione di corte retrostante e latistante l'edificio non è condominiale ma costituisce pertinenza esclusiva dell'alloggio di piano terra da cui vi si accede
- la terrazza di copertura del fabbricato e la relativa area libera soprastante restano riservati in proprietà esclusiva alla parte donante la quale- ove consentito dalle norme urbanistiche- potrà effettuare sopraelevazioni e rendere comuni le parti e gli impianti condominiali senza dovere corrispondere alcun indennizzo ai proprietari dei piani sottostanti. tuttavia i proprietari dei piani sottostanti hanno diritto di tenere allogati nella terrazza di copertura i recipienti di acqua per uso domestico le antenne televisive e di accedervi per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli stessi impianti.
2) contestano la lesione della legittima per la donazione ricevuta da A
Per maggiore chiarezza descrivo ancora l'immobile: piano terra 2/3 proprietà di Tizio 1/3 proprietà dei tre figli, 1° piano con terrazzo a livello proprietà di A , Terrazzo di copertura proprietà 2/3 Tizio e 1/e i tre figli.
3) E' condizione di non procedibilità la mancata adesione alla mediazione da parte di B e C?
Si richiede parere legale sui tre punti .
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 09/03/2023
La prima questione che si chiede di affrontare è quella relativa al regime proprietario del terrazzo a livello di circa 75 mq, adiacente all’immobile donato da Tizio alla figlia A.
Decisivo per dipanare ogni dubbio in favore della tesi sostenuta dalla figlia donataria si ritiene possa essere quanto si legge nell’atto di donazione del 1995, nella parte descrittiva del bene che ne ha costituito oggetto, ove si fa riferimento ad un “alloggio allo stato rustico situato al primo piano, avente una superficie utile di mq. 91 circa al netto della superficie utile occupata dal terrazzo”.

L’uso dell’espressione “al netto” va indubbiamente inteso non nel senso che il terrazzo debba essere escluso dall’oggetto della donazione, bensì nel senso che la superficie indicata nell’atto di mq. 91 non è comprensiva di quella occupata dall’adiacente terrazzo.
Peraltro, a conferma di tale interpretazione può addursi non soltanto la circostanza, correttamente evidenziata nel testo dello stesso quesito, che quel terrazzo non aveva autonoma identificazione catastale e che, anche sotto il profilo planimetrico, risultava conglobato nella particella 4670 sub 3, ma anche quanto si legge nel prosieguo dello stesso atto di donazione.

In particolare, nell’art. 2 di tale atto vengono indicati con estrema precisione quali parti dell’edificio di cui fa parte l’alloggio donato sarebbero rimasti condominiali (tra cui la porzione di corte antistante l’edificio, destinata in parte a stradella di accesso) e quali in proprietà esclusiva di alcuni dei condomini (la porzione di corte retrostante e latistante l’edificio viene destinata a pertinenza esclusiva dell’alloggio di piano terra, da cui vi si accede).
Dallo stesso art. 2, inoltre, si desume la volontà del donante di riservarsi in proprietà esclusiva la terrazza di copertura del fabbricato e la relativa area soprastante, con riserva della facoltà di costruirvi in sopraelevazione allorchè la normativa urbanistica dovesse consentirlo.
Il mancato riferimento espresso a quel terrazzo contestato, dunque, non può che indurre a dover considerare lo stesso come in proprietà esclusiva dell’alloggio di primo piano donato, al quale, peraltro, risulta catastalmente conglobato.

Né, del resto, potrebbe essere sufficiente addurre in contrario quanto riportato nella parte iniziale dello stesso art. 2, ove viene detto che la donazione “procede con tutti i diritti accessori, … ed eventuali servitù attive mentre quelle passive se ed in quanto legalmente costituite o nascenti dalla situazione dei luoghi o dalla costruzione stessa o create per esigenze costruttive o per destinazione del padre di famiglia”.
A parte la considerazione che trattasi di clausola generica e di mero stile, che viene inserita tutte le volte in cui si trasferisce la proprietà di un immobile, il riferimento ad eventuali servitù passive nascenti dalla situazione dei luoghi o create per esigenze costruttive non può in alcun modo far pensare ad una servitù di passaggio in favore di tutti i condomini e gravante sull’alloggio della donataria, per effetto della quale quest’ultima avrebbe dovuto consentire a tutti i restanti comproprietari dell’edificio di raggiungere quel terrazzo.
Sembra evidente, invece, che con l’inserimento di tale clausola il donante abbia voluto piuttosto soddisfare la necessità, per il caso di sopraelevazione sull’area libera soprastante l’edificio, di raggiungere la porzione di immobile sopraelevata, mediante costituzione di una c.d. servitù di passaggio per vantaggio futuro.

Per quanto concerne l’aspetto successorio della questione, si ritiene che i fratelli B e C abbiano scarse possibilità di vedere accolte le loro pretese in relazione alla asserita lesione di legittima in loro danno.
Nel caso di specie il padre Tizio, donante, ha effettuato la donazione in favore della figlia A con espressa dispensa da collazione.
Occorre intanto chiarire che la dispensa da collazione, ex art. 737 comma 2 c.c., produce effetto soltanto nei limiti della disponibile, il che significa che la donataria A potrà pretendere che non si tenga conto di quanto ricevuto per donazione soltanto se il patrimonio residuo dovesse risultare sufficiente a garantire agli altri legittimari la quota di riserva ai medesimi spettante.

Precisato ciò, la questione principale che qui si ritiene debba essere affrontata è quella di stabilire con esattezza quale valore attribuire all’immobile ricevuto in donazione dalla figlia A, al fine di determinare il valore complessivo della massa ereditaria e, conseguentemente, la misura della quota di riserva spettante a ciascun legittimario.
A tale riguardo occorre prendere in considerazione quanto disposto dagli artt. da 747 a 750 c.c., espressamente richiamati dall’art. 556 del c.c., norme che, dettate in tema di collazione, dettano delle regole ben precise nel caso di collazione di un immobile.
In particolare, dispone l’art. 747 del c.c. che, nel caso di collazione per imputazione di un immobile, occorre tenere conto del valore che ha l’immobile al momento dell’apertura della successione.

In questo caso, tuttavia, l’uso di tale criterio, puramente e semplicemente, si risolverebbe senza alcun dubbio in uno svantaggio per la figlia donataria A, tenuto conto che questa ha ricevuto un immobile allo stato rustico, per un valore dichiarato nell’atto di donazione di quaranta milioni delle vecchie lire, e considerato altresì che il valore di quell’immobile ha avuto un sicuro incremento non soltanto per effetto del lungo periodo di tempo trascorso dalla data dell’atto di donazione a quella di apertura della successione, ma anche ed essenzialmente per tutti i lavori di completamento e miglioramento sullo stesso eseguiti dalla medesima donataria.
Del resto, se così non fosse, gli eredi non donatari sarebbero favoriti, nella determinazione delle loro quote ereditarie, dall’aumento del valore del cespite dovuto al solo sacrificio economico della donataria.

Dispone espressamente il primo comma dell’art. 748 c.c. che, in ogni caso va dedotto a favore del donatario “il valore delle migliorie apportate al fondo nei limiti del loro valore al tempo dell’apertura della successione”, nonché le spese straordinarie sostenute per la conservazione del bene, mentre lo stesso donatario sarà tenuto a rispondere per i deterioramenti imputabili a sua colpa e che hanno diminuito il valore dell’immobile.
Costituisce, infatti, orientamento costante della Corte di Cassazione (si veda in tal senso, tra le tante, Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 20041 del 06.10.2016), quello secondo cui le regole poste da tale norma non sono altro che espressione dei principi generali che reggono il possesso di buona fede (art. 1150 del c.c.) e, più in generale, di quelli in tema di indebito arricchimento.
In particolare, il rimborso dei miglioramenti eseguiti sull’immobile è necessario in quanto non sarebbe ragionevole imporre al donatario di conferire un valore che non è riferito all’originaria consistenza della cosa donata, ma che dipende da iniziative da lui assunte (è questo il caso, appunto, dei miglioramenti eseguiti a sua cura e spese) o da interventi di terzi.
Da ciò se ne deve far conseguire che, al fine di determinare la consistenza complessiva della massa ereditaria, occorrerà prendere in considerazione il valore che quell’immobile potrebbe avere allo stato rustico al momento dell’apertura della successione (in buona sostanza, occorre attualizzare il valore indicato nello stesso atto di donazione, ciò che può fare solamente un tecnico).

Inoltre, è fuor di dubbio che anche le somma ricevute dalla figlia B per estinguere
un debito personale di quest’ultima debbano essere inserite nel calcolo della massa da dividere, considerato che, seppure il pagamento di quel debito da parte di Tizio sia stato effettuato nella sua qualità di garante, la rinuncia all’esercizio della successiva azione di regresso esperibile nei confronti del debitore principale non può che trovare la sua ratio in uno spirito di mera liberalità (come tale assoggettabile in ogni caso alle norme sulla collazione ex art. 809 del c.c.).

Solo in considerazione di quanto sopra riferito, dunque, si potrà determinare se ed in che misura vi sia stata lesione di legittima in danno di alcuno dei legittimari (anche se, da un calcolo molto approssimativo, se ne può dedurre che quanto residua nel patrimonio ereditario può essere più che sufficiente per soddisfare la quota di riserva del figlio C, l’unico che finora non ha beneficiato di alcunché).

Infine, per quanto attiene all’ultima delle domande poste, ovvero quella se la mancata adesione di B e C alla mediazione debba considerarsi o meno condizione di non procedibilità, va detto che, come è dato leggere nelle note in calce all’istanza di mediazione trasmessa, nel caso di mediazione obbligatoria soltanto l’assenza delle parti, sebbene assistiti da avvocato munito di procura speciale, determina l’improcedibilità della domanda giudiziale, mentre la mancata adesione alla procedura di mediazione senza giustificato motivo può legittimare in giudizio la condanna alle spese per la parte convenuta.

Carmela D. M. chiede
sabato 03/07/2021 - Sicilia
“Mia madre ha donato, con riserva di usufrutto, a me un appartamento mentre a mio fratello un terreno con una casa coloniale.
Abbiamo goduto del bene fin da quando ci è stato donato, (1980) e adesso, alla morte della mamma sono nate questioni sulle spese apportate ai rispettivi beni.
Il mio appartamento era abusivo e io l’ho sanato al comune facendo una nuova divisione e spendendo circa 100 milioni di lire mentre mio fratello oltre a migliorare la casa coloniale, ha realizzato nel terreno un campo da tennis piscina, a discapito dell’ uliveto esistente, ecc.
Domanda
In che modo è possibile conteggiare in collazione queste spese?
Grazie”
Consulenza legale i 08/07/2021
Ciò che viene chiesto trova esplicita risposta all’art. 748 c.c.
Presupposto essenziale per l’applicazione di tale norma è ovviamente che si faccia riferimento a spese documentabili, ossia spese per le quali coloro che le hanno sostenute siano in grado di dimostrare che sono state affrontate con somme prelevate dal patrimonio personale, oppure che vi sia accordo tra gli eredi nel riconoscere che ciascuno di essi ha eseguito a proprie spese le migliorie e le addizioni sugli immobili di rispettiva titolarità.

Si ritiene anche utile precisare che rientra nel concetto di miglioria qualunque opera eseguita sul fondo dal momento in cui è stata posta in essere la donazione e che si incorpori nel bene e ne migliori l’efficienza, traducendosi in un aumento del suo valore (così Cass. n. 2621/1974).

Ora, la necessità di dar prova di quanto prima si è detto si pone in particolare in un caso come quello in esame, in cui oggetto di donazione è stata la sola nuda proprietà degli immobili che adesso devono costituire oggetto di collazione (il nudo proprietario solitamente è colui che non ha il godimento del bene).
Di una situazione simile si è occupata la Corte di Cassazione, Sez. I civ. nella sentenza n. 24150 del 26.11.2015, affermando il seguente principio di diritto:
Le opere eseguite dal donatario nudo proprietario a sue spese sul bene oggetto di usufrutto, che ne abbiano accresciuto il valore, non possono giovare all'usufruttuario o ai suoi eredi, poiché ad esse non corrisponde un credito dell'usufruttuario nei confronti del nudo proprietario. In tal caso viene a mancare la giustificazione del conferimento, in sede di collazione, del valore corrispondente al bene donato, comprensivo delle opere realizzate dal donatario nudo proprietario a sue spese. Nella menzionata ipotesi si pone, dunque, la questione concernente la prova delle opere asseritamente realizzate dal donatario sui beni che il de cuius gli aveva donato riservandosi l'usufrutto”.

Con tale sentenza la S.C. censura la decisione della Corte di secondo grado, la quale aveva ritenuto che l’art. 748 c.c. non potesse trovare applicazione nel caso di donazione avente ad oggetto la nuda proprietà dell’immobile ed in mancanza di prova che il donatario avesse conseguito il possesso o comunque il godimento del bene; secondo la Corte territoriale, infatti, il donatario, nella sua qualità di nudo proprietario, non avrebbe titolo per pretendere il rimborso di spese e miglioramenti (ci si rifà in tal senso a Cass. civ., sez. II, sentenza n. 2621 del 1974, che a sua volta richiama Cass. civ., sez. II, sentenza n. 2221 del 1971).

Di contrario avviso è la S.C. nella sentenza del 2015 prima citata, la quale argomenta innanzitutto da quella che è la ratio dello stesso art. 748 c.c.: il conferimento delle donazioni, finalizzato a ricostituire il patrimonio del de cuius, non può comprendere ciò che, essendo stato realizzato dal donatario, non è mai appartenuto al donante, e, simmetricamente, deve comprendere ciò che il donatario ha deteriorato, per sua colpa.

Secondo quanto sostenuto dalla Cassazione nella sentenza n. 24150/2015, la ragione per cui la Corte di Cassazione n. 2621 del 1974 ha affermato che "i miglioramenti giovano all'usufruttuario o ai di lui eredi, e non già al donatario" si fonda sulla stessa disciplina dei miglioramenti e delle addizioni nell'usufrutto, contenuta negli artt. 985 e 986 c.c., in cui si fa espresso riferimento agli interventi sul bene posti in essere dall'usufruttuario, che si traducono, al momento della restituzione, in altrettanti obblighi del nudo proprietario al pagamento di un indennizzo.

Diversa, invece, è la situazione nel caso in cui il donatario nudo proprietario deduca di avere effettuato a sue spese opere sul bene oggetto di usufrutto e che ne abbiano accresciuto il valore, ipotesi che può indubbiamente verificarsi nella pratica in quanto non esiste alcun divieto, in capo al nudo proprietario, di effettuare interventi sul bene, purchè vi sia il consenso dell'usufruttuario (come si desume dall’art. 983 del c.c.)

Peraltro, va anche evidenziato, argomentando dalla specifica disciplina di cui al secondo comma dell’art. 983 c.c., che il nudo proprietario ha pur sempre facoltà di apportare miglioramenti al bene e che, nel rapporto tra usufruttuario e nudo proprietario, si deve presumere che sia quest'ultimo l'autore dei miglioramenti, in quanto titolato a modificare il bene.
Ovviamente, sotto il profilo processuale, incombe in capo al donatario nudo proprietario, il quale intenda invocare a suo favore l'applicazione della regola dettata da tale norma, l'onere di provare il fatto se contestato.

In forza di quanto fin qui sostenuto, dunque, può affermarsi che i donatari, pur nella loro qualità di nudi proprietari, hanno diritto di dedurre in proprio favore, ex art. 748 c.c., il valore delle migliorie apportare agli immobili ricevuti in donazione, con riferimento al momento dell’apertura della successione.
Circa il modo di determinare il valore di tali migliorie, può richiamarsi la sentenza della Corte di Cassazione n. 5982/1979, in cui si afferma che detto valore va calcolato non in base alle spese sostenute, ma in relazione all’aumento di valore che i beni ne hanno conseguito.

Così, nel caso dell’appartamento donato alla figlia si dovranno dedurre in favore della stessa tutte le spese sostenute fino alla data di apertura della successione e volte a regolarizzare l’immobile dal punto di vista urbanistico.
Con riferimento all’immobile donato al fratello, considerato che il medesimo ha di fatto realizzato una trasformazione del bene oggetto di donazione (migliorando la casa coloniale e realizzando un campo da tennis con piscina in luogo dell’uliveto), occorrerà:
  1. dedurre in suo favore il maggior valore che ha conseguito la casa coloniale per effetto delle migliorie;
  2. effettuare una stima del valore che il terreno impiantato ad uliveto avrebbe potuto avere al momento di apertura della successione ed il valore che allo stesso può attribuirsi sempre a quella data secondo la destinazione attuale.
All’esito di tale stima, la differenza di valore andrà conteggiata a credito o a debito del donatario.


Carmela D. M. chiede
martedì 01/06/2021 - Sicilia
“Mi madre, in vita, ha donato con riserva di usufrutto metà appartamento a me e metà a mio marito con il quale eravamo e tuttora siamo in separazione dei beni.
A mio fratello invece ha donato, sempre con riserva di usufrutto la metà di un terreno; l'altra metà l'ha acquistato la moglie.
In questo terreno sono state apportate tante migliorie: ristrutturazione casa colonica, piscina, campo da tennis ecc.
domande:
la metà dell'appartamento donato a mio marito e le migliorie del terreno, rientrano nella collazione.”
Consulenza legale i 08/06/2021
L’istituto giuridico della collazione risulta disciplinato in maniera abbastanza precisa agli artt. 737 e ss. c.c.
Come può dedursi dalla lettura di tali norme, si tratta di un istituto peculiare alla divisione ereditaria, e più precisamente di un atto per mezzo del quale i discendenti e il coniuge che accettano l’eredità sono tenuti a conferire nell’asse ereditario (in natura o per imputazione) quanto hanno ricevuto dal defunto in donazione.

Secondo la tesi prevalente sia in dottrina che in giurisprudenza (cfr. ex plurimis Cass. 1 febbraio 1995, n. 1159), l’obbligo della collazione sorge automaticamente a seguito dell’apertura della successione (i beni donati devono essere conferiti a prescindere da una espressa domanda dei condividenti) e produce l’effetto pratico di aumentare realmente l’asse ereditario da dividere.

Per regola generale oggetto di collazione, e dunque di conferimento, sono tutti i beni donati in vita dal de cuius ai propri discendenti o al coniuge; infatti l’art. 737 c.c. sancisce che i discendenti o il coniuge devono conferire “tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto in donazione, direttamente o indirettamente”.
Presupposti per il sorgere dell’obbligazione collatizia sono i seguenti:
  1. la qualità di donatario del soggetto tenuto a collazione;
  2. la qualità di discendente (legittimo, naturale o adottivo) o di coniuge del de cuius del soggetto tenuto a collazione;
  3. la qualità di coerede (legittimo o testamentario) del soggetto tenuto alla collazione ( l’obbligo alla collazione sorge automaticamente a seguito dell’apertura della successione, ma diviene operante a seguito dell’accettazione dell’eredità);
  4. l’assenza di una dispensa da collazione;
  5. l’esistenza di un relictum da dividere (anche se su quest’ultimo presupposto non vi è concordia di opinioni).

Come può notarsi, la collazione opera solo nei rapporti reciproci tra determinati coeredi che, a seguito della riforma del diritto di famiglia del 1975, sono i figli (legittimi e naturali), i loro discendenti (legittimi e naturali) e il coniuge del de cuius, e soltanto se accettano l’eredità, così dovendo partecipare alla divisione dell’asse ereditario.

Inoltre, secondo quanto espressamente statuito all’art. 739 c.c., l’erede soggetto a collazione deve conferire solo i beni che ha ricevuto in donazione e non i beni che sono stati donati ai suoi discendenti o al suo coniuge, ancorché succedendo a costoro ne abbia conseguito vantaggio (art. 739, comma 1 c.c.).
Precisa ancora il secondo comma della medesima norma che se la donazione viene fatta congiuntamente a coniugi, di cui solo uno è discendente del donante, la collazione opera solo con riferimento alla porzione a quest’ultimo donata.

Pertanto, in considerazione di quanto appena detto, e rispondendo alla prima delle domande poste, sembra abbastanza chiaro che, per espressa volontà legislativa, il coniuge di chi pone il quesito, pur se anch’egli donatario del medesimo de cuius, non è gravato da alcun obbligo di collazione.


Per quanto concerne, invece, l’altro problema per il quale vengono chiesti chiarimenti, ossia quello dei miglioramenti effettuati dal donatario sul bene che potrebbe essere oggetto di collazione, occorre innanzitutto precisare che la legge, con riguardo agli immobili, prevede due modi di conferimento del bene in collazione: in natura e per imputazione.
La collazione in natura (art. 746 c.c.) consiste nella restituzione del diritto all’asse ereditario, con la conseguenza che l’oggetto della donazione cessa di appartenere in modo esclusivo al donatario ed entra materialmente a far parte della massa da dividere, diventando oggetto di comproprietà fra i coeredi.
La collazione per imputazione, invece, si fa imputando alla massa ereditaria da dividere il valore dell’immobile donato (art. 747 c.c.)

In entrambi i casi il bene o diritto viene stimato secondo il valore che esso ha al momento dell’apertura della successione e non al momento della divisione.

Per quanto riguarda i miglioramenti, spese e deterioramenti, nonché frutti e interessi, il legislatore, applicando i principi generali in tema d’indebito arricchimento, attribuisce al donatario che conferisce, il diritto al rimborso del valore delle migliorie apportate al bene, nei limiti del loro valore al tempo dell’apertura della successione, nonché il diritto al rimborso delle spese straordinarie sostenute per la conservazione dello stesso; parimenti gli impone il rimborso dei deterioramenti a lui imputabili (così art. 748 c.c.).
Infine, con riguardo ai frutti e agli interessi, l’art. 745 c.c. dispone che essi sono dovuti dal giorno dell’apertura della successione.

Pertanto, rispondendo alla seconda domanda posta, può dirsi che il fratello avrà diritto al rimborso del valore delle migliorie apportate al terreno, con la conseguenza che la collazione non potrà che farsi per imputazione, riducendosi al valore che la nuda proprietà di quel terreno ha al momento dell’aperura della successione (sempre per la quota, pari ad un mezzo indiviso, che ha formato oggetto di donazione).


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