Il termine essenziale ex art. 1457 e il c.d. termine essenziale per volontà delle parti
Come è ovvio, trattasi qui di
termine di adempimento, cioè di termine inerente alla prestazione, e non di termine inerente alla vicenda del rapporto giuridico, cioè termine che differisce la vicenda del rapporto.
Che cosa ha da intendersi per
termine essenziale, secondo l'art. 1457?
Contro l'opinione di molti autori, i quali, a proposito dell'art. 69 del vecchio Codice di Commercio, ritenevano che l'esistenza di un termine essenziale deve riconoscersi solo quando esso sia tale
per la natura della prestazione,indipendentemente dalla volontà delle parti, abbia cioè carattere di necessità obbiettiva, in modo che un adempimento fuori termine costituisca prestazione di «
aliud pro alio» [il c.d. «
uneigentliche Fixgeschaft» dei Tedeschi], pare che il legislators abbia accolto nell'art. 1457 la figura del termine essenziale per volontà delle parti [il c. d. «
Fixgeschaft»]: qui le parti, valendosi del principio dell'autonomia contrattuale ex art. 1322, elevano a requisito essenziale della prestazione un elemento (il termine) che non sarebbe, di per sé stesso, tale, di modo che, decorso inutilmente quel termine, è da ritenersi senz'altro che il creditore non ha più interesse alla prestazione (es. termine per la consegna di gelati da servire in una data cerimonia).
A giustificazione di questa affermazione si possono addurre i seguenti rilievi:
a) è noto come l'art. 1457 dell'attuale Codice derivi dall'art. 69 del vecchio Codice di Commercio: ora, detto art. 69 aveva i suoi precedenti immediati nell'art. 357 del Codice di Commercio germanico del 1861, a proposito del quale la dottrina tedesca ha sempre ritenuto
che in esso fosse considerato il caso del solo termine essenziale proprio, cioè derivante dalla volontà delle parti;
b) l'art. 1457 parla di «termine essenziale nell'interesse di una delle parti»: ora, un termine essenziale per necessità obbiettiva non potrebbe mai essere considerato nell'interesse di una sola parte, bensì dovrebbe funzionare a difesa di entrambi i contraenti [questo è detto dallo stesso Vivante, fautore della teoria opposta a quella qui sostenuta]. Sotto questo aspetto deve dirsi che il termine essenziale ex art. 1457 ha una funzione ben diversa da quella che ha il tempo (inteso come
durata) nei contratti a prestazione continuata o periodica, dove appunto il tempo è essenziale per entrambe le parti e non per una soltanto;
c) infine, pare che l’art. 1457, riconoscendo al creditore insoddisfatto la possibilità di chiedere ugualmente l'adempimento tardivo, nonostante la scadenza del termine essenziale, escluda che
nell'articolo in parola sia da ricomprendere il caso di termine essenziale improprio, cioè di
termine la cui scadenza conduce alla
impossibilità della prestazione successiva alla scadenza.
La dottrina tedesca, nel caso di termine essenziale, improprio, non applica affatto il § 361 B.G.B., bensì applica le regole ordinarie sulla impossibilità della prestazione.
In caso di dubbio, l'essenzialità del termine è da escludere, dato il carattere eccezionale di essa
In pratica non sarà sempre agevole, di fronte ai casi concreti, riconoscere la presenza, o meno, di un termine essenziale (la questione, comunque si sostanzia in un problema di interpretazione della volontà dei contraenti): peraltro, una cosa pare certa ed è che, in caso di dubbio, l'essenzialità del termine è da escludere data la funzione eccezionale di detto termine il quale viene a togliere la possibilità al debitore di adempiere sino al momento della domanda giudiziale di risoluzione (1453), o sino al momento in cui il creditore dichiara al debitore di avvalersi della clausola risolutiva espressa ex art. 1456.
Disciplina giuridica dell'istituto
Trattandosi di obbligazione a termine essenziale nell'interesse del creditore, questi rimane giudice dell'opportunità di un adempimento tardivo e quindi dell’opportunità di mantenere ulteriormente in vita il rapporto giuridico. Di conseguenza, il creditore conserva il suo diritto anche dopo la scadenza del termine essenziale purché dichiari al debitore la sua volontà di ottenere l’adempimento tardivo.
Il legislatore ha però stabilito che tale dichiarazione dev'essere fatta entro i tre giorni successivi alla scadenza del termine, sotto pena di decadenza: questo perché si rende qui necessaria la tutela dell'altro contraente in quanto:
a) non essendo dato a quest' ultimo la possibilità di purgare la mora, è giusto che esso debba conoscere sollecitamente se è tenuto ancora all'adempimento della sua obbligazione o se invece deve subire la risoluzione;
b) siccome i rapporti a termine essenziale hanno normalmente per oggetto beni di valore assai variabile, non deve consentirsi al creditore di speculare, senza limiti di tempo, su tale variazione di valori, a danno del debitore.
In mancanza della suddetta dichiarazione del creditore (entro i tre giorni successivi alla scadenza), il capoverso dell'art. 1457 stabilisce che «il contratto si intende risoluto di diritto, anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione».
A questo punto occorre non lasciarsi ingannare dalle parole del legislatore le quali possono costituire un tranello per l’interprete. Non è vero, infatti che, nel caso di inadempimento di un'obbligazione a termine essenziale, le vie che può seguire il creditore contro l'inadempimento siano soltanto due e cioè: chiedere l'adempimento tardivo, oppure valersi della risoluzione del contratto.
E’ da dirsi invece che rimane pur sempre al creditore una terza via: quella indicata nell'articolo 1218, cioè di chiedere il risarcimento dei danni; più precisamente, chiedere l'equivalente in denaro della prestazione, oltre l'ammontare dei danni
(perpetuatio obligationis).
Ad esempio : io ho permutato della merce con altra merce, e il contraente Tizio dovrà consegnarmi la merce a me dovuta entro un dato termine, da noi stabilito come essenziale.
Se Tizio non mi consegna la merce pattuita entro quel termine, io posso:
a) chiedere l'adempimento tardivo ex art. 1457; oppure
b) far valere la risoluzione del contratto e quindi riprendermi la merce da me data (più il risarcimento dei danni) (1457); o infine
c) se non intendo riprendermi la merce data, pretendere, al posto della merce che doveva essermi consegnata, l'equivalente in denaro più i danni (1218): l'esattezza di questo ragionamento, basato sui principi generali in materia di obbligazione, può trovare una precisa conferma nell'art. 1553, il quale appunto dispone che «il permutante, se ha sofferto l'evizione
e non intende riavere la cosa data, ha diritto al valore della cosa evitta, secondo le norme stabilite per la vendita, e salvo in ogni caso il risarcimento del danno».
Pertanto, il capoverso dell'art. 1457 dev'essere così interpretato; in mancanza della dichiarazione del creditore di volere l'adempimento dell'obbligazione, nonostante la scadenza del termine essenziale,
oppure l'equivalente in denaro della prestazione non eseguita, oltre ai danni (1218), il contratto s'intende risoluto di diritto, anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione.
SOstiene invece l'Auletta che, nel caso di termine essenziale, «a favore del creditore insoddisfatto sorge un potere formativo, in base al quale il contratto potrà essere risoluto sulla sua dichiarazione di volontà». Per l'Auletta cioè si renderebbe necessario, per la risoluzione ex art. 1457, «un negozio unilaterale (dichiarazione di risoluzione notificata alla controparte)».
Pare che ciò non sia esatto, e le ragioni sono due:
1) anzitutto, dove è detto che nel caso di termine essenziale, la risoluzione per inadempimento richiede una dichiarazione espressa, notificata al debitore? Basta mettere a confronto il capoverso del precedente art. 1456 e il capoverso dell'art. 1457 per convincersi che, mentre tale dichiarazione
è necessaria nel caso di clausola risolutiva espressa, non è richiesta affatto nel caso di termine essenziale, per la risoluzione del contratto (la dichiarazione è richiesta solo per l'adempimento tardivo). Ciò risulta anche testualmente espresso nella Relazione del Guardasigilli al Progetto ministeriale delle Obbligazioni, n. 235.
2) Se fosse esatta la costruzione dell'Auletta, siccome non risulterebbe stabilito alcun termine di decadenza per tale dichiarazione di risoluzione (i tre giorni sono richiesti per la domanda di adempimento tardivo) si arriverebbe a questo risultato: che al creditore sarebbe data la possibilità di speculare senza limiti di tempo, sulla variazione dei prezzi di mercato, a danno del debitore, dato che la risoluzione, dovendo avvenire solo in seguito a domanda del creditore, non potrebbe operare che al momento della notificazione di essa al debitore. Il quale risultato invece il legislatore ha voluto sicuramente evitare con il capv. dell'art. 1457, come è detto testualmente anche nella relazione al Re sul libro delle Obbligazioni, n. 129.
Se si vuole che lo scopo prefissosi dal legislatore con l’art. 1457 non venga eluso, non è possibile dare al capv. di detto articolo un'interpretazione diversa da quella precedentemente esposta.
E’ da ricordare che, anche nel caso di termine essenziale ex art. 1457, l'inadempimento del debitore dev'essere a questi imputabile. La contraria affermazione del Rubino secondo cui «la mancata esecuzione dell'obbligazione determina, dopo tre giorni dell'inutile scadenza del termine essenziale la risoluzione del contratto anche se non vi è colpa del debitore» non sembra da accogliere.
Già la stessa figura giuridica di «
inadempimento» postula l'elemento della imputabilità al debitore. Ma è soprattutto da ricordare che, nell'ipotesi di inadempimento non imputabile al debitore, hanno da trovare applicazione altre e speciali disposizioni del nostro ordinamento: così a) se si tratta di inadempimento assoluto non imputabile al debitore, questi non incorre in alcuna responsabilità ed è senz'altro liberato dalla sua obbligazione (1256 e 1463); b) se si tratta di ritardo non imputabile al debitore (impossibilità temporanea di adempiere), si applicherà il secondo comma dell'art. 1256 e il 1463.
In entrambi i casi, come si vede, si è fuori del campo di applicazione dell'art. 1467.
Ultimo presupposto per l’applicabilità dell'art. 1467 è che il creditore non sia a sua volta inadempiente: ne viene, tra l'altro, che, trattandosi di debito chiedibile, sarà necessario che il creditore si sia presentato, alla scadenza del termine, a richiedere (inutilmente) la prestazione.
Costruzione giuridica
La risoluzione del contratto a termine essenziale va costruita così: con la scadenza del termine essenziale, il creditore insoddisfatto acquista,
ex lege, un potere privato di risoluzione, potere che potrà esercitarsi anche semplicemente mediante il silenzio protratto per tre giorni consecutivi alla scadenza del termine essenziale, silenzio che qui appunto la legge interpreta espressamente come volontà di valersi di quel potere di risoluzione, e quindi anche, come volontà, di rinunziare al diritto di esigere l’adempimento tardivo della prestazione o di pretendere l'equivalente della prestazione non eseguita ex articolo 1218.
Il silenzio della parte interessata rappresenta pertanto il
fatto costitutivo della risoluzione, ossia il modo di esercizio del potere di ottenere la realizzazione di quel particolare rimedio per l'inadempimento che è la risoluzione del contratto.
La risoluzione del contratto con termine essenziale — appunto perché si tratta qui di
Fixgeschaft vero e proprio, cioè di termine essenziale
ex voluntate — è da ricollegarsi direttamente alla volontà del creditore insoddisfatto: infatti anche qui (come già, nel caso di clausola risolutiva espressa), si deve dire che, nonostante l'inadempimento, la risoluzione avviene solo se così vuole il creditore.
Si aggiunga che nulla impedirebbe che tale volontà, del creditore si manifestasse espressamente con una dichiarazione unilaterale di risoluzione diretta all’inadempiente: in questo caso la risoluzione si ricollegherebbe
immediatamente a tale dichiarazione, ancorché non fossero trascorsi i tre giorni di cui all' art. 1457.
L'inadempimento del debitore, quindi, è anche qui da considerarsi unicamente come
presupposto di tatto della risoluzione.
Funzione e struttura della dichiarazione del creditore, insoddisfatto, di volere l'adempimento tardivo
Poche parole, sulla
dichiarazione, da parte del creditore insoddisfatto, di volere l'adempimento tardivo, oppure l'equivalente della prestazione.
Funzionalmente, tale dichiarazione non ha affatto il carattere di una
proroga del termine già scaduto e quindi di eliminare la
preesistente situazione di mora del debitore con il conseguente obbligo di risarcimento dei danni, bensì è una dichiarazione esplicita di non valersi della risoluzione e di preferire le normali sanzioni stabilite per l'inadempimento.
In altre parole, con detta dichiarazione si dà bensì al debitore la possibilità di purgare la mora, ma indubbiamente hanno da rimanere ferme le conseguenze del ritardo prodottosi sino al momento in cui, con la tardiva esecuzione dell'obbligazione, la mora venga effettivamente purgata.
Si tratta poi, dal punto di vista
strutturale, di una dichiarazione unilaterale di contenuto precettivo, rilevante per il destinatario come criterio di condotta (eterocomando).
E’ certo che si tratta inoltre di una dichiarazione c.d.
recettizia: l'esplicita dizione dell'art. 1457 «deve darne notizia
all'altra parte» elimina ogni eventuale dubbio in proposito.
Quand'è che dovrà ritenersi aver raggiunta tale dichiarazione l'effetto ad essa collegato dal diritto?
A proposito del corrispondente art. 69 del Codice di Commercio abrogato, non pochi autori ritenevano essere sufficiente che, entro il termine stabilito dalla legge, venisse inviato
l'avviso, ritenevano cioè che qui fosse applicabile il c.d. principio della emissione della dichiarazione (principio che si applica in non pochi casi: 317 codice di commercio abrogato; 52 R.D. 14 dicembre 1933, n. 1669).
A favore del principio dell'emissione nel nostro caso potrebbe deporre il fatto della brevità del termine (di tre giorni) per cui si potrebbe dire essere sufficiente da parte del creditore una sollecita emissione della dichiarazione, e soprattutto potrebbe valere un'argomentazione di carattere teleologico di non lieve peso e cioè che lo scopo prefissosi dal legislatore con l'imporre l'onere della dichiarazione da parte del creditore insoddisfatto è pienamente raggiunto con la semplice emissione della dichiarazione, essendo un tale scopo quello di «non consentire al creditore di speculare sulle possibilità alternative di conseguire la prestazione o il risarcimento» (Relazione al Re sul «Libro delle Obbligazioni», n. 129).
Ma a queste argomentazioni si può vittoriosamente contrapporre tanto la funzione quanto la struttura della dichiarazione del creditore insoddisfatto ex art. 1457:
funzionalmente questa dichiarazione mira ad avvertire il debitore che il creditore, nonostante la scadenza del termine essenziale, intende avere la prestazione pattuita o l'equivalente in denaro, onde,
dal lato strutturale ci troviamo di fronte ad una, dichiarazione diretta ad un preciso risultato concreto cioè a provocare nel debitore un determinato comportamento: qui si ha l'affermazione di un volere che, nei rapporti tra le parti assume una portata ordinativa in vista del comportamento futuro ed imprime alla dichiarazione una funzione costitutiva rispetto a tale comportamento. Si è quindi in presenza di una dichiarazione alla quale si attaglia perfettamente il fondamento che è proprio di tutto il sistema della cognizione, quale è stato accolto in linea generale dal nostro legislatore (sia pure attenuato con la disposizione dell'art. 1335).
Pare quindi che non si possa disconoscere il principio per cui il debitore, trascorsi i tre giorni dalla scadenza del termine essenziale senza che a lui sia giunta alcuna dichiarazione da parte del venditore insoddisfatto, debba poter contare sul fatto che l'adempimento tardivo non gli sarà più richiesto.
Quindi, pur non disconoscendo la serietà delle argomentazioni che si potrebbero addurre a favore del sistema dell'emissione, si ritiene che alla dichiarazione del creditore insoddisfatto ex articolo 1457 debba essere applicato il disposto degli art. 1334 e 1335.
Comunicata all'altra parte la dichiarazione di volere l'esecuzione tardiva, il termine di adempimento, che era stato fissato nel contratto, cessa di essere essenziale. Se poi tale dichiarazione fosse accompagnata dalla fissazione di un nuovo termine, questo — dato che il termine essenziale ex art. 1457 è
il Fixgeschaft vero e proprio, cioè il termine
ex voluntate contrahentium - non potrà affatto avere il carattere di termine essenziale, mancando in proposito la volontà concorde delle parti: peraltro, sembra che una tale dichiarazione possa valere come diffida ad adempiere ex art. 1454 (qualora essa abbia con sè tutti gli elementi richiesti), con le conseguenze di cui all'ultimo comma di detto articolo.
Infine, scelta la via dell'esecuzione tardiva, il creditore non potrà più valersi del potere di provocare la risoluzione ex art. 1467
ancorché il debitore continuasse ad essere inadempiente: in tal caso, se egli intendesse ottenere la risoluzione, non potrebbe che fare ricorso alle regole comuni degli articoli 1453 e 1454.
Meccanismo con cui opera la risoluzione
Anche qui la risoluzione opera con lo stesso meccanismo che si è visto a proposito della risoluzione giudiziale. Per quanto riguarda la trascrizione, si v. retro sub 1456.
Differenze tra la risoluzione per clausola espressa e risoluzione per scadenza del termine essenziale
Le differenze tra risoluzione per clausola espressa (1456) e risoluzione per scadenza del termine essenziale sono le seguenti:
a) la risoluzione, nel caso di clausola espressa, opera
al momento della dichiarazione fatta all'inadempiente dal creditore deluso ex art. 1456, la risoluzione nel caso di termine essenziale è da riportarsi al momento della scadenza dei tre giorni successivi a detto termine: ma, a differenza di quanto avviene nel primo caso, nella risoluzione per termine essenziale,
appunto per la speciale natura e portata di detto termine, non è possibile riconoscere al debitore inadempiente
il diritto di adempiere tardivamente (cioè entro i tre giorni successivi alla scadenza del termine essenziale): il debitore inadempiente, in questo caso,
deve adempiere tardivamente se così vuole il creditore, ma
non può adempiere tardivamente se così non vuole il creditore;
b) vi è infine da ricordare la diversità di forma dell'atto di esercizio del potere di risoluzione nell'ipotesi di termine essenziale, un modo di esercizio di tale potere è il semplice
silenzio del creditore protratto per tre giorni consecutivi a partire dalla scadenza del termine essenziale.
Le regole contenute nell'articolo 1457 non hanno carattere cogente
Le regole contenute nell'art. 1467 non hanno carattere cogente: le parti possono pertanto modificarle (prolungando, ad esempio, o riducendo il termine di tre giorni previsto nell'articolo stesso), come pure hanno da valere eventuali deroghe portate ad esse dagli usi (1457).