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Articolo 1457 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Termine per una delle parti

Dispositivo dell'art. 1457 Codice Civile

Se il termine fissato per la prestazione di una delle parti deve considerarsi essenziale nell'interesse dell'altra(1), questa, salvo patto o uso contrario, se vuole esigerne l'esecuzione nonostante la scadenza del termine, deve darne notizia all'altra parte entro tre giorni.

In mancanza, il contratto si intende risoluto di diritto anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione(2).

Note

(1) Il termine è essenziale quando la prestazione perde qualsiasi utilità per la controparte se viene eseguita oltre il termine stesso. L'essenzialità è oggettiva se dipende dalla natura della prestazione, soggettiva se dipende dalla volontà dei contraenti, salvo che si tratti di mere clausole di stile (ad esempio, la clausola "entro e non oltre").
(2) Pertanto, se insorgono conflitti tra le parti, la conseguente sentenza giudiziale sarà accertativa.

Ratio Legis

Il termine essenziale costituisce un agile strumento per consentire alla parte di sciogliersi da un vincolo contrattuale diventato inutile (e, ad esempio, cercare altrove la medesima prestazione) salvo che la parte stessa, per sua scelta, decida di mantenerlo in vita.

Spiegazione dell'art. 1457 Codice Civile

Il termine essenziale ex art. 1457 e il c.d. termine essenziale per volontà delle parti

Come è ovvio, trattasi qui di termine di adempimento, cioè di termine inerente alla prestazione, e non di termine inerente alla vicenda del rapporto giuridico, cioè termine che differisce la vicenda del rapporto.

Che cosa ha da intendersi per termine essenziale, secondo l'art. 1457?
Contro l'opinione di molti autori, i quali, a proposito dell'art. 69 del vecchio Codice di Commercio, ritenevano che l'esistenza di un termine essenziale deve riconoscersi solo quando esso sia tale per la natura della prestazione,indipendentemente dalla volontà delle parti, abbia cioè carattere di necessità obbiettiva, in modo che un adempimento fuori termine costituisca prestazione di «aliud pro alio» [il c.d. « uneigentliche Fixgeschaft» dei Tedeschi], pare che il legislators abbia accolto nell'art. 1457 la figura del termine essenziale per volontà delle parti [il c. d. «Fixgeschaft»]: qui le parti, valendosi del principio dell'autonomia contrattuale ex art. 1322, elevano a requisito essenziale della prestazione un elemento (il termine) che non sarebbe, di per sé stesso, tale, di modo che, decorso inutilmente quel termine, è da ritenersi senz'altro che il creditore non ha più interesse alla prestazione (es. termine per la consegna di gelati da servire in una data cerimonia).

A giustificazione di questa affermazione si possono addurre i seguenti rilievi:

a) è noto come l'art. 1457 dell'attuale Codice derivi dall'art. 69 del vecchio Codice di Commercio: ora, detto art. 69 aveva i suoi precedenti immediati nell'art. 357 del Codice di Commercio germanico del 1861, a proposito del quale la dottrina tedesca ha sempre ritenuto
che in esso fosse considerato il caso del solo termine essenziale proprio, cioè derivante dalla volontà delle parti;

b) l'art. 1457 parla di «termine essenziale nell'interesse di una delle parti»: ora, un termine essenziale per necessità obbiettiva non potrebbe mai essere considerato nell'interesse di una sola parte, bensì dovrebbe funzionare a difesa di entrambi i contraenti [questo è detto dallo stesso Vivante, fautore della teoria opposta a quella qui sostenuta]. Sotto questo aspetto deve dirsi che il termine essenziale ex art. 1457 ha una funzione ben diversa da quella che ha il tempo (inteso come
durata) nei contratti a prestazione continuata o periodica, dove appunto il tempo è essenziale per entrambe le parti e non per una soltanto;

c) infine, pare che l’art. 1457, riconoscendo al creditore insoddisfatto la possibilità di chiedere ugualmente l'adempimento tardivo, nonostante la scadenza del termine essenziale, escluda che
nell'articolo in parola sia da ricomprendere il caso di termine essenziale improprio, cioè di termine la cui scadenza conduce alla impossibilità della prestazione successiva alla scadenza.

La dottrina tedesca, nel caso di termine essenziale, improprio, non applica affatto il § 361 B.G.B., bensì applica le regole ordinarie sulla impossibilità della prestazione.


In caso di dubbio, l'essenzialità del termine è da escludere, dato il carattere eccezionale di essa

In pratica non sarà sempre agevole, di fronte ai casi concreti, riconoscere la presenza, o meno, di un termine essenziale (la questione, comunque si sostanzia in un problema di interpretazione della volontà dei contraenti): peraltro, una cosa pare certa ed è che, in caso di dubbio, l'essenzialità del termine è da escludere data la funzione eccezionale di detto termine il quale viene a togliere la possibilità al debitore di adempiere sino al momento della domanda giudiziale di risoluzione (1453), o sino al momento in cui il creditore dichiara al debitore di avvalersi della clausola risolutiva espressa ex art. 1456.


Disciplina giuridica dell'istituto

Trattandosi di obbligazione a termine essenziale nell'interesse del creditore, questi rimane giudice dell'opportunità di un adempimento tardivo e quindi dell’opportunità di mantenere ulteriormente in vita il rapporto giuridico. Di conseguenza, il creditore conserva il suo diritto anche dopo la scadenza del termine essenziale purché dichiari al debitore la sua volontà di ottenere l’adempimento tardivo.

Il legislatore ha però stabilito che tale dichiarazione dev'essere fatta entro i tre giorni successivi alla scadenza del termine, sotto pena di decadenza: questo perché si rende qui necessaria la tutela dell'altro contraente in quanto:

a) non essendo dato a quest' ultimo la possibilità di purgare la mora, è giusto che esso debba conoscere sollecitamente se è tenuto ancora all'adempimento della sua obbligazione o se invece deve subire la risoluzione;

b) siccome i rapporti a termine essenziale hanno normalmente per oggetto beni di valore assai variabile, non deve consentirsi al creditore di speculare, senza limiti di tempo, su tale variazione di valori, a danno del debitore.

In mancanza della suddetta dichiarazione del creditore (entro i tre giorni successivi alla scadenza), il capoverso dell'art. 1457 stabilisce che «il contratto si intende risoluto di diritto, anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione».

A questo punto occorre non lasciarsi ingannare dalle parole del legislatore le quali possono costituire un tranello per l’interprete. Non è vero, infatti che, nel caso di inadempimento di un'obbligazione a termine essenziale, le vie che può seguire il creditore contro l'inadempimento siano soltanto due e cioè: chiedere l'adempimento tardivo, oppure valersi della risoluzione del contratto.

E’ da dirsi invece che rimane pur sempre al creditore una terza via: quella indicata nell'articolo 1218, cioè di chiedere il risarcimento dei danni; più precisamente, chiedere l'equivalente in denaro della prestazione, oltre l'ammontare dei danni (perpetuatio obligationis).

Ad esempio : io ho permutato della merce con altra merce, e il contraente Tizio dovrà consegnarmi la merce a me dovuta entro un dato termine, da noi stabilito come essenziale.

Se Tizio non mi consegna la merce pattuita entro quel termine, io posso:
a) chiedere l'adempimento tardivo ex art. 1457; oppure
b) far valere la risoluzione del contratto e quindi riprendermi la merce da me data (più il risarcimento dei danni) (1457); o infine
c) se non intendo riprendermi la merce data, pretendere, al posto della merce che doveva essermi consegnata, l'equivalente in denaro più i danni (1218): l'esattezza di questo ragionamento, basato sui principi generali in materia di obbligazione, può trovare una precisa conferma nell'art. 1553, il quale appunto dispone che «il permutante, se ha sofferto l'evizione e non intende riavere la cosa data, ha diritto al valore della cosa evitta, secondo le norme stabilite per la vendita, e salvo in ogni caso il risarcimento del danno».

Pertanto, il capoverso dell'art. 1457 dev'essere così interpretato; in mancanza della dichiarazione del creditore di volere l'adempimento dell'obbligazione, nonostante la scadenza del termine essenziale, oppure l'equivalente in denaro della prestazione non eseguita, oltre ai danni (1218), il contratto s'intende risoluto di diritto, anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione.

SOstiene invece l'Auletta che, nel caso di termine essenziale, «a favore del creditore insoddisfatto sorge un potere formativo, in base al quale il contratto potrà essere risoluto sulla sua dichiarazione di volontà». Per l'Auletta cioè si renderebbe necessario, per la risoluzione ex art. 1457, «un negozio unilaterale (dichiarazione di risoluzione notificata alla controparte)».

Pare che ciò non sia esatto, e le ragioni sono due:

1) anzitutto, dove è detto che nel caso di termine essenziale, la risoluzione per inadempimento richiede una dichiarazione espressa, notificata al debitore? Basta mettere a confronto il capoverso del precedente art. 1456 e il capoverso dell'art. 1457 per convincersi che, mentre tale dichiarazione
è necessaria nel caso di clausola risolutiva espressa, non è richiesta affatto nel caso di termine essenziale, per la risoluzione del contratto (la dichiarazione è richiesta solo per l'adempimento tardivo). Ciò risulta anche testualmente espresso nella Relazione del Guardasigilli al Progetto ministeriale delle Obbligazioni, n. 235.

2) Se fosse esatta la costruzione dell'Auletta, siccome non risulterebbe stabilito alcun termine di decadenza per tale dichiarazione di risoluzione (i tre giorni sono richiesti per la domanda di adempimento tardivo) si arriverebbe a questo risultato: che al creditore sarebbe data la possibilità di speculare senza limiti di tempo, sulla variazione dei prezzi di mercato, a danno del debitore, dato che la risoluzione, dovendo avvenire solo in seguito a domanda del creditore, non potrebbe operare che al momento della notificazione di essa al debitore. Il quale risultato invece il legislatore ha voluto sicuramente evitare con il capv. dell'art. 1457, come è detto testualmente anche nella relazione al Re sul libro delle Obbligazioni, n. 129.

Se si vuole che lo scopo prefissosi dal legislatore con l’art. 1457 non venga eluso, non è possibile dare al capv. di detto articolo un'interpretazione diversa da quella precedentemente esposta.

E’ da ricordare che, anche nel caso di termine essenziale ex art. 1457, l'inadempimento del debitore dev'essere a questi imputabile. La contraria affermazione del Rubino secondo cui «la mancata esecuzione dell'obbligazione determina, dopo tre giorni dell'inutile scadenza del termine essenziale la risoluzione del contratto anche se non vi è colpa del debitore» non sembra da accogliere.

Già la stessa figura giuridica di «inadempimento» postula l'elemento della imputabilità al debitore. Ma è soprattutto da ricordare che, nell'ipotesi di inadempimento non imputabile al debitore, hanno da trovare applicazione altre e speciali disposizioni del nostro ordinamento: così a) se si tratta di inadempimento assoluto non imputabile al debitore, questi non incorre in alcuna responsabilità ed è senz'altro liberato dalla sua obbligazione (1256 e 1463); b) se si tratta di ritardo non imputabile al debitore (impossibilità temporanea di adempiere), si applicherà il secondo comma dell'art. 1256 e il 1463.

In entrambi i casi, come si vede, si è fuori del campo di applicazione dell'art. 1467.

Ultimo presupposto per l’applicabilità dell'art. 1467 è che il creditore non sia a sua volta inadempiente: ne viene, tra l'altro, che, trattandosi di debito chiedibile, sarà necessario che il creditore si sia presentato, alla scadenza del termine, a richiedere (inutilmente) la prestazione.


Costruzione giuridica

La risoluzione del contratto a termine essenziale va costruita così: con la scadenza del termine essenziale, il creditore insoddisfatto acquista, ex lege, un potere privato di risoluzione, potere che potrà esercitarsi anche semplicemente mediante il silenzio protratto per tre giorni consecutivi alla scadenza del termine essenziale, silenzio che qui appunto la legge interpreta espressamente come volontà di valersi di quel potere di risoluzione, e quindi anche, come volontà, di rinunziare al diritto di esigere l’adempimento tardivo della prestazione o di pretendere l'equivalente della prestazione non eseguita ex articolo 1218.

Il silenzio della parte interessata rappresenta pertanto il fatto costitutivo della risoluzione, ossia il modo di esercizio del potere di ottenere la realizzazione di quel particolare rimedio per l'inadempimento che è la risoluzione del contratto.

La risoluzione del contratto con termine essenziale — appunto perché si tratta qui di Fixgeschaft vero e proprio, cioè di termine essenziale ex voluntate — è da ricollegarsi direttamente alla volontà del creditore insoddisfatto: infatti anche qui (come già, nel caso di clausola risolutiva espressa), si deve dire che, nonostante l'inadempimento, la risoluzione avviene solo se così vuole il creditore.

Si aggiunga che nulla impedirebbe che tale volontà, del creditore si manifestasse espressamente con una dichiarazione unilaterale di risoluzione diretta all’inadempiente: in questo caso la risoluzione si ricollegherebbe immediatamente a tale dichiarazione, ancorché non fossero trascorsi i tre giorni di cui all' art. 1457.

L'inadempimento del debitore, quindi, è anche qui da considerarsi unicamente come presupposto di tatto della risoluzione.


Funzione e struttura della dichiarazione del creditore, insoddisfatto, di volere l'adempimento tardivo

Poche parole, sulla dichiarazione, da parte del creditore insoddisfatto, di volere l'adempimento tardivo, oppure l'equivalente della prestazione.

Funzionalmente, tale dichiarazione non ha affatto il carattere di una proroga del termine già scaduto e quindi di eliminare la preesistente situazione di mora del debitore con il conseguente obbligo di risarcimento dei danni, bensì è una dichiarazione esplicita di non valersi della risoluzione e di preferire le normali sanzioni stabilite per l'inadempimento.

In altre parole, con detta dichiarazione si dà bensì al debitore la possibilità di purgare la mora, ma indubbiamente hanno da rimanere ferme le conseguenze del ritardo prodottosi sino al momento in cui, con la tardiva esecuzione dell'obbligazione, la mora venga effettivamente purgata.

Si tratta poi, dal punto di vista strutturale, di una dichiarazione unilaterale di contenuto precettivo, rilevante per il destinatario come criterio di condotta (eterocomando).

E’ certo che si tratta inoltre di una dichiarazione c.d. recettizia: l'esplicita dizione dell'art. 1457 «deve darne notizia all'altra parte» elimina ogni eventuale dubbio in proposito.

Quand'è che dovrà ritenersi aver raggiunta tale dichiarazione l'effetto ad essa collegato dal diritto?

A proposito del corrispondente art. 69 del Codice di Commercio abrogato, non pochi autori ritenevano essere sufficiente che, entro il termine stabilito dalla legge, venisse inviato l'avviso, ritenevano cioè che qui fosse applicabile il c.d. principio della emissione della dichiarazione (principio che si applica in non pochi casi: 317 codice di commercio abrogato; 52 R.D. 14 dicembre 1933, n. 1669).

A favore del principio dell'emissione nel nostro caso potrebbe deporre il fatto della brevità del termine (di tre giorni) per cui si potrebbe dire essere sufficiente da parte del creditore una sollecita emissione della dichiarazione, e soprattutto potrebbe valere un'argomentazione di carattere teleologico di non lieve peso e cioè che lo scopo prefissosi dal legislatore con l'imporre l'onere della dichiarazione da parte del creditore insoddisfatto è pienamente raggiunto con la semplice emissione della dichiarazione, essendo un tale scopo quello di «non consentire al creditore di speculare sulle possibilità alternative di conseguire la prestazione o il risarcimento» (Relazione al Re sul «Libro delle Obbligazioni», n. 129).

Ma a queste argomentazioni si può vittoriosamente contrapporre tanto la funzione quanto la struttura della dichiarazione del creditore insoddisfatto ex art. 1457: funzionalmente questa dichiarazione mira ad avvertire il debitore che il creditore, nonostante la scadenza del termine essenziale, intende avere la prestazione pattuita o l'equivalente in denaro, onde, dal lato strutturale ci troviamo di fronte ad una, dichiarazione diretta ad un preciso risultato concreto cioè a provocare nel debitore un determinato comportamento: qui si ha l'affermazione di un volere che, nei rapporti tra le parti assume una portata ordinativa in vista del comportamento futuro ed imprime alla dichiarazione una funzione costitutiva rispetto a tale comportamento. Si è quindi in presenza di una dichiarazione alla quale si attaglia perfettamente il fondamento che è proprio di tutto il sistema della cognizione, quale è stato accolto in linea generale dal nostro legislatore (sia pure attenuato con la disposizione dell'art. 1335).

Pare quindi che non si possa disconoscere il principio per cui il debitore, trascorsi i tre giorni dalla scadenza del termine essenziale senza che a lui sia giunta alcuna dichiarazione da parte del venditore insoddisfatto, debba poter contare sul fatto che l'adempimento tardivo non gli sarà più richiesto.

Quindi, pur non disconoscendo la serietà delle argomentazioni che si potrebbero addurre a favore del sistema dell'emissione, si ritiene che alla dichiarazione del creditore insoddisfatto ex articolo 1457 debba essere applicato il disposto degli art. 1334 e 1335.

Comunicata all'altra parte la dichiarazione di volere l'esecuzione tardiva, il termine di adempimento, che era stato fissato nel contratto, cessa di essere essenziale. Se poi tale dichiarazione fosse accompagnata dalla fissazione di un nuovo termine, questo — dato che il termine essenziale ex art. 1457 è il Fixgeschaft vero e proprio, cioè il termine ex voluntate contrahentium - non potrà affatto avere il carattere di termine essenziale, mancando in proposito la volontà concorde delle parti: peraltro, sembra che una tale dichiarazione possa valere come diffida ad adempiere ex art. 1454 (qualora essa abbia con sè tutti gli elementi richiesti), con le conseguenze di cui all'ultimo comma di detto articolo.

Infine, scelta la via dell'esecuzione tardiva, il creditore non potrà più valersi del potere di provocare la risoluzione ex art. 1467 ancorché il debitore continuasse ad essere inadempiente: in tal caso, se egli intendesse ottenere la risoluzione, non potrebbe che fare ricorso alle regole comuni degli articoli 1453 e 1454.


Meccanismo con cui opera la risoluzione

Anche qui la risoluzione opera con lo stesso meccanismo che si è visto a proposito della risoluzione giudiziale. Per quanto riguarda la trascrizione, si v. retro sub 1456.


Differenze tra la risoluzione per clausola espressa e risoluzione per scadenza del termine essenziale

Le differenze tra risoluzione per clausola espressa (1456) e risoluzione per scadenza del termine essenziale sono le seguenti:

a) la risoluzione, nel caso di clausola espressa, opera al momento della dichiarazione fatta all'inadempiente dal creditore deluso ex art. 1456, la risoluzione nel caso di termine essenziale è da riportarsi al momento della scadenza dei tre giorni successivi a detto termine: ma, a differenza di quanto avviene nel primo caso, nella risoluzione per termine essenziale, appunto per la speciale natura e portata di detto termine, non è possibile riconoscere al debitore inadempiente il diritto di adempiere tardivamente (cioè entro i tre giorni successivi alla scadenza del termine essenziale): il debitore inadempiente, in questo caso, deve adempiere tardivamente se così vuole il creditore, ma non può adempiere tardivamente se così non vuole il creditore;

b) vi è infine da ricordare la diversità di forma dell'atto di esercizio del potere di risoluzione nell'ipotesi di termine essenziale, un modo di esercizio di tale potere è il semplice silenzio del creditore protratto per tre giorni consecutivi a partire dalla scadenza del termine essenziale.


Le regole contenute nell'articolo 1457 non hanno carattere cogente

Le regole contenute nell'art. 1467 non hanno carattere cogente: le parti possono pertanto modificarle (prolungando, ad esempio, o riducendo il termine di tre giorni previsto nell'articolo stesso), come pure hanno da valere eventuali deroghe portate ad esse dagli usi (1457).

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

236 Nemmeno nel caso di termine essenziale può ammettersi una risoluzione ex re.
Se il termine è nell'interesse del creditore, egli rimane giudice dell'opportunità di adempimenti tardivi e quindi dell'opportunità di mantenere ulteriormente in vita il contratto: esattamente, quindi, nel codice di commercio (art. 69) si prevede che la parte può ugualmente esigere l'adempimento tardivo della prestazione anche dopo il termine essenziale (stipulato nel suo interesse), e che, in tal caso, deve notificare all'altra parte la sua volontà di ottenere l'adempimento nonostante la scadenza del termine. Questa sistema, fino ad oggi proprio della materia commerciale, sembra opportuno estenderlo anche alla materia dei contratti civili (art. 258); ho ritenuto, però, di aumentare a 10 giorni il termine di 24 ore stabilito dal codice di commercio che sembra molto breve, in modo che, dovendosi l'art. 258 applicarsi anche ai rapporti commerciali, pure per essi il termine dell'art. 69 cod. comm. rimane sostituito. In mancanza di questa notifica il contratto si deve intendere risoluto senz'altro, per quanto la risoluzione a causa della scadenza del termine non sia stata espressamente prevista dalle parti.
Così, mentre nel patto commissorio espresso il creditore deve dichiarare la sua volontà conforme ove voglia avvalersi della risoluzione, nel caso di termine considerato essenziale nel suo interesse, deve notificare all'altra parte la sua volontà di ottenere l'esecuzione tardiva. La diversità della manifestazione che si pretende in ciascun caso dal creditore si spiega perché la clausola risolutiva espressa non è una condizione, ma un potere della parte adempiente che deve essere da questa esercitato: il termine essenziale opera, invece, naturalmente, e vi è la sola possibilità che la parte consideri tuttavia eseguibile il contralto, donde è necessaria solo la dichiarazione di rinuncia all'effetto del termine.

Massime relative all'art. 1457 Codice Civile

Cass. civ. n. 5987/2023

Nel contratto estimatorio, la fissazione di un termine per la facoltà di restituzione delle cose mobili consegnate non è un elemento essenziale del contratto; tuttavia, ove tale termine venga stabilito dalle parti, esso ha natura di termine essenziale per l'esercizio della detta facoltà e va fissato dal giudice in mancanza di determinazione convenzionale o di usi.

Cass. civ. n. 19031/2022

Nei contratti per i quali è richiesta la forma scritta "ad substantiam", la volontà comune delle parti deve rivestire tale forma soltanto nella parte riguardante gli elementi essenziali (consenso, "res", "pretium"), con la conseguenza che, in caso di preliminare di vendita che preveda un termine per la stipula del definitivo, la modifica di tale elemento accidentale e la rinuncia della parte ad avvalersene non richiede la forma scritta. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva omesso di valutare la rinuncia alla condizione unilaterale risultante dalla dichiarazione rilasciata a verbale dal ricorrente personalmente, da apprezzarsi in uno alla citazione).

Cass. civ. n. 36918/2021

La pronuncia di risoluzione del contratto può avere natura costitutiva o meramente dichiarativa, in conseguenza della causa di scioglimento del rapporto prospettata ed accolta; in particolare, l'azione di risoluzione del contratto per inadempimento ex art. 1453 c.c., è volta ad ottenere una pronuncia costitutiva diretta a sciogliere il vincolo contrattuale, previo accertamento da parte del giudice della gravità dell'inadempimento, e differisce perciò sostanzialmente dall'azione di risoluzione di cui agli artt. 1454, 1456 e 1457 c.c., poiché in tali ipotesi l'azione intende conseguire una pronuncia dichiarativa dell'avvenuta risoluzione di diritto del contratto, a seguito del verificarsi di un fatto obiettivo previsto dalle parti come determinante lo scioglimento del rapporto.

Cass. civ. n. 10353/2020

L'accertamento dell'essenzialità del termine per l'adempimento, ex art. 1457 c.c., costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito - la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità, se sorretta da una motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici - da condurre, oltre che alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti (quale, ad esempio, "entro e non oltre"), tenendo soprattutto conto della natura e dell'oggetto del contratto.

Cass. civ. n. 32238/2019

L'essenzialità del termine per l'adempimento, ex art. 1457 c.c., non può essere desunta solo dall'uso dell'espressione "entro e non oltre", riferita al tempo di esecuzione della prestazione, ma implica un accertamento da cui emerga inequivocabilmente, alla stregua dell'oggetto del negozio o di specifiche indicazioni delle parti, che queste abbiano inteso considerare perduta, decorso quel lasso di tempo, l'utilità prefissatasi; in ogni caso, la previsione di un termine essenziale per l'adempimento del contratto, essendo posta nell'interesse di uno o di entrambi i contraenti, non preclude alla parte interessata di rinunciare, seppur tacitamente, ad avvalersene, anche dopo la scadenza del termine, in particolare accettando un adempimento tardivo.

Cass. civ. n. 14426/2016

L'accertamento in ordine alla essenzialità del termine per l'adempimento, ex art. 1457 c.c., è riservato al giudice di merito e va condotto alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell'oggetto del contratto, di modo che risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l'utilità economica del contratto con l'inutile decorso del termine medesimo, che non può essere desunta solo dall'uso dell'espressione "entro e non oltre", riferita al tempo di esecuzione della prestazione, se non emerga, dall'oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti, che queste hanno inteso considerare perduta, decorso quel lasso di tempo, l'utilità prefissatasi. (Nella specie, la S.C. ha escluso la possibilità di considerare essenziale, in mancanza di ulteriori elementi che ne attestassero l'improrogabilità, la data di consegna di un plico, convenuta in un contratto di trasporto con la dicitura "entro il", negando al mittente il risarcimento dei danni correlati alla perdita di contributi comunitari, quale conseguenza della mancata esecuzione della prestazione nel rispetto del termine pattuito).

Cass. civ. n. 16880/2013

La previsione di un termine essenziale per l'adempimento del contratto, essendo posta nell'interesse di uno o di entrambi i contraenti, non preclude alla parte interessata di rinunciare, seppur tacitamente, ad avvalersene, anche dopo la scadenza del termine, così rinunciando altresì alla dichiarazione di risoluzione contrattuale.

Cass. civ. n. 16096/2003

In tema di risoluzione contrattuale ed in ipotesi di contratto preliminare, anche quando l'accordo negoziale preveda un termine specifico per l'adempimento, esso non è da intendersi di carattere essenziale ogni qualvolta il ritardo, anche di alcuni mesi, non faccia venire meno l'interesse alla conclusione dell'affare.

Cass. civ. n. 8881/2000

In presenza di un termine essenziale la risoluzione di diritto del contratto prescinde ad una indagine sulla rilevanza dell'inadempimento (essendo stata tale importanza valutata anticipatamente dai contraenti) postulando solo la sussistenza e l'imputabilità dell'inadempimento stesso.

Cass. civ. n. 1045/1998

Il termine per la stipulazione del contratto definitivo non è di per sé essenziale, ma lo diviene solo per volontà dei contraenti o per la natura e l'oggetto del contratto, quando l'utilità economica avuta presente dalle parti possa essere perduta per effetto dell'inutile decorso di quel termine.

Cass. civ. n. 8233/1997

Il termine per l'inadempimento indicato nel contratto deve ritenersi essenziale quando la sua improrogabilità risulti dalle espressioni adoperate dai contraenti anche senza l'uso di formule sacramentali ovvero dalla natura e dall'oggetto del contratto, la cui utilità economica avuta presente dai contraenti sarebbe perduta per effetto dell'inutile decorso del termine pattuito.

Cass. civ. n. 10751/1996

(...) ne consegue che, ove le parti abbiano fatto uso di espressioni specifiche e inequivoche, non è necessario un accertamento ulteriore teso ad escludere (anche sulla base di altri elementi) un interesse all'adempimento oltre il termine previsto. (Nella specie l'essenzialità del termine era stata espressamente convenuta dalle parti che avevano altresì esplicitamente previsto la risoluzione del contratto in caso di inosservanza del termine).

Cass. civ. n. 2347/1995

Il termine per l'adempimento può essere ritenuto essenziale ai sensi e per gli effetti dell'art. 1457 c.c., solo quando, all'esito di indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell'oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l'utilità economica del contratto con l'inutile decorso del termine medesimo. Tale volontà non può desumersi solo dall'uso dell'espressione «entro e non oltre» quando non risulti dall'oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti che queste hanno inteso considerare perduta l'utilità prefissasi nel caso di conclusione del negozio stesso oltre la data considerata (nella specie i giudici di merito avevano ritenuto non essenziale il termine che le parti, adoperando l'espressione «entro e non oltre», avevano fissato per formalizzare in atto pubblico una scrittura privata di compravendita immobiliare, ed avevano rigettato la domanda di risoluzione proposta dal venditore, osservando che il termine era stato fissato nel preminente interesse del venditore medesimo e che gli ostacoli da lui frapposti alla stipula del rogito notarile, in occasione del quale gli sarebbe stato corrisposto il residuo prezzo della compravendita, dimostravano la mancanza di un suo pressante interesse a conseguire il pagamento nel termine previsto. La S.C. ritenendo congruamente motivata e quindi incensurabile tale decisione ha ribadito il principio di cui alla massima).

Cass. civ. n. 1674/1995

Nei contratti a prestazioni corrispettive, lo stabilire se il termine convenuto per l'esecuzione delle prestazioni di una delle parti sia fissato nell'interesse esclusivo della stessa, della controparte o di entrambe, è accertamento che non può essere svolto sulla base del solo dato formale ed estrinseco dell'essere stato il termine previsto per la prestazione di quella determinata parte, ma che deve necessariamente estendersi alla funzione che i contraenti, avuto riguardo alla natura ed oggetto di detta prestazione, nonché al suo rapporto di sinallagmaticità con la controprestazione, abbiano in concreto voluto assegnare al termine medesimo, nel quadro dell'attuato regolamento negoziale dei reciproci interessi. Nell'espletamento di questa indagine, non può giovare alla configurazione del termine di adempimento convenuto per la prestazione di una parte come di un termine stabilito nell'interesse ed a favore esclusivo dell'altra, salvo che con valenza puramente indiziaria, la circostanza che — come nella specie — a carico della sola parte debitrice di quella prestazione sia stato previsto, per l'ipotesi di ritardo nell'adempimento, il pagamento di una «penale».

Cass. civ. n. 8195/1993

L'essenzialità del termine apposto ad un contratto preliminare di compravendita per la stipulazione del contratto definitivo ed il pagamento del saldo del prezzo comporta, in caso di colposa inosservanza del detto termine, la risoluzione di diritto del preliminare, a norma dell'art. 1457 c.c., prescindendo dall'indagine sull'importanza dell'inadempimento, salvo rinuncia anche implicita da parte del creditore, dopo la scadenza del termine, all'essenzialità dello stesso.

Cass. civ. n. 1020/1992

Il requisito della colpa, nell'ipotesi di mancata osservanza del termine essenziale, non opera come elemento costitutivo della fattispecie risolutiva del contratto, ma solo come elemento eventualmente impeditivo, nel senso che nell'ipotesi di adempimento che richiede la cooperazione di entrambi i contraenti, sorge a carico di chi si oppone alla risoluzione del contratto, nonostante la scadenza del termine, l'onere di dimostrare che soltanto per effetto del comportamento della controparte, contrario a buona fede, l'adempimento non fu possibile.

Cass. civ. n. 1742/1986

Nell'ipotesi di inosservanza del termine essenziale, costituisce impedimento alla risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1457 c.c., il comportamento contrario a buona fede della controparte quando per l'adempimento si richieda la cooperazione di entrambi i contraenti.

Cass. civ. n. 4451/1985

Il termine contrattuale di adempimento, ove non debba considerarsi essenziale, obiettivamente, per la particolare natura della prestazione, può ritenersi tale esclusivamente in relazione alla comune volontà manifestata dalle parti, sia pure con formule non sacramentali, al momento della conclusione del contratto, la quale può essere ricostruita anche attraverso il loro comportamento posteriore, da valutare però complessivamente, e non in riferimento alla sola parte che sostenga l'essenzialità del termine entro cui la prestazione le era dovuta, senza tener conto del comportamento dell'altra parte, e sempre che l'inutile decorso di esso comporti la perdita, almeno per uno dei contraenti, dell'utilità economica del contratto.

Cass. civ. n. 3823/1983

Il termine per adempiere, la cui scadenza non sia con rigore determinata o che abbia carattere puramente indicativo, non riveste gli estremi dell'essenzialità, in senso tecnico, tale cioè da implicare, se non osservato, la risoluzione ipso iure del contratto ai sensi dell'art. 1457 c.c. e sebbene sia configurabile, pure in difetto di una qualificazione espressa in contratto, una essenzialità tacita in presenza di elementi i quali facciano ritenere che senza la stretta osservanza del termine le parti non sarebbero addivenute alla conclusione del contratto stesso, essa deve tuttavia essere insita nel contratto, non potendosi a tali effetti valorizzare ex post comportamenti di una delle parti. Tale essenzialità può anche risultare, oltre che dalla volontà espressa dalle parti, anche dalla natura del contratto, quando l'utilità economica tenuta presente nella stipulazione del contratto possa andare perduta con l'inutile decorso del termine, ma l'indagine su tali requisiti si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito insindacabile in sede di legittimità se congruamente e giuridicamente motivata.

Cass. civ. n. 3542/1977

Il mancato adempimento entro un termine essenziale non dà luogo a risoluzione del contratto, se l'inadempimento non sia imputabile all'obbligato almeno a titolo di colpa, ma corrisponda alla mancata prestazione dell'altra parte, divenuta temporaneamente impossibile. In tal caso, infatti, l'obbligato può invocare l'exceptio inadimpleti contractus, restando per la temporanea impossibilità sospeso il termine essenziale.

Cass. civ. n. 4098/1976

In tema di indagine sull'essenzialità o meno del termine per adempiere, qualora detta essenzialità risulti prevista dalla volontà delle parti, rimane irrilevante ogni accertamento sull'oggettivo interesse del creditore all'adempimento in quel termine.

Cass. civ. n. 566/1975

La relatività e la variabilità insite nel tempo occorrente allo svolgimento di un'attività, specie quando questa sia complessa (come nel caso del tempo occorrente per provvedere all'estinzione delle passività gravanti su un immobile) sono inconciliabili con la natura del termine essenziale, il quale postula necessariamente che la scadenza sia esattamente individuata o individuabile, e non che sia determinata o determinabile in modo soltanto approssimativo.

Cass. civ. n. 1436/1972

Qualora sia stato fissato un termine essenziale per l'esecuzione di un contratto, l'inosservanza del termine produce la risoluzione di diritto del contratto a norma dell'art. 1457 c.c., senza che sia necessaria la preventiva intimazione della diffida ad adempiere.

Cass. civ. n. 934/1972

Come si desume dall'art. 1457 c.c., la parte nel cui interesse è stato fissato un termine essenziale ha sempre la facoltà di esigere la esecuzione della prestazione nonostante la scadenza del termine; tale facoltà non è perciò incompatibile con l'essenzialità del termine.

Cass. civ. n. 3194/1971

In materia negoziale l'effetto più rilevante del carattere essenziale di un termine è quello di non rendere possibile l'esecuzione tardiva (art. 1457 c.c.); nel caso di inosservanza di termine non essenziale l'inadempiente potrà evitare la condanna al risarcimento solo fornendo la prova che il ritardo è stato dovuto a causa a lui non imputabile (art. 1218 c.c.).

Cass. civ. n. 1637/1971

Pur in presenza dell'inutile decorso di un termine essenziale, è sempre necessaria la domanda di parte affinché possa pronunciarsi la risoluzione di un contratto. Invero l'espressione «di diritto» usata in proposito dalla norma dell'art. 1457, secondo comma c.c., significa soltanto che la pronunzia giudiziale relativa ha carattere meramente dichiarativo della risoluzione stessa e che, quindi, i suoi effetti rimontano al tempo, in cui si è verificato l'evento, e non già che a tale pronuncia il giudice possa provvedere d'ufficio.

Cass. civ. n. 1502/1971

Anche nei contratti con prestazioni corrispettive il carattere essenziale del termine è considerato sempre in relazione alle singole prestazioni, nel senso che il termine è essenziale nell'interesse di ciascuna delle due parti con riferimento alla prestazione che deve essere adempiuta dalla controparte.

Cass. civ. n. 3645/200

In tema di contratto preliminare di compravendita, il termine stabilito per la stipulazione del contratto definitivo non costituisce normalmente un termine essenziale, il cui mancato rispetto legittima la dichiarazione di scioglimento del contratto. Tale termine può ritenersi essenziale, ai sensi dell'art. 1457 c.c., solo quando, all'esito di indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell'oggetto del contratto (e, quindi, insindacabile in sede di legittimità se logicamente ed adeguatamente motivata in relazione a siffatti criteri), risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di considerare ormai perduta l'utilità economica del contratto con l'inutile decorso del termine.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1457 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Vito M. chiede
mercoledì 18/03/2020 - Sicilia
“Egregi Avvocati, sono comproprietario di una porzione immobiliare messa in vendita tramite un preliminare, non registrato, con la formula, entro e non oltre il 31/12/2019, previa regolarizzazione urbanistica e concessione del mutuo ipotecario. Il preliminare di vendita è stato stipulato presso una agenzia immobiliare.
Alcune difficoltà nel sanare l 'immobile hanno fatto perdere del tempo e alla scadenza di detto contratto, la parte acquirente non ha firmato la richiesta di estensione preferendo attendere il completamento dell' iter sanatorio. Ora l'immobile è perfettamente commerciabile .Il preliminare di vendita ha ancora valore legale e siamo vincolati ad esso? La parte acquirente è legata ancora al preliminare. Posso recedere dal contratto senza danni? Saluti.
Vito M.”
Consulenza legale i 26/03/2020
L’art. 2932 del c.c. prevede, come rimedio specifico in caso di inadempimento del preliminare, la possibilità di ottenere una sentenza che produca gli stessi effetti del contratto definitivo non concluso.
Se, invece, la parte non inadempiente preferisce liberarsi dal vincolo contrattuale, si ritiene pacificamente che sia applicabile anche al contratto preliminare la risoluzione per inadempimento, prevista in via generale dagli artt. 1453 ss. del c.c.
In questo caso, tuttavia, occorrerà anche verificare il requisito della gravità dell’inadempimento, che deve essere “di non scarsa importanza”, avuto riguardo all’interesse dell’altra parte. Dagli elementi forniti non è possibile, allo stato, valutare se, nel nostro caso, il comportamento del promissario acquirente costituisca o meno inadempimento tale da legittimare la risoluzione del contratto (ad esempio, non è chiaro se il promissario acquirente abbia eventualmente rifiutato di stipulare il rogito, e non viene detto quando si sarebbe perfezionato l’iter di sanatoria dell’immobile, visto che sembra esserci stato un ritardo anche sotto questo profilo).
Va precisato, infatti, che la pura e semplice scadenza del termine stabilito nel contratto preliminare per la stipula del definitivo non comporta, di per sé, lo scioglimento automatico del vincolo contrattuale, vale a dire la cosiddetta risoluzione di diritto del contratto.
La risoluzione di diritto del contratto si verifica in alcuni specifici casi previsti dalla legge, tra i quali quello della scadenza del termine essenziale, previsto dall’art. 1457 del c.c.
Tale norma prevede che, se il termine fissato per la prestazione di una delle parti deve considerarsi essenziale nell'interesse dell'altra, questa, salvo patto o uso contrario, se vuole esigerne l'esecuzione nonostante la scadenza del termine, deve darne notizia all'altra parte entro tre giorni; in mancanza, il contratto si intende risoluto di diritto anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione.
La giurisprudenza ha chiarito che, “in tema di contratto preliminare di compravendita, il termine stabilito per la stipulazione del contratto definitivo non costituisce normalmente un termine essenziale, il cui mancato rispetto legittima la dichiarazione di scioglimento del contratto. Tale termine può ritenersi essenziale, ai sensi dell'art. 1457 c.c., solo quando, all'esito di indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell'oggetto del contratto (e, quindi, insindacabile in sede di legittimità se logicamente ed adeguatamente motivata in relazione a siffatti criteri), risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di considerare ormai perduta l'utilità economica del contratto con l'inutile decorso del termine” (Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 3645/2007).
Più in generale è stato precisato che il carattere essenziale del termine non può desumersi dall’impiego di espressioni quali “entro e non oltre” (si veda, ad esempio, Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 21838/2010: “il termine per l'adempimento può essere ritenuto essenziale ai sensi e per gli effetti dell'art. 1457 c.c., solo quando, all'esito di indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell'oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l'utilità economica del contratto con l'inutile decorso del termine medesimo. Tale volontà non può desumersi solo dall'uso dell'espressione "entro e non oltre" quando non risulti dall'oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti che queste hanno inteso considerare perduta l'utilità prefissasi nel caso di conclusione del negozio stesso oltre la data considerata”).
Per esprimere una valutazione più completa occorrerebbe esaminare il testo completo del contratto preliminare, e non la sola scrittura integrativa prodotta. Ad ogni modo, allo stato non sembra che nel caso oggetto del quesito sia stato previsto un termine essenziale.
Rimane comunque salva la possibilità di una risoluzione consensuale (per mutuo consenso, ex art. 1372 del c.c.) del contratto.
Invece, qualora manchi l’accordo delle parti in ordine allo scioglimento del vincolo contrattuale, sarà necessario rivolgersi al giudice.
Diversa è l’ipotesi del recesso, ovvero dello scioglimento unilaterale del vincolo contrattuale. Nel nostro caso non è dato verificare se nel preliminare sia prevista, ad esempio, una caparra confirmatoria ex art. 1385 del c.c., oppure una caparra penitenziale ex art. 1386 del c.c.: le norme appena citate contemplano infatti, sia pure con presupposti ed effetti diversi, la possibilità di recesso unilaterale dal contratto.

F. M. chiede
lunedì 25/06/2018 - Campania
“(Sono un ingegnere 73enne costretto a studiare giurisprudenza per tutti i guai che mi stanno capitando; successivamente alla risposta verserò una ulteriore importo per completare la mia richiesta che ho sezionato in due parti)

Premessa:
Il 28.11.2003 sottoscrissi il preliminare di vendita di un terreno di mia proprietà con società s.r.l. che si occupava di edilizia, con la quale avevo anche rapporti di lavoro essendo io ingegnere.
Tra l’altro il preliminare (NON REGISTRATO) prevedeva:
Art. 5 - Il presente contratto è sospensivamente condizionato all’ottenimento del Permesso di Costruire di un complesso sportivo ....
Art. 6 - Il promittente venditore autorizza la parte acquirente a presentare quanto necessario per l’ottenimento di tutti i permessi …
Art. 7 - Le parti concordano che la validità del presente compromesso è di mesi 48 tempo reputato necessario per l’ottenimento delle autorizzazioni. Qualora le condizioni sospensive non dovessero essere verificate entro il termine del 31.12.2007, il presente contratto s’intenderà risolto.
Art. 8 - Il prezzo della compravendita è fissato pari a € xx/mq per un totale di € xxxxxxx. Il suddetto importo è corrisposto con le seguenti modalità e termini: € 100.000 a titolo di caparra alla sottoscrizione del presente contratto e la restante somma alla stipula dell’atto notarile.
Art. 9 - Nel caso intervenga la risoluzione del contratto per il mancato rilascio del Permesso di Costruire, le somme versate dalla promittente acquirente a titolo di caparra (€ 100.000) saranno ritenute e incamerate dalla parte promittente venditrice quale corrispettivo di attività professionale maturate (Ingegnere) di consulenza svolte a favore della società s.r.l. promittente acquirente.
Tanto premesso GLI ACCADIMENTI :
- Il permesso di costruire non fu rilasciato entro il termine stabilito del 31.12.2007
-Incamerai la caparra di € 100.000
-In seguito dopo circa 5 anni, la società s.r.l. fu dichiarata fallita nel gennaio del 2012
-Il Curatore fallimentare il 17.06.2014, mi ha citato invocando l’art. 72 L.F. chiedendo la restituzione della caparra incassata da me nel gennaio 2004.

DOMANDE :
1) Atteso che l’art. 72 si applica a contratti ancora in essere o non compiutamente eseguiti, considerato che il preliminare si era risolto il 31.12.2007 e con la conseguente trattenuta della caparra ai sensi dell’art. 9, COSA SI INTENDE PER CONTRATTO ANCORA IN ESSERE? E IN PARTICOLARE IL MIO PRELIMINARE E’ DA CONSIDERARE ANCORA INESEGUITO ? A me pare che il preliminare fosse “morto e sepolto” e interamente compiuto, diversamente se fosse giusta la richiesta della curatela, anche se il fallimento fosse avvenuto dopo altri dieci anni, quel preliminare sarebbe stato attaccabile rispetto alla restituzione della caparra. O pur essendo totalmente eseguito lo si considera “ineseguito” solo perché non registrato e quindi non opponibile alla curatela?
E’ pur vero che il Preliminare non essendo registrato non è opponibile alla Curatela, ma è anche vero che la data certa (art. 2704 c.c.) è certificata dagli assegni versati in occasione della sottoscrizione del preliminare e BEN CITATI, ELENCATI ED ALLEGATI DALLA CURATELA ALLA CITAZIONE (dunque data certa ben individuata).
E’ condivisibile che il preliminare pur essendo contratto compiutamente eseguito lo si deve considerare ineseguito e ancora in essere, in quanto non trascritto e conseguentemente non opponibile alla curatela?

2) La citazione e la richiesta di restituzione della caparra da parte della curatela risulta essere successiva ai dieci anni dal versamento della caparra, si può invocare l’avvenuta prescrizione ai sensi dell’art. 2946 c.c. ?
O i dieci anni si considerano iniziati il 31.12.2007, termine previsto di validità del preliminare ?


A questo proposito va considerato che :
Per i contratti con condizione sospensiva la Cassazione individua, oltre ad una condicio facti, anche una condicio iuris , il cui mancato definitivo avveramento, RENDE IRRIMEDIABILMENTE INEFFICACE IL CONTRATTO INDIPENDENTEMENTE DALLA VOLONTA’ DELLE PARTI. Nella specie, le parti avevano subordinato l’efficacia del contratto preliminare di vendita di un bene immobile al rilascio, mai avvenuto, della concessione edilizia entro un dato termine.
Le conseguenze dell’avveramento della condizione sono disciplinate all’art. 1360, chiaro nello statuirne la retroattività ex tunc al momento della conclusione del contratto (anche se con delle eccezioni).
L’EFFETTO DELL’AVVERAMENTO O MENO DELLA CONDIZIONE E’ AUTOMATICO E NON NECESSITA DI ULTERIORI AZIONI OD ATTIVITA’ AD OPERA DELLE PARTI.
Sono anche ravvisabili casi in cui l’avveramento o non della condizione conferisce ad una delle parti o ad entrambe una potestas decidendi in ordine all’efficacia del contratto: in tal caso, l’efficacia del negozio non viene definitivamente inibita o riaffermata dal semplice verificarsi della condizione dedotta ma, bensì, dall’esercizio del potere ad opera del soggetto cui è conferito.
E’ comunque da sottolineare come sia ormai ammessa la possibilità, per la parte nel cui favore sia prevista la condizione, di rinunziare agli effetti dell’avveramento DANDONE PRONTA COMUNICAZIONE ALLA CONTROPARTE: tale ricostruzione non contraddice il carattere AUTOMATICO DELL’EFFETTO RETROATTIVO ex art. 1360 c.c. ma è, all’opposto, diretta ad assicurare alle parti un maggiore spazio di autonomia contrattuale; ovviamente, essendo l’effetto normale quello dell’ automatica retroattività, la parte nel cui interesse è prevista la condizione e che sia interessata a rinunziare agli effetti della stessa sarà onerata dell’obbligo di comunicare, ENTRO UN RAGIONEVOLE LASSO DI TEMPO, la propria volontà alla controparte E NON CINQUE ANNI DOPO).
Da ciò (retroattività) parrebbe ovvio che la prescrizione prescinde dalla data di validità del preliminare (il 31.12.2007) e inizia invece dalla data di sottoscrizione del preliminare avvenuto il 28.11.2003 e al versamento della caparra.”
Consulenza legale i 16/07/2018
La soluzione di questo caso si ritiene che debba tutta improntarsi sulla esatta qualificazione del contratto sospensivamente condizionato, del termine ad esso apposto, nonché sugli effetti della sua risoluzione.
Solo riuscendo ad inquadrare bene la natura e gli effetti che il contratto preliminare ha avuto tra le parti, sarà possibile paralizzare il tentativo del curatore fallimentare di far rientrare quel contratto nel campo di applicazione dell’art. art. 72 della l. fall..

Intanto deve osservarsi che nella fattispecie in esame non viene tanto e solo in rilievo il verificarsi o meno dell’evento dedotto in condizione, quanto piuttosto l’apposizione di un termine entro cui l’evento oggetto di condizione avrebbe dovuto realizzarsi.
Pertanto, alquanto interessante sarà stabilire se tale termine possa ritenersi “essenziale” ovvero “semplice”, risultando la differenza di notevole rilievo.
Infatti, con la locuzione “termine essenziale” si fa riferimento al termine la cui scadenza provoca la risoluzione di diritto del contratto con efficacia automatica, come previsto dall’art. 1457 c.c.; l’effetto che tale termine produce è uguale a quello della clausola risolutiva espressa prevista dall’art. 1456 del c.c. , nel senso che la risoluzione si produce automaticamente all’avverarsi della condizione (il superamento invano del termine dedotto), prevedendosi solo la volontà contraria per escludere la risoluzione di diritto del contratto.
Nel caso, invece, di “termine semplice” o non essenziale, qualora l’indicazione temporale del preliminare non venisse rispettata da una delle parti, questa sarà inadempiente e in mora, ma il contratto resterà comunque ancora vincolante e spiegherà la sua efficacia obbligatoria tra i contraenti.

Il problema che a questo punto occorre risolvere è quello di riuscire a convincere il giudice che quel termine non poteva che considerarsi essenziale, con la conseguenza che, non avendo la parte promittente compratrice adempiuto entro la data convenuta all’obbligazione assunta di conseguire le necessarie autorizzazioni, il contratto preliminare non può che ritenersi risolto ipso iure, anche se il contraente adempiente non abbia intimato una diffida ad adempiere.

Ora, sulla precisa qualificazione da dare ad un termine la giurisprudenza si è espressa in diverse occasioni, affermando che, per poterlo qualificare come essenziale, non è sufficiente adoperare la mera locuzione “entro e non oltre”, occorrendo piuttosto tener conto delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto.
Solo da tali ultimi elementi sarà possibile dedurre l’inequivoca volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo.
Nel nostro caso, per convincere il giudice, innanzi al quale si è stati citati dal curatore fallimentare, che il termine del 31.12.2007 aveva natura di “termine essenziale”, sarà opportuno rilevare che il mancato rispetto di esso avrebbe indubbiamente leso gli interessi della parte promittente venditrice, producendo gravi pregiudizi a carico della stessa.
Infatti, da un lato si sarebbero perse ulteriori e proficue occasioni di vendita di quel terreno (il cui prezzo non può considerarsi di poco pregio) e dall’altro il promittente venditore non avrebbe potuto conseguire il diritto di essere ricompensato del lavoro che come ingegnere aveva fino ad allora prestato in favore della società promittente compratrice.

Si rende adesso necessario analizzare quest’ultimo aspetto.
Affermare, come sembra si voglia fare, che il contratto preliminare debba ritenersi sospensivamente condizionato, significa che esso non potrà produrre alcun effetto fin quando la condizione in esso dedotta non venga a verificarsi.
Conseguenza ne è che, in ipotesi di mancato avveramento della condizione, anche il versamento della caparra di euro 100.000 resterebbe privo di causa, perché dipendente da un contratto che non ha mai avuto efficacia né potrà più averne.
Ciò basterebbe per legittimare ugualmente il curatore a richiedere la restituzione di quella somma perché indebitamente corrisposta ed uscita dal patrimonio del fallito, e ciò dalla data del 31.12.2007, data in cui il promittente venditore ha definitivamente conseguito il diritto a trattenere nel proprio patrimonio la caparra.

Alquanto utile, invece, potrà risultare il portare avanti la tesi che la medesima somma è stata trattenuta non a titolo di caparra, bensì quale corrispettivo del lavoro di professionista svolto fino alla data del 31.12.2007 in favore della società poi fallita, corrispettivo che, nell’ipotesi in cui il preliminare avrebbe prodotto i suoi effetti e portato alla conclusione del definitivo, sarebbe stato conglobato nel prezzo complessivo di vendita.
Qualora si riesca a convincere il giudice della natura e finalità di retribuzione di quella somma, la restituzione di essa potrà richiedersi solo quale presunta somma indebitamente corrisposta; a quel punto, però, entrerà in gioco la prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito, il cui termine comincia a decorrere dalla data del pagamento stesso, avvenuta, come sembra di capire, in data 28.11.2003 e documentata dagli assegni a tal fine versati.

In tal senso può richiamarsi la sentenza del Tribunale di Taranto, Sezione II Civile, n. 160 del 20.01.2015, nella quale si argomenta dalla lettera dell’ art. 2935 del c.c.; per quanto concerne il termine, in assenza di specifica previsione, troverà applicazione il termine ordinario di 10 anni previsto dall’art. 2946 del c.c..

Alla luce, dunque, di tutto quanto sopra dedotto, può concludersi dicendo che:
  • il termine del 31.12.2007 fissato nel contratto preliminare deve ritenersi come “termine essenziale” per la stipula del contratto definitivo, in quanto posto nell’interesse del promittente venditore di non perdere ulteriori occasioni di vendita di quel terreno e di essere comunque retribuito per il lavoro fino a quella data prestato in favore della società promittente compratrice;
  • l’inutile decorso di quel termine ha prodotto la risoluzione di diritto del contratto preliminare ex art. 1456 del c.c. e art. 1457 del c.c., non avendo comunque la parte promittente acquirente dato notizia entro 3 giorni alla parte promittente venditrice di voler esigere l’esecuzione del contratto nonostante la scadenza del termine;
  • essendosi il contratto risolto di diritto, non potrà lo stesso farsi rientrare nella fattispecie di cui all’art. 72 Legge fallimentare, norma che si riferisce chiaramente ai rapporti pendenti derivanti da contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti (la risoluzione di diritto ha cancellato dal mondo giuridico il preliminare); in tal senso si ritiene estremamente utile segnalare la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione prima civile, n. 5298 del 04.03.2013, nella quale la S.C. sostiene proprio l’inapplicabilità dell’articolo summenzionato all’ipotesi di risoluzione automatica del contratto preliminare per inosservanza di termine contrattuale in epoca anteriore al fallimento, legittimando il promittente venditore a proporre l'eccezione tesa all'accertamento, "incidenter tantum", della già avvenuta risoluzione;
  • la restituzione della somma versata a titolo di retribuzione professionale avrebbe potuto chiedersi quale somma indebitamente corrisposta, ma ciò oramai non potrà che essere impedito dal decorso del termine ordinario decennale di prescrizione che, in virtù della sentenza sopra citata, deve farsi decorrere dalla data del pagamento, ossia dal 28.11.2003 (con scadenza al 28.11.2013, mentre la citazione è del 17.06.2014).

A tutela di tale pagamento, invece, può ulteriormente invocarsi il comma 3 lettere a) ed f) dell’art. 67 della l. fall., norma in cui viene espressamente disposto che non sono soggetti all’azione revocatoria i pagamenti di servizi effettuati nell’attività di impresa nei termini d’uso e, ancor più specificamente, “i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito”.

Nessun rilievo si ritiene che possa avere il fatto che il preliminare non sia stato trascritto, in quanto la norma sulla trascrizione di tale atto è stata introdotta al fine di tutelare chi intende acquistare da impresa che potrebbe essere dichiarata fallita, facendo appunto salvi gli effetti del preliminare e purché ricorrano le condizioni previste dalla lettera c) dello stesso art. 67 della l. fall..

Sara C. chiede
sabato 28/10/2017 - Sicilia
“Buongiorno scrivo per avere un consiglio su come procedere.

In data 24.07.2017 perviene alla mia attenzione tramite agenzia immobiliare una proposta d'acquisto irrevocabile condizionata al mutuo attinente al mio immobile sito in ....... Sicilia.

L'efficacia della proposta è quindi subordinata all'accettazione del mutuo entro il 13.10.2017.

Il giorno 2.08.2017 firmo la proposta d'acquisto specificando cosa avrei lasciato all'interno dell'immobile (tra cui un condizionatore anziché tre come presenti il giorno della loro visita e come da accordi precedentemente presi con i proponenti) ed impegnandomi a produrre abitabilità (fatta successivamente) ed APE già in mio possesso.
Nella stessa proposta d'acquisto viene specificato che la sottoscrizione del rogito avverrà davanti al Notaio di fiducia del proponente entro il 31.10.2017.

Mi vengono versati euro 5000 a titolo di caparra confirmatoria.

Inizi settembre il perito della banca effettua perizia ed esprime parere positivo all'immobile, viene successivamente accettato il mutuo.

Viene depositata regolare abitabilità del mio immobile (sebbene non ne fossi obbligata in quanto è un immobile ante '67 ma mi fu richiesta esplicitamente dalla banca del proponente per il buon esito del mutuo).

Si stabilisce la data del rogito al 25.10.2017 a Novara e contestualmente viene concessa una nuova visita all'immobile da parte di una loro persona di fiducia a Siracusa per visionare se tutto è come da lista accordata e firmata dalle parti.

Ella (la loro persona di fiducia) provvede ad informare innanzi all'agenzia ed ad una mia persona di mia conoscenza, che tutto è come da lista allegata alla proposta.

Lo stesso giorno, al momento dell'atto mi viene detto dal notaio, avvisato dai proponenti, che la mia APE non corrispondeva al vero in quanto i condizionatori all'origine erano tre ed ora in casa ve ne era solo uno (cosa già a conoscenza dei potenziali acquirenti dal lontano 2.08 e da loro sottoscritto ai tempi) e sospende il rogito.

Il giorno 26.10 riesco a produrre tempestivamente una nuova APE che fotografa esattamente lo stato attuale del mio immobile.
Richiedo quindi contestualmente di fare il rogito il 31.10.2017 o in data consona per la banca e tutti gli attori comunicando piena disponibilità.

I potenziali acquirenti richiedono di revisionare l'immobile in data 28.10.2017 volendo riprodurre video e foto all'interno del mio immobile.
Io acconsento alla visita dando piena disponibilità ma senza la possibilità di fare video e/o foto all'interno dello stesso (scrivo tale disponibilità via mail all'agenzia ed allegando il notaio designato).
Rifiutano (tramite agenzia) quindi di venire a visionare l'immobile.

L'agenzia mi consiglia di scrivere delle date di disponibilità al rogito oltre quella del 31.10 per non dare l'dea di avere fretta. Tale mail viene inviata sempre per presa conoscenza anche al notaio che, viene prontamente, nello stesso giorno informata della data perentoria della proposta d'acquisto al 31.10.2017.

Ad oggi attendo la conferma della data designata per effettuare tale rogito ma sembra non siano disponibili a procedere.

Mi sembra chiara la loro volontà di non procedere all'acquisto e la mia domanda è: dopo il 31.10.2017 potranno ritirarsi dalla vendita adducendo la scadenza del termine iscritta da proposta d'acquisto? Quante probabilità ho di poter attuare con esito positivo per la mia richiesta, una diffida ad adempiere? Di quale strumento di tutela posso avvalermi, in quali termini e tempi? Vi è giurisprudenza e sentenze precedenti a riguardo?

Grazie infinite per il Vs. supporto.


Ps. Specifico che i due acquirenti sono due fratelli ed uno di essi lavora nel campo elettrico e quindi quasi certamente era al corrente della necessità di dover produrre una nuova APE se avessi lasciato un condizionatore in quanto il consumo di energia era differente, ma ha avvisato il notaio solo ed esclusivamente dopo la visita, poco prima del rogito, sebbene sapesse di tale fatto già prima. Io purtroppo non sapevo di tale condizione, altrimenti avrei provveduto tempestivamente all'emissione di una nuova APE aggiornata. Infine, per tale "sorpresa", ho un notevole dispendio monetario per via anche degli acquisti dei biglietti aerei a cui non posso esimermi di effettuare per presenziare ai "rogiti".”
Consulenza legale i 04/11/2017
Sarebbe di primaria importanza indagare se il termine del 31 ottobre indicato nella proposta d’acquisto per siglare la compravendita, possa ritenersi essenziale per una delle parti in causa oppure no.

L’art. 1457 c.c. prevede che quando il termine fissato per la prestazione deve considerarsi essenziale, trascorso inutilmente detto termine, il contratto si risolve di diritto e si scioglie ogni vincolo che dal contratto traeva origine.
La risoluzione si produce se, entro tre giorni, la parte adempiente e nel cui interesse era stato apposto il termine non comunica all’altra che intende esigerne l’esecuzione nonostante la scadenza.

Il termine si definisce essenziale quando è sì rilevante per le parti, che l’inutile decorso rende non altrettanto conveniente il contratto.
Si parla di essenzialità oggettiva quando è determinata dalla natura del contratto (ad esempio l’acquisto e consegna di un libro prima di un esame). Il termine, invece, s’intende soggettivamente essenziale quando sono state le parti a qualificarlo come tale, nonostante non vi sia una oggettiva essenzialità riscontrabile.

Sul tema la Cassazione ha più volte avuto modo di chiarire meglio come debba svolgersi l’indagine circa l’essenzialità del termine apposto al contratto, specificando che “L’accertamento in ordine alla essenzialità del termine per l'adempimento, ex art. 1457 c.c., è riservato al giudice di merito e va condotto alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell'oggetto del contratto, di modo che risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l'utilità economica del contratto con l'inutile decorso del termine medesimo, che non può essere desunta solo dall'uso dell'espressione "entro e non oltre", riferita al tempo di esecuzione della prestazione, se non emerga, dall'oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti, che queste hanno inteso considerare perduta, decorso quel lasso di tempo, l'utilità prefissatasi” (Cass. n. 14426/2016).

Dunque qualora il termine dovesse essere ritenuto essenziale, il contratto si sarebbe già risolto con la conseguenza che le sarà possibile valutare altre offerte d’acquisto, senza necessità di ulteriori azioni.

Qualora tale termine non debba essere ritenuto essenziale, invece, il proponente potrebbe ancora adempiere e richiedere la compravendita; per questo si ritiene necessario inviar loro formale diffida ad adempiere affinché chiariscano la loro posizione .

La diffida ad adempiere rappresenta un mezzo di autotutela per la parte adempiente che mira a provocare la risoluzione del contratto nel caso in cui l’altra parte fosse inadempiente: consiste in un’intimazione per iscritto -da inviare con un mezzo che ne attesti la ricezione del destinatario (racc. a/r o pec)- di adempiere entro un congruo termine (di almeno 15 giorni) con l’avvertimento che decorso inutilmente questo termine, il contratto è da intendersi risolto (art. 1454 c.c.).

Trascorso inutilmente tale ulteriore termine concesso con la diffida, potrà sicuramente trattenere la caparra, ma non potrà esigere che l’altra parte le versi il doppio della caparra oppure chiedere il risarcimento dei danni.
L’art. 1385 c.c. prevede che “Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra”.
Dunque chi ha ricevuto la caparra non può esigerne il doppio in base alla norma su indicata, salvo che la proposta d’acquisto non preveda in maniera specifica tale ipotesi, ma solo chi ha offerto la caparra può farlo.

Bisogna poi chiarire che l’istituto della caparra ha anche funzione sanzionatoria, predeterminando il risarcimento che una parte potrà chiedere all’altra; la caparra, in altre parole, è una liquidazione anticipata e convenzionale del danno volta ad evitare proprio l’instaurazione di un giudizio per la quantificazione del medesimo.
Dunque non è possibile cumulativamente trattenere la caparra e chiedere il risarcimento dei danni, in quanto si assisterebbe ad una doppia liquidazione (Cass. S.U 553/2009), potrà invece, se lo riterrà più conveniente, rinunciare alla caparra per chiedere il risarcimento (3° co art 1385 c.c.).
In conclusione le consigliamo di procedere in ogni caso con formale diffida ad adempiere e di trattenere la caparra, visto che probabilmente sarebbe maggiore del danno liquidabile, ma di attendere la scadenza di questo termine per accettare altre proposte.