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Articolo 37 Testo unico edilizia

(D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380)

[Aggiornato al 10/10/2024]

Interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività

Dispositivo dell'art. 37 Testo unico edilizia

1. La realizzazione di interventi edilizi di cui all'articolo 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività comporta la sanzione pecuniaria pari al triplo dell'aumento del valore venale dell'immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi e comunque in misura non inferiore a l.032 euro(1).

2. Quando le opere realizzate in assenza di segnalazione certificata di inizio attività consistono in interventi di restauro e di risanamento conservativo, di cui alla lettera c) dell'articolo 3, eseguiti su immobili comunque vincolati in base a leggi statali e regionali, nonché dalle altre norme urbanistiche vigenti, l'autorità competente a vigilare sull'osservanza del vincolo, salva l'applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti, può ordinare la restituzione in pristino a cura e spese del responsabile ed irroga una sanzione pecuniaria da 516 a 10329 euro.

3. Qualora gli interventi di cui al comma 2 sono eseguiti su immobili, anche non vincolati, compresi nelle zone indicate nella lettera A dell'articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, il dirigente o il responsabile dell'ufficio richiede al Ministero per i beni e le attività culturali apposito parere vincolante circa la restituzione in pristino o la irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al comma 1. Se il parere non viene reso entro sessanta giorni dalla richiesta, il dirigente o il responsabile dell'ufficio provvede autonomamente. In tali casi non trova applicazione la sanzione pecuniaria da 516 a 10329 euro di cui al comma 2.

4. [[COMMA ABROGATO DAL D.L. 29 MAGGIO 2024, N. 69]](1).

5. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 23, comma 6, la segnalazione certificata di inizio attività spontaneamente effettuata quando l'intervento è in corso di esecuzione, comporta il pagamento, a titolo di sanzione, della somma di 516 euro .

6. La mancata segnalazione certificata di inizio attività non comporta l'applicazione delle sanzioni previste dall'articolo 44. Resta comunque salva, ove ne ricorrano i presupposti in relazione all'intervento realizzato, l'applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 31, 33, 34, 35 e 44 e dell'accertamento di conformità di cui all'articolo 36 bis(1).

Note

(1) L'art. 1, comma 1, lettera i) del D.L. 29 maggio 2024, n. 69, convertito con modificazioni dalla L. 24 luglio 2024, n. 105, ha modificato la rubrica, i commi 1 e 6 e disposto l'abrogazione del comma 4 del presente articolo.

Spiegazione dell'art. 37 Testo unico edilizia

L’ambito di applicazione dell’articolo in commento è costituito dagli interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla SCIA che interessano il patrimonio edilizio esistente, con esclusione sia delle nuove costruzioni, sia delle ristrutturazioni pesanti soggette al rilascio del permesso di costruire e della SCIA alternativa al permesso.

Coerentemente con quanto stabilito dal precedente articolo 36, la norma concede al proprietario e al responsabile dell’abuso la possibilità di sanare gli abusi formali, cioè gli interventi che siano sostanzialmente conformi sia alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione delle opere, sia a quello della presentazione della domanda.

Nonostante il silenzio del testo legislativo in merito alla qualificazione dell’eventuale inerzia della P.A. sull’istanza di SCIA in sanatoria, la giurisprudenza ritiene, alla luce di un’interpretazione sistematica e di una lettura coordinata con l’articolo 36, che l’eventuale silenzio serbato dall’Amministrazione sull’istanza ex articolo 37 configuri un’ipotesi di silenzio rigetto, in relazione al quale è ammesso il ricorso davanti al G.A..
A differenza di quanto accade per l’accertamento di conformità, invece, non è previsto alcun termine finale per la presentazione della domanda.

L’esito positivo della sanatoria consente una legittimazione postuma dell’opera, ma comporta comunque l’imposizione della sanzione pecuniaria stabilita dal quarto comma dell’articolo in commento, che è finalizzata a punire l’antigiuridicità della condotta costituita dall’esecuzione dell’attività edilizia in assenza (o in difformità) del titolo.

Per quanto riguarda, invece, gli abusi di natura sostanziale, ossia gli interventi riconducibili in astratto alle categorie assoggettabili a SCIA ai sensi dell’articolo 22 del Testo Unico, ma che abbiano comportato in concreto la realizzazione di un’opera difforme dalla disciplina urbanistico-edilizia, si applicherà la sanzione pecuniaria di cui al primo comma della norma in commento.
Il quinto comma, inoltre, prende in considerazione l’ipotesi di una SCIA tardiva presentata dopo l’inizio dei lavori, ma mentre questi sono ancora in corso, con l’applicazione premiale della sanzione pecuniaria in misura fissa pari al minimo edittale di cui al primo comma.
Viene esclusa, in ogni caso, l’irrogazione delle sanzioni di natura penale previste dall’articolo 44 del Testo Unico.

Infine, la norma in commento introduce, al fine di assicurare una tutela più ampia a beni che presentino un particolare interesse pubblico, un regime differenziato per gli immobili vincolati, stabilendo la possibilità di disporre la demolizione delle opere abusivamente realizzate, sia in maniera alternativa, sia in via cumulativa alla sanzione pecuniaria (la decisione spetta all’Autorità preposta alla tutela del vincolo).

In relazione ai fabbricati non vincolati, ma comunque compresi nei conglomerati urbani di carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale, invece, la titolarità del potere sanzionatorio ritorna in capo all’Amministrazione comunale, che può ordinare -in alternativa al pagamento della sanzione pecuniaria- la demolizione delle opere; in tal caso, tuttavia, la potestà sanzionatoria non è piena, posto che il Comune è, comunque, tenuto ad acquisire il parere vincolante del Ministero per i beni e le attività culturali.

Massime relative all'art. 37 Testo unico edilizia

Cass. pen. n. 28048/2009

Ai sensi dell'art. 22, co. 1, T.U. edilizia, la elevazione di un marciapiede avente carattere pertinenziale non è soggetta a permesso di costruire ma soltanto a D.I.A. Ne consegue che la sua abusiva realizzazione non può essere sanzionata con ingiunzione di demolizione ex art. 31 del medesimo testo unico, ma soltanto con la sanzione pecuniaria di cui al successivo art. 37, comma 1. T.a.r. sez. I Calabria Reggio Calabria, 11 febbraio 2009, n. 80. La sanatoria prevista dall'art. 37 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 può essere richiesta unicamente per gli interventi edilizi, realizzati in assenza o in difformità della denuncia di inizio attività (D.I.A.), previsti dall'art. 22, commi primo e secondo, del D.P.R. citato e non è estensibile anche agli interventi edilizi, di cui al comma terzo della richiamata disposizione, per i quali la D.I.A. si pone quale titolo abilitativo alternativo al permesso di costruire (c.d. SuperDIA), applicandosi in tale ultima ipotesi la sanatoria mediante procedura di accertamento di conformità di cui all'art. 36 del medesimo D.P.R.

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Consulenze legali
relative all'articolo 37 Testo unico edilizia

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

D. M. chiede
martedì 30/07/2024
“Buongiorno, vorrei una vostra consulenza tecnica riguardo ad una sanatoria effettuata per una ristrutturazione edilizia nel 2012.
Nello specifico, nel 2012 ho acquistato un vecchia casa, a seguito con una semplice comunicazione, ho informato l'ufficio tecnico comunale che avrei eseguito dei lavori di piccola entità, livellamento pavimenti, rifacimento intonaci, sistemazione tegole tetto.
Durante l'esecuzione dei lavori, ho constatato che il solaio era realizzato in legno e idem la scala che portava al primo piano e quindi ho ritenuto opportuno di realizzare un solaio in latero cemento con travi IPE e la scala in C.A.

Per qualche strano motivo, nel 2019 a distanza di 7 anni, a seguito di un controllo, il tecnico comunale a verificato ha constatato che i lavori eseguiti non corrispondevano a quelli comunicati e di conseguenza mi ha ordinato la demolizione.
Mi sono adoperato e con l'aiuto di un ingegnere abbiamo trasmesso una SCIA in sanatoria corredata di parere sismico positivo da parte della Regione Calabria ho pagato la sanzione minima di 516 euro ed il comune non si è mai espresso in merito.

Il 23/07/2024, a distanza di più di 5 anni, l'ufficio tecnico comunale mi ha notificato una sanzione di € 2 000,00 per non aver ottemperato all'ordinanza di demolizione.

Ora considerate le svariate sentenze che dicono tutto ed il contrario di tutto, gradirei una vostra consulenza in merito

Saluti”
Consulenza legale i 06/08/2024
La risposta al suo quesito attiene al significato del silenzio serbato dal Comune a fronte della SCIA in sanatoria da lei presentato.
Come da lei sottolineato, il valore di detto silenzio non è chiaro tant’è che la giurisprudenza ha elaborato diverse tesi.
Secondo un primo filone giurisprudenziale il silenzio sull'istanza di sanatoria di cui agli artt. 36 e 37, comma 4, D.P.R. n. 380 del 2001 sarebbe da qualificarsi come silenzio rigetto.
Pertanto, anche qualora la procedura dell’accertamento di conformità sia esperita in relazione a un intervento edilizio oggetto di SCIA, opererebbe il meccanismo del silenzio-rigetto previsto dall'art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001 (T.A.R. Milano, Sez. I, 21.3.2017, n.676; TAR Campania, Sez. III, 18.5.2020, n.1824; T.A.R. Campania, Sez. II, 10.6.2019, n.3146), con il relativo onere di impugnazione, da parte del privato interessato, qualora, a fronte del decorso del termine, non vi sia una pronuncia espressa della P.A. procedente, onde evitare il consolidamento della posizione lesiva a proprio sfavore.
Un altro orientamento è nel senso di ritenere che il silenzio della Pubblica Amministrazione debba qualificarsi come assenso (T.A.R. Campania, Salerno, sentenza n. 809/2022).
L’orientamento prevalente qualifica l’inerzia della Pubblica Amministrazione sulla SCIA in sanatoria come silenzio inadempimento vale a dire come una mancata risposta (si veda, ex multis, TAR Lazio n. 3851/2020; Consiglio di Stato n. 1708/2023 quest’ultimo proprio su un procedimento di SCIA in sanatoria trattato da un Comune calabrese).
Come chiarito nelle pronunce citate, l'art. 37 non prevede esplicitamente un'ipotesi di silenzio significativo, a differenza dell'art. 36 del medesimo DPR n. 380/2001, ma al contrario stabilisce che il procedimento si chiuda con un provvedimento espresso, con applicazione e relativa quantificazione della sanzione pecuniaria a cura del responsabile del procedimento.
Dalla lettura della norma emerge che la definizione della procedura di sanatoria non può prescindere dall'intervento del responsabile del procedimento competente a determinare, in caso di esito favorevole, il quantum della somma dovuta sulla base della valutazione dell'aumento di valore dell'immobile compiuta dall'Agenzia del Territorio.
Al tempo stesso la soluzione appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell’amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della SCIA, come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio.
Ne deriva che il Comune deve pronunciarsi, con un provvedimento espresso, sulla SCIA in sanatoria, previa verifica dei relativi presupposti di natura urbanistico-edilizia di cui al citato art. 37 DPR n. 380/2001.
Conclusivamente, quindi, si può affermare che nel suo caso, non avendo il Comune adottato alcun provvedimento espresso né essendo stata da lei era presentata un’impugnazione volta ad accertare il silenzio inadempimento, il procedimento di sanatoria non si è concluso positivamente cosicché le opere continuano a considerarsi abusivamente realizzate.


Cliente chiede
martedì 05/12/2023
“Salve, il 28 settembre 23, inoltravo presso il comune di Brindisi un'istanza SCIA in sanatoria per sanare alcune difformità interne ed esterne alla unità immobiliare; come consuetudine vuole entro trenta giorni inoltravo regolare istanza SCA agibilità.
Premesso che per un riordino dei servizi all'ufficio urbanistica del comune da settembre '23 le pratiche di sanatorie sono assegnate ed istruite da altro tecnico e premesso che fino ad ora le sanzioni che precedentemente venivano applicate ad una procedura del tipo in oggetto erano di € 516 per le difformità interne ed € 516 per quelle esterne tot € 1032.
Il fatto e che nei primi di novembre vengo contattato telefonicamente dal tecnico istruttore che mi invita ad integrare con altre € 484,00 la sanzione giustificandole dapprima con una decisione dirigenziale nel dicembre 2022 e poi motivandole la fattispecie che nella cila in sanatoria la sanzione applicata sarebbe di € 1.000,00.
Non essendo d'accordo invito il tecnico a comunicare per pec quanto richiesto giustificando il fatto che i precedenti tecnici hanno sempre applicato una sanzione totale di € 1032,00 non solo al sottoscritto ma anche ad altri colleghi e per tanti anni, che non sono informato di alcun parere dirigenziale e che la cila è un altro titolo edilizio a cui non bisogna far riferimento.
Vi chiedo se la missiva del comune allegata è legittima o carente in quali punti e come comportarsi se pagare o non pagare o rispondere al comune, grazie”
Consulenza legale i 29/12/2023
Dalla lettura dei documenti inviati e della normativa rilevante, si segnala che il problema relativo all’integrazione della sanzione amministrativa dovuta potrebbe derivare da un erronea qualificazione del titolo presentato per la sanatoria.
Infatti, nel modulo SCIA allegato l’intervento viene qualificato come segue “sanatoria dell’intervento realizzato in data | |__| | | |__| | | conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione, sia al momento della presentazione della segnalazione (d.P.R. n. 380/2001, articolo 37, comma 4. Punto 41 della Sezione II – EDILIZIA – della Tabella A del d.lgs. 222/2016)”.
La fattispecie che parrebbe venire in rilievo è quella prevista dall’art. 37, comma 4 del T.U. Edilizia che stabilisce “4. Ove l'intervento realizzato risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell'intervento, sia al momento della presentazione della domanda, il responsabile dell'abuso o il proprietario dell'immobile possono ottenere la sanatoria dell'intervento versando la somma, non superiore a 5164 euro e non inferiore a 516 euro, stabilita dal responsabile del procedimento in relazione all'aumento di valore dell'immobile valutato dall'agenzia del territorio”. Si tratta della SCIA in sanatoria postuma – ossia presentata dopo la conclusione dei lavori – e che richiede la c.d. doppia conformità edilizia, laddove il comma 5 dell’art. 37, richiamato nella missiva del Comune disciplina la diversa ipotesi in cui i lavori siano ancora in corso di esecuzione – ossia la prevedendo “Fermo restando quanto previsto dall'articolo 23, comma 6, la segnalazione certificata di inizio attivita' spontaneamente effettuata quando l'intervento è in corso di esecuzione, comporta il pagamento, a titolo di sanzione, della somma di 516 euro”.

Come si può notare la cornice entro cui deve essere individuata l’ammontare della sanzione dovuta è diversa in quanto nel prima caso non è fissa ma commisurata tra 516 euro e 5164 euro e verrà stabilita dal responsabile del procedimento in relazione all’aumento di valore dell’immobile valutato dall’agenzia del territorio.

Pertanto, occorrerà innanzitutto chiarire quale sia la tipologia di sanatoria presentata e, nel caso in cui si tratti della SCIA in sanatoria postuma, si potrebbe far valutare da un tecnico se la sanzione richiesta sia conforme all’aumento di valore dell’immobile.


Stefano T. chiede
venerdì 15/03/2019 - Lazio
“Spett.le Brocardi,premetto che ho utilizzato più' volte il vostro servizio di consulenza e che lo ritengo un servizio ottimo.Questa volta qualora sia possibile,chiedo una consulenza legale in merito al Testo Unico per l'edilizia DPR 380/2001 art.37 e anche alla legge regionale del Lazio sull'abusivismo edilizio numero 15 del 2008 art.19.Premetto che dal dicembre 2015 sono entrato in possesso di un terreno edificabile tramite atto notarile di adempimento agli accordi di separazione consensuale.Nel gennaio 2016 ho commissionato ad un architetto l'incarico di effettuare un progettazione relativa ad un fabbricato ad uso commerciale.PREMETTO CHE SU QUESTO TERRENO QUANDO ANCORA DI PROPRIETÀ' DELLA MIA EX MOGLIE,NEGLI ANNO 2010 E 2011,SONO STATI ESEGUITI DEI LAVORI DI URBANIZZAZIONE E RECINZIONE DI NOTEVOLE IMPORTANZA CON RELATIVO MARCIAPIEDE FRONTEGGIANTE STRADA COMUNALE A SEGUITO DI REDAZIONE DA PARTE DI TECNICO ABILITATO DI UN TITOLO EDILIZIO S.C.I.A. CON COLLAUDO FINALE A GENNAIO 2012.Il tecnico da me incaricato nel 2016 mi precisava che per poter procedere nella redazione del progetto da me commissionato,avrebbe dovuto visionare gli elaborati della S.C.I.A. presentata negli anni precedenti perché avrebbe dovuto dichiarare nel nuovo permesso di costruire la conformita' delle opere realizzate all'ultimo titolo edilizio.Da questo si e ' venuto a conoscenza di due notevoli difformità' consistenti nello sconfinamento con il marciapiede sulla proprietà' comunale per una larghezza di un massimo di 60 cm per una lunghezza di circa 55 metri e essendo presente un basamento di sostegno insegna luminosa in calcestruzzo ci si e' accorti che la sagoma in altezza risulta essere difforme per circa 40 cm.Da ciò' il tecnico mi diceva di non poter procedere nella redazione del nuovo permesso di costruire affinché non vi sia una sanatoria edilizia o accertamento di conformità' dettati sia dal DPR 380/2001 e dalla legge regione Lazio 15 del 2008 art.22 che vada a sanare gli abusi di cui sopra.Chiaramente come ben saprete una sanatoria prevede la doppia conformita' urbanistico edilizia sia al momento della realizzazione che al momento della proposizione della domanda di sanatoria.E' ovvio che allo stato attuale per queste difformità' di cui sopra non si raggiunge il requisito della doppia conformità' e quindi non fattibile proporre la domanda di sanatoria.Tra l'altro l'invasione di suolo pubblico e' disciplinato dall'art 35 del DPR 380 del 2001 e dall'art 21 della legge regione Lazio della legge 15/2008, che dicono che e' l'ente proprietario che dovrebbe intimare la demolizione dell'abuso tramite ordinanza.In questo caso questo sembrerebbe non possibile perché non e' il comune che contesta il fatto ma sono io che venuto a conoscenza di detto sconfinamento mi voglio RAVVEDERE e gia' vi chiedo se esiste in edilizia un concetto di RAVVEDIMENTO OPEROSO.Chiaramente per far si che tutti le altre opere costruite con lo stesso titolo acquisiscano la doppia conformità' si dovrebbe demolire sia la porzione di marciapiede costruito su proprietà' comunale e anche il basamento insegna.Pero' il mio tecnico mi dice che non e' possibile presentare una sanatoria legata ad opere volte a conferire la conformita' in quanto il nostro ordinamento non lo prevede e nemmeno il comune su una sanatoria può' emettere prescrizioni.Allora ho proposto di fare un permesso di costruire per abbattere queste opere e poi presentare un ulteriore titolo a sanatoria di tutte le opere rimanenti,ma il tecnico mi dice che non si può' fare perché nel modulo del permesso di costruire se si va a crociare la casella che lo stato dell'immobile non e' conforme all'ultimo titolo edilizio scatterebbe la segnalazione in procura da parte del comune.A questo punto vi chiedo parere legale su come poter gestire tale situazione.Rimango a disposizione per ulteriori chiarimenti.Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 24/03/2019
Gli strumenti offerti dall'ordinamento per sanare le situazioni di abuso edilizio sono essenzialmente due: il primo è il c.d. condono edilizio, il quale rappresenta una forma di sanatoria estintiva dei reati in esame e determinante l'inapplicabilità delle sanzioni amministrative ed il venire meno della sanzione civile dell'incommerciabilità dei beni di carattere temporaneo ed eccezionale. L'ultimo condono edilizio risale all'anno 2003 ed al momento, nonostante la recente proposta di legge, è fortemente osteggiato dal Parlamento, in quanto costituisce un chiaro escamotage per eludere le attuali prescrizioni normative.

Il secondo strumento è appunto la sanatoria edilizia, nelle due varianti del permesso di costruire in sanatoria e della segnalazione certificata di inizio attività in sanatoria (rispettivamente art. 36 e art. 37 del T.U.E.D.).

Tali forme di sanatoria di carattere generale e permanente sono condizionate dalla tempestività della domanda, in quanto non deve essere scaduto il termine di 90 giorni dall'ingiunzione di demolizione e ripristino dei luoghi ovvero quello previsto dall'ordinanza di demolizione, dalla conformità dell'intervento alla disciplina urbanistica vigente al momento della realizzazione ed a quello di presentazione della domanda, dal pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia.

La sanatoria dell'intervento presuppone un'attività valutativa da parte della p.a. competente in ordine alla conformità dell'opera realizzata alla normativa urbanistica che, se accertata positivamente, colloca il privato in una situazione del tutto equiparabile a quella del titolare di un valido titolo abilitativo, rendendo penalmente, civilmente ed amministrativamente lecita l'opera.

Fatte le dovute premesse, è opportuno precisare che il requisito della doppia conformità si riferisce chiaramente all'intervento già realizzato ed è volto a dissuadere chi intenda realizzare interventi contrari alla disciplina urbanistica e confidi in un successivo mutamento della normativa in modo tale che l'intervento diventi compatibile.
Orbene, a parere di chi scrive, pare corretta l'intuizione descritta nel quesito. Non viene però in rilievo l'istituto della sanatoria, in quanto difettante del requisito della doppia conformità.

Innanzitutto, al fine di evitare eventuali conseguenza amministrative e penali, sarà necessario presentare la domanda di permesso di costruire senza mendacità, crociando dunque la casella indicante la non conformità dell'opera precedente alla normativa, indicando inoltre che essa è altresì difforme dal titolo abilitativo precedente. Ovviamente, l'intervento oggetto della domanda dovrà essere conforme alla disciplina urbanistica, ed a rigor di logica lo sarà a maggior ragione, in quanto oltre alle nuove opere si richiederà di poter procedere alla messa in pristino del precedente abuso.

Certo, è più che probabile, se non certo, che l'autorità, al momento della valutazione della conformità della richiesta, rileverà la presenza di un precedente abuso edilizio, ma non vi potrà essere alcuna conseguenza penale.

Difatti, se l'abuso è stato effettivamente commesso nel 2012, il reato risulta prescritto, in quanto, ai sensi dell'art. 157 c.p., le contravvenzioni si estinguono una volta decorsi quattro anni dalla commissione del fatto (oppure una volta decorso il termine corrispondente al massimo della pena prevista, che non riguarda l'ipotesi in commento). Va comunque precisato che le responsabilità penali avrebbero colpito solamente il responsabile dell'abuso, vale a dire il tecnico che si occupò della redazione della s.c.i.a..

Dunque, ciò che verosimilmente residua a titolo di responsabilità amministrativa è l'applicabilità del comma 1 dell'articolo 37, che prevede il pagamento di una sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento del valore venale del bene conseguente alla realizzazione dell'intervento abusivo, o comunque non inferiore ad € 516.

Anche in questo caso, tuttavia, la sanzione dovrebbe colpire direttamente l'effettivo responsabile della violazione, ovvero il tecnico di cui sopra. In mancanza, ci si dovrà opporre alla sanzione amministrativa, chiamando in causa il tecnico e/o altri soggetti divenuti responsabili, al fine di ottenere una statuizione del giudice che determini le effettive colpe ed i conseguenti oneri pecuniari.

Tali aspetti comunque non inficeranno il rilascio del permesso di costruire, se ritenuto conforme alla disciplina urbanistica.

Oltretutto, e questo è un aspetto da non trascurare, l'autorità competente potrebbe comunque emettere in via complementare (in quanto la messa in pristino sarà ad ogni modo oggetto della domanda di permesso di costruire) un'ordinanza di demolizione della precedente opera abusiva, statuendo in tal caso la responsabilità del tecnico ai sensi dell'articolo 34, il quale sarà costretto a pagare le spese per la rimozione dell'opera. Tale norma parla infatti espressamente del responsabile dell'abuso, e non del proprietario dell'immobile (il quale può benissimo essere esente da colpe).

A tale ordinanza di demolizione si potrebbe giungere sia tramite la procedura su descritta (ovvero implicitamente con la domanda di permesso di costruire), oppure con una istanza, rivolta all'amministrazione competente, di agire in autotutela, emanando appunto un'ordinanza di demolizione a carico dei responsabili.

Anonimo chiede
mercoledì 01/08/2018 - Sardegna
“Buonasera, mi chiamo (omissis). Vi espongo il mio problema. Ho presentato un'accertamento di conformità per un vano tecnico classificabile in base all'art. 10 bis della legge regionale, 3 luglio 2017 n.11, come opera soggetta a scia/ ex Dia. L'opera e' stata realizzata nel 2013 e per la stessa non vige la doppia conformità. Alla pratica ho quindi allegato il pagamento del doppio della sanzione. A causa di questo vano tecnico e di qualche altra piccola difformità, c'è un procedimento penale in corso con una signora che si é costituita parte civile in quanto è anche in corso una causa per una vendita non andata a buon fine e per la quale mi chiede il doppio della caparra. Il comune, non rilascia la concessione perché chiede, verbalmente, di integrare con ulteriore documentazione grafica che rappresenti tutta l'area nella quale insiste il vano tecnico, compreso un pergolato, regolarmente autorizzato ma probabilmente non conforme al progetto, realizzato dal locatario del bar di mia proprietà che si trova nelle immediate vicinanze al vano tecnico e che, in accertamento, ho escluso. Poiché il vano tecnico, trattandosi di pertinenza, è certamente approvabile. Poiché rientriamo nell'art. 37 del testo unico, Posso presentare una comunicazione a zero giorni per mancata scia per opere realizzate, dietro corrispettivo di sanzione da me calcolato sulla base dell'art. 14 del regolamento regionale? E' possibile presentare autocertificazione, che in sede giudiziaria abbia valenza, al fine di sanare la pertinenza in questione?”
Consulenza legale i 11/08/2018
Al fine di dirimere il quesito sottoposto, è necessario precisare sin da subito che la divergenza tra il capo di imputazione ed il reale svolgimento dei fatti non determina alcuna invalidità processuale.

Il legislatore infatti, nel disciplinare le varie fasi processuali, è partito dal presupposto che, a partire dalle indagini preliminari e proseguendo per l'eventuale udienza preliminare, per il dibattimento e per i successivi risvolti del procedimento, possano emergere nuovi fatti, nuove circostanze e dunque nuove contestazioni da parte del Pubblico Ministero.

Ciò che rileva è più che altro il rispetto del principio del contraddittorio, in base al quale l'imputato deve essere sempre a conoscenza dei reati a lui contestati, onde potersi difendere nella maniera più adeguata.

Quanto detto emerge innanzitutto dalla lettura dell'articolo 423, in base al quale, se il fatto risulta diverso da come descritto nell'imputazione, il pubblico ministero modifica l'imputazione e la contesta all'imputato presente o al difensore. Questo per quanto riguarda la fase dell'udienza preliminare.
Il medesimo meccanismo è previsto per la fase dell'istruzione dibattimentale ai sensi dell'articolo 516, a meno che non emerga la competenza di un giudice diverso e superiore.

Come già anticipato, dunque, il codice disciplina compiutamente eventualità del genere, prevedendo unicamente la necessità che l'imputato sia messo nella condizione processuale di svolgere al meglio le sue difese.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 49828/2012, ha inoltre ribadito che: “l'obbligo di correlazione tra accusa e sentenza non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell'imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell'imputato: la nozione strutturale di fatto contenuta nelle disposizioni in questione, va quindi coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata e decisione giurisdizionale risponde all'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi”.

Non solo, con sentenza n. 4175/2015, la Suprema Corte ha precisato che: “la modifica in udienza del capo di imputazione, consistente nella diversa indicazione della data del commesso reato, non costituisce modifica dell'imputazione rilevante ex art. 516 cod. proc. pen., allorché non comporti alcuna significativa modifica della contestazione, la quale resti immutata nei suoi tratti essenziali, così da non incidere sulla possibilità di individuazione del fatto da parte dell'imputato e sul conseguente esercizio del diritto di difesa”.

Venendo ora alla fattispecie in oggetto, se effettivamente emergerà, in qualsiasi fase, che le opere edilizie non siano state costruite in totale difformità, o in assenza del permesso di costruire o non adempiendo all'ordine di sospensione dei lavori, vi sarà semplicemente una richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero o, al più tardi, una sentenza di assoluzione da parte del giudice.

Qualora il P.M. dovesse invece ravvisare un diverso esplicarsi dei fatti, modificherà semplicemente il capo di imputazione, rendendone edotto l'imputato o il suo difensore.


F. S. chiede
sabato 06/05/2017 - Marche
“Buonasera, ho acquistato diversi anni fà un "laboratorio". Il venditore frazionava al catasto senza prima avere ottenuto il frazionamento al comune,nell'atto menzionava tutte le concessioni precedenti ma nessuna autorizzava un frazionamento in più unità immobiliari. Alla data dell'atto l'immobile urbanisticamente era una unica unità immobiliare, e a me è stata venduta una Unità (sub4) con tanto di planimetria catastale con su scritto laboratorio e dichiarazione con cat D7, ma era solo una parte dell'intero immobile. Urbanisticamente alla data dell'atto vi era solo una richiesta di frazionamento della Unica U.I. i più Unità, con degli elaborati presentati dai venditori e geometra dove la superficie a me venduta (SUB4) veniva già rappresentata negli elaborati "Stato Attuale" già separata dal totale immobile con su scritto laboratorio.
Contestualmente il notaio formalizzava anche una mia richiesta di Mutuo Artigianale con la banca. Inoltre dato che mi rifiutavo di fare l'atto di trasferimento in quelle condizioni (la settimana prima avevo disertato il rogito) mi convinse della regolarità di ciò che mi veniva venduto scrivendo di suo pugno una dichiarazione con la quale la ditta venditrice si impegnava a portare a termine la richiesta di concessione presentata al comune, e a sostenerne le relative spese, facendola poi firmare ai 3 soci venditori.

Cosa mi è stato trasferito esattamente?
L'atto è da considerarsi Nullo?
Che valore ha un frazionamento dichiarato al catasto eseguito 5 mesi prima di presentare la richiesta al municipio?


Premetto che in fase di preliminare mi veniva dato il possesso e ricevetti rassicurazioni sulla tempistica del rogito da parte della agenzia immobiliare, tra 15 gg. facciamo tutto...Nel preliminare mancavano anche i riferimenti delle concessioni edilizie e catastali..Nel 1997 caparra di 35.000.000 +10.000.000 di lire per ag.imm. immobiliare, termine scadenza x rogito 3 mesi dopo il "preliminare".
Denunce, esposti, tutto archiviato.. il comune non risponde mai agli esposti e poi ne sono successe di tutti i colori..cose da altro mondo!
Posso fornire ogni documentazione scannerizzata di ciò che narro.”
Consulenza legale i 24/05/2017
I problemi sollevati nel quesito riguardano essenzialmente la validità o meno dell’atto notarile, e ciò sia dal punto di vista della esatta e sufficiente determinazione di ciò che di tale atto ha costituito l’oggetto, sia sotto il profilo del rispetto della normativa urbanistica prevista dal legislatore per il trasferimento di immobili.

Va detto subito che l’atto rogato in data 21.05.1997 è da ritenersi pienamente valido ed efficace, e ciò per le ragioni che qui di seguito si esporranno.

Intanto sembra opportuno chiarire che il frazionamento di unità immobiliari ha due aspetti, uno catastale e uno comunale o urbanistico.
Il catasto si limita a prendere atto (non si tratta di permessi, ma di semplice comunicazione con una procedura chiamata DOCFA) della presenza delle unità immobiliari in cui è stata frazionata l’originaria particella (senza occuparsi del fatto che queste siano abusive o meno), determinandone le relative rendite (e questo è ciò che si definisce frazionamento catastale); il comune, invece, si occupa della regolarizzazione delle nuove unità sotto il profilo urbanistico (frazionamento urbanistico o funzionale).

Al fine di poter procedere alla stipula di un atto di compravendita avente ad oggetto una particella derivante da frazionamento di altra particella, è sufficiente il solo frazionamento catastale e l’indicazione in atto degli estremi dell’originaria licenza/concessione edilizia e successive concessioni in variante rilasciate o presentate al Comune interessato.

Ciò trova un espresso riconoscimento nel Testo unico in materia edilizia, nel quale sono confluite le disposizioni di cui alla Legge 47/85, citata nell’atto notarile; il suddetto Testo Unico, con particolare riferimento agli interventi successivi alla costruzione, dispone che è obbligatoria la menzione degli estremi del titolo abilitativo edilizio solo relativamente ad interventi di ristrutturazione “cd. maggiore”, la cui definizione si ricava dal combinato disposto dell’art. 3 primo comma lett. d) e dell’art. 10 primo comma lett. c) D.P.R. 380/2001.

Tale menzione, invece, non è obbligatoria per tutti gli altri interventi sull’esistente che non siano riconducibili alla tipologia della “ristrutturazione maggiore”, fra i quali si fanno proprio rientrare i frazionamenti di unità, oltre che i mutamenti di destinazione d’uso funzionali, le semplici modifiche prospettiche, ecc.
Tuttavia, benché non obbligatorio, i notai citano in atto, per ragioni di opportunità, gli estremi dei relativi provvedimenti autorizzativi o degli eventuali titoli abilitativi in sanatoria, se rilasciati, ovvero delle istanze di sanatoria ancora “in itinere” a sensi dell’art. 2 comma 58 legge 662/1996.
Si tratta, ovviamente, di dichiarazioni facoltative (la cui mancanza non determinerà la nullità dell’atto) ma quanto mai opportune, in quanto estremamente utili per offrire un quadro completo della “storia urbanistica” dell’immobile, anche al fine di garantire alla parte acquirente l'acquisto di un edificio conforme alle disposizioni in materia urbanistica ed edilizia.
Vi è, infatti, in materia anche una esigenza di tutela della parte acquirente, circa le qualità del bene oggetto di vendita.

Si rammenta inoltre che, qualora per tale tipologia di interventi c.d. minori non fosse stata neppure presentata l’istanza di sanatoria (a regime o straordinaria), gli immobili interessati sarebbero ugualmente commerciabili e validi i relativi atti di trasferimento.
Si rammenta peraltro che la presenza di un abuso edilizio non determina di per se stesso l'incommerciabilità del bene; bisogna accertare di volta in volta il tipo e la gravità dell'abuso e solo in presenza di un abuso "maggiore" (assenza di titolo abilitativo edilizio o totale difformità) si avrà l'incommerciabilità del bene.

In questo senso si è pronunciato anche il Ministero dei Lavori Pubblici con propria circolare 17 giugno 1995 n. 2241 (Capitolo 9 - paragrafo 9.1) ove si afferma che "occorre innanzitutto ribadire che l'eventuale nullità degli atti di trasferimento è circoscritta soltanto agli immobili eseguiti in assenza di concessione o in totale difformità di essa ….. mentre non sono oggetto ad alcun limite di commerciabilità gli abusi di minore gravità che restano assoggettati alle sanzioni di tipo amministrativo o penale".

Nessun dubbio, infine, può sussistere su ciò che è stato effettivamente trasferito, risultando la porzione di immobile esattamente individuata sia dal punto di vista catastale (con un autonomo subalterno) che graficamente (essendo stata scrupolosamente allegata all’atto una piantina dello stesso).

Accertata la validità dell’atto e la precisa determinazione di ciò che con esso è stato trasferito alla parte acquirente, pur se a tale determinazione si è pervenuti in tempi successivi, si tratta adesso di chiarire l’aspetto urbanistico dell’immobile trasferito.

Va innanzitutto precisato che il frazionamento di quella che in progetto approvato era un’unica unità in due o più distinte unità, con l’esecuzione di opere minime, esclusivamente “interne”, volte ad ottenere la fisica separazione delle unità, qualora per tali opere non ci si sia previamente muniti delle necessarie autorizzazioni (attraverso una DIA, una SCIA o una CILA, secondo le diverse denominazioni che si sono succedute nel tempo), può farsi rientrare nella previsione di cui all’art. 37 T.U. 380/2001 o al massimo qualificarsi come “parziale difformità” ex art. 34 T.U.

In casi del genere, pur se l’atto è valido, risultando ancora la pratica edilizia in itinere e, quindi, non potendovi essere certezza su un suo esito favorevole, sarebbe stato quanto mai opportuno che il notaio, in sede di stipula dell’atto, in ossequio ai propri doveri professionali, si fosse preoccupato di informare le parti sulle conseguenze che potevano derivare dal fatto che sull'immobile è stato commesso un abuso edilizio per il quale è stata richiesta ma non ancora ottenuta la sanatoria, conseguenze che a seconda della gravità dell'abuso possono arrivare sino all'ingiunzione della rimozione o della demolizione dell'opera abusiva ovvero limitarsi nei casi meno gravi, quale quello che ci riguarda, ad una sanzione pecuniaria.

In casi simili i "rischi" che l'attività negoziale necessariamente comporta, dovranno pertanto essere oggetto di un'apposta regolamentazione tra le parti, al fine di prevenire possibili future contestazioni e l'insorgere di contenziosi per avere il venditore trasferito un bene con vizi e l’acquirente acquistato un bene sul quale è stato commesso un abuso edilizio di cui dovrà rispondere quanto meno dal punto di vista sanzionatorio.
Tuttavia, non può non rilevarsi che anche quest’ultimo aspetto risulta aver formato oggetto di esplicita pattuizione tra le parti con la scrittura privata del 21 maggio 1997, con la conseguenza che, anche da questo punto di vista, nulla può rimproverarsi alla parte venditrice.

A tutto ciò, infine, si aggiunga che, salvo errata interpretazione di quanto riferito, la concessione poi di fatto, e seppure dopo diverse vicissitudini, risulta essere stata conseguita, dicendosi nel quesito che veniva poi rilasciata ai venditori, a seguito della richiesta del 1997 (quella citata in atto), la definitiva concessione n. 230/02.

A questo punto, l’unico aspetto censurabile della vicenda resta la mancata realizzazione di finestre esterne e di una ulteriore accesso al laboratorio, ciò che presuppone non solo la preventiva previsione nel progetto di frazionamento da sottoporre all’approvazione del Comune, ma anche una preventiva richiesta di autorizzazione al condominio, trattandosi di interventi che comportano il coinvolgimento delle parti comuni ondominiali.
Purtroppo di quanto lamentato non risulta né una espressa previsione in atto o nella scrittura privata di cui sopra né alcun riferimento nella piantina catastale allegata all’atto, il che rende estremamente difficile dar prova che si tratta di una qualità della cosa venduta che il venditore aveva promesso e di cui il bene difetta.
In ogni caso, anche a voler sostenere che il vizio di cui si tratta incide sulla idoneità del locale ad essere utilizzato per l’uso a cui doveva essere destinato, si tenga conto che il legislatore ha al riguardo prescritto un termine di prescrizione dell’azione abbastanza breve, dovendo essere denunziato entro otto giorni dalla scoperta e in ogni caso prima del decorso dell'anno dalla consegna (così dispone l'art. 1495 c.c.).

Alla luce di tutto quanto sopra sostenuto, dunque, si ritiene che purtroppo non vi siano, allo stato attuale delle cose, buoni margini per intraprendere con esito positivo un’azione giudiziaria contro la parte venditrice.

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