La norma in commento, riprendendo il disposto dell’art. 20, L. n. 47/1985, prevede tre diverse fattispecie di reato, che presentano una gravità crescente e che sono poste a presidio del
bene giuridico del corretto ed ordinato assetto del territorio in conformità alla normativa edilizia-urbanistica.
Il Legislatore ha utilizzato il modello della cosiddetta
norma penale in bianco, stabilendo cioè la sanzione e rinviando per la compiuta individuazione della condotta penalmente rilevante a fonti extrapenali.
Si tratta in tutti e tre i casi disciplinati dall’art. 44 di reati
contravvenzionali, per i quali è dunque esclusa la configurabilità del tentativo
ex art.
56 c.p., di natura
permanente.
Quanto al momento consumativo del reato rilevante ai fini del decorso del termine di prescrizione, la giurisprudenza consolidata ritiene che la permanenza del reato di edificazione abusiva termini nel momento in cui vengano cessati o sospesi i lavori di costruzione volontariamente o a seguito di provvedimento dell’autorità.
In generale, l’ultimazione dei lavori si verifica con il completamento dell’opera abusiva, comprese le finiture esterne ed interne; invece, qualora l’attività edilizia prosegua anche durante il giudizio penale, la consumazione del reato viene fatta coincidere con l’emissione della sentenza di primo grado.
L’
elemento psicologico del reato, come per tutte le contravvenzioni, può consistere indifferentemente nel
dolo o nella
colpa, ai sensi dell’art.
42 c.p..
Sul punto, si è posto il problema della responsabilità del
proprietario o
comproprietario del bene che non sia anche il
committente dei lavori abusivi.
L’opinione prevalente esclude la sussistenza di una responsabilità di tipo oggettivo conseguente alla mera relazione giuridica con il bene, dovendo invece ricorrere
elementi ulteriori, quali il comune interesse all'edificazione, l'adozione del regime patrimoniale della comunione dei beni o l’esistenza di rapporti di parentela o affinità con l'esecutore del manufatto, l'acquiescenza prestata all'esecuzione dell'intervento edilizio, la presenza sul luogo di esecuzione dei lavori, l'espletamento di attività di controllo sull'esecuzione delle opere, la presentazione di istanze concernenti l'immobile o l'esecuzione di qualsiasi altra attività indicativa di una partecipazione alla costruzione illecita.
La
fattispecie prevista dalla lettera a), pur essendo la prima presa in considerazione dalla norma in commento, ha carattere
residuale e si applica agli abusi non inquadrabili nelle successive lettere b) e c).
Un’ipotesi che spesso si ritrova nella giurisprudenza concerne la mancata esposizione nel cantiere del cartello lavori indicante gli estremi del permesso di costruire previsto dagli artt.
20 e
27 del Testo Unico.
In proposito, è stato chiarito che la sanzione è applicabile anche per titoli abilitativi diversi dal permesso, qualora il regolamento edilizio disponga l’apposizione del cartello anche per la SCIA ordinaria.
Infatti, il reato di cui alla lett. a), si riferisce a qualsiasi tipo di inosservanza delle previsioni normative, di pianificazione e regolamentari, indipendentemente dal fatto che si tratti d'intervento assoggettato a permesso di costruire, a SCIA ad esso alternativa, oppure a semplice SCIA.
La
lettera b), invece, punisce l’esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l'ordine di sospensione emesso dal Comune o dalla Regione nei casi previsti dagli artt.
27,
39 e
40 del Testo Unico.
All’assenza del titolo abilitativo viene equiparata la sua successiva caducazione o inefficacia, a seguito dell’annullamento in autotutela o giurisdizionale o per decorso dei termini di inizio e fine lavori
ex art.
15.
Quanto alla definizione di totale difformità si rimanda all’art.
31, ricordando che tale ipotesi è parificata alla presenza di variazioni essenziali ai sensi dell’art.
32.
Per individuare la natura e la sussistenza delle difformità, comunque, non è necessario attendere il completamento dell'opera ove, da quanto già realizzato, si possa desumere che il manufatto, una volta ultimato, andrebbe ad assumere caratteristiche diverse da quelle progettate.
La
lettera c), da ultimo, punisce il reato di
lottizzazione abusiva, che consiste nella esecuzione di un insieme di opere che comportino una trasformazione urbanistica o edilizia del territorio, finalizzata alla creazione di un nuovo complesso edilizio in difetto di autorizzazione o in contrasto con le prescrizioni della legge o degli strumenti urbanistici (per una definizione più approfondita si rimanda al commento all’art.
30 del T.U.).
Si noti che il secondo comma dell’articolo in commento prevede, in aggiunta alle sanzioni penali di cui alla lettera c), anche la
confisca dei terreni abusivamente lottizzati, che viene generalmente qualificata come una sanzione amministrativa obbligatoria di natura reale.
In proposito, la giurisprudenza penale più recente ha chiarito che la confisca non è preclusa dalla dichiarazione di prescrizione del reato, in quanto può essere comunque disposta quando la sussistenza del fatto sia stata già accertata, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell'ambito di un giudizio che abbia assicurato il pieno contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, fermo restando che, una volta maturata la prescrizione il giudizio non può proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento
ex art.
129 c.p.p..
Va ricordato, comunque, che la Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha ritenuto la confisca degli immobili oggetto di lottizzazione abusiva come una sanzione di carattere penale, la quale –qualora disposta anche nell'ipotesi di assoluzione- lede gli artt. 7 della Convenzione e 1 del primo protocollo addizionale posti a tutela del principio di legalità in materia penale e del diritto di proprietà (CEDU, 20 gennaio 2009, Ricorso n. 75909/01 Sud Fondi srl ed altri c. Italia).