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Articolo 34 Testo unico edilizia

(D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380)

[Aggiornato al 10/10/2024]

Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire

Dispositivo dell'art. 34 Testo unico edilizia

1. Gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell'ufficio. Decorso tale termine sono rimossi o demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell'abuso.

2. Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al triplo del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al triplo del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale(2).

2-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all'articolo 23, comma 01, eseguiti in parziale difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività.

2-ter. [Ai fini dell'applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali.](1)

Note

(1) Comma abrogato dal D.L. 16 luglio 2020, n. 76
(2) Il comma 2 è stato modificato dall'art. 1, comma 1, lettera e) del D.L. 29 maggio 2024, n. 69, convertito con modificazioni dalla L. 24 luglio 2024, n. 105.

Spiegazione dell'art. 34 Testo unico edilizia

L’articolo in esame disciplina l’ipotesi meno grave di abusi, ossia gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire.

La norma presuppone l’esistenza di un titolo abilitativo e la realizzazione, nel corso dei lavori autorizzati, di opere in parziale difformità dal progetto; quando, invece, un titolo abilitativo manchi, l’articolo 34 non potrà trovare applicazione e si dovrà procedere ad un inquadramento della fattispecie -a seconda dell’incidenza e del tipo di attività eseguita- in una delle diverse ipotesi sanzionatorie contemplate dal Testo Unico per le opere edilizie senza titolo.

Inoltre, l’articolo in commento non riguarda gli immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico, ambientale e idrogeologico, nonché gli immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali, atteso che, ai sensi dell’articolo 32 del Testo Unico, tutti gli interventi relativi a tali immobili ed eseguiti in difformità dal titolo abilitativo vengono equiparati a variazioni essenziali.

La norma segue il paradigma fissato dagli articoli precedenti, prevedendo la sanzione principale della rimessione in pristino e la possibilità, subordinata e residuale, di ottenere la cosiddetta fiscalizzazione dell’abuso, nel caso la demolizione pregiudichi la stabilità di quanto costruito in conformità al permesso.
Non rilevano, ai fini della nozione di parziale difformità, le cosiddette tolleranze costruttive, ossia le discrepanze rispetto al progetto relative ad esempio ad altezza, distacchi, cubatura, superficie coperta che rimangano contenute all’interno del parametro del 2 per cento.

A seguito delle riforme attuate con il D.L. n. 76/2020, convertito in L. n. 120/2020, è stata data una migliore e più ampia definizione delle tolleranze costruttive, con l'introduzione nel Testo Unico dell'articolo 34 bis.
In particolare, oggi rientrano in tale nozione -solo per gli immobili non vincolati- anche le irregolarità geometriche e le modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, nonché la diversa collocazione di impianti e opere interne, a condizione che non comportino violazione della disciplina urbanistica ed edilizia e non pregiudichino l'agibilità dell'immobile.
Tali difformità, pur essendo irrilevanti sotto il profilo sanzionatorio, devono essere comunque dichiarate dal tecnico abilitato, ai fini dell'attestazione dello stato legittimo degli immobili, nella modulistica relativa a nuove istanze, comunicazioni e segnalazioni edilizie o all’atto del trasferimento o costituzione, ovvero scioglimento della comunione, di diritti reali.

Massime relative all'art. 34 Testo unico edilizia

Cons. Stato n. 811/2019

In caso di interventi eseguiti in parziale difformità, la sanzione pecuniaria prevista dal secondo comma dell'art. 34 del D.P.R. n. 380/2001, costituisce una deroga alla regola generale della demolizione negli illeciti edilizi prevista dal primo comma e, dunque, può essere applicata solo qualora sia oggettivamente impossibile effettuare la demolizione delle parti difformi senza incidere sulla stabilità dell'intero edificio, nel caso di specie la valutazione comunale appare del tutto ragionevole, oltre che proporzionata, alla consistenza della accertata difformità.

Cons. Stato n. 5550/2014

In assenza di indicazioni testuali o sistematiche in senso contrario, i soggetti tenuti alla corresponsione della sanzione pecuniaria alternativa di cui al comma 2 dell'art. 34, D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 ("Testo unico in materia di edilizia") devono coincidere con quelli che sarebbero tenuti "principaliter" all'adozione delle misure di carattere demolitivo/restitutorio di cui al precedente comma 1.

Cons. Stato n. 1912/2013

In tema di abusi edilizi l'impossibilità di porre in essere il ripristino senza pregiudizio della parte eseguita che, in conformità, di cui all'art. 34 comma 2 T.U. 6 giugno 2001 n. 380, conduce all'applicazione della sanzione pecuniaria, deve risultare in maniera inequivoca, tale che la demolizione, per le sue conseguenze materiali, inciderebbe sulla stabilità dell'edificio nel suo complesso; pertanto, all'uopo non possono venire in rilievo aspetti relativi alla "eccessiva onerosità" dell'intervento, pena la trasformazione dell'istituto in esame in una sorta di "condono mascherato" con incidenza negativa grave sul complessivo assetto del territorio.

Cass. pen. n. 19538/2010

La disciplina prevista dall'art. 34, comma secondo, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (cosiddetta procedura di fiscalizzazione dell'illecito edilizio) trova applicazione, in via esclusiva, per gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, e non equivale ad una "sanatoria" dell'abuso edilizio, in quanto non integra una regolarizzazione dell'illecito e non autorizza il completamento delle opere realizzate.

Cass. pen. n. 10395/2010

L'annullamento dell'ordine di demolizione di un manufatto abusivo da parte del T.a.r. non incide sul provvedimento di restituzione in favore dell'Autorità comunale, già disposta dal P.M. per l'inutile decorso del termine di novanta giorni dalla notifica dell'ingiunzione a demolire, essendosi verificata, alla scadenza del predetto termine, l'automatica acquisizione al patrimonio comunale del manufatto e dell'area di sedime.

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Consulenze legali
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G. M. chiede
venerdì 01/09/2023
“Precedenti quesiti Q202025765/2020
Q202334215/2023

Premetto che Voi, nell'ultimo quesito, avete fatto riferimento alla "fiscalizzazione" dell'abuso edilizio. Al momento non conoscevo questa procedura e.... non ho fatto alcunché'.
Dopo una lettura della Legge mi sono sorti dei dubbi:

1) Il locale seminterrato e' adibito a servizi in uso alle sei soprastanti unita' immobiliari . Si tratta di accessori ( al fabbricato) in cui oltre a tre posti macchina vi e' il locale ascensore, il locale dell'impianto di sollevamento dell'acqua potabile, ed il deposito. Catastalmente sono divise in tre particelle.

2) Nella Legge non ho trovato come si dovrebbe contabilizzare un locale accessorio adibito ai servizi sopra descritti.In particolare se devo pagare una multa o fare dei conti sul valore del seminterrato. In conclusione vorrei capire "quanto" devo pagare.

3) Posso oggi fare istanza al Comune per la fiscalizzazione?

Grazie, senza fretta, e se devo pagare altro fatemelo sapere.

Consulenza legale i 11/09/2023
In premessa, vale la pena riassumere brevemente i presupposti per l’applicazione della cosiddetta “fiscalizzazione” dell’abuso edilizio, che era stata individuata come una possibile strada in astratto percorribile per tentare di mantenere le opere realizzate:
a) deve essere un intervento eseguito in parziale difformità dal titolo edilizio;
b) la demolizione delle opere abusive non può avvenire senza pregiudizio della parte dell’edificio eseguita in conformità al titolo abilitativo;
c) la richiesta di sostituzione della sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve provenire dal privato, che ha l’onere di dare idonea dimostrazione del pregiudizio per la struttura e per l'utilizzazione del bene residuo (T.A.R. Napoli, sez. VI, 07 gennaio 2019, n. 70).
Nel caso di specie, si ricorda che l’abuso è stato già accertato dal Comune con un ordine di demolizione, la cui legittimità è stata in seguito confermata anche dal competente TAR.
Allo stato attuale del procedimento, in cui vi è un ordine di demolizione “pendente”, pare perciò possibile richiedere la fiscalizzazione dell’abuso, ferma restando la necessità di verificare con un tecnico l’esistenza dei requisiti sopra ricordati, con particolare riferimento a quelli sub a) e b).

Quanto alla misura della sanzione pecuniaria, il riferimento per il calcolo è contenuto nello stesso T.U. edilizia, che stabilisce che il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione della parte dell'opera realizzata in difformità dal titolo, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale (ossia il valore del bene in comune commercio), determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale.
In tale ultima ipotesi, la giurisprudenza ha chiarito che occorre tenere conto non tanto del costo dell’edificio abusivo, quanto piuttosto dell’incremento patrimoniale che deriva dalla realizzazione delle opere abusive e, in particolare, dalla differenza tra l’opera abusiva realizzata e la parte di edificio regolarmente autorizzata (Consiglio di Stato, sez. V, n. 486/1991).
In entrambi i casi, comunque, non vi è una “multa” predeterminata dalla legge, ma il valore di riferimento per il calcolo della sanzione, dunque, dipende esclusivamente dalla situazione concreta di fatto e dalla valutazione che ne darà l’amministrazione (e/o l’agenzia del territorio).
Riguardo la classificazione delle opere si possono prospettare due scenari, entrambi teoricamente sostenibili: 1) l’amministrazione potrebbe considerare il seminterrato quale accessorio della destinazione residenziale e riferirsi quindi al costo di produzione; 2) in alternativa, il Comune potrebbe considerare il seminterrato in via autonoma e applicare dunque il valore venale. Si intende che, in entrambi i casi, la sanzione da versare è pari al doppio del valore individuato dal Comune quale importo di riferimento.
Tuttavia, lo scrivente, non conoscendo a fondo la situazione concreta, non è nelle condizioni di dare indicazioni più precise su quale dei due metodi di quantificazione potrebbe essere più favorevole per il privato, trattandosi soprattutto di aspetti di tipo tecnico.
Prima di presentare formalmente l’istanza e di mettere così in moto la macchina amministrativa, dunque, si consiglia di far valutare lo stato di fatto ad un tecnico esperto, che potrà anche prendere contatti con il Comune per avere indicazioni più precise circa gli orientamenti seguiti dagli uffici.

I. D. N. chiede
martedì 01/02/2022 - Toscana
“Riguardo l'argomento sanatorie edilizie, vorrei cortesemente approfondire il caso della fiscalizzazione dell'abuso previsto ai sensi dell'art 206 bis della LR 65/2014 Toscana, per cui, ove il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, è previsto il pagamento di una sanzione pecuniaria . In particolare vorrei sapere se tale procedura può essere considerata una sanatoria a tutti gli effetti di legge; se rende l'immobile legittimo e quindi se garantisce la conformità urbanistica; se rende l'immobile vendibile regolarmente. Vorrei inoltre sapere se, in seguito a sanatoria ai sensi dell'art. 206 bis, possano eseguirsi interventi edilizi nell'imobile ed ottenere detrazioni fiscali.
Nel ringraziare distinti saluti”
Consulenza legale i 08/02/2022
Il presente quesito dà l’occasione per trattare un argomento molto attuale, anche se spinoso, ossia il rapporto tra la cosiddetta “fiscalizzazione” degli abusi edilizi e i bonus fiscali legati all’edilizia.
La fiscalizzazione è uno strumento mediante il quale viene eccezionalmente concesso al trasgressore di mantenere in essere una costruzione abusiva sostituendo la sanzione della demolizione con una sanzione pecuniaria, nel caso di impossibilità tecnica di eliminare la parte abusiva, ad esempio perché la rimessione in pristino andrebbe a pregiudicare la stabilità della parte di costruzione non abusiva.

Essa è ammessa sia dalla normativa nazionale artt. 33, 34 e 38 T.U. Edilizia), sia dalla normativa della Regione Toscana (artt. 206 bis e 208, L.R. n. 65/2014) fondamentalmente in due casi: opere edilizie in assenza o in difformità dal titolo abilitativo e opere realizzate sulla base di un titolo annullato.
Solo nella seconda ipotesi, tuttavia, il Legislatore ha espressamente previsto che l'integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produca i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all'articolo 36 T.U. Edilizia, probabilmente in considerazione del legittimo affidamento del privato.

Per quanto riguarda la seconda fattispecie, invece, nel silenzio della legge la giurisprudenza ritiene che la fiscalizzazione non equivalga ad una sanatoria dell'illecito e non integri una regolarizzazione delle opere abusive, che vengono tollerate, nello stato in cui si trovano, solo in funzione di conservazione di quelle realizzate legittimamente (Cassazione penale sez. III, 20 novembre 2020, n. 3579; Cassazione penale, sez. III, 11 maggio 2018, n. 28747).
I presupposti dell'istituto della fiscalizzazione dell'illecito edilizio si pongono infatti su un piano ontologicamente diverso da quelli della sanatoria, sia perché il primo trova il proprio fondamento nella impossibilità di rimuovere le conseguenze dell'illecito senza creare danni irreparabili alla parte di edificio eseguita in conformità al permesso di costruire, sia perché il pagamento della sanzione pecuniaria, se esclude che opere abusive possano essere legittimamente demolite, non ne rimuove, però, il carattere antigiuridico (Consiglio di Stato, sez. IV, 10 maggio 2018, n. 2799).
Le opere oggetto della fiscalizzazione appartengono insomma alla peculiare categoria dei beni urbanisticamente tollerati, che non possono essere demoliti e però al contempo non sono ammessi ad una legittimazione successiva (Consiglio di Stato, sez. IV, 29 settembre 2011, n. 5412).
A rigore, dunque, a questi beni non dovrebbe valere la deroga prevista dall’art. 50 T.U. Edilizia al generale divieto fissato dall’art. 49 del T.U. di ottenere benefici fiscali in relazione ad interventi edilizi abusivi, che è invocabile solo per il caso in cui sia stato ottenuto un provvedimento di sanatoria (che non esiste nel caso della fiscalizzazione).

Un discorso in parte diverso, tuttavia, può essere fatto per gli incentivi fiscali previsti dall’art. 119 D.L. n. 34/2020, convertito in L. n. 77/2020 (v. anche la risposta del 15.09.2021 del Ministero dell’Economia e delle Finanze all’interrogazione della Commissione Finanze della Camera, che fa riferimento proprio all’art. 206 bis della suddetta Legge Regionale della Toscana).
Infatti, il comma 13 ter di tale norma ha escluso la necessità di attestare lo stato legittimo dell’immobile e ha limitato l’operatività del divieto di cui all’art. 49 T.U. Edilizia ai soli casi di:
a) mancata presentazione della CILA;
b) interventi realizzati in difformità dalla CILA;
c) assenza dell'attestazione dei dati di cui al secondo periodo;
d) non corrispondenza al vero delle attestazioni ai sensi del comma 14.

Peraltro, si nota che in relazione a questo specifico bonus fiscale il richiedente deve depositare un CILA che indichi gli estremi del titolo abilitativo o del provvedimento che “ha consentito la legittimazione” dell’immobile.
L’espressione sembra più ampia rispetto al termine “sanatoria” richiamato dall’art. 50 del T.U. Edilizia, tanto da poter forse comprendere anche il provvedimento di fiscalizzazione degli abusi (si tratta comunque di una considerazione dello scrivente, non essendo per ovvi motivi possibile riferirsi a precedenti giurisprudenziali in merito).

Infine, per quanto riguarda la commerciabilità, il più recente orientamento della Suprema Corte ha chiarito che per considerare valido il contratto di trasferimento dell’immobile è sufficiente che in esso siano richiamati gli estremi di un titolo edilizio realmente esistente e riferibile a quel dato immobile, indipendentemente dalla conformità o meno del fabbricato al titolo stesso (Cassazione civile, SS.UU., 22 marzo 2019 n. 8230).
Questo dovrebbe essere sufficiente a non incappare nella nullità del contratto di compravendita, perlomeno nell’ipotesi in cui un titolo abilitativo originario esista, anche se ovviamente rimangono i problemi legati all’incidenza sul valore del bene e alla possibilità di poter realizzare futuri interventi edilizi.

Giuseppe M. chiede
mercoledì 18/11/2020 - Calabria
“Nel 1977 ho costruito un fabbricato di quattro piani con il semi interrato.

Sul lato est del fabbricato c'era un canale che , con la concessione ( all. 1, pag. 3) sono stato autorizzato ad occupare ( cosa che ho fatto ma lasciandone una parte libera) ma con l'impegno di costruirlo " nel contesto della costruzione della struttura portante".

Non vi erano, oltre alla traccia grafica del canale, indicazioni progettuali ( all.2 ).

Per questo nella fase esecutiva, non era possibile lasciare il canale libero tra pilastri e fondamenta.

Trattandosi di seminterrato ( interrato completamente per tre lati e al 50% per un quarto ), sarebbe stato invaso dalle acque piovane durante l'inverno, con pregiudizio della struttura in c. armato.

Cosi' si e' provveduto, in fase esecutiva, a mettere in opera il canale nella parte opposta al suo decorso primitivo, sempre attorno al fabbricato ( all. 3, in verde il canale pre esistente, in rosso quello indicato nel progetto e non realizzato, ed in blu quello realizzato nel mio terreno ed a mie spese ).

Dopo 39 anni il Tecnico comunale, denunciato da me per distrazione di somme e mancato rispetto delle norma PAI., mi ha ordinato la demolizione della tamponatura ( Quesito Q202025765)

Cosa non possibile ne' per me ne' per il Comune : infatti vi sarebbe un danno alla struttura, l'eliminazione dell'ascensore e.. il ripristino dell'allagamento del piano interrato che rimarrebbe a pilastri. Così da perizia tecnica in via di presentazione al Comune che, fra l'altro, ritiene che l'intervento di demolizione non solo non e' possibile per motivi tecnici ma improponibile alla Regione ( che dovrebbe concedere il nulla osta ai lavori) per gli stessi motivi.

Nel 1984 ho presentato domanda di sanatoria per due piccoli abusi piano Terra, al 2° e 3, ° ma non per la tamponatura del seminterrato

Nel 2012 ho avuto il rilascio del permesso di condono riguardante gli abusi al piano terra, 2° e 3°.

Nel frattempo, su mia richiesta al prefetto, il Tecnico comunale ha rinunciato ad interessarsi delle mie questioni con il Comune ( vedi Quesito Q202026374 ).


Domanda: e' vero che non e' possibile ( per sentenze TAR) sanare in un unico fabbricato solo alcuni abusi e non tutti ?

E se vero cosa debbo fare ?

Grazie, e distinti saluti.”
Consulenza legale i 25/11/2020
Il presente quesito fa riferimento ad un’annosa vicenda, che ha avuto origine a seguito della realizzazione negli anni settanta di una tamponatura al piano seminterrato di un edificio in difformità dal permesso di costruire originario.
La tamponatura è stata recentemente sanzionata dal Comune, che ne ha ordinato la demolizione.
Tale provvedimento amministrativo è stato impugnato davanti al Giudice, ma il ricorso è stato respinto, in quanto il TAR non ha rilevato alcuna illegittimità nell’operato dell’Amministrazione.

In un precedente parere era stata approfondita la possibilità di chiedere la sostituzione della sanzione demolitoria con quella pecuniaria ai sensi dell’art. 34, D.P.R. n. 380/2001, in quanto la rimozione del manufatto potrebbe pregiudicare la stabilità e la funzionalità del fabbricato.
La risposta a tale precedente quesito, alla quale si rinvia, è positiva per le ragioni ivi espresse e rimane ferma anche alla luce delle circostanze segnalate nella presente richiesta di parere.

Nel caso di specie si osserva, anzitutto, che non pare possibile mettere ancora in discussione la natura abusiva della tamponatura, che è stata confermata anche da una decisione di un Giudice.
Inoltre, come si legge nel quesito, l’opera non è stata oggetto negli anni di alcuna richiesta di sanatoria, in quanto la domanda di condono del 1984 si riferisce a interventi diversi realizzati ai piani terra, secondo e terzo dell'edificio.
Pertanto, il condono ottenuto nel 2012 non può logicamente estendere i propri effetti favorevoli ad altri manufatti che non sono in esso ricompresi e che non sono stati per questo oggetto né di alcuna istruttoria, né di uno specifico provvedimento emesso dal Comune.
Infatti, l’Amministrazione non può decidere di rilasciare d’ufficio un atto di sanatoria, in assenza di una domanda da parte del privato responsabile dell’abuso, che nel nostro caso non sembra essere stata presentata.
Ne consegue che la tamponatura mantiene il suo carattere abusivo, indipendentemente dalla sorte delle altre opere eseguite sullo stesso immobile.


GIUSEPPE M. chiede
sabato 20/06/2020 - Calabria
“1977 ho costruito la mia abitazione, Il piano interrato doveva essere lasciato con i pilastri. Ho tamponato perche un canale di scolo lo avrebbe invaso rendendolo un lago con grave pregiudizio dei pilastri stessi.

2015 il dirigente dell'ufficio tecnico del comune ha fatto un sopralluogo e mi ha denunciato.

2017 La denuncia penale viene dichiarata prescritta.

2018 Il TAR conclude condannandomi alla demolizione della tamponatura ma , aggiungendo, che se questa non può' avvenire ( Essa e' in cemento armato per tutto il perimetro allo scopo di impedire l'infiltrazione dell'acqua del canale) mi dovrò' rivolgere ad altro giudice.

2020 il mio amico dirigente dell'Ufficio tecnico comunale mi comunica che se non provvederò' alla demolizione lo farà' il Comune a mie spese.

Domanda:

davanti a quale Giudice devo presentare ricorso ed in quale momento ? Ora o quando ? Oltre ad oppure il motivo di stabilita' dell'edificio posso opporre il fatto che il locale ascensore e' nell'interrato e la sua eliminazione ( per la richiesta di demolizione della tamponatura ) impedirebbe alla moglie di mio fratello ( comproprietario dell'immobile) di poter accedere alla sua abitazione perche' invalida e non deambulante ?

So che mi contesterete che le domande sono due: e' sempre così, anche se poi mi rispondete lo stesso. Ma sono ben disponibile a pagare di più': lo meritate.
Grazie.

Consulenza legale i 28/08/2020
Dalla lettura della sentenza del TAR trasmessa a corredo del quesito emerge che le opere sanzionate dal Comune con l’ordinanza di demolizione impugnata consistono in una tamponatura esterna del piano seminterrato di un fabbricato, realizzata in difformità dal permesso di costruire.
La decisione del TAR non riporta la norma in base alla quale la P.A. ha esercitato il proprio potere sanzionatorio, ma -posto che le opere difformi non sembrano costituire variazioni essenziali rispetto al titolo edilizio originario- pare che la fattispecie ricada nell’ambito di applicazione dell’art. 34, D.P.R. n. 380/2001.
Tale articolo disciplina, infatti, proprio gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, stabilendo al primo comma che gli abusi di questo genere sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell'ufficio.
Decorso infruttuosamente tale termine, le opere vengono rimosse o demolite a cura del Comune, ma sempre a spese dei responsabili dell'abuso.

Il secondo comma della stessa norma, tuttavia, prevede anche la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con una sanzione pecuniaria pari (per le opere residenziali) al doppio del costo di costruzione, nel caso in cui “la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità…”.
L’eventuale applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria avviene non nella fase di accertamento e contestazione dell’abuso al responsabile, bensì nella fase successiva, in cui in Comune si trova a dover eseguire l’ordine di demolizione già emanato e rimasto inottemperato dal privato (ex multis; Consiglio di Stato, sez. VI, 9 luglio 2018 n. 4169; T.A.R. Napoli, sez. III, 03 febbraio 2020, n. 483; T.A.R. Latina, sez. I, 20 dicembre 2019, n. 742).

È proprio a questo concetto che si riferisce il punto 4.2. della decisione del TAR allegata al quesito, quando afferma che “la valutazione dell’eventuale pregiudizio che la demolizione potrebbe arrecare alla parte legittima dell’edificio è questione da rinviare alla fase esecutiva, e non genetica, dell’ordinanza impugnata”.
In sostanza, tale punto della motivazione non significa che sia necessario rivolgersi ad un altro Giudice, bensì semplicemente che la circostanza dedotta nel ricorso che la demolizione della tamponatura potrebbe arrecare un danno alla stabilità del resto del fabbricato non rileva ai fini della legittimità o meno dell’ordine di demolizione, in quanto può essere valutata soltanto in una successiva fase distinta ed autonoma del procedimento (infatti, tali doglianze sono state respinte).

Passando ora più in dettaglio ai profili applicativi della sanzione pecuniaria “sostitutiva”, si chiarisce che essa costituisce una deroga alla regola generale della demolizione negli illeciti edilizi prevista dal primo comma dell'art. 34, D.P.R. n. 380/2001 e, dunque, può essere applicata solo qualora sia oggettivamente impossibile effettuare la demolizione delle parti difformi senza incidere sulla stabilità dell'intero edificio (Consiglio di Stato, sez. VI, 23 novembre 2018, n. 6658).
Pertanto, i privati che vogliano ottenere il mantenimento delle opere difformi dal permesso di costruire sono tenuti a fornire una seria ed idonea dimostrazione del pregiudizio che la demolizione determinerebbe sulla struttura e sull'utilizzazione del bene residuo, a nulla valendo che la demolizione implicherebbe una notevole spesa e potrebbe incidere sulla funzionalità del manufatto, perché per impedire l'applicazione della sanzione demolitoria occorre un effettivo pregiudizio consistente in una menomazione della stabilità dell'intero manufatto (ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 12 dicembre 2019, n. 8458; Consiglio di Stato, sez. V, 05 settembre 2011, n.4982; T.A.R. Venezia, sez. II, 06 marzo 2019, n. 294; T.A.R. Milano, sez. IV, 16 agosto 2018, n. 1989).

Nel caso di specie, si nota che ci si trova proprio nella “fase esecutiva” alla quale si riferisce il TAR nella sopra citata decisione, dato che le opere abusive non sono state rimosse spontaneamente e che il Comune si accinge a disporne la demolizione in danno del responsabile.
Pertanto, la risposta al quesito è sicuramente positiva, nel senso che è possibile far presente all’Amministrazione (senza necessità di ricorrere in prima battuta a un Giudice) tutti i pericoli che la demolizione della tamponatura comporterebbe eventualmente sia in relazione alla stabilità dell’edificio (ad es. indebolimento dei pilastri a causa delle infiltrazioni d’acqua) e sia alla sua utilizzazione (cioè eliminazione di un ascensore di cui una persona disabile necessita per accedere alla sua abitazione).
Al fine di aumentare le possibilità di accoglimento, è importante che l’istanza sia motivata in modo preciso, serio e circostanziato e, quindi, è consigliabile rivolgersi a un tecnico, che potrà corredarla con tutte le considerazioni e i dati ritenuti più opportuni, come calcoli relativi alla staticità dell’edificio, fotografie e così via.
Il Comune è tenuto a valutare tali circostanze e a decidere, fornendo adeguata motivazione, se nel presente caso è ammissibile o meno il mantenimento delle opere abusive ai sensi dell’art. 34, comma 2, D.P.R. n. 380/2001.
Un eventuale diniego è impugnabile davanti al Giudice amministrativo nell’ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, mentre un provvedimento di segno positivo comporta, come sopra scritto, il pagamento di una sanzione pecuniaria a carico del responsabile pari al doppio del costo di costruzione.

Francesco M. chiede
mercoledì 03/10/2018 - Campania
“Premessa :
-Ho ricevuto l’incarico dal proprietario di un appartamento acquistato nel 2004 di redigere la “Conformità Urbanistica e Catastale ai sensi dell’art. 19 del D.L. n. 78/2010” ( Legge 122/2010) per una eventuale vendita.
-L’appartamento è ubicato in un fabbricato costruito certamente prima del 1927.
-Quando fu acquistato, il venditore dichiarò in atto: “La parte venditrice ….. dichiara che la porzione immobiliare in oggetto è stata edificata in data anteriore al 1° settembre 1967, e che in seguito non sono state apportate modifiche richiedenti licenze, concessioni e/o permessi edilizi, anche a sanatoria.
- Invece dalle ricerche presso gli uffici del Comune ho rinvenuto una Ordinanza del Sindaco del 1980, che ai sensi dell’articolo 13 della legge 765/1967, veniva applicata una sanzione pecuniaria in sostituzione della demolizione e ripristino per un abuso edilizio nell’appartamento.
-Non ho trovato alcuna richiesta di condono successiva all’Ordinanza del Sindaco del 1980.
Nell’ordinanza si faceva riferimento ad una diffida del 16.07.1970 da parte del Comune all’allora proprietario (che non è quello che lo ha venduto al mio cliente); e rispetto all’abuso è scritto:
a)… la chiusura di una loggia utilizzata da anni a fini connessi con quelli abitativi.
b)…. le opere non contrastano in modo rilevante con l’interesse pubblico.
Domande:
n.1) Posso dichiarare che sussiste la Conformità Urbanistica in quanto vi è stata l’irrogazione di una sanzione pecuniaria(art. 13 della L. 765/1967, anche senza la richiesta e il rilascio di una concessione in sanatoria atteso che l’art. n. 41 della legge n.47/1985 prevede la commerciabilità dell’immobile?
n.2) Considerato che in caso di vendita si dovrà dichiarare la difformità avvenuta nel 1970, in contrasto con le dichiarazioni del venditore nell’atto di compravendita del 2004 (rispetto all’inesistenza di opere abusive) possono esserci conseguenze di tipo civile o penale per me e per il mio cliente?

Consulenza legale i 24/10/2018
Per espressa previsione dell’art. 40 della L.47/1985 per le opere iniziate anteriormente al 1 settembre 1967, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo attestante che l'opera risulti iniziata in data anteriore al 1 settembre 1967.
Ciò significa che l’atto di compravendita stipulato nel 2004 ma relativo al fabbricato edificato in data anteriore al 1967 è pienamente valido ed efficace con la sola dichiarazione sostitutiva di atto notorio (senza l’indicazione degli estremi del titolo abilitativo). Ciò da un punto di vista civilistico.
Da un punto di vista amministrativo, invece, è comunque sempre perseguibile un abuso edilizio aldilà della validità ed efficacia dell’atto di trasferimento.

Nel quesito leggiamo che nel 1980 sarebbe stata comminata una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione dell’abuso edilizio.
Ricordiamo che per costante giurisprudenza amministrativa la disciplina prevista dall'art. 34, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (cosiddetta procedura di fiscalizzazione dell'illecito edilizio) non equivale ad una "sanatoria" dell'abuso edilizio, in quanto non integra una regolarizzazione dell'illecito e non autorizza il completamento delle opere realizzate (cfr. sentenza 6 maggio 2001, n. 781, del TAR Veneto).

Ciò posto, in risposta alla prima domanda contenuta nel quesito, si osserva quanto segue.
L’art. 29 comma 1 bis della legge n.52 del 1985 1-bis (così come modificato dalla Legge 122/2010) prevede a pena di nullità per gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, oltre all'identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale.
La predetta dichiarazione può essere sostituita da un'attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale.
Tale normativa prevede quindi come obbligatoria la sola dichiarazione di conformità catastale e non anche a quella urbanistica.
Tuttavia, si rende necessaria anche quest’ultima considerato che la mancanza di un titolo edilizio abilitativo comporta la nullità dell’atto di trasferimento, come dispone l’art. 40 della L.47/85 (il fatto che negli immobili precedenti il 1967 sia sufficiente la dichiarazione -come nel nostro caso – e non anche l’indicazione degli estremi del titolo non significa che un atto avente ad oggetto un immobile abusivo non sia nullo).
Sul punto, la Suprema Corte con sentenza n. 25811 del 2014 ha sottolineato che dalla formulazione della predetta norma sia desumibile: “il principio generale della nullità (di carattere sostanziale) degli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica, cui si aggiunge una nullità di carattere formale per gli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica o per i quali è in corso la regolarizzazione, ove tali circostanze non risultino dagli atti stessi.”
Nel nostro caso, anche volendo ipotizzare che l’abuso posto in essere rientri tra quelli “minori” dal momento che le opere eseguite non contrastavano con il rilevante interesse pubblico, la circostanza che vi era comunque stata l’irrogazione della sanzione pecuniaria a fronte di un intervento edilizio non autorizzato (né sanato) fa propendere per la non conformità urbanistica in quanto occorre dichiarare che sono state riscontrate difformità rispetto ai titoli autorizzativi.
Come sopra specificato, infatti, la corresponsione della sanzione pecuniaria non equivale ad una sanatoria dell’abuso.
L’unico appiglio potrebbe essere quanto statuito da una recente pronuncia della Corte di Cassazione (Sez. V penale n.22200 del 2017) secondo cui “va assolto perché il fatto non sussiste il notaio che non richiama, nell’atto di compravendita immobiliare stipulato, la realizzazione di alcuni interventi edilizi illegittimi laddove, trattandosi di bene commerciabile in quanto costruito prima del 17 marzo 1985 ed oggetto di interventi edilizi minori, l’atto pubblico di compravendita non risulta «proibito dalla legge», in quanto non affetto dal vizio della nullità sancito dall’articolo 46 del T.U. sull’edilizia”.
Tuttavia, essendo tale pronuncia relativa al ruolo del notaio e non essendo un fatto pacifico che si sia trattato di un intervento edilizio minore in via cautelativa la risposta alla prima domanda contenuta nel quesito deve intendersi negativa.
Per inciso, la chiusura di una loggia con creazione di una volumetria senza alcun titolo abilitativo a monte integra un abuso sostanziale. Come ha osservato la Corte di Cassazione: la “veranda è da considerarsi un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire esigenze temporanee e contingenti con la successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell'immobile" (Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 1483 del 15/01/2014).

Quanto alla seconda domanda contenuta nel quesito, nel momento in cui venga dichiarata la difformità non può aversi alcuna conseguenza di tipo penale (che si avrebbe invece in caso dichiarazioni mendaci) sia nei Suoi confronti che nei confronti di quello del Suo cliente.
Dal punto di vista civile, invece, il rischio potrebbe essere che il notaio non stipuli l’atto in presenza di un abuso.
Ma la circostanza che la dichiarazione sia in contrasto con quella fatta nel 2004 dall’allora venditore non può comportare conseguenze a carico dell’odierno proprietario (né del suo tecnico).


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