La questione sottoposta all’esame dei Giudici di legittimità era nata in seguito al rigetto, in appello, della domanda proposta da un lavoratore al fine di ottenere il riconoscimento della natura professionale della malattia di cui era affetto, la quale era stata causata dalla condotta vessatoria tenuta, nei suoi confronti, dal proprio datore di lavoro.
Secondo la Corte territoriale, infatti, non era tutelabile, nell’ambito dell’assicurazione obbligatoria gestita dall’Inail, la malattia non derivante direttamente dalle attività lavorative elencate all’art. 1 del T.U. ass.ne infortuni sul lavoro, bensì da situazioni di cosiddetta “costrittività organizzativa”, come, appunto, il mobbing. A tal fine i Giudici di secondo grado avevano richiamato la sentenza n. 1576/2009 con cui il Consiglio di Stato aveva sostenuto che la malattia professionale, per essere indennizzabile, dovesse rientrare nell’ambito del rischio assicurato ex art. 3 del T.U. ass.ne infortuni sul lavoro, riguardante le sole malattie professionali, tabellate o non tabellate, contratte nell’esercizio e a causa delle attività lavorative specificamente elencate.
Rimasto soccombente, il lavoratore ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo, in particolare, la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1, commi 1 e 4, 3, 4, comma 1, 66 e 74 del Testo Unico sull’assicurazione degli infortuni sul lavoro, D.P.R. n. 1124/1965, nonché dell’art. 13 della l. n. 38/2000, anche in relazione a quanto affermato dalla Corte Costituzionale e dalla stessa Cassazione, con riferimento all’elenco delle malattie professionali aggiornato, approvato con decreto del Ministero del Lavoro in data 11 dicembre 2009.
Sempre in relazione a ciò, il ricorrente lamentava anche una violazione dell’art. 115 del c.p.c., ritenendo che la Corte d’Appello avesse errato nel disconoscere l’indennizzabilità delle malattie psicofisiche derivanti della costrittività organizzativa, sul presupposto che esse non fossero attinenti ad un rischio specifico, tutelabile ai sensi del Testo unico sull'assicurazione degli infortuni sul lavoro, ed osservando, altresì, come lo stesso decreto del Ministero del Lavoro dell’11 dicembre 2009 avesse approvato una nuova tabella, inserendovi espressamente le disfunzioni dell’organizzazione del lavoro, le quali altro non erano che la cosiddetta “costrittività organizzativa”.
La Suprema Corte ha accolto il suddetto motivo di ricorso.
Gli Ermellini hanno, infatti, ritenuto doveroso confermare e consolidare l’orientamento, già espresso in materia dalla stessa giurisprudenza di legittimità, in ossequio al quale la decisione presa dai Giudici di merito, in relazione al caso de quo, non risulta essere in linea con l’ordinamento vigente.
Secondo il costante orientamento della Cassazione in materia di assicurazione sociale, di cui all’art. 1 del T.U. ass.ne infortuni sul lavoro, infatti, “rileva non soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il cd. rischio improprio, ossia non strettamente insito nell’atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa” (cfr. ex multis Cass. Lav., 13882/2016; Cass. Lav., n. 7313/2016; Cass. Lav., n. 27829/2009).
Orientamento, questo, che è stato confermato dagli Ermellini anche con riferimento all’art. 3 del T.U. ass.ne infortuni sul lavoro e alle malattie professionali, estendendo, ad esempio, la protezione assicurativa anche alla malattia riconducibile all’esposizione al fumo passivo di sigaretta, subita dal lavoratore nei luoghi di lavoro, la quale è stata ritenuta meritevole di tutela, non perché dipendente da una prestazione pericolosa in sé e per sé considerata, ma in quanto connessa alla circostanza oggettiva dell’esecuzione di un’attività lavorativa all’interno di un determinato ambiente.
Secondo i Giudici di legittimità, dunque, si può affermare che, nell’ambito del sistema del Testo Unico sull’assicurazione degli infortuni sul lavoro, sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica, la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che esso riguardi la lavorazione, sia che riguardi, invece, l’organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi elevati sia per la sfera fisica che per quella psichica.
Ciò significa, quindi, che ogni forma di patologia che si possa ritenere conseguenza di un’attività lavorativa, risulta assicurata dall’Inail, anche qualora non sia compresa tra le malattie o i rischi tabellati, spettando, in tal caso, al lavoratore, l’onere di dimostrare il solo nesso causale tra l’attività lavorativa e la malattia.
Come osservato dagli stessi Ermellini, tale interpretazione risponde alla ratio stessa della tutela assicurativa, la quale, ai sensi dell’art. 38 Cost., va ricercata, non tanto nella nozione di rischio assicurato o di traslazione del rischio, ma, piuttosto, nella protezione del lavoratore, considerato in quanto persona. Come riconosciuto dalla Corte Costituzionale, infatti, “l’oggetto della tutela dell’art. 38 Cost. non è il rischio di infortuni o di malattia professionale, bensì questi eventi in quanto incidenti sulla capacità di lavoro e collegati ad un nesso causale con attività tipicamente valutata dalla legge come meritevole di tutela” (Corte Cost., n. 100/1991).