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Articolo 609 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447)

[Aggiornato al 30/11/2024]

Cognizione della corte di cassazione

Dispositivo dell'art. 609 Codice di procedura penale

1. Il ricorso attribuisce alla corte di cassazione la cognizione del procedimento limitatamente ai motivi proposti [581, 597].

2. La corte decide altresì le questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del processo e quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello.

Ratio Legis

Il ricorso per Cassazione svolge la funzione di mezzo d'impugnazione ordinario per motivi di diritto avverso sentenze inappellabili o pronunciate in grado d'appello.

Spiegazione dell'art. 609 Codice di procedura penale

Diversamente da quanto accade in relazione alla cognizione del giudice d'appello, in cui egli può decidere su tutte le questioni astrattamente ipotizzabili in merito al punto impugnato, la norma in commento stabilisce che la cognizione della cassazione è limitata ai motivi proposti, i quali potranno essere accolti o meno, e la cui natura è tassativa e delineata dall'articolo 606.

Il secondo comma prevede tuttavia che la corte di cassazione possa altresì decidere in merito alle questioni rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del processo ed in merito a quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in appello.

In merito alla prima categoria, possono ad esempio essere dedotti per la prima volta in cassazione le nullità assolute, insanabili (art. 179), le questioni concernenti l'incompetenza per materia (art. 21 1), l'inammissibilità del sottostante appello (art. 591 4).

Con riguardo alla seconda categoria, rilevano quelle situazioni di sopravvenienza, come ad esempio quando venga dedotto per la prima volta, come motivo di ricorso, il diritto all'istituto della continuazione (v. art. 81 c.p.) rispetto ad un fatto già valutato dai precedenti giudici, quando su tale fatto si è formato il giudicato dopo la decisione di secondo grado. Vengono anche in rilievo le situazioni nuove, quali i mutamenti legislativi, oppure revirement giurisprudenziali, oppure sentenze della Corte Costituzionale.

Massime relative all'art. 609 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 47803/2018

In tema di intercettazioni, l'inutilizzabilità degli esiti delle operazioni captative derivante dalla mancanza di motivazione dei decreti di autorizzazione e di proroga può essere dedotta dalle parti, per la prima volta, nel giudizio di cassazione e rilevata d'ufficio anche dal giudice di legittimità ai sensi dell'art. 609, comma 2, cod. proc. pen. (In motivazione, la Corte ha precisato che l'inosservanza dell'obbligo di motivazione dei decreti autorizzativi integra una inutilizzabilità del risultato delle intercettazioni di carattere assoluto, non sanabile in virtù della richiesta di accesso al rito abbreviato perchè derivante dalla violazione dei diritti fondamentali della persona tutelati dalla Costituzione).

Cass. pen. n. 17235/2018

La questione sulla qualificazione giuridica del fatto rientra tra quelle su cui la Corte di cassazione può decidere ex art. 609 cod. proc. pen. e, pertanto, può essere dedotta per la prima volta in sede di giudizio di legittimità purché l'impugnazione non sia inammissibile e per la sua soluzione non siano necessari accertamenti di fatto.

Cass. pen. n. 14307/2017

L'errore di diritto contenuto nella sentenza di primo grado riguardante le modalità di calcolo della pena, comunque fissata entro i limiti edittali ed in assenza di modifiche normative incidenti sulla determinazione della stessa, non può essere prospettato per la prima volta con ricorso per cassazione, né è rilevabile d'ufficio, ai sensi dell'art. 609, comma secondo, cod. proc. pen., non potendosi ritenere nel suo complesso la pena irrogata all'imputato "illegale". (Nella fattispecie, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso che aveva prospettato per la prima volta e con motivi nuovi l'erronea applicazione della regola di cui all'art. 63, quarto comma, cod. pen. da parte del giudice di primo grado, osservando come si trattasse di questione non rilevabile d'ufficio ma che avrebbe dovuto essere oggetto di doglianza in sede di appello, atteso che, nonostante l'erroneo calcolo dell'aumento effettuato per la recidiva, la pena finale non era comunque diversa, né esorbitante dalla previsione legale).

Cass. pen. n. 12602/2016

L'inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d'ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609 comma secondo, cod. proc. pen., l'estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non rilevata né eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso. (In motivazione la Corte ha precisato che l'art. 129 cod. proc. pen. non riveste una valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità, attribuendo al giudice dell'impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia una regola di giudizio che deve essere adattata alla struttura del processo e che presuppone la proposizione di una valida impugnazione).

Cass. pen. n. 46653/2015

In tema di successione di leggi nel tempo, la Corte di cassazione può, anche d'ufficio, ritenere applicabile il nuovo e più favorevole trattamento sanzionatorio per l'imputato, anche in presenza di un ricorso inammissibile, disponendo, ai sensi dell'art. 609 cod. proc. pen., l'annullamento sul punto della sentenza impugnata pronunciata prima delle modifiche normative "in melius".

Cass. pen. n. 33040/2015

Nel giudizio di cassazione l'illegalità della pena conseguente a dichiarazione di incostituzionalità di norme riguardanti il trattamento sanzionatorio è rilevabile d'ufficio anche in caso di inammissibilità del ricorso, tranne che nel caso di ricorso tardivo. (Nella fattispecie la dichiarazione di incostituzionalità, intervenuta con la sentenza n. 32 del 2014, riguardava il trattamento sanzionatorio introdotto per le cosiddette "droghe leggere" dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49).

Cass. pen. n. 47766/2015

Nel giudizio di cassazione, l'illegalità della pena non è rilevabile d'ufficio in presenza di un ricorso inammissibile perchè presentato fuori termine.

Cass. pen. n. 4986/2015

Il giudice di legittimità può rilevare d'ufficio la prescrizione del reato maturata prima della pronunzia della sentenza impugnata, non rilevata dal giudice d'appello, pur se non dedotta con il ricorso per cassazione e nonostante l'inammissibilità di quest'ultimo, ma solo se, a tal fine, non occorre alcuna attività di apprezzamento delle prove finalizzata all'individuazione di un "dies a quo" diverso da quello indicato nell'imputazione contestata e ritenuto nella sentenza di primo grado.

Cass. pen. n. 18693/2014

Nel giudizio di cassazione è rilevabile di ufficio, anche in caso di inammissibilità del ricorso, la nullità sopravvenuta della sentenza impugnata nel punto relativo al trattamento sanzionatorio in conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma attinente alla determinazione della pena. (Fattispecie in cui il giudice di merito, all'esito del giudizio abbreviato, aveva inflitto una pena che si collocava nel minino edittale del trattamento sanzionatorio previsto dall'art. 73 d.P.R. 309 del 1990, coincidente con il massimo edittale previsto dalla medesima norma all'epoca della decisione di legittimità, per effetto della sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità di cui alla sentenza n. 32/2014, applicabile al caso di specie in quanto disciplina più favorevole. Conf. non massimate 6108/14 e 6110/14).

Cass. pen. n. 3763/2014

La Corte di Cassazione può accedere alla riqualificazione giuridica del fatto, se sia stato presentato un motivo nuovo dell'imputato sul punto, pur non enunciato in appello, purché entro i limiti in cui esso sia stato storicamente ricostruito dai giudici di merito. (Fattispecie, nella quale la Corte ha ritenuto di non poter procedere alla richiesta, avanzata per la prima volta dal Procuratore Generale di udienza, di derubricazione del reato di cui all'art. 20 bis, comma secondo, L. 18 aprile 1975 n. 110, in quello di cui all'art. 20 comma primo L. cit., in quanto il giudice del merito aveva argomentato in relazione al solo reato di cui all'art. 20 bis l. cit., non dando spazio ad una diversa interpretazione del medesimo fatto).

Cass. pen. n. 44667/2013

La violazione del principio di legalità della pena è rilevabile d'ufficio anche nel giudizio di cassazione a condizione che il ricorso non sia inammissibile e l'esame della questione rappresentata non comporti accertamenti in fatto o valutazioni di merito incompatibili con il giudizio di legittimità. (Fattispecie in cui la Corte ha rilevato l'illegittimità della pena, per essere stata la riduzione del giudizio abbreviato applicata senza effettuare il previo temperamento previsto dall'art. 78 cod. pen.).

Cass. pen. n. 47071/2009

In tema di mandato d'arresto europeo, è applicabile anche al ricorso per cassazione di cui all'art. 22 L. 22 aprile 2005, n. 69 la disposizione dell'art. 609 c.p.p. che limita la cognizione della corte di cassazione ai motivi proposti e alle questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del processo, nonché a quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello. (Fattispecie in cui il ricorrente aveva sollevato solo all'udienza in cassazione la questione del rifiuto della consegna per la stabile dimora acquisita in Italia).

Cass. pen. n. 37648/2006

L'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto d'impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di applicare, ex art. 609 comma secondo c.p.p., la norma penale più favorevole. (Nella specie, in materia di disciplina degli stupefacenti, la Corte ha escluso l'applicabilità dello ius superveniens più favorevole, rappresentato dall'art. 4 bis del D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, che ha ridotto da otto a sei anni di reclusione il minimo edittale previsto per il reato di cui all'art. 73 comma primo D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309).

Cass. pen. n. 119/2005

L'imputato che intenda eccepire la nullità assoluta della citazione o della sua notificazione, non risultante dagli atti, non può limitarsi a denunciare la inosservanza della relativa norma processuale, ma deve rappresentare al giudice di non avere avuto cognizione dell'atto e indicare gli specifici elementi che consentano l'esercizio dei poteri officiosi di accertamento da parte del giudice.

Cass. pen. n. 36028/2004

In tema di patteggiamento in appello (art. 599, comma quarto, c.p.p.), il giudice, nell'accogliere la richiesta delle parti, non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento per taluna delle cause previste dall'art. 129 c.p.p., in quanto, in virtù dell'effetto devolutivo, una volta che lo stesso imputato abbia rinunciato ai motivi di impugnazione, la cognizione è limitata esclusivamente ai motivi non rinunciati, riguardanti proprio il regime sanzionatorio; tuttavia, il giudice deve rilevare l'eventuale sussistenza delle condizioni che impongano il proscioglimento dell'imputato, dando atto della verifica a tal fine compiuta con sintetica enunciazione. Ne consegue che la doglianza relativa alla mancata applicazione dell'art. 129 c.p.p. non può risolversi in una denuncia di mera omissione formale o di genericità di tale delibazione, ma deve contenere necessariamente l'indicazione di elementi concreti che, ove rettamente considerati e valutati, avrebbero condotto ad una declaratoria d'ufficio di proscioglimento. (Nella specie la S.C. ha ritenuto corretta l'espressione adottata dal giudice di merito «non sussistono i presupposti per l'applicazione dell'art. 129, comma secondo, c.p.p.»).

Cass. pen. n. 31123/2004

La violazione del divieto di bis in idem è questione di fatto, riservata alla valutazione del giudice di merito, e non può essere dedotta per la prima volta davanti al giudice di legittimità, a meno che ratione temporis non fosse stato possibile dedurla in grado di appello perchè la sentenza di riferimento era passata in giudicato dopo quel giudizio.

Cass. pen. n. 24731/2004

La Corte di cassazione può applicare le sanzioni sostitutive previste dall'art. 53 Legge 689/81 in virtú della disciplina transitoria introdotta dall'art. 5 comma terzo Legge 134/2003, ma non può travalicare i limiti posti dalla legge alla cognizione del giudice di legittimità e, in particolare, revocare la sospensione condizionale applicata dal giudice di merito.

Cass. pen. n. 24661/2004

È rilevabile d'ufficio in sede di giudizio di legittimità ex articolo 609, comma secondo, c.p.p., l'illegittima applicazione di una pena non più prevista dall'ordinamento. (Fattispecie nella quale la Corte, nell'esaminare un ricorso proposto dall'imputato per difetto di motivazione avverso una sentenza emessa ex articolo 444 c.p.p. per il reato di cui all'articolo 187, comma quarto, c.s., ha rilevato d'ufficio l'illegittimità dell'applicazione della pena congiunta dell'arresto e dell'ammenda, in violazione dell'articolo 2, comma terzo, c.p., espressamente richiamato dall'articolo 64 D.L.vo n. 274/2000).

Cass. pen. n. 11851/2004

L'applicazione dell'indulto può essere proposta nel giudizio di legitimità soltanto nel caso in cui il giudice di merito lo abbia preso in esame e lo abbia risolto negativamente, escludendo che l'imputato abbia diritto al beneficio, e non invece, quando abbia omesso di pronunciarsi, riservandone implicitamente l'applicazione al giudice dell'esecuzione. Ne consegue che, allorchè non risulta richiesta, nelle fasi di merito, l'applicazione dell'indulto, la questione non è deducibile in cassazione.

Cass. pen. n. 16965/2003

In virtù del disposto di cui all'art. 609, comma 2, c.p.p., il giudice di legittimità decide anche sulle questioni rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, al di fuori di quelle proposte con i motivi di ricorso; ma tale principio non opera nell'ipotesi di concordato in appello allorquando le dette questioni siano state oggetto di motivi rinunciati, sebbene poi riproposti, nonostante la rinuncia, in sede di legittimità, in quanto nel vigente sistema processuale, avente i caratteri del sistema accusatorio, l'art. 599, comma 4, c.p.p. conferisce al potere dispositivo delle parti un effetto irretrattabile sull'ambito di cognizione del giudice di legittimità.

Cass. pen. n. 159/2001

In tema di ricorso per cassazione, è affetta da genericità la censura con la quale la parte eccepisce l'inutilizzabilità di un atto, senza dedurne, al tempo stesso, la rilevazione probatoria, nel contesto degli altri elementi di prova. (Fattispecie nella quale la difesa dell'imputato si è limitata a sostenere la inutilizzabilità di uno tra i molti verbali di interrogatorio, resi da un collaboratore di giustizia).

Cass. pen. n. 12/2000

In tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno; ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell'intelletto costituente un sistema logico in sé compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza in sé e per sé considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è «geneticamente» informata, ancorché questi siano ipoteticamente sostituibili da altri.

Cass. pen. n. 24/1999

L'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento.

Cass. pen. n. 13063/1998

Il problema dell'applicazione dell'indulto non può essere dedotto per la prima volta in sede di legittimità, in quanto la Corte può essere investita della relativa applicazione solo nel caso in cui il giudice di merito abbia rigettato o soltanto parzialmente accolto la richiesta all'uopo formulatagli.

Cass. pen. n. 1488/1998

L'abnormità è rilevabile di ufficio anche in sede di legittimità quando essa incida in termini essenziali sul thema decidendum devoluto alla Corte. (Fattispecie in cui il ricorso del P.M. riguardava solo la violazione dell'art. 521, comma 2, c.p.p. sotto il profilo che il concorso dell'imputato con ignoti non modifica la contestazione originaria).

Cass. pen. n. 3107/1997

La possibilità della Corte di cassazione di decidere, ai sensi dell'art. 609, comma secondo, c.p.p., le questioni rilevabili d'ufficio presuppone che l'impugnazione investa la sentenza nelle sue statuizioni penali, e pertanto va esclusa quando l'impugnazione medesima riguarda esclusivamente l'omessa pronuncia in ordine ad una sanzione amministrativa, dal momento che in tal caso gli aspetti penali della vicenda sono interamente coperti dal giudicato. (Nella fattispecie è stata esclusa la possibilità di dichiarare d'ufficio la prescrizione di uno dei reati contravvenzionali in quanto la sentenza di patteggiamento era stata impugnata esclusivamente per l'omessa pronuncia dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo).

Cass. pen. n. 9283/1997

Il principio secondo cui in Cassazione è possibile accertare e dichiarare la prescrizione del reato, pur se l'appello ed il successivo ricorso siano stati proposti per motivi diversi, è applicabile nel caso in cui la data di consumazione sia già processualmente certa, e non quando la relativa contestazione venga sollevata per la prima volta davanti al giudice di legittimità, perché ciò implicherebbe l'indagine su una questione di fatto preclusa in quella sede.

Cass. pen. n. 10301/1996

In Cassazione è possibile accertare e dichiarare la prescrizione del reato anche se l'appello ed il successivo ricorso siano stati proposti solo per motivi attinenti all'entità della pena e non della responsabilità dell'imputato. In tal caso, infatti, non si è formato il giudicato, ma solo una preclusione processuale derivante dall'effetto devolutivo dell'appello e dai limiti di detto principio in sede di legittimità.

Cass. pen. n. 10218/1996

Nell'ipotesi in cui l'importo dovuto per l'oblazione speciale di cui all'art. 162 bis c.p. sia stato erroneamente fissato secondo le modalità dell'oblazione ordinaria, la Corte di cassazione non può, neppure a seguito del ricorso del pubblico ministero, rideterminare la somma, poiché per l'applicazione dell'art. 162 bis citato è necessario svolgere l'accertamento circa la sussistenza delle molteplici condizioni stabilite dalla norma, demandato soltanto al giudice di merito.

Cass. pen. n. 9850/1996

In tema di cognizione della Corte di cassazione, all'applicazione della causa estintiva del reato non è di ostacolo la circostanza che il ricorrente ha limitato le sue doglianze alla mancata concessione dei chiesti benefici. Infatti, l'art. 609, comma secondo, c.p.p., sancisce espressamente che la Corte di cassazione decide «altresì», e cioè quali che siano i motivi dedotti in ricorso, le questioni rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del processo, per cui essa è tenuta ad applicare la causa estintiva del reato, quali che siano le doglianze del ricorrente, poiché l'art. 129 c.p.p. impone che le cause di non punibilità vanno dichiarate con sentenza anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo.

Cass. pen. n. 4363/1995

Avuto riguardo, da un lato, al disposto di cui all'art. 609, comma 2, c.p.p. (in base al quale la cognizione della Corte di cassazione si estende alle questioni - s'intende di legittimità - non proponibili all'atto della presentazione del ricorso), dall'altro lato al principio stabilito dall'art. 299, comma 1, c.p.p., secondo il quale il giudice deve, in ogni stato e grado del procedimento, verificare la persistenza delle condizioni atte a legittimare la privazione della libertà personale, anche la Corte di cassazione, in presenza di una modifica legislativa che incida sulle condizioni anzidette in senso favorevole all'interessato, deve affrontare la questione, comunque venga sollecitata a farlo, e pur non potendo, dati i limiti del suo sindacato, compiere sul punto valutazioni inibitele dalla legge, ha nondimeno l'obbligo di devolvere la soluzione del problema al giudice competente, annullando in tutto od in parte il provvedimento sottoposto al suo esame. (Principio affermato in relazione a ricorso - peraltro rigettato per diverse ragioni - proposto avverso ordinanza applicativa di misura cautelare per reato compreso fra quelli di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p., prima della modifica di tale norma introdotta dall'art. 5 della L. 8 agosto 1995 n. 332, in forza della quale quel reato rimaneva escluso dall'ambito di operatività della norma stessa).

Cass. pen. n. 8276/1995

Il comma 2 dell'art. 609, ultima parte, del vigente codice di rito conferisce alla Corte di cassazione la facoltà di decidere anche le questioni non dedotte nei motivi di appello, la cui deducibilità sia divenuta possibile solo successivamente; tale facoltà si riferisce a nuove questioni di diritto che sorgano per ius superveniens ovvero per circostanze - non emerse prima - che abbiano un'indubbia valenza di legittimità sul piano della congruità della motivazione.

Cass. pen. n. 7985/1994

Sussiste violazione del divieto di novum nel giudizio di legittimità quando siano per la prima volta prospettate in detta sede questioni coinvolgenti valutazioni in fatto, mai prima sollevate ovvero siano dedotti motivi di censura attinenti capi e/o punti della decisione ormai intangibili per non essere investiti da tempestiva doglianza nella fase di merito e, perciò, assistiti dalla presunzione di conformità al diritto.

Cass. pen. n. 1711/1994

La violazione del principio di legalità della pena è rilevabile dalla Cassazione anche d'ufficio pur se non dedotta nei motivi di impugnazione. (Fattispecie in cui il pretore aveva emesso, sull'accordo delle parti, sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 678 c.p., considerando quale pena base per tale reato quella di un mese di arresto; la Cassazione, adita a seguito di ricorso del pubblico ministero concernente profili diversi da quello dell'entità della pena, ha, in applicazione del principio di cui in massima, annullato la decisione gravata sul rilievo che il minimo edittale della pena prevista per il reato in questione è di tre mesi di arresto, in conseguenza della modifica introdotta dall'art. 34 L. 18 aprile 1975 n. 110).

Cass. pen. n. 5398/1994

La facoltà attribuita alla Corte di cassazione dall'art. 609, secondo comma, c.p.p., di decidere anche le questioni non dedotte nei motivi di appello la cui deducibilità sia divenuta possibile solo successivamente, si riferisce esclusivamente a questioni di solo diritto che sorgano per jus superveniens ovvero in relazione a circostanze non emerse prima, che però siano pur sempre di diritto.

Cass. pen. n. 1238/1994

Il potere-dovere di decidere «le questioni rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del processo e quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello», attribuito alla Corte di cassazione dall'art. 609, secondo comma, c.p.p., presuppone che la stessa Corte sia stata comunque legittimamente investita di gravame, per cui l'esercizio di detto potere-dovere non può aver luogo nei casi di originaria inammissibilità del ricorso, dovendosi in tali casi considerare il provvedimento gravato come non impugnato.

Cass. pen. n. 8433/1993

Le questioni di diritto possono essere per la prima volta sollevate in Cassazione, che ha l'obbligo di pronunciarsi sulle medesime. Deve però trattarsi di deduzioni di pura legittimità, che non necessitino di alcun accertamento in punto di fatto. Nell'ipotesi in cui la doglianza presupponga invece una indagine di merito, non richiesta nei gradi di giudizio precedenti, né prospettata in appello neppure sotto il profilo giuridico, la doglianza non è più proponibile.

Cass. pen. n. 4821/1992

Il c.d. «patteggiamento» non comporta ammissione di colpevolezza né costituisce richiesta di condanna, l'una non potendosi ritenere e l'altra ammettere senza un giudizio formale di accertamento e altresì senza le normali conseguenze (spese processuali, pene accessorie, efficacia nei giudizi civili o amministrativi) espressamente escluse dall'art. 445 c.p.p.; esso costituisce però, impegno ad accettare ed eseguire — salvo il caso di sospensione condizionale — la sanzione concordata con il pubblico ministero e ritenuta equa dal giudice, con rinuncia ad ogni questione od obiezione di qualsiasi natura. Pertanto non è possibile proporre al giudice dell'impugnazione eccezioni che sono state superate dall'applicazione della pena richiesta, né devolvere allo stesso il potere di conoscerne; soltanto su quelle rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del dibattimento egli può pronunciarsi in ogni caso, anche indipendentemente da una doglianza sul punto, ai sensi dell'art. 609, comma 2 c.p.p., disposizione che, costituendo un'eccezione al principio di devoluzione è insuscettibile di estensione.

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