Gli articoli dal
706 al
710 c.p.c. disciplinano il procedimento di separazione giudiziale che, insieme a quello di
separazione consensuale di cui all’
art. 711 del c.p.c. costituisce una delle due possibili forme di
separazione personale dei coniugi.
Entrambi i procedimenti hanno carattere costitutivo necessario, poichè consentono una modifica di
status non altrimenti raggiungibile.
E’ stato osservato che sia la separazione giudiziale che quella consensuale presentano, nella fase introduttiva e nella c.d. fase presidenziale, forme procedimentali simili, le quali si diversificano solo in un momento successivo, dando luogo ad un procedimento di
volontaria giurisdizione nel caso della separazione consensuale e ad un giudizio contenzioso (appartenente ai procedimenti di cognizione speciali a carattere non sommario) nella separazione giudiziale.
Il procedimento contenzioso di separazione giudiziale prende avvio solo con l'udienza davanti al
giudice istruttore, nel corso della quale alla costituzione del coniuge
convenuto e alla trattazione del giudizio si applicano le norme del procedimento ordinario.
Si ritiene che le disposizioni contenute nella norma in esame debbano trovare applicazione anche nel caso della separazione consensuale, sia perchè l’
art. 711 del c.p.c. è privo di riferimenti alla
competenza per territorio sia perchè la nuova formulazione della norma in esame fa riferimento alla “
domanda di separazione personale” senza operare ulteriori specificazioni o rinvii.
Il 1° co. attribuisce la competenza al tribunale del luogo dell'ultima
residenza comune dei coniugi, prevedendo, in mancanza, l'applicazione del criterio della residenza o domicilio del coniuge convenuto; il secondo comma, invece, disciplina le ulteriori ipotesi legate all'eventualità che il coniuge convenuto sia residente all'estero o sia irreperibile.
Se il coniuge convenuto è residente in Italia, occorre ulteriormente distinguere a seconda che i coniugi abbiano avuto una residenza comune prima del giudizio o se questa sia mancata (dovendosi intendere, con tale espressione, che sia mancata
ab origine).
Il criterio residuale della competenza del tribunale del luogo di residenza del coniuge convenuto, quindi, trova applicazione solo nel caso in cui i coniugi non abbiano mai avuto una residenza comune, essendo irrilevante che, al momento della proposizione del giudizio, essi vivano separati già da anni e abbiano diverse residenze.
In particolare, l'ultima residenza comune dei coniugi viene individuata nel luogo ove si trova la c.d. casa coniugale, espressione con cui si individua, in base ad una
presunzione semplice, la dimora abituale di tutti i componenti la famiglia.
Si ritiene che, nonostante il riferimento alla nozione prettamente giuridica di residenza, la
ratio della scelta del legislatore debba individuarsi nella volontà di radicare il processo nel "
luogo maggiormente vicino alla vita matrimoniale"; pertanto, in ipotesi di difformità della
residenza anagrafica con il luogo di effettivo svolgimento della vita matrimoniale, il criterio da privilegiare dovrebbe essere comunque quest'ultimo.
Qualora il coniuge convenuto sia residente all'estero o risulti irreperibile, il 2° co. della norma in commento distingue a seconda che il coniuge attore sia residente in Italia o all'estero.
Nel primo caso, sussiste la competenza del giudice del luogo di residenza o di domicilio del coniuge ricorrente.
Qualora il coniuge convenuto sia residente all'estero o risulti
irreperibile ed anche il ricorrente sia residente all'estero, il 2° co. precisa che la domanda può essere portata alla cognizione di qualsiasi tribunale della Repubblica.
Il primo elemento necessario per la validità del ricorso introduttivo è la completa identificazione dei coniugi.
La norma, nella sua nuova formulazione, si limita adesso a prescrivere che il ricorso debba contenere “
l'esposizione dei fatti sui quali la domanda è fondata”.
Nessun riferimento viene fatto all'indicazione dei
mezzi di prova, né alla formulazione delle conclusioni; il termine ultimo per indicarli, infatti, ai sensi del terzo comma dell'
art. 709 del c.p.c., che espressamente richiama il n. 5 dell’
art. 163 del c.p.c., è quello del deposito della memoria integrativa, che deve essere depositata in
cancelleria anteriormente all'udienza di
comparizione e trattazione davanti al
giudice istruttore.
In tal modo si rafforza il carattere prevalentemente conciliativo dell'udienza presidenziale, mentre la specificazione di domande accessorie e conclusioni viene rinviata, qualora il
tentativo di conciliazione non dovesse avere esito positivo, alla fase contenziosa, che prende avvio con l'udienza dinanzi il giudice istruttore.
Il fatto costitutivo della domanda di separazione è rappresentato dall'intollerabilità della prosecuzione della convivenza o dal grave pregiudizio per la prole.
Tuttavia, nulla vieta che il coniuge ricorrente indichi in modo esaustivo i motivi della propria richiesta già nel ricorso introduttivo, essendo tale rappresentazione funzionale a consentire al presidente del tribunale di espletare il tentativo di conciliazione, nonché di emanare i
provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse dei coniugi e della prole.
La riforma ha introdotto espressamente al 3° co. la necessità di indicare nel ricorso “
l'esistenza di figli legittimati o adottati da entrambi i coniugi durante il matrimonio”, prevedendo che debbano essere allegate le ultime dichiarazioni dei redditi presentate (prescrizione che riproduce sostanzialmente il disposto dell' art. 4 legge sul divorzio).
Per quanto concerne l'allegazione delle dichiarazioni dei redditi, è stato osservato che tale disposizione può interpretarsi in due modi diversi, nel senso che i coniugi possano limitarsi a presentare ciascuno la propria ultima dichiarazione dei redditi, oppure che essi siano tenuti a depositare quelle relative agli ultimi anni.
L'
70, 1° co., n. 2 c.p.c. prevede l'intervento obbligatorio del P.M. nelle cause di separazione, intervento che, secondo la tesi prevalente, si rende necessario soltanto nel procedimento successivo alla fase presidenziale.
Il P.M. può esercitare i poteri di cui al secondo comma dell’
art. 72 del c.p.c.; tra le facoltà del PM vi sono quelle di deduzione di prove ed allegazione di fatti comprovanti le esigenze della parte pubblica, di produzione documentale nonché quella di prendere conclusioni ma solo nel limite delle domande e delle eccezioni delle parti (si esclude che il PM possa formulare la richiesta di
addebito della separazione).
L'inosservanza di tale disposizione è causa di nullità del procedimento.
La domanda introduttiva può anche contenere domande accessorie relative, ad esempio, all'affido dei figli, alla condanna al mantenimento ex
art. 156 del c.c., all'inibizione nei confronti della moglie di usare il cognome del coniuge ex
art. 156 bis del c.c..
Sussistono incertezze in merito alla possibilità di formulare nel giudizio di separazione domande restitutorie di beni personali.
A questo giudizio si applicano le disposizioni in tema di esenzione fiscale dettate in materia di divorzio, esenzione che oggi viene estesa anche al contributo unificato per l'iscrizione a ruolo, come implicitamente si ricava dall'art. 10 DPR 115/2002 (la gratuità del giudizio sembrerebbe estendersi anche ai trasferimenti patrimoniali oggetto di domande accessorie e previsti da specifici capi della sentenza).
Circa l’individuazione del momento di produzione degli effetti sostanziali e processuali della domanda, secondo la tesi prevalente il giudizio è pendente dal deposito del ricorso introduttivo, atto che realizza la costituzione in giudizio del ricorrente, del quale pertanto non è configurabile la
contumacia.
Secondo altra tesi, invece, il deposito è inidoneo a realizzare la costituzione del ricorrente, che si perfezionerebbe solo a seguito dell'udienza presidenziale, nel termine assegnato dal presidente.
Con il deposito del ricorso in cancelleria si determina l'iscrizione della causa al ruolo generale degli affari contenziosi civili e quindi l'obbligo per il cancelliere, ex
art. 36 delle disp. att. c.p.c. di formare contestualmente il fascicolo d'ufficio.
Il 3° co. stabilisce che il presidente, nei cinque giorni successivi al deposito in cancelleria, fissa con decreto in calce al ricorso la data dell'udienza di comparizione dei coniugi dinanzi a sé e stabilisce un termine per la
notificazione del ricorso e del decreto.
Si prevede che l'udienza di comparizione debba comunque essere tenuta entro novanta giorni dal deposito del ricorso e che il presidente debba altresì assegnare un termine “
entro cui il coniuge convenuto può depositare memoria difensiva e documenti”.
Con tali disposizioni si tende sostanzialmente ad abbreviare i tempi necessari per la trattazione della fase presidenziale, in quanto viene espressamente indicato sia il termine entro il quale il presidente deve fissare l'udienza, sia il termine massimo che deve intercorrere tra la notificazione del ricorso e del decreto ed il giorno dell'udienza presidenziale.
Si tratta, tuttavia, di termini non perentori ma ordinatori, il cui mancato rispetto non comporta l'irrogazione di sanzioni.
Sia il ricorso che il decreto di fissazione dell'udienza presidenziale devono essere notificati all'altro coniuge a cura del ricorrente ai sensi delle ordinarie norme in tema di notificazione di cui agli artt.
137 e ss. c.p.c.
Si esclude che il coniuge ricorrente possa assumere la veste di consegnatario, in qualità di
persona di famiglia, della notificazione eseguita ai sensi del secondo comma dell’
art. 139 del c.p.c. presso la residenza del coniuge convenuto.
Il coniuge convenuto non è soggetto all'onere di costituzione in giudizio fin dall'udienza presidenziale, ma può, nel termine concesso dal presidente, depositare una
memoria difensiva.
Il presidente è chiamato a verificare la ritualità della notifica del ricorso e del decreto di fissazione d'udienza al coniuge resistente, ed eventualmente a disporne la rinnovazione ai sensi dell'
art. 291 del c.p.c..
Il mancato rispetto del termine fissato dal presidente per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione di udienza, in difetto di espressa sanzione, non determina la nullità del ricorso, ma implica, al contrario, la concessione di un nuovo termine, funzionale al rispetto del principio del
contraddittorio.
Il vizio di nullità/inesistenza della notificazione del ricorso e del decreto non può ritenersi sanato per effetto della successiva costituzione del coniuge resistente dinanzi al G.I.