Le disposizioni contenute in questo articolo riguardano la revoca del legato per alienazione o trasformazione della cosa che ne forma oggetto, e sono ispirate alle disposizioni contenute nell'art. #892# del vecchio codice del 1865.
Anche queste sono ipotesi di revoca tacita, sostenuta, a fini probatori, da una presunzione iuris tantum. A questo proposito è da rilevare che, mentre l’art. 686 ultimo comma ammette esplicitamente la prova di una diversa volontà del testatore, tale prova non era ammessa - o almeno non lo era espressamente - dall’art. #892# codice 1865: e dunque, in sostanza, sotto la vigenza della legislazione abrogata, si poteva parlare piuttosto di revoca (legalmente) presunta: ciò implicava un’impostazione più formalistica delle varie questioni, tanto che dottrina e giurisprudenza si muovevano con difficoltà nelle strettoie delle esigenze formalistiche, quando volevano attingere a motivi di sostanza. Tuttavia, non sono state risolte né superate diverse questioni alle quali aveva dato luogo l’interpretazione del testo precedente, e delle quali si farà un breve cenno.
Anzitutto, è chiaro che la revoca di cui all’art. 686 riflette solo i legati di specie e cose determinate, perché se si tratta di legato di quantità, di somme di denaro, il legato rimane valido ancorché tali quantità o somme non si trovino, al tempo della morte, nel patrimonio del testatore, giacché quelle quantità o somme non possono dirsi l’oggetto specifico del legato, salvo se si tratti di legato di quantità o di somme indicate in relazione ad un determinato luogo.
Qualche dubbio ha suscitato e suscita l’alienazione condizionata. È da osservare che dovrebbe essere trattata alla stregua della condizione sospensiva e di quella risolutiva: se si ritiene che esse influiscano sulla validità del negozio, esso dovrà considerarsi invalido ab initio, sia che manchi la condizione sospensiva, sia che si verifichi la condizione risolutiva; e allora, se l'attuale legislazione, a differenza di quella precedente, toglie efficacia all’alienazione annullabile per vizio di consenso, a fortiori devono ritenersi prive di efficacia, ai fini della revoca, le alienazioni invalide o nulle. Se, invece, si ritiene che la condizione influisca soltanto sull'efficacia del negozio, allora si può affermare che la legge non ha riguardo agli effetti della alienazione, ma all’alienazione in sé e per sé considerata. Ciò che, per altro, poteva meglio valere sotto la vigenza della legislazione precedente, che si fondava sulla presunzione legale assoluta; ma non tranquillizza del tutto nel nuovo sistema, che ammette l’indagine sulla diversa volontà del testatore. Ma tuttavia, a sostegno della tesi enunciata, potrebbe farsi valere la seguente considerazione: mancando la prova della volontà diversa del testatore, è accertato che egli ha voluto alienare, ed ha pure voluto efficacemente alienare; se, poi, l’alienazione non ha raggiunto il suo obiettivo, ciò non è dipeso dalla volontà del testatore, o almeno non direttamente da essa, ma dal fatto oggettivo in che si è concretato il venir meno della condizione sospensiva o il verificarsi della condizione risolutiva.
È stato implicitamente affermato che, secondo la nuova legge,
l’alienazione nulla per qualsiasi causa (mancanza di consenso, di forma ecc.)
non produce revoca; e ciò perché la legge toglie efficacia anche all’alienazione soltanto annullabile, per vizio della volontà dell’alienante. Bisogna aggiungere che, impropriamente, l’art. 686 adopera l’espressione “
vizi del consenso”, la quale, nella sua formulazione generica (consenso è la sintesi delle volontà contrattuali di entrambe le parti), potrebbe far supporre che si potesse escludere la revoca anche quando fosse viziata la volontà dell’acquirente, e non quella dell’alienante. È evidente, invece, che si debba accedere all’
interpretazione restrittiva, perché la revoca può aver luogo solo in quanto l’alienazione possa far presumere una volontà di revocare nel testatore alienante, ed essa perciò non ha luogo, quando la volontà del testatore sia viziata; ma non può avere influenza alcuna, per l’esclusione della revoca, l’accertamento di un vizio del volere dell’acquirente. Questo potrà condurre all’annullamento del negozio, e la cosa potrà ritornare in proprietà del testatore: ma ciò non sarà sufficiente, per espressa disposizione della legge, né a togliere di mezzo la revoca, né a fare rivivere la disposizione revocata, se non intervenga una nuova disposizione.
È dubbio se possa considerarsi come un’alienazione (eventuale e indiretta) la concessione d’ipoteca e la costituzione in pegno. Parrebbe, però, si debba accedere alla soluzione negativa, anche senza affrontare la questione se la costituzione di un diritto reale di garanzia possa considerarsi come alienazione (eventuale e indiretta), per la seguente considerazione: la legge non considera oggettivamente ed esclusivamente il fatto dell’alienazione (del quale, quindi, l’interprete debba limitarsi a determinare i limiti e a fissare l’ambito), ma considera l'alienazione come fatto concludente dal quale si deve dedurre l’esistenza di una volontà di revoca del testatore; ora, se il testatore costituisce un pegno o dà ipoteca sulla cosa legata, non vuole certo alienarla, ma soltanto concedere una garanzia al suo creditore, il quale potrà far vendere la cosa vincolata, solo se il credito non venga soddisfatto, e coattivamente. Ora, è noto che può considerarsi come revoca soltanto l’alienazione volontaria della cosa legata (l’alienazione che faccia il testatore, a sensi dell’art. 686), non già il trasferimento coattivo di essa.
La costituzione di un diritto reale di godimento (servitù prediale, diritto di usufrutto, uso o abitazione) non può considerarsi certamente come alienazione, o per lo meno, non come alienazione totale, dal momento che essa lascia in vita il legato, col nuovo onere che si è venuto a costituire. Lo stesso dicasi per la costituzione di un diritto enfiteutico: il legato sarà ridotto al dominio diretto sulla cosa, anziché alla proprietà piena.
Per quanto riguarda la revoca per trasformazione della cosa legata, l’art. 686 comma 2 riproduce fedelmente la disposizione contenuta nell’art. #892#, comma 2 del vecchio codice del 1865. È affidato al prudente arbitrio del giudice il decidere nei singoli casi concreti se si abbia una trasformazione sostanziale che possa lasciar presumere la volontà di revocare il legato.