Cass. civ. n. 24214/2019
In tema di associazioni non riconosciute, gli organi legittimati ad esprimere la volontà dell'ente permangono in carica, in applicazione analogica dell'art. 2385 c.c. e salvo che sia diversamente stabilito dallo statuto o dall'assemblea, fino alla sostituzione dei loro componenti, dovendosi presumere che tale "perpetuatio" sia conforme all'interesse dei membri di dette associazioni perché volta a consentire il normale funzionamento delle stesse. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che il soggetto al quale era stato conferito il potere di agire in giudizio in nome di un'associazione sindacale non decadesse automaticamente dall'incarico allo scadere del periodo per il quale era stato nominato, in assenza di norme statutarie o delibere assembleari che disponessero in maniera differente).
Cass. civ. n. 21563/2008
I poteri di rappresentanza dell'amministratore di società di capitale cessano per effetto di un valido atto di rinuncia, senza che si renda a tal fine necessaria, salvo specifico patto, la sussistenza di una giusta causa o l'accettazione di quell'atto da parte dei soci. L'art. 2385 cod. civ., infatti, a differenza dell'art. 2383, dettato per l'ipotesi di revoca dell'amministratore, non contempla fra i presupposti della rinuncia l'esistenza di una giusta causa e tale esclusione non prospetta nessuna violazione grave di principi generali, né alcuna ingiustificata carenza di tutela per la società, il cui interesse alla continuità dell'attività gestoria può facilmente essere soddisfatto con l'immediata sostituzione dell'amministratore; sicché deve escludersi la necessità di far ricorso all'applicazione analogica dell'art. 1720 cod.civ.
Cass. civ. n. 25944/2007
In tema di rimozione delle cause di ineleggibilità alla carica di consigliere regionale da parte di un amministratore con funzioni di rappresentanza di ente o di azienda dipendente dalla Regione, non si applica l'art. 2385 c.c., il quale prescrive la comunicazione delle dimissioni anche al presidente del collegio sindacale, in quanto la norma è dettata per le dimissioni degli amministratori di società di diritto privato e non è perciò riferibile anche all'ipotesi di dimissioni rese da amministratore di un ente pubblico.
Cass. civ. n. 8912/2003
In tema di cessazione degli amministratori di società, il secondo comma dell'art. 2385 c.c. non è norma limitativa delle loro attribuzioni nel periodo di proroga; deve pertanto escludersi che i compiti di gestione di detti amministratori siano circoscritti, in tale periodo, agli atti di ordinaria amministrazione.
Cass. civ. n. 8612/1997
Il principio di diritto secondo il quale al componente del consiglio di amministrazione di una società va riconosciuta la facoltà di permanenza in carica, nonostante la scadenza del suo mandato, fino a quando non siano stati sostituiti tutti gli altri componenti del consiglio medesimo non è rinvenibile in alcuna delle norme stabilite dall'ordinamento in tema di società e, in particolare, né nell'art. 2385, secondo comma c.c. (che ha soltanto lo scopo di assicurare la contestualità tra cessazione e sostituzione, ma non consente di far permanere in carica il precedente amministratore, nonostante la sua sostituzione), né nel successivo art. 2386 (che disciplina la sola ipotesi della sostituzione degli amministratori di nomina assembleare, nel caso che alcuni di essi vengano a mancare nel corso del mandato e, cioè, anteriormente alla cessazione naturale del loro incarico), costituendo, per converso, la clausola simul stabunt, simul cadunt una evidente deroga, in subiecta materia, alle disposizioni legislative, la liceità della quale si riconnette direttamente al principio della libertà di manifestazione della autonomia privata che non contrasti con norme imperative, ma la cui validità risulta inderogabilmente condizionata alla esistenza di una esplicita previsione statutaria.