Cass. civ. n. 25754/2018
In regime di comunione legale tra i coniugi, l'atto di straordinaria amministrazione costituito dal conferimento ex art. 2253 c.c. di un bene immobile in società personale, posto in essere da un coniuge senza la partecipazione o il consenso dell'altro, è soggetto alla disciplina dell'art. 184, comma 1, c.c. e non è pertanto inefficace nei confronti della comunione, ma solamente esposto all'azione di annullamento da parte del coniuge non consenziente nel breve termine prescrizionale entro cui è ristretto l'esercizio di tale azione, decorrente dalla conoscenza effettiva dell'atto ovvero, in via sussidiaria, dalla trascrizione o dallo scioglimento della comunione; ne consegue che, finché l'azione di annullamento non venga proposta, l'atto è produttivo di effetti nei confronti dei terzi.
Cass. civ. n. 2536/2016
I conferimenti di beni in natura dei soci fondatori integrano negozi traslativi diretti in favore della società, sia essa personale o di capitali, la quale, pertanto, nella veste di parte acquirente, è l'unico necessario e legittimo contraddittore della domanda volta a renderli inopponibili, salvo l'interesse dei primi all'intervento adesivo in ragione dell'affidamento riposto nel conferimento in natura, soprattutto se riguardi un bene essenziale all'attività sociale la cui eventuale perdita, per effetto dell'azione esecutiva del creditore particolare, ponga a rischio la stessa esistenza della società.
Cass. civ. n. 2758/2012
L'erogazione di somme, che a vario titolo i soci effettuano alle società da loro partecipate, può avvenire a titolo di mutuo, con il conseguente obbligo per la società di restituire la somma ricevuta ad una determinata scadenza, oppure di versamento destinato ad essere iscritto non tra i debiti, ma a confluire in apposita riserva "in conto capitale", o altre simili denominazioni, il quale dunque non dà luogo ad un credito esigibile, se non per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell'eventuale attivo del bilancio di liquidazione, ed è più simile al capitale di rischio che a quello di credito, connotandosi proprio per la postergazione della sua restituzione al soddisfacimento dei creditori sociali e per la posizione del socio quale "residual claimant". La qualificazione, nell'uno o nell'altro senso, dipende dall'esame della volontà negoziale delle parti, dovendo trarsi la relativa prova, di cui è onerato il socio attore in restituzione, non tanto dalla denominazione dell'erogazione contenuta nelle scritture contabili della società, quanto dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi. (Nella specie, la C.S. ha cassato la sentenza impugnata, la quale, dopo avere riferito la circostanza secondo cui l'accordo di finanziamento, intervenuto fra i soci, prevedeva il rimborso solo dopo il ripianamento dei debiti e la messa in liquidazione della società, aveva poi qualificato i versamenti come erogazione di capitale di credito, anziché di rischio, senza considerare inoltre come fosse del tutto irrilevante l'eventuale preferenza di un socio rispetto al rimborso di altri analoghi versamenti operati da altri soci).
Cass. civ. n. 7692/2006
I versamenti operati dai soci in conto capitale (o con altra analoga dizione indicati), pur non incrementando immediatamente il capitale sociale, e pur non attribuendo alle relative somme la condizione giuridica propria del capitale (onde non occorre che siano conseguenti ad una specifica deliberazione assembleare di aumento dello stesso), hanno tuttavia una causa che, di norma, è diversa da quella del mutuo ed è assimilabile a quella del capitale di rischio. Essi, pertanto, non danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della società, e possono essere chiesti dai soci in restituzione solo per effetto dello scioglimento della società, e nei limiti dell'eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione. Ciò non esclude, tuttavia, che tra la società ed i soci possa viceversa essere convenuta l'erogazione di capitale di credito, anziché di rischio, e che i soci possano effettuare versamenti in favore della società a titolo di mutuo (con o senza interessi), riservandosi in tal modo il diritto alla restituzione anche durante la vita della società. Fermo restando che è a carico dell'attore l'onere di fornire la prova del titolo posto a fondamento della domanda, stabilire se, in concreto, un determinato versamento tragga origine da un mutuo, o se invece sia stato effettuato quale apporto del socio al patrimonio dell'impresa collettiva, è questione di interpretazione della volontà delle parti, riservata al giudice di merito, il cui apprezzamento non è censurabile in cassazione, se non per violazione delle norme giuridiche che disciplinano l'interpretazione della volontà negoziale o per eventuali carenze o vizi logici della motivazione che quell'accertamento sorregge.
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In tema di società, ai fini della ricostruzione dell'intento perseguito dai soci attraverso gli apporti finanziari effettuati in favore della società, il riferimento alla denominazione con cui gli stessi sono stati annotati nella contabilità sociale non è di per sé sufficiente, in difetto di più specifiche indicazioni circa la natura e le condizioni del finanziamento, per qualificare il conferimento come versamento in conto capitale, anziché a titolo di mutuo, stante anche la varietà e la relativa imprecisione che sovente caratterizzano tali denominazioni ed annotazioni contabili. Poiché, peraltro, i conferimenti in conto capitale concorrono a costituire una riserva di patrimonio netto, mentre i versamenti a titolo di mutuo vanno iscritti tra i debiti, la circostanza che nel bilancio della società, a suo tempo approvato dai soci, quei versamenti risultino collocati in una voce di debito, è certamente un elemento dal quale il giudice può trarre argomento per ricostruire la natura dell'operazione finanziaria, soprattutto qualora detta collocazione si accompagni a considerazioni ulteriori, desunte dal tenore di clausole statutarie o dalle finalità pratiche al cui perseguimento il finanziamento appare preordinato.
Cass. civ. n. 9209/2001
L'accoglimento della domanda con la quale il socio di una società di capitali chieda la condanna della società a restituirgli somma da lui in precedenza versate alla società medesima richiede la prova che detto versamento sia stato eseguito per un titolo che giustifichi la pretesa di restituzione: prova che deve essere tratta non tanto dalla denominazione con la quale il versamento è stato registrato nelle scritture contabili della società, quanto soprattutto dal modo in cui concretamente è stato attuato il rapporto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi. È questione di interpretazione della volontà negoziale delle parti stabilite se l'indicato versamento tragga origine da un rapporto di mutuo o se invece esso sia stato effettuato a titolo di apporto del socio al patrimonio di rischio dell'impresa collettiva; nel qual ultimo caso il diritto alla restituzione, prima e al di fuori del procedimento di liquidazione della società, sussiste solo qualora il conferimento sia stato risolutivamente condizionato alla mancata successiva deliberazione assembleare di aumento del capitale nominale della società e tale deliberazione non sia intervenuta entro il termine stabilito dalle parti o fissato dal giudice.
Cass. civ. n. 9471/2000
Al fine di accertare se il versamento del socio alla società possa ritenersi effettuato per un titolo che ne giustifichi la restituzione al di fuori dell'ipotesi di liquidazione, occorre accertare quale sia stata la reale intenzione dei soggetti (socio e società) tra i quali il rapporto si è instaurato, verificando, secondo le regole interpretative della volontà negoziale, se tra le parti sia intercorso un rapporto di finanziamento inquadrabile nello schema del mutuo, o se sia intervenuto un contratto atipico di conferimento di capitale (inteso come capitale di rischio, in senso economico, e non come capitale nominale, in senso giuridico); in tale attività ermeneutica il giudice di merito può attribuire valore prevalente alla classificazione contabile con cui l'operazione è stata registrata nei libri della società, giacché la considerazione di una pluralità di elementi ermeneuticamente rilevanti non esclude la selezione di essi in base alla rispettiva valenza e quindi la collocazione di uno o alcuni di essi in posizione di preminenza nell'iter formativo del convincimento del giudice, con la conseguenza che deve ritenersi corretta la prevalenza accordata al dato letterale emergente dalla classificazione contabile, ove esso sia esente da lacune o ambiguità. (Fattispecie relativa a società di persone).
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Con il versamento in conto capitale, l'entità pecuniaria che ne forma l'oggetto fuoriesce dal patrimonio del soggetto che vi provvede ed entra a far parte del patrimonio della società (dotato di alterità giuridica rispetto al patrimonio dei singoli soci) e può essere utilizzato soltanto in conformità alla volontà sociale determinatasi nei modi previsti dalla legge; ne consegue che per la distrazione di somme costituenti oggetto di tale versamento nelle società di persone, non è sufficiente una determinazione degli amministratori, giacché la volontà riferibile a tale tipo di società è governata dal principio della collegialità e, nell'ambito di questo, dal principio dell'unanimità, con le sole eccezioni previste dalla legge.