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Articolo 2253 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Conferimenti

Dispositivo dell'art. 2253 Codice Civile

Il socio è obbligato a eseguire i conferimenti(1) determinati nel contratto sociale [2247, 2286, 2295, n.5].

Se i conferimenti non sono determinati(2), si presume che i soci siano obbligati a conferire, in parti uguali tra loro, quanto è necessario per il conseguimento dell'oggetto sociale [2282, 2295 n.5].

Note

(1) Oggetto di conferimento può essere qualsiasi utilità suscettibile di valutazione economica (denaro, prestazione d'opera, proprietà o altri diritti di godimento su beni mobili o immobili, obblighi di fare o non fare, ecc. ecc.).
(2) Per la società semplice vige la presunzione di eguaglianza dei conferimenti, in assenza di una specifica previsione contenuta nel contratto sociale.

Ratio Legis

La norma identifica nel conferimento l'oggetto della prestazione cui è vincolato il socio, in ragione della propria adesione al contratto di società. La stessa previsione, laddove provvede a fissare un criterio presuntivo di determinazione del conferimento (nel caso di silenzio del contratto sociale), detta tuttavia una prima e basilare regola che attiene alla formazione del capitale sociale, disponendo che il patrimonio minimo risultante dai conferimenti debba essere perlomeno sufficiente ai fini dell'attuazione dell'oggetto sociale.

Spiegazione dell'art. 2253 Codice Civile

I conferimenti sono le prestazioni alle quali si obbligano le parti del contratto di società e ne costituiscono uno degli elementi essenziali. Il valore complessivo dei conferimenti rappresenta il capitale sociale. La necessità di dotare l’ente societario di un pur minimo capitale sociale è confermata dal secondo comma della norma, nella misura in cui prevede che, in assenza di espresse disposizioni del contratto sociale in punto di conferimenti, i soci siano tenuti a conferire l’ammontare di risorse necessarie allo svolgimento dell’attività sociale.

L’effettuazione del conferimento è condizione essenziale affinché possa sorgere il singolo rapporto partecipativo e l’entità delle risorse conferite determina il peso partecipativo del singolo socio all’interno della compagine sociale, misurandone i diritti amministrativi ed economici.

Nelle società di persone, tuttavia, la disciplina riguardante la formazione del capitale è maggiormente flessibile rispetto alle società di capitali, coerentemente con le caratteristiche e le esigenze di flessibilità delle società personali. In primo luogo, non vi è un obbligo che imponga di eseguire il conferimento contestualmente alla stipulazione del contratto di società, né vi è alcuna disposizione atta a disciplinare le modalità e le tempistiche del conferimento.
Inoltre, nelle società di persone è rimessa alla volontà dei soci la decisione circa la misura della quota di partecipazione al capitale, la quale può dunque non esprimere il valore effettivo di quanto conferito (se ad essere conferiti sono beni diversi dal denaro). Ciò implica, peraltro, che per i conferimenti in natura e di crediti non sia necessaria la relazione di stima prevista dalla disciplina delle società per azioni.
Allo stesso modo, a differenza delle s.p.a., oggetto di conferimento può essere qualsiasi entità suscettibile di valutazione economica, fermo restando che nel silenzio del contratto sociale i conferimenti s’intenderanno in denaro (regola sancita espressamente anche per le s.r.l., all’art. 2464, co. 2 c.c.).

In base all’oggetto del conferimento possono distinguersi:
- conferimento in denaro
- conferimento in natura (v. art. 2254)
- conferimento di crediti (pecuniari o aventi per oggetto prestazioni d’opera/servizi)
- conferimento di diritti di godimento reali o personali (usufrutto, uso, diritti derivanti da un contratto di locazione)
- conferimento di posizione contrattuale (purché si tratti di posizione creditoria)
- conferimento d’opera o servizi (quando il socio si obbliga a svolgere una determinata attività manuale o intellettuale a favore della società)
- conferimento d'azienda o di un suo ramo


Massime relative all'art. 2253 Codice Civile

Cass. civ. n. 25754/2018

In regime di comunione legale tra i coniugi, l'atto di straordinaria amministrazione costituito dal conferimento ex art. 2253 c.c. di un bene immobile in società personale, posto in essere da un coniuge senza la partecipazione o il consenso dell'altro, è soggetto alla disciplina dell'art. 184, comma 1, c.c. e non è pertanto inefficace nei confronti della comunione, ma solamente esposto all'azione di annullamento da parte del coniuge non consenziente nel breve termine prescrizionale entro cui è ristretto l'esercizio di tale azione, decorrente dalla conoscenza effettiva dell'atto ovvero, in via sussidiaria, dalla trascrizione o dallo scioglimento della comunione; ne consegue che, finché l'azione di annullamento non venga proposta, l'atto è produttivo di effetti nei confronti dei terzi.

Cass. civ. n. 2536/2016

I conferimenti di beni in natura dei soci fondatori integrano negozi traslativi diretti in favore della società, sia essa personale o di capitali, la quale, pertanto, nella veste di parte acquirente, è l'unico necessario e legittimo contraddittore della domanda volta a renderli inopponibili, salvo l'interesse dei primi all'intervento adesivo in ragione dell'affidamento riposto nel conferimento in natura, soprattutto se riguardi un bene essenziale all'attività sociale la cui eventuale perdita, per effetto dell'azione esecutiva del creditore particolare, ponga a rischio la stessa esistenza della società.

Cass. civ. n. 2758/2012

L'erogazione di somme, che a vario titolo i soci effettuano alle società da loro partecipate, può avvenire a titolo di mutuo, con il conseguente obbligo per la società di restituire la somma ricevuta ad una determinata scadenza, oppure di versamento destinato ad essere iscritto non tra i debiti, ma a confluire in apposita riserva "in conto capitale", o altre simili denominazioni, il quale dunque non dà luogo ad un credito esigibile, se non per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell'eventuale attivo del bilancio di liquidazione, ed è più simile al capitale di rischio che a quello di credito, connotandosi proprio per la postergazione della sua restituzione al soddisfacimento dei creditori sociali e per la posizione del socio quale "residual claimant". La qualificazione, nell'uno o nell'altro senso, dipende dall'esame della volontà negoziale delle parti, dovendo trarsi la relativa prova, di cui è onerato il socio attore in restituzione, non tanto dalla denominazione dell'erogazione contenuta nelle scritture contabili della società, quanto dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi. (Nella specie, la C.S. ha cassato la sentenza impugnata, la quale, dopo avere riferito la circostanza secondo cui l'accordo di finanziamento, intervenuto fra i soci, prevedeva il rimborso solo dopo il ripianamento dei debiti e la messa in liquidazione della società, aveva poi qualificato i versamenti come erogazione di capitale di credito, anziché di rischio, senza considerare inoltre come fosse del tutto irrilevante l'eventuale preferenza di un socio rispetto al rimborso di altri analoghi versamenti operati da altri soci).

Cass. civ. n. 7692/2006

I versamenti operati dai soci in conto capitale (o con altra analoga dizione indicati), pur non incrementando immediatamente il capitale sociale, e pur non attribuendo alle relative somme la condizione giuridica propria del capitale (onde non occorre che siano conseguenti ad una specifica deliberazione assembleare di aumento dello stesso), hanno tuttavia una causa che, di norma, è diversa da quella del mutuo ed è assimilabile a quella del capitale di rischio. Essi, pertanto, non danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della società, e possono essere chiesti dai soci in restituzione solo per effetto dello scioglimento della società, e nei limiti dell'eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione. Ciò non esclude, tuttavia, che tra la società ed i soci possa viceversa essere convenuta l'erogazione di capitale di credito, anziché di rischio, e che i soci possano effettuare versamenti in favore della società a titolo di mutuo (con o senza interessi), riservandosi in tal modo il diritto alla restituzione anche durante la vita della società. Fermo restando che è a carico dell'attore l'onere di fornire la prova del titolo posto a fondamento della domanda, stabilire se, in concreto, un determinato versamento tragga origine da un mutuo, o se invece sia stato effettuato quale apporto del socio al patrimonio dell'impresa collettiva, è questione di interpretazione della volontà delle parti, riservata al giudice di merito, il cui apprezzamento non è censurabile in cassazione, se non per violazione delle norme giuridiche che disciplinano l'interpretazione della volontà negoziale o per eventuali carenze o vizi logici della motivazione che quell'accertamento sorregge.

In tema di società, ai fini della ricostruzione dell'intento perseguito dai soci attraverso gli apporti finanziari effettuati in favore della società, il riferimento alla denominazione con cui gli stessi sono stati annotati nella contabilità sociale non è di per sé sufficiente, in difetto di più specifiche indicazioni circa la natura e le condizioni del finanziamento, per qualificare il conferimento come versamento in conto capitale, anziché a titolo di mutuo, stante anche la varietà e la relativa imprecisione che sovente caratterizzano tali denominazioni ed annotazioni contabili. Poiché, peraltro, i conferimenti in conto capitale concorrono a costituire una riserva di patrimonio netto, mentre i versamenti a titolo di mutuo vanno iscritti tra i debiti, la circostanza che nel bilancio della società, a suo tempo approvato dai soci, quei versamenti risultino collocati in una voce di debito, è certamente un elemento dal quale il giudice può trarre argomento per ricostruire la natura dell'operazione finanziaria, soprattutto qualora detta collocazione si accompagni a considerazioni ulteriori, desunte dal tenore di clausole statutarie o dalle finalità pratiche al cui perseguimento il finanziamento appare preordinato.

Cass. civ. n. 9209/2001

L'accoglimento della domanda con la quale il socio di una società di capitali chieda la condanna della società a restituirgli somma da lui in precedenza versate alla società medesima richiede la prova che detto versamento sia stato eseguito per un titolo che giustifichi la pretesa di restituzione: prova che deve essere tratta non tanto dalla denominazione con la quale il versamento è stato registrato nelle scritture contabili della società, quanto soprattutto dal modo in cui concretamente è stato attuato il rapporto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi. È questione di interpretazione della volontà negoziale delle parti stabilite se l'indicato versamento tragga origine da un rapporto di mutuo o se invece esso sia stato effettuato a titolo di apporto del socio al patrimonio di rischio dell'impresa collettiva; nel qual ultimo caso il diritto alla restituzione, prima e al di fuori del procedimento di liquidazione della società, sussiste solo qualora il conferimento sia stato risolutivamente condizionato alla mancata successiva deliberazione assembleare di aumento del capitale nominale della società e tale deliberazione non sia intervenuta entro il termine stabilito dalle parti o fissato dal giudice.

Cass. civ. n. 9471/2000

Al fine di accertare se il versamento del socio alla società possa ritenersi effettuato per un titolo che ne giustifichi la restituzione al di fuori dell'ipotesi di liquidazione, occorre accertare quale sia stata la reale intenzione dei soggetti (socio e società) tra i quali il rapporto si è instaurato, verificando, secondo le regole interpretative della volontà negoziale, se tra le parti sia intercorso un rapporto di finanziamento inquadrabile nello schema del mutuo, o se sia intervenuto un contratto atipico di conferimento di capitale (inteso come capitale di rischio, in senso economico, e non come capitale nominale, in senso giuridico); in tale attività ermeneutica il giudice di merito può attribuire valore prevalente alla classificazione contabile con cui l'operazione è stata registrata nei libri della società, giacché la considerazione di una pluralità di elementi ermeneuticamente rilevanti non esclude la selezione di essi in base alla rispettiva valenza e quindi la collocazione di uno o alcuni di essi in posizione di preminenza nell'iter formativo del convincimento del giudice, con la conseguenza che deve ritenersi corretta la prevalenza accordata al dato letterale emergente dalla classificazione contabile, ove esso sia esente da lacune o ambiguità. (Fattispecie relativa a società di persone).

Con il versamento in conto capitale, l'entità pecuniaria che ne forma l'oggetto fuoriesce dal patrimonio del soggetto che vi provvede ed entra a far parte del patrimonio della società (dotato di alterità giuridica rispetto al patrimonio dei singoli soci) e può essere utilizzato soltanto in conformità alla volontà sociale determinatasi nei modi previsti dalla legge; ne consegue che per la distrazione di somme costituenti oggetto di tale versamento nelle società di persone, non è sufficiente una determinazione degli amministratori, giacché la volontà riferibile a tale tipo di società è governata dal principio della collegialità e, nell'ambito di questo, dal principio dell'unanimità, con le sole eccezioni previste dalla legge.

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D. P. D. B. chiede
venerdì 24/02/2023 - Lombardia
“Il socio d’opera di una società di persone, in particolare di una società semplice, può essere ricoperto da un soggetto giuridico come la società a responsabilità limitata?”
Consulenza legale i 02/03/2023
Nelle società di persone l’art. 2253 del c.c. prevede la possibilità per i soci di conferire quanto necessario per il perseguimento dell’oggetto sociale.
Per conferimento d'opera deve intendersi quello avente ad oggetto l'assunzione da parte del socio conferente dell'obbligo di prestare la propria attività lavorativa manuale o intellettuale nell'ambito dell'attività della società, a tempo determinato o per tutta la durata della stessa.

La disciplina del socio d’opera non è ordinata, ma la legittimità ne è presupposta in forza dei richiami contenuti negli artt. 2263, secondo comma, 2286, secondo comma, 2295, n. 7, 2500 quater, secondo comma, del c.c..
Il socio d'opera non è un dipendente della società, e non ha diritto ad alcun trattamento salariale, bensì come tutti gli altri soci avrà diritto ad una remunerazione solo se la società avrà generato utili, mentre in caso contrario non otterrà alcun corrispettivo all'opera prestata, così come gli altri soci non otterranno frutti dagli investimenti effettuati.

Non esiste alcun divieto normativo alla partecipazione di una società di capitali in una società di persone in qualità di socio d’opera.

Ciò nonostante
  • posto che la definizione contempla il conferimento da parte del socio d’opera della propria attività lavorativa, manuale o intellettuale
  • tenuto conto che le elaborazioni dottrinali in materia (che si occupano principalmente della distinzione tra socio d’opera e socio lavoratore)
  • nonché considerato che la disciplina in merito risale ad epoca anteriore alla riforma del diritto societario del 2001 (che all’art. 2361, comma secondo, del c.c. ha introdotto la possibilità di partecipazione delle società di capitali come soci illimitatamente responsabili in società di persone)
si ritiene che il ruolo di socio d’opera di una società semplice possa essere ricoperto soltanto da persone fisiche.